Quando il dolore si trasforma in amore:
suor Maria Nicolina Giannetta
L’antico Castelletto Medici, a Roma, sito al Viale delle Mura Aurelie N. 2, prospiciente il meraviglioso Gianicolo, ospitava da alcuni anni un piccolo numero di Suore Oblate del Sacro Cuore di Gesù, con la loro Superiora e Fondatrice Madre Maria Teresa Casini.
L’immobile era stato ceduto in fitto alle suore direttamente dal Marchese Medici. Egli non ebbe timore che, a causa della loro povertà, quelle Suore non avessero potuto pagare il canone per l’affitto e con fiducia le annoverò fra i suoi inquilini.
Davvero la povertà regnava sovrana al Castelletto: nell’arredamento, nel vestiario, nel genere di vita consono pienamente al Voto di Povertà emesso ai piedi dell’Altare, per amore di Gesù e per uno scopo particolare racchiuso in cuore come un segreto da custodire gelosamente. Era il segreto svelato da Gesù alla Beata Madre M. Teresa Casini: “Il Sacerdote è parte delle mie viscere, pupilla dei miei occhi; il carattere sacerdotale è al di sopra di qualunque dignità. Io ho chiamato queste anime al mio servizio, dando loro una vocazione sublime, le ho circondate di lumi e grazie dello Spirito Santo e le ho messe in mezzo alla società, affinché, trattando continuamente con essa, mi fossero come tanti canali in cui le anime passassero per venire al mio Cuore. Ma - aggiunse con espressione di dolore - non tutte corrispondono alla loro vocazione e con le loro infedeltà e ingratitudini trafiggono il mio cuore, conficcando una spina in esso”. Mi chiese poi di riparare e di consolarlo nel suo dolore”.
Questo spirito di riparazione veniva trasmesso alle giovani, che si univano a lei e formava l’ideale della loro vita religiosa vissuta in pienezza. “Consolare il Cuore di Gesù, per le offese recateGli dai sacerdoti, riparare e pregare per la loro santificazione” costituiva il loro unico desiderio. Vivevano, quelle giovani Oblate, in una atmosfera soprannaturale esemplare, che affondava le radici non solo nella più stretta povertà, e nell’eroica obbedienza, ma nell’offerta di quanto costituiva il tessuto della propria vita quotidiana.
In una parola il Castelletto Medici era un’oasi di pace e di preghiera. Nella piccola Cappella Gesù-Eucaristia non era lasciato mai solo: a turno una Suora Oblata, giorno e notte, genuflessa in adorazione Gli faceva compagnia, offrendoGli l’omaggio di amore, di riparazione, di impetrazione, di supplica umile e fervida.
Nel gruppo di quelle prime Consorelle che animarono il Castelletto Medici negli anni venti, vediamo Suor M. Nicolina Giannetta. Di questa Consorella non si può tracciare un profilo biografico esauriente, pur avendo eseguito le debite ricerche. I ricordi di cui si è in possesso non sono molti, perché la maggioranza delle Sorelle, che l’ha conosciuta, ha raggiunto la casa del Padre, ma sono sufficienti per lodare Dio, che si degna di trasformare delle povere creature umane in capolavori della Sua Grazia.
Parecchi particolari li ha forniti Suor M. Francesca Fenuta, sua concittadina, Consorella di Noviziato e della sua breve vita religiosa e altri suor Maria Agnese Bifaro che è vissuta con lei per parecchio tempo.
Suor M. Nicolina Giannetta proveniva da Castelluccio Valmaggiore, in provincia di Foggia, Diocesi di Troja. Un piccolo paese a nord della Puglia: piccolo come estensione e numero di abitanti, ma importante per valore e ricordi storici. Castelluccio Valmaggiore prende il nome dal Castello eretto dai bizantini verso il 1000 dell’era Cristiana. Quale testimone duraturo e reale, rimane la torre cilindrica in buona costruzione di pietra locale. Questo paesino è situato sui dorsali di una collina ove è eretta la Chiesa matrice e la torre bizantina. Alla base del sagrato l’altezza sul mare è di m. 630. Da qui si può ammirare l’ampia valle detta Valmaggiore. I suoi boschi sono ricchi di querce, olmi, orni, frassini, acacie e ginestre; accanto ai campi coltivati a grano, gli oliveti dal colore verde argenteo fanno bella mostra di sé. Il clima è salubre e temperato, sì da favorire un lieto soggiorno.
In questa cittadina, e precisamente in Via Sotto le Mura N. 11, il 14 febbraio 1894, alle ore 2:00, nel cuore della notte e della stagione invernale, nasce una bimba dai coniugi Angelo Raffaele Giannetta e Margarita Stellabotte. Essi sono giovanissimi: contano entrambi 23 anni di età, con pochi mesi di differenza.
E’ la primogenita, che giunge ad allietare la modesta famiglia. Angelo svolge l’attività di “bracciante” e col suo lavoro provvede onestamente il necessario per vivere, mentre la moglie, come casalinga, attende con amore ai lavori domestici e talvolta lavora anche nei campi per aiutare il bilancio familiare. La neonata il giorno seguente, 15 febbraio, viene portata alla Chiesa parrocchiale dedicata a San Giovanni Battista, per ricevere il Sacramento del Battesimo. Durante il sacro rito, amministrato dal Sacerdote Giuseppe Sarni, viene imposto alla bimba il nome di “Maria Nicola”. Il nome del nonno paterno - Nicola - viene così ricordato e trasmesso alla nipotina, secondo la consuetudine locale: una soddisfazione e una gioia per tutti.
Attraverso il Battesimo che è rinascita in acqua e Spirito Santo, l’anima di questa bimba riceve con abbondanza i doni soprannaturali, che fanno di ogni battezzato “una nuova creatura” (Ga1. 6, 15). In famiglia cominciarono subito a chiamarla col vezzeggiativo di “Nicolina”, e, come è facile immaginare, la bimba attirava l’amore e le cure affettuose di tutti i suoi cari.
Ben presto però la mamma si accorse che la piccina aveva un difetto ad una gambetta: il medico le disse che si trattava di un difetto congenito. Questa notizia penetrò nel cuore materno come una pugnalata. Margarita stringeva al cuore la sua bambina e pensava al suo futuro: “Sarà zoppa per tutta la vita; non potrà lavorare; nessuno la sposerà e, se la sposeranno, la maltratteranno” e di nascosto piangeva calde lacrime.
Dopo qualche tempo la famiglia fu allietata dalla nascita di un bimbo, al quale fu imposto il nome di Antonio. Nicolina accolse con gioia il fratellino, che divenne suo compagno di giochi e complice di innocenti marachelle.
Intanto in casa Giannetta si cominciava ad avvertire il disagio economico. Come fare per sostenere le spese di una famiglia di quattro persone? Il tenore di vita era povero, si cercava di risparmiare il più possibile, ma ciò nonostante il guadagno del lavoro ordinario non era sufficiente. Il paese non offriva altre risorse per affrontare le spese quotidiane. Margarita s’industriava a lavorare la farina di frumento per ridurla in pane e pasta, ma la situazione non migliorava.
Gli anni di inizio secolo erano anni di emigrazione in altri Stati e anche oltre l’Oceano, in cerca di qualsiasi lavoro, pur di procurare un po’ di benessere alla famiglia e un migliore avvenire per i figli. Quanti uomini partirono! Portavano un misero fagotto di indumenti, un cuore colmo di speranza, e nell’anima un dolore represso per dare coraggio ai propri cari, che restavano in lacrime, implorando l’aiuto del Signore. Angelo Giannetta prese la risoluzione di emigrare. La cosa gli apparve molto molto dolorosa. Come avrebbe potuto allontanarsi dalla giovane moglie e dai cari figli così piccini, dai parenti, e da quel paese che amava come se stesso? Non trovava però soluzioni diverse da questa. Allora col cuore pieno di angoscia per il distacco, partì per gli Stati Uniti d’America.
Margarita rimase sola a compiere l’arduo compito di educatrice dei suoi due amati figli, infondendo nel loro animo buoni sentimenti ed amandoli in modo tale da non far sentire loro l’assenza paterna. Insegnò a Nicolina a sbrigare le piccole faccende domestiche, che la resero utile in casa, come può essere utile una bambina. Nicolina cominciò a nutrire verso il fratellino Antonio un amore quasi di protezione, specie quando, durante l’assenza della mamma, che talvolta si recava in campagna per lavorare, doveva prendersene cura e accudirlo in tutto.
Suor M. Agnese Bifaro narra il seguente episodio, appreso dalla stessa bocca di Nicolina. “Ella, ancora fanciulla, dovette fare in casa le veci della mamma, che andava a lavorare. Raccontò proprio a me che il fratellino più piccolo di lei, spesso spesso tornava scalmanato dalla strada, dove giocava con i compagni e chiedeva il pane. Allora lei, che era sola ed era costretta ad attendere alle faccende di casa, un giorno ebbe una idea geniale: prese una pagnotta vi fece un buco al centro, vi infilò uno spago, e l’appese al collo del bambino, affinché avesse a portata di mano il pane, e lei potesse così accudire con tranquillità alle sue faccende”.
Margarita, da buona cristiana, si interessò presso il Parroco per fare impartire l’istruzione religiosa alla sua Nicolina, che con la necessaria preparazione, si accostò ai Sacramenti dell’Eucaristia e della Cresima, dopo di che volle iscriversi anche all’Associazione parrocchiale delle “ Figlie di Maria “, che frequentò con assiduità, perché qui si sentiva accolta e benvoluta.
La sua mamma pensava anche a come procurare un avvenire sicuro alla figlia, che, a causa del difetto fisico, non avrebbe potuto svolgere lavori pesanti, né forse avrebbe potuto contrarre matrimonio. Pensò allora di mandarla come apprendista presso una sarta del paese, dove la fanciulla avrebbe imparato il taglio e il cucito per poi esercitare il mestiere di sarta e guadagnare il necessario per vivere onestamente. Povera mamma! Quella spina nel cuore non le faceva sperare per la sua carissima figlia una sistemazione nella vita diversa da quella che lei vedeva con i suoi occhi di madre preoccupata.
Ma Iddio aveva ben altri piani e lei naturalmente li ignorava.
Nicolina s’impegnò con serietà e senso di responsabilità nell’apprendere il mestiere e divenne una brava sarta.
Dopo parecchi anni in casa Giannetta avvenne una novità da tanto tempo desiderata, che ridonò alla famigliola una straordinaria gioia: Angelo, padre di Nicolina e di Antonio, ritornò dagli Stati Uniti d’America. Aveva raggranellato un bel gruzzolo con il suo lavoro, e, preso dall’affetto e dalla nostalgia della sua famiglia e della vita tranquilla del suo paese, era ritornato a casa. Questa gioia, purtroppo durò poco tempo. Margarita, che pure godeva buona salute, si ammalò gravemente, e in breve, 1’11 luglio 1915, passò a miglior vita. Aveva solo 44 anni di età. Lasciava nel dolore il marito e i figli. Nella casa subentrò una cupa tristezza. Tutto parlava della mamma, della sua bontà e della sua laboriosità; se ne avvertiva l’assenza in maniera terribile. Nicolina aveva sperimentato in se stessa la sofferenza sin dall’infanzia, e man mano che cresceva, comprendeva la gravità del suo stato fisico. Questo le procurava una grande sofferenza morale. A questa si aggiunse quella per la morte della mamma, che costituiva per lei sostegno, conforto e protezione. Nicolina, nella nuova situazione familiare, si adoperò in ogni modo a lavorare in casa, per non far risentire l’assenza della mamma, al padre e al fratello. Il papà, però, accasciato dal dolore per la morte della consorte, si chiuse in se stesso, divenne intrattabile al punto da negare il proprio affetto ai due figli, i quali avrebbero voluto trovare in lui il conforto di un duplice affetto. Nonostante l’assistenza premurosa prodigata da Nicolina, il padre passò a nuove nozze nel 1916, a circa un anno di distanza dalla morte di Margarita. Egli aveva 45 anni di età; Nicolina 22, e Antonio era più piccolo di lei.
Quale dolore provarono i due figli è facile immaginarlo. I loro cuori furono provati duramente: vedevano un’altra donna al posto della loro mamma ed erano trattati molto male sia da lei che dal marito. Il papà, addirittura, mandò via di casa il figlio Antonio, giovanissimo di età, solo, triste, senza casa e soprattutto privo dell’affetto della sua amata ed unica sorella. Nicolina, angosciata da tanta sofferenza, decise di andar via dalla casa paterna, dove tutto parlava di coloro che lei aveva amato teneramente.
Le circostanze sono le ambasciatrici di Dio. Innumerevoli sono i modi di cui Gesù si serve, per chiamare le persone alla Sua sequela. Tutto sta nel percepire la Sua voce, nell’ascoltarla e nel seguirla con piena e libera volontà e con ferma risoluzione.
Il Signore allora le fece sentire, attraverso lo strazio del cuore, la chiamata alla vita religiosa. Nicolina ne parlò al suo Parroco, D. Luigi Savino, esponendogli il suo desiderio e chiedendogli di aiutarla a realizzarlo. Il Parroco addusse tanti motivi per farla desistere dal suo proposito, le disse che, andando via di casa, avrebbe sofferto di meno di quanto stava soffrendo, perché più nessuno l’avrebbe maltrattata, avrebbe potuto lavorare come sarta e procurarsi da vivere in tutta tranquillità, ma vista l’insistenza della ragazza, con molto garbo, per non offenderla le fece notare che lei, pur essendo di sana costituzione, aveva quel difetto alla gamba e che certamente nessun Istituto religioso l’avrebbe accolta; ma non riuscì a distoglierla . Nicolina, era convinta che il sacerdote aveva ragione, però voleva almeno tentare. Il parroco, vedendola risoluta, considerando che aveva circa 25 anni di età e che si poteva fare affidamento su di lei, perché era virtuosa e assennata, le promise che avrebbe scritto alla Superiora Generale dell’Istituto delle Suore Oblate del Sacro Cuore di Gesù, in Roma, esponendole come stavano davvero le cose. Intanto entrambi avrebbero pregato la Madonna, perché la risposta fosse affermativa. Mantenne la promessa. Come poteva disinteressarsi di una sua giovane parrocchiana, che desiderava consacrarsi a Dio e che dalla morte della mamma, viveva in una situazione di grandissima sofferenza?
La risposta non tardò a giungere. La Madre M. Teresa Casini, convinta che, per amare Dio non sono necessarie le gambe ma il cuore, accettò la domanda di Nicolina, procurando somma gioia a lei ed al Parroco.
In breve tempo i documenti chiesti dall’Istituto furono pronti, ed anche un poco di biancheria, che Margarita aveva comprato pian piano per la figlia sin da quando era piccola, seguendo la consuetudine locale. Nella valigia Nicolina mise con cura anche le sue forbici da taglio, che costituivano lo strumento principale del suo mestiere di sarta e uno dei pochi ricordi della povera mamma.
Nell’ottobre 1919 Nicolina partì con entusiasmo da Castelluccio Valmaggiore. Era diretta a Roma, al Castelletto Medici - Viale delle Mura Aurelie, 2 - per entrare nell’Istituto delle Suore Oblate del S. Cuore di Gesù. Fu accolta con cordialità dalla Comunità. Gioirono per il suo arrivo le Postulanti, con le quali Nicolina avrebbe condiviso il periodo di formazione religiosa. Madre Maria Teresa Casini, le riservò un’accoglienza più che materna. Ella comprendeva cosa significasse essere orfani, perché, quando aveva soltanto nove anni, aveva perduto il suo adorato papà e aveva sofferto moltissimo per la situazione creatasi in famiglia. Cercò di farle comprendere che amare il Signore, che per primo ci ha amati, è una cosa meravigliosa, perché è ricambiare un amore già ricevuto e che, in questo rapporto d’amore, avere una gamba difettosa non aveva nessuna importanza. Le insegnò anche che, la sofferenza fisica e morale, che lei stessa aveva sperimentato, poteva tramutarsi in atto di offerta amorosa a Colui che ci ha provato il Suo amore, morendo in Croce per noi.
Nicolina apprese molto bene la lezione, imparò ad accettare con serenità la sua menomazione fisica e la seppe trasformare in cantico di lode e di ringraziamento al suo Signore.
Narra Sr M. Agnese: “Ho sentito parlare molte Suore di Nicolina; tutte dicevano che era una buona ragazza: semplice, virtuosa, laboriosa e anche se non aveva tanto ingegno e cultura, aveva però un criterio pratico impressionante, una generosità senza pari, un senso dell’umorismo incredibile e la battuta facile, cosa che la rendeva molto simpatica e cercata nelle ricreazioni della Comunità. Aveva imparato a sorridere e finanche a ridere di se stessa e dei propri limiti. Aveva portato da casa un paio di forbici che conservava con cura, e non l’avrebbe mai prestate per timore che le rovinassero, ma la Madre Teresa pretendeva da lei, come da tutte le altre, che mettessero le proprie cose in comune, come si fa in famiglia. Lei obbediva; tuttavia, quando le prestava, con la coda dell’occhio si rendeva conto per quante mani passavano le sue forbici, e faceva ridere con gusto le sue compagne, quando diceva nel suo dialetto: “Le forbici mie dove sono andate a finire?”.
Imparare la lingua italiana inoltre era per lei una cosa ardua e, per esprimersi meglio, parlava spesso spesso il suo amato dialetto. Anche questo non era importante per amare il Signore.
Suor M. Francesca Fenuta racconta: “In Probandato, in Noviziato e poi in seguito, Nicolina si comportava generosamente. Nonostante il suo difetto fisico, si prestava a fare qualsiasi lavoro, e se qualcuna le diceva: “Stai attenta, altrimenti muori” rispondeva ilare: “ Muoio e muoio per Dio” oppure: “In manus tuas Domine, commendo spiritum meum, cioè alle tue mani Signore affido il mio spirito”. Erano queste le sue risposte, dalle quali traspariva la sua generosità e disponibilità nel compiere la volontà di Dio.
Nicolina si rendeva anche molto utile nel cucito. In quel tempo in convento la povertà regnava sovrana e quindi c’era ben poco da cucire, ma quante toppe c’erano da mettere! Spesso gli indumenti erano talmente mal ridotti che, sarebbe stato necessario un miracolo, per poterli aggiustare. Nicolina, con la sua pazienza e il suo ago, riusciva a fare di questi miracoli e quanti ne faceva! Noi compagne allora ci divertivamo a prenderla in giro per i suoi “miracoli”.
Dopo l’anno di Probandato trascorso a Roma, insieme a noi altre postulanti, Nicolina vestì l’abito religioso il 30 maggio 1922 a Grottaferrata. Il celebrante del rito fu S. E. Mons. Salvatore Frattocchi -Vescovo di Orvieto - che tanto amava l’Istituto della Madre Teresa. Anch’io facevo parte di questo gruppo di Novizie. Eravamo in sei: Sr M. Nicolina, Sr M. Tranquilla, Sr M. Giovanna, Sr M. Quirina, Sr M. Erina, Sr M. Francesca. Ecco perché ricordo bene Nicolina e come si esercitava nella virtù”.
Un corso di Esercizi Spirituali precedeva la Vestizione Religiosa come preparazione immediata delle Postulanti, ritenute idonee al Noviziato. La “Vestizione religiosa”, era un rito sacro, suggestivo e interessante, alternato da vari canti, intessuto di domande del Celebrante alle Postulanti, e di risposte di libera volontà nel seguire la chiamata del Signore, accettando di vivere lo spirito dell’Istituto, di cui desideravano far parte. Durante il Rito veniva imposto alle Novizie il nome da Religiosa. Per lei rimase quello di battesimo: “Suor Maria Nicolina”. Ella fu tanto felice nel vedersi circondata da amore fraterno, vero e cordiale, e di cominciare a far parte ín modo più concreto di una Famiglia Religiosa in cui si trovava bene e ed era contenta di tutto.
Suor Maria Nicolina conservò, durante il Noviziato, il suo stile di vita spirituale e di generosa corrispondenza al Signore, anzi lo accrebbe di più slancio e fervore. Aveva imparato dalla Madre Teresa a nutrire un grande amore per Gesù Sacramentato e avere il tempo per adorarlo, era per lei una gioia. Il turno di adorazione notturna a volte a qualcuna risultava pesante, per lei era un semplice modo di testimoniare il suo amore a Colui che era diventato l’Amore dell’anima sua.
L’anno di noviziato passa presto. Quasi non ci si rende conto della velocità del suo passare, quando l’anima è impegnata ad amare il Signore e a dimostrarglielo in modo concreto nella vita quotidiana.
La Madre Teresa, da esperta formatrice di anime, seguiva i progressi nella vita spirituale di ciascuna delle sue figlie ma in modo particolare di questa Novizia umile e semplice e la ritenne idonea per la Professione Religiosa. Il 30 maggio 1923, esattamente un anno dopo la Vestizione, Sr M. Nicolina insieme alle sue compagne pronunziò, ai piedi dell’Altare nella cappella di Grottaferrata, la formula dei tre Voti religiosi, per un anno, consacrando così a Gesù tutta se stessa in modo ufficiale.
Sr M. Francesca Fenuta, racconta: “Ricordo che, a pochi mesi dalla Professione religiosa, Suor M. Nicolina cominciò a non star bene. Il suo colorito diventava sempre più pallido, non aveva voglia di mangiare, si sentiva molto debole. La Madre Teresa, che vegliava con amore materno su questa figlia, fece di tutto per aiutarla a combattere contro quel male che la stava divorando, ma non molto tempo dopo la cirrosi epatica ebbe il sopravvento e a nulla valsero le cure che le furono prodigate.
Ella, consapevole della gravità del suo male, vedendosi ormai alla fine dell’esistenza terrena, domandò umilmente alla Madre Teresa di poter emettere la Professione perpetua, per donarsi così interamente al suo Dio prima d’incontrarLo in Paradiso. Le fu concesso e, pochi giorni prima di volare verso il Cielo, ebbe la somma gioia di consacrarsi a Dio per l’eternità”.
Suor M. Agnese scrive: “Non fui presente quando avvenne il decesso di Suor M. Nicolina, ma seppi che finì i suoi giorni nella pace del Signore. Come si vive, così si muore. Suor M. Nicolina aveva trascorso la sua vita, specialmente dopo la morte del la madre, nella fatica e nella sofferenza. Entrata in convento, quattro anni le furono sufficienti per raggiungere l’eroismo della vita di Oblata, e morì povera, umile, semplice e generosa nell’offerta della sua vita per la santificazione dei Sacerdoti“.
Suor M. Geltrude Cervi, una delle suore più vicine a suor Maria Nicolina, perché la curava giorno e notte, attesta: “Suor M. Nicolina aveva un carattere scherzoso. Era molto buona, semplice e caritatevole. Si ammalò e stette a letto vario tempo, ma nonostante il suo male, aveva sempre una nota allegra nel parlare e quando le suore andavano a farle visita lei, nascondendo la sua sofferenza, si divertiva a prenderle in giro e riusciva addirittura a farle ridere. Chiunque si recava presso il suo letto d’inferma se ne allontanava edificato, perché si rendeva conto che questa giovane donna non subiva la malattia con rassegnazione, ma l’accettava e la viveva con amore, da Oblata. Ella sapeva bene infatti che Dio dona la sofferenza come un grande mezzo di apostolato, perciò era animata dalla certezza che i suoi patimenti erano un mezzo meraviglioso per: “Consolare Gesù, riparare, impetrare grazie di santificazione per i Sacerdoti”.
Morì come era vissuta, sorridendo allo Sposo, che veniva ad incontrarla e lasciando nelle consorelle un ricordo indelebile di dedizione e di amore. Era il 13 dicembre 1923 e suor Maria Nicolina andò a cantare la gioia dei suoi trent’anni, non ancora compiuti, in compagnia della sua mamma e delle altre consorelle che l’avevano preceduta in cielo.
“E’ compito dei cristiani essere i cantori gioiosi della speranza” disse in un suo discorso ad Assisi il 25-8-1978 il cardinale Michele Pellegrino. Suor M. Nicolina fa certamente parte della schiera dei cantori del Cielo, che celebra ed esalta in eterno la bontà e la fedeltà dell’Altissimo. E noi con san Paolo “Ringraziamo con gioia Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo, perché ci ha messi in grado di partecipare alla sorte dei santi nella luce”. (Co1. 1, 3-20)
Assunta Vinci:
un fiore tra le spine
Suor Maria Assunta Vinci
Ci sono storie semplici che mostrano risvolti misteriosi ma non impenetrabili, purché si abbia la capacità di scrutarne i particolari.
Assunta Vinci rientra in questa categoria.
Il rito nuziale ai piedi dell’Altare si celebra in un’atmosfera di serena letizia. Quel giorno tanto atteso dagli sposi è ormai giunto, ed essi confermano il loro “sì” dinanzi al Ministro di Cristo, che li benedice in nome di Dio e della Chiesa. Giuseppe Vinci e Caterina Toti, entrambi di Alatri (Frosinone ), coronano con le nozze il loro sogno di amore.
Danno così vita, insieme, a una nuova famiglia. L’amore è la nota dominante da cui nasce l’armonia familiare e le dà consistenza.
Giuseppe esercita il mestiere non molto redditizio di "stagnino", ma col suo onesto lavoro riesce a procurare il necessario per la sua nascente famiglia. E’ giovane. E’ l’ora dei progetti, della speranza e del vigore delle forze fisiche alimentate dall’amore, che rende più lieve la fatica quotidiana.
All’alba del 15 agosto 1899, alle ore 4:00, mentre la cittadina di Alatri è ancora immersa nel silenzio notturno, dai coniugi Giuseppe e Caterina che abitano in una modesta casetta in Via Duomo N.1, nasce una bambina.
E’ il giorno in cui la Chiesa Cattolica venera con particolare amore e devozione l’Assunzione di Maria Santissima al Cielo. I coniugi Vinci non esitano perciò a scegliere il nome di Assunta per la loro piccina, che è, a detta di tutti, una bimba molto molto bella.
La piccolina trova una famiglia piuttosto povera, ma ricca dell’unica cosa che dona la felicità: "l’amore". Sì davvero c’è tantissimo amore in casa Vinci.
Giuseppe comunica personalmente all’ufficiale dell’anagrafe la data di nascita della sua bimba e il nome scelto, per l’iscrizione nei registri anagrafici del Comune di Alatri. L’impiegato lo scrive come semplice atto di ufficio, e, come succede in simili circostanze, si congratula col giovane papà ed esprime una parola di augurio per la neonata.
Assunta viene portata al più presto al fonte battesimale e qui il Sacerdote domanda quale nome si vuol dare alla bambina. Il babbo risponde con fierezza: “ Il suo nome è Assunta, perché è nata il giorno dell’Assunzione di Maria al cielo e perché noi desideriamo consacrarla alla Madonna”. “Assunta, io ti battezzo nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo” dice allora il Sacerdote e Assunta diventa così figlia Dio e membro della Chiesa Cattolica.
Con l’imposizione di questo nome Maria Santissima viene impegnata ufficialmente a proteggerla. E Lei, non solo la proteggerà, ma la sceglierà come sposa del suo Divin Figlio, nella schiera delle vergini che amano Cristo con cuore integro ed indiviso.
La gioia di questa famiglia è grande, molto grande e non è assolutamente intaccata dalla povertà, perché in essa regna l’immensa ricchezza dell’amore.
Nel vangelo, però, c’è un avvertimento di cui spesso ci si dimentica: “ “State in guardia, vigilate e pregate, perché non sapete né il giorno e né l’ora" (Mc.13, 22). Parole profetiche che risuonano sempre attuali per ciascuno di noi.
Giuseppe Vinci, conta solo 26 anni di età, e, nel giro di pochi giorni, il 18 agosto 1901, varca la soglia dell’Eternità, lasciando la moglie di 27 anni e la sua piccina di appena 2 anni.
Il dolore della famiglia è immenso; l’angoscia, che opprime tutti coloro che gli volevano bene non diventa però disperazione, perché la fede li aiuta ad andare avanti e a credere che, in questa, che sembra una tragedia, c’è un disegno della Divina Provvidenza.
Per Assunta, così piccola, inizia una vita piena di sofferenza e di stenti. La sua infanzia e gli anni successivi sono riscaldati solo dall’amore della sua cara mamma, la quale si adatta a fare qualsiasi tipo di lavoro, pur di procurare il necessario per sé e per la sua figlioletta.
A costo di enormi sacrifici le fa frequentare la scuola, perché vuole che sappia leggere e scrivere, cosa non comune in quel tempo. La vita di scolara di Assunta si conclude con il diploma del Corso B elementare, rilasciato al termine dell’anno scolastico 1911/12 in data 12 luglio 1912.
Assunta trascorre la sua adolescenza nella semplicità quotidiana della vita casalinga, senza aspetti o avvenimenti rilevanti.
La sua costituzione è un po’ gracile e, pur essendo adolescente, ha il fisico di una bambina, forse perché alla sofferenza del cuore, dovuta alla mancanza del padre, si saranno aggiunte le privazioni inerenti alla condizione di povertà della sua famiglia.
Il tempo corre e Assunta ha ormai vent’anni e un sogno nel cuore: vuole farsi suora ed essere tutta solo di Gesù, ma è quasi certa che, a causa della sua salute cagionevole, non sarà accettata da nessun Istituto Religioso.
Ne parla con il sacerdote Redentorista Padre Filippo Toti, fratello della mamma, che conosce l’Istituto delle Suore Oblate del S. Cuore di Gesù. Egli la incoraggia fare la richiesta e poi, invitandola a rimanere serena in caso di rifiuto, l’assicura che, vista la sincerità del suo desiderio, il Signore certamente l’aiuterà.
Ella con animo trepidante invia la domanda alla Madre Casini, per essere accettata nell’Istituto da lei fondato, senza nascondere che la sua complessione è un po’ gracile. Sarà accettata ?
Si può affermare, senza timore di essere smentiti, che questa ragazza mingherlina, dagli occhioni nerissimi e intelligenti, con il sorriso sempre sulle labbra e i modi molto molto gentili è per l’Istituto un “dono di Dio”. Tale la considera la Madre Casini, che l’accoglie volentieri, perché è convinta che, per amare e pregare, non è necessaria una salute di ferro, anzi la stessa debolezza fisica può diventare motivo di offerta al Signore e di puro amore per Lui e per le anime, in modo speciale per quelle sacerdotali.
La risposta affermativa alla sua richiesta fa fiorire nel cuore di questa giovane una gratitudine immensa nei confronti del Signore e di colei che è stata così magnanima nei suoi confronti.
Nel gennaio 1920 Assunta, piangendo a dirotto, ma decisa a realizzare il suo sogno, lascia la sua cara mamma, i suoi parenti, l’amato paese in cui la sua vita è sbocciata e fiorita, irrorata dalla sofferenza, e parte per la nuova destinazione.
A Roma - Viale delle Mura Aurelie, 2 - Assunta è accolta con spirito veramente materno dalla Madre Teresa Casini, da varie Novizie festanti e dalla Postulante Leonarda Sereno, proveniente da Castelluccio Valmaggiore (Foggia). A novembre dello stesso anno si unirà a loro un’altra giovane: Iole Fiocca, di Castel di Sangro (L’Aquila). Insieme proseguiranno il cammino di formazione, guidate dalla esemplare Fondatrice Madre Teresa, in un clima di fraterna cordialità.
Dopo un anno di Probandato, la Madre Teresa ritiene che Assunta e le altre due Postulanti siano idonee per essere ammesse al Noviziato. Ciò significa che hanno dimostrato di avere una vera vocazione alla vita religiosa, e una sincera buona volontà nella pratica delle virtù proprie di Oblata.
La vestizione religiosa, preceduta dagli Esercizi Spirituali come preparazione immediata, viene fissata per il 25 gennaio 1921.
L’ammissione al Noviziato avviene durante un rito commovente, presieduto generalmente da un Vescovo, in un clima di grande festa, nel quale c’è anche la cerimonia per la vestizione del candido abito delle Oblate, con velo ugualmente bianco e una crocetta, appesa a un cordoncino, da sovrapporre all’abito.
Viene imposto anche il nome nuovo.
Secondo le Costituzioni dell’Istituto delle Suore Oblate del Sacro Cuore di Gesù, il nome resta quello di Battesimo, preceduto da " Suor Maria" in onore della Vergine Santissima.
Assunta Vinci ascolta felice il Celebrante pronunciare il suo nome: "SUOR MARIA ASSUNTA" e, commossa, si sente molto più vicina al cuore di Maria Santissima, sua celeste protettrice.
A questa funzione sono invitati anche i genitori, i fratelli, gli amici. Per suor Maria Assunta quel giorno, pur tanto bello e desiderato, è alquanto doloroso: ella sente moltissimo la mancanza del papà e di quei fratelli che non ha mai avuto. Calde lacrime vorrebbero rigarle il volto, ma per non rattristare la sua mamma, alla quale vuole un bene immenso, si fa coraggio e con un sorriso, illuminato dai suoi bellissimi occhi neri, offre tutto al Signore per la santificazione dei Suoi Sacerdoti.
Inizia così l’anno di noviziato. In quell’epoca, questo tempo doveva essere vissuto, senza interruzione, nella Casa di noviziato, in maniera da poter perseguire una soda formazione, che rendesse idonee le giovani alla vita di consacrazione a Dio con la pratica dei tre Voti: Obbedienza - Povertà ¬Castità e delle Costituzioni proprie dell’Istituto.
Quanto impegno da parte della Madre Teresa, coadiuvata dalla Maestra delle Novizie, nello svolgere questo compito così importante! Si alternavano le conferenze e le spiegazioni, i colloqui privati, la vita comune, la recita della Liturgia delle Ore, l’adorazione diurna e notturna al Santissimo Sacramento a turno, i momenti di ricreazione ecc. Tutto un intreccio di spiritualità amata e vissuta.
Suor M. Assunta apprende ogni cosa, e nella semplicità del suo animo accoglie tanta grazia di Dio come un fiore di campo, che riceve la rugiada e si fortifica alla brezza mattutina.
Al termine dell’anno di noviziato, la Madre Teresa non esita ad ammettere alla Professione Religiosa per un anno, le tre novizie, fra cui Suor Maria Assunta.
La data viene stabilita per il 25 gennaio 1922; anche questa passo importante viene preceduto dagli Esercizi Spirituali.
La cerimonia, in questa occasione, è molto semplice e, a differenza della vestizione, è presente soltanto il Sacerdote, che officia il rito, e la comunità religiosa. La Madre Teresa infatti parte dal principio che la Professione religiosa, temporanea o perpetua, è un vincolo d’amore sponsale con Cristo così grande, che è necessario circondare coloro che stanno per contrarlo, non solo in Chiesa ma anche in casa, di un clima di silenzio e di raccoglimento, per facilitare la loro preghiera e la loro riflessione. Tutto perciò si svolge in un contesto di gioia contenuta.
Dopo la professione suor M. Assunta, insieme alle sue compagne, comincia il periodo dello Juniorato con impegno e fervore: è obbediente, servizievole, allegra, serena, sempre attenta ai bisogni delle sorelle, ma lo sguardo del suo cuore è ostinatamente puntato su Gesù Sacramentato, al Quale tiene affettuosa compagnia ogni volta che le è possibile.
La Madre Teresa ha molta stima di questa figlia che, non potendo impegnarsi assiduamente nel lavoro come le altre sorelle, a causa della sua salute cagionevole, non spreca il suo tempo ma lo dedica volentieri alla preghiera per la santità sacerdotale, secondo lo spirito proprio dell’Istituto di cui fa parte.
Tutto sembra procedere nel migliore dei modi.
Assunta, che conosce sin dall’infanzia che cos'è la povertà, non ha difficoltà ad osservare quella della comunità in cui vive. Non si lamenta mai né per il poco cibo, né per il freddo invernale, che in certi giorni è davvero difficile da sopportare, perché le suore sono talmente povere da non avere soldi per riscaldare gli ambienti.
Tutte tossiscono e si coprono come meglio possono ma il freddo è freddo...
Nella tosse di Assunta però c’è un’insistenza particolare.
La Madre Teresa veglia su tutte le figlie ma su questa in modo particolare, perché sa che è più delicata delle altre e perciò più soggetta ad ammalarsi seriamente. Dopo qualche giorno, pertanto, vedendo che la tosse non accenna a diminuire, decide di consultare un medico.
La diagnosi è infausta: tubercolosi.
Nell’apprendere il responso del medico, la giovane prova una forte ribellione: non è possibile che il Signore voglia mettere a così dura prova la sua fede e il suo amore! Il suo pianto sembra inconsolabile. Non vuole morire! No, non si può morire a poco più di vent’anni! Non può e non vuole dare un nuovo dolore alla sua povera mamma, già tanto provata! No! No! No! Per alcuni giorni non parla, non dorme, non mangia e soprattutto non prega: si sente come tradita dal Signore, che lei si è impegnata amare con tutta se stessa!
La Madre e le altre sorelle cercano di starle vicino e di colmarla di affetto, ma lei non vuole vedere né sentire nessuno. Desidera rimanere sola con il suo dolore e la sua delusione.
Le novizie dormono in un dormitorio comune ma per evitare il contagio, a lei viene assegnata una stanzetta isolata, attigua alla stanza della Madre Teresa, al primo piano. Si prendono cura di lei Suor M. Rosina Tiberi che è l’infermiera e la Madre Teresa. L’assistono giorno e notte con amore e dedizione. Tutta la comunità intanto prega intensamente per questa giovane sorella scossa dal male fisico e dal dolore del cuore.
Dopo un poco di tempo viene a farle visita lo zio, padre Filippo Toti, il quale dopo averla ascoltata e lasciata piangere a lungo, non proferisce nessuna parola: le indica soltanto il Crocifisso.
Assunta lo guarda e capisce: Gesù la vuole partecipe della Sua Passione. Allora si abbandona con fiducia nelle mani di Colui che, solo, può donarle la forza di affrontare e superare la prova. Maria Santissima, sotto la cui protezione è stata messa fin dalla nascita, le ottiene di ritrovare la serenità e di accettare la sua malattia come mezzo per dimostrare il suo amore al Signore.
Il sorriso di Assunta torna a splendere sul suo volto mentre la tisi la consuma a poco a poco, come un fuoco lento consuma la legna e la incenerisce. Quando ella si sente assai male, la Madre Teresa tralascia qualunque cosa, si reca al suo capezzale, l’aiuta come può e la esorta ad offrire al Signore le sue sofferenze per la santificazione dei Sacerdoti, cosa che lei fa con tutto il cuore.
Vedendo ormai vicino il suo passaggio da questa terra all’eternità, suor Maria Assunta chiede alla Madre Teresa di poter emettere la professione perpetua dei voti religiosi.
Il suo desiderio viene esaudito senza nessuna difficoltà.
Ella rinnova al suo amato Signore la gioia di appartenergli interamente, lo ringrazia per averla associata alla Sua Passione e lo prega di accettarla, nonostante tutto, come vittima d’amore per la santificazione dei Sacerdoti.
Dopo pochi giorni dalla sua offerta, il primo gennaio del 1923, circondata dall’affetto delle sue consorelle, spira serenamente tra le braccia della Madre Teresa, la quale tra le lacrime esclama: “ Davvero questa figlia è stata un dono di Dio”.
Suor Maria Paolina Santercole:
un fiore sbocciato nell'inverno del dolore
SUOR MARIA PAOLINA
L’attività principale della popolazione abruzzese fino a non molti anni fa era la pastorizia per la prevalente caratteristica montana, specie nell’interno della regione. Questi monti sono chiamati "maestosi e selvaggi" per la diversità che presentano allo sguardo degli ammiratori; tanti di essi sono molto alti, ricchi di alberi dal fogliame sempre verde o nella gradazione rossastra a seconda delle stagioni; altri appaiono rudi, rocciosi, impervi, refrattari ad ogni vegetazione.
Nella stagione invernale i monti più alti con facilità si coprono di neve, sotto il cui peso i rami degli alberi si curvano, formando degli arabeschi incantevoli. Fra un gruppo e l’altro di monti si notano forti dislivelli verso la valle, con multiformi piccoli appezzamenti di terreno tenuti a pascolo o coltivabili; la loro tinta riposante dà spicco al panorama suggestivo della natura.
A valle tante piccole sorgenti, evidenti o nascoste, disseminate qua e là, formano ruscelli il cui mormorio somiglia al bisbiglio di una lode che si eleva al Creatore dell’Universo.
Sparsi fra il verde, a ridosso dei monti, a pochi chilometri distanti fra loro, piccoli paesi con case ammucchiate l’una accanto all’altra, quasi a volersi proteggere a vicenda, con vie in prevalenza strette, lastricate di sampietrini, per agevolare il cammino in discesa, molte delle quali costruite a gradoni, per impedire ai mezzi di trasporto d’inoltrarsi fra di esse.
Pescasseroli ( L'Aquila) non è molto dissimile dagli altri paesi, ma è situato in una zona più pianeggiante, che con l’andare del tempo ha avuto un notevole sviluppo economico ed edilizio grazie il turismo che si è incrementato gradatamente dal dopoguerra. Pescasseroli è alle porte del Parco Nazionale degli Abruzzi, dove sono ospitati alcuni esemplari di lupi, orsi e camosci completamente liberi e indisturbati.
Luigi Santercole vive a Pescasseroli, suo paese natio, ed è pastore come tanti altri suoi concittadini. Pur essendo di condizione economica piuttosto povera, non ha osato affrontare il rischio dell’emigrazione per migliorare la sua condizione, così come hanno fatto tanti altri della sua terra. Forse non si sente capace di sopportare la dolorosa separazione dai propri cari, dal paese natio, dalla patria, dagli amici, dal genere di vita patriarcale, semplice e sereno della sua terra, intessuto di amore alla famiglia e di lavoro per il sostentamento necessario alla vita.
Ma, oltre a tutto ciò, egli è un pastore e il pastore nutre in sé un amore, quasi paterno, per il gregge affidato alle sue cure. Lo conduce al pascolo, lo sorveglia con amore, lo guida ai rivoli d’acqua fresca per farlo dissetare e lo fa riposare. Ed egli, nell’incanto della natura circostante, si sente davvero un essere superiore, ne è felice, e passa il suo tempo seduto su di un sasso trovato sul prato, o sull’erba accanto al gregge, fischiettando l’aria di una canzone popolare, o formando col temperino un clarinetto, che gli permette di suonare nel placido silenzio campestre.
Le pecore talvolta lo guardano e lo ascoltano, quasi beandosi di quel l’armonia semplice che si perde nell’aria.
Accanto al pastore, i cani da guardia, dal lungo pelo bianco e dallo sguardo placido ma vigile e indagatore per la protezione del gregge. Luigi preferisce il suo mestiere di libertà e di pace al benessere che possono offrire altri paesi e resta a Pescasseroli.
Ma, deve pure formare una famiglia sua. . . Ed ecco che s’invaghisce di Lucia Gentile: una contadina umile, gentile e buona, e, dopo il tempo del fidanzamento, contrae le nozze desiderate.
Il 7 luglio 1900, alle prime luci dell’alba si nota qualcosa d’insolito nell’abitazione dei coniugi Santercole. Cosa succede? Le vicine di casa con affettuosa premura si rendono conto di quel movimento, e chiedono se c’è bisogno di loro. Si prestano volentieri a porgere l’aiuto necessario, e infine, condividono la gioia dei coniugi Luigi e Lucia nel baciare la bella neonata, che ha aperto gli occhi alla luce, mentre l’orologio segna le ore sette.
In paese si usa far battezzare i neonati il giorno stesso della nascita. Al Sacro Fonte il Parroco, Don Carlo Quintiliani, domanda al padre della piccina quale nome desidera dare alla neonata e Luigi gioiosamente dice: MARIA - PAOLA - LEONARDA. In casa cominciarono subito a chiamarla "Paolina".
Nei primi anni del ‘900 non vi erano i mezzi di trasporto così rapidi e frequenti come quelli di oggi e, quando un Vescovo si recava a visitare i paesi della sua Diocesi, era un avvenimento. Si approfittava dell’occasione per fare amministrare la Cresima ai fedeli, senza badare all’età dei cresimandi.
Si avvicina l’inverno del 1903. Prima che i rigori della stagione si facciano sentire, e che la neve scenda a ostacolare il cammino per le vie tortuose, che portano ai paesi sparsi fra i monti, il Vescovo della Diocesi di Pescina decide di recarsi a Pescasseroli. Il 7 ottobre 1903 è accolto dal Parroco Don Carlo Quintiliani, e dai fedeli festanti.
Anche la piccola Maria Paola Santercole è accompagnata dalla mamma per essere cresimata. Ha solo tre anni e tre mesi; non comprende nulla di ciò che accade intorno a lei, e tanto meno di quello che succede in lei, per la munifica bontà di Dio.
Ella ha bisogno innanzi tempo della "Fortezza" che viene da Dio e Iddio ha provveduto a donargliela.
Paolina ha appena quattro anni, quando un grande dolore colpisce la sua povera famiglia. La sua mamma piange, ma la bambina non può comprenderne il motivo, né può confortarla. Anzi, la sua stessa età infantile aumenta il dolore della mamma. Solo la fede in Dio può recare conforto alla buona Lucia, che vede morire il suo consorte. Il conforto nasce dalla certezza di una vita eterna al termine della vita terrena. Lucia crede e spera in Gesù che dice: " Io sono la risurrezione e la Vita: chi erede in me anele se muore vivrà; chiunque vive e crede in me non morrà in eterno". (Gv. 11, 25-26).
Lucia, povera e vedova, è ormai sola a dover provvedere al sostentamento per sé e per la sua bambina. Con buona volontà si impegna a lavorare come tessitrice, ma da buona mamma, pensa anche a infondere nell’anima della sua Paolina sentimenti cristiani; a educarla nel miglior modo possibile e a farle frequentare la Scuola Elementare per l’istruzione necessaria alla vita. Paolina è buona, è intelligente, si applica con impegno allo studio e comincia a dare le prime soddisfazioni alla sua cara mamma.
Nella salute di Lucia però c’è qualcosa che non va: si sente sempre molto stanca e questo la impensierisce assai. Una "emottisi" le rivela che è malata. In breve tempo anch’ella, pur essendo ancora giovane, parte per l’eternità, lasciando Maria Paola di appena nove anni, doppiamente orfana sulla terra.
Orfana, questa parola esprime tristezza e racchiude tante storie dolorose. . . ma anche storie di bontà e di altruismo.
Dopo il 5 ottobre 1909, data di morte di Lucia Santercole, non si è in grado di precisare chi prese con sé Paolina.
Si conserva fra i documenti il Diploma da lei conseguito al termine del Corso Elementare, che reca la data dell’11 agosto 1911, sul quale risaltano i bei voti riportati: tutti 8 e 9, con la media di voti 83 su 100. Questo sta a dimostrare che si ha cura della bambina nel farle continuare gli studi, almeno per l’istruzione elementare e che Maria Paola corrisponde in modo lodevole alle pietose premure altrui.
Il mistero di Dio si svela soltanto a poco a poco e lascia intravedere unicamente quel tanto che serve a continuare il cammino e a illuminare un tratto di strada. Così Dio opera anche con Maria Paola. La giovanetta non ha dinanzi a sé un presente ed un avvenire di sicuro benessere, come tante sue coetanee, a causa della perdita dei suoi cari genitori. Deve procurarsi da vivere ed è costretta dalla necessità a prestare servizio ad una signora del paese.
Intanto, proprio per mezzo di questa signora, che per un caso fortuito ha conosciuto la Madre M. Teresa Casini, Fondatrice dell’Istituto delle Suore Oblate del S. Cuore di Gesù, la giovanetta ormai sedicenne conosce l’Istituto e decide di entrarvi come Postulante.
Dio ordina tutte le cose in vista di un fine, perchè la Provvidenza è un mistero di amore. Quella signora deve essere molto buona, perché favorisce il desiderio di Maria Paola di consacrarsi a Dio, e dopo che questa viene accettata dalla Madre Teresa, l’accompagna a Grottaferrata (Roma) il 10 ottobre 1916, sostituendo così la sua defunta mamma. Paolina è timida, è giovane, ha solo sedici anni. Il suo animo non ha potuto espandersi nell’amore familiare, perché è stato provato dal dolore sin dalla più tenera età, ma il suo Parroco provvede paternamente a consegnarle una lettera da portare alla Madre Teresa, insieme ai certificati richiesti per l’ingresso nell’Istituto.
Testo integrale della lettera:
I. .M.. I. Pescasseroli, 8/10/1916
Rev. ma Madre Superiora, la latrice della presente è Paolina Santercole, la fortunata orfanella, che è la prima che delle pescasserolesi entra tra le Oblate. Essa è incapace di parlare, ed io suo parroco e padre spirituale, gliela presento, pregandola di accoglierla quale sua figlia carissima. Essa è umile, di carattere mitissimo, suscettibile a diventare sua carissima figliuola ed ottima Religiosa. E’ venuta ella sola in compagnia di un’ottima signora della famiglia, ove ella trovavasi a servizio.
Le altre due giovani non sono ancora pronte; ma spero che quanto prima potranno venire.
Delle altre poi ne parleremo appresso.
Ossequiandola distintamente mi raccomando alle sue orazioni.
Dev. mo Servo Abate D. Carlo Quintiliani
Certifico inoltre che la sullodata giovane ha sempre tenuto ottima condotta, irreprensibile sotto ogni riguardo, superiore ad ogni elogio.
In fede di quanto sopra
Pescasseroli, 8 ottobre 1916
Abate-Curato Don Carlo Quintiliani Parroco
La Madre Teresa accoglie nell’Istituto Maria Paola con amore materno, sensibile oltremodo, per esperienza personale, al significato concreto della parola "orfana", perché anche lei all’età di nove anni era rimasta orfana di padre.
Gli elogi e la descrizione delle buone doti relativi alla giovane, da parte del suo Parroco, dimostrano la sua benevolenza e il desiderio che Maria Paola trovi nella Famiglia religiosa quel calore di amore filiale e fraterno, di cui è stata privata in tenera età. Maria Paola lo riceve, oltre che dalla Fondatrice, anche dall’ottima Maestra delle Novizie Suor M. Rosa Rufini, dalle Postulanti e dalle Suore, che l’accolgono con gioia.
Ben presto Maria Paola, con il suo comportamento, dimostra che le espressioni di elogio del suo Parroco corrispondono esattamente alle sue doti. Tutto fa presagire che sarà un’ottima Religiosa.
Il periodo di probandato per Paolina dura soltanto sei mesi. La Maestra delle Novizie, Suor M. Rosa Rufini, la ritiene idonea ad essere ammessa alla "Vestizione", che avrà luogo il 4 aprile 1917, per l’inizio del noviziato, insieme ad altre cinque giovani.
Viene invitato, per il sacro Rito, il Reverendo Mons. Eugenio Mercanti, Vicario Generale della Diocesi di Frascati, il quale nutre grande stima per la Madre Teresa e ha preso a cuore l’Opera da lei fondata, aiutandola nella formazione delle giovani con conferenze e direzione spirituale. La Madre Teresa, da parte sua, stima molto Mons. Mercanti, perché è un Sacerdote esemplare per le sue doti e le sue virtù.
Il sacro Rito si svolge nella cappella dell’Istituto in un clima di religiosità festante. Si alternano le domande del celebrante con le risposte delle neo-novizie: il tutto accompagnato da preghiere e canti. All’Altare, durante lo svolgersi del Rito, Maria Paola viene chiamata "SUOR MARIA PAOLINA" in base alle norme dell’Istituto, che stabiliscono di conservare il nome di Battesimo.
L’anno canonico di noviziato è il periodo più importante per la formazione alla vita religiosa: si spiega la bellezza dei Voti religiosi, dello Spirito dell’Istituto, delle Costituzioni. Ed è anche una palestra di virtù per praticare ciò che viene insegnato, per incamminarsi con consapevolezza nella vita religiosa.
La serenità di questo gruppo di novizie però è offuscata dalla morte della loro santa Maestra.
Suor Maria Paolina è rimasta ancora una volta orfana.
L’abbandono in Dio, inculcato dalla Madre Teresa, ristabilisce l’equilibrio spirituale in tutte le novizie. L’incarico di "Maestra delle Novizie" viene affidato a Suor M. Lutgarda Cioccolini. Suor M. Paolina e le altre Novizie, in questa dolorosa circostanza e nell’affiatarsi con la nuova Maestra, dimostrano tanta virtù.
Suor M. Rosina Luisi, connovizia di Sr. M. Paolina, di lei così scrive: " Sr. M. Paolina Santercole era un’anima semplice e pura. Era una giovane sana e robusta, con il viso rubicondo e la bocca sempre atteggiata al sorriso. Aveva un grande spirito di sacrificio; nel lavoro prendeva per sé la parte più faticosa. Aveva un tratto gentile e dolce; non la vidi mai turbata, né seppi mai che abbia fatto uno sgarbo alle Consorelle".
In quel primo ventennio di fondazione dell’Istituto, la Madre Teresa, d’accordo con l’Autorità Ecclesiastica, faceva emettere alle Novizie, al termine dell’anno di noviziato, soltanto il Voto di Obbedienza e solo per un anno, per poter poi continuare con intensità la formazione religiosa nel secondo anno.
In conformità a questa norma, i1 4 aprile 1918, termine del primo anno di noviziato, concluso con gli Esercizi Spirituali, Suor M. Paolina insieme alle altre compagne di noviziato emette il "Voto di Obbedienza" per un anno, secondo le Costituzioni delle Suore Oblate del Sacro Cuore di Gesù.
Legarsi a Dio soltanto col Voto di Obbedienza non significa una donazione dimezzata. Il Voto di Obbedienza è molto importante e impegnativo nella vita religiosa: è la donazione totale a Dio, per amore, senza riserve nel compiere la divina volontà e, per giungere alla santità.
Suor M. Rosina Luisi continua la sua narrazione: "Il 20 aprile 1918 alcune novizie, fra cui Suor M. Paolina ed io, furono trasferite a Roma. Il primo impiego che ci toccò fu di assistere le educande dopo la scuola. Suor M. Paolina ebbe le bambine di 4a ed io quelle di 5a elementare.
Nei giorni di passeggiata, generalmente si andava a Monte Verde. Allora quella zona era deserta: tutti prati e solo qua e là qualche modesta casa. Ora quella zona è trasformata: sono sorti sontuosi palazzi e magnifici negozi, tanto che non si possono più riconoscere i punti dove noi ci fermavamo per far giocare le bambine. Quelle bambine erano tanto buone ma nello stesso tempo erano disinvolte e sincere; chiunque le avvicinava, specialmente i Sacerdoti, rimaneva ammirato di quella formazione seria e semplice insieme. Quando le bambine giocavano tranquille sui prati di Monte Verde, noi suore assistenti potevamo scambiarci qualche parola. Il più delle volte ripetevamo alcuni pensieri delle conferenze della Madre Teresa. Spesso Suor M. Paolina mi diceva che voleva farsi santa, ed una volta, ricordo bene, manifestò con trasporto l’intimo desiderio dell’animo suo: conoscere bene lo spirito del nostro Istituto per poterlo vivere in pienezza".
Fra i ricordi di Suor M. Agnese Bifaro si legge:" Quando io conobbi Sr. M. Paolina a Grottaferrata, erano trascorsi solo 4 giorni dal mio ingresso nell’Istituto, mentre lei si preparava già alla vestizione da novizia, insieme a parecchie altre compagne. Benché fossimo nella stessa casa, posso dire che non ci conoscevamo se non di vista, perché il Noviziato era perfettamente separato dal resto della Comunità. La conobbi bene a Roma, nella nostra comunità di "Castelletto Medici" in Viale delle Mura Aurelie n. 2 .
Suor M. Paolina era una Suora serena, bella, grassoccia con due occhi neri e intelligenti e un volto molto bello. Quando parlava, i suoi discorsi per lo più cadevano su argomenti spirituali; tuttavia sapeva essere socievole ed unirsi alle altre nelle ricreazioni allegre e gioiose.
Si distingueva fra tutte per lo spirito di raccoglimento, l’amore alla preghiera ed alla vita interiore che nutriva con letture e ore di adorazione al Santissimo Sacramento, di cui era devotissima. Era difficile coglierla in qualche difetto, perché osservatissima della Regola, specialmente del silenzio. Ricordo un particolare: nelle giornate belle la Madre Teresa usava ricevere le Suore a colloquio in giardino. (La rivedo ancora seduta all’ombra del ligustro, presso il chioschetto, a colloquio con chi le aveva chiesto di parlarle). Noi giovani, qualche volta eravamo terribili, e se l’occasione era propizia, spiavamo per scoprire quale Suora era a colloquio con la Madre. Eravamo spinte a fare questo atto dí curiosità, da una segreta gelosia spirituale: ci sembrava che la Suora, che si faceva dirigere spiritualmente dalla Madre Teresa, presto si sarebbe fatta santa. E così fu per Suor M. Paolina. Ci accorgemmo che andava più spesso delle altre a colloquio, e dicevamo fra noi: "Presto si farà santa". Il suo fervore nella vita spirituale aumentava sempre più".
Il 4 aprile 1919, con grande amore e fervore, Suor M. Paolina, prostrata dinanzi all’Altare ed al Celebrante, pronunzia la formula di emissione dei tre Voti Religiosi: "Obbedienza – Povertà - Castità" per un anno.
Negli anni successivi rinnova i suoi Voti, come di Regola. Negli ultimi giorni della sua vita - aprile 1922 - emette i Voti perpetui.
La vita di Suor M. Paolina è un continuo dono di amore a Dio e al prossimo. La Madre Teresa sa che può fare affidamento su di lei per la sua capacità di dedizione e le affida l’inizio dell’Opera dei “ Piccoli amici di Gesù”, che darà alla chiesa numerosi e santi Sacerdoti e Vescovi. Con quest’Opera la Madre Teresa desiderava rispondere alla richiesta fattale dal Signore: "Dammi Sacerdoti santi". Il Signore però aveva altri disegni. . . Forse di Suor M. Paolina voleva fare una vittima, proprio per la buona riuscita dell’Opera. Infatti dopo poco tempo in questa splendida giovane cominciò a manifestarsi uno strano malessere: aveva la voce rauca e faceva fatica a respirare. Si pensava ad un raffreddore; invece. . .
Suor M. Rosina Luisi scrive nei ricordi: "Suor M. Paolina per qualche tempo portò il suo male incipiente in silenzio, senza un lamento, continuando a sopportare il peso della fatica di ogni giorno col suo sorriso abituale. Quando il male di quel tempo, la tisi, si manifestò, fu inesorabile. Quel fiore di sorprendente bellezza si scolorì, si afflosciò, e in breve scomparve".
Suor M. Agnese continua: "Suor M. Paolina, accompagnata dalla Madre Teresa, partì da Roma per Grottaferrata. Tutta la Comunità, molto commossa, si riunì in parlatorio per salutarla.
Arrivate a Grottaferrata, la Madre Teresa le promise che si sarebbe recata a visitarla tutte le settimane e fu fedele alla promessa fino al giorno in cui Suor M. Paolina rese a Dio la sua anima santificata dalle virtù eroiche, dalla sofferenza e dall’amore.
Alcuni giorni prima che Suor M. Paolina morisse, il Rev. do Mons. Giuseppe Perrone andò a visitarla. Quando tornò a Roma, disse a noi, alla presenza della Madre Teresa: " Sono contento della visita che ho fatto; sono tornato edificato e commosso. Sr. M. Paolina è grave, sta per lasciare questa terra, ma è in uno stato di serenità inconcepibile".
Le ultime ore della vita di Suor M. Paolina sono ore di ansia, di attesa. Si guarda le unghie, e, quasi con la gioia di chi deve intraprendere un viaggio per andare incontro a una persona cara, dice: " Ecco, si avvicina l’ora di andare in Cielo". Siccome l’agonia si prolunga, ella, quasi impaziente, prega le Suore che le stanno vicino: "Andate a dire a Gesù che mi prenda, che affretti l’ora, ho desiderio di andare in Paradiso".
Il 12 aprile 1922 Suor M. Paolina, nel fiore della sua età giovanile, è accolta dal Signore, che ha tanto amato qui in terra, nella patria Celeste: non ha ancora compiuto 22 anni.
Non importa quanto si vive, ma come si vive e per chi si vive.
Suor M. Agnese così conclude la sua testimonianza: "Possiamo dire che Suor M. Paolina visse da santa, accettò la malattia santamente e morì da santa, aiutata e guidata da un'altra santa: la Madre Teresa Casini, Fondatrice dell’Istituto delle Suore Oblate del Sacro Cuore di Gesù".
Il versetto 4 del Salmo 58 racchiude il segreto della vita interiore di Sr. M. Paolina: " A te, mia forza, io mi rivolgo: sei tu, o Dio, la mia difesa. La grazia del mio Dio mi viene in aiuto”.
Bianca Chilovi
Laica d’Azione Cattolica
Viene dalla Val di Non, come la famosa mela, e anche lei è un prodotto di eccellenza: modellato, cresciuto e coltivato dall’Azione Cattolica. Nasce a Taio il 5 agosto 1909, figlia di un frustaio e di una casalinga, che in casa hanno 15 bocche da sfamare.
Arcangelo, il papà, ha sempre sognato una famiglia che fosse cristiana sul serio e per non sbagliare a scegliere moglie ha fatto anche una novena alla Madonna: riterrà sempre una grazia di quest’ultima il colpo di fulmine che lo fece innamorare di Anna Chini con la quale darà vita alla famiglia dei suoi sogni.
Anche Bianca, la figlia nata proprio nel giorno della Madonna della Neve, rientra probabilmente nei sogni di papà Arcangelo, perché quale genitore non si augura di avere, come figlia, una ragazza buona, dolce, servizievole e ubbidiente?
Bianca è tutto questo e anche di più, malgrado la salute fragile che farà di lei una bambina delicata e bisognosa di particolare cure, come per la misteriosa sua malattia agli occhi, che neanche a Innsbruck riescono a guarire. Per il resto è come le altre: solare, allegra, scherzosa, pur senza andare mai “oltre le righe”, perché quel che maggiormente si ammira in lei è la moderazione: nel giocare, nel vestire, nello scherzare. Una bambina giudiziosa, insomma. Consacrata dalla mamma alla Madonna fin dalla nascita, cresce con una devozione mariana tutta speciale, che diventa ancor più convinta dopo la lettura del celebre “Trattato” di San Luigi Grignion di Monfort. Sono probabilmente qui le radici della sua messa quotidiana, prima della scuola o del lavoro, e della sua confessione settimanale, che la aiutano a dare solide basi alla sua vita spirituale.
Si iscrive nelle “Figlie di Maria” e comincia anche a darsi da fare per le missioni e per le vocazioni: preghiere, sacrifici, apostolato in mezzo alle bambine più piccole, sulle quali esercita un forte ascendente.
Lavora nei campi e sbriga le faccende di casa, fa la commessa in un negozio e per qualche mese è impiegata in municipio, pur continuando a sognare di farsi suora.
A 19 anni, lasciando i genitori un po’ frastornati, entra tra le “Suore di Maria Bambina” a Trento: vi resta però pochi mesi, giusto il tempo per accorgersi che non è quella la sua strada, mentre è divorata dalla nostalgia di casa sua. Vi ritorna, per niente mortificata o depressa, convinta anzi che a casa può procurarsi meriti ancora maggiori, “perché ci sono più sacrifici da fare”.
Si rituffa nell’attività parrocchiale, riprende ad insegnar catechismo, inizia un apostolato porta a porta soprattutto là dove c’è una sofferenza da consolare o un povero da aiutare.
Fioccano le testimonianze di tanti suoi gesti di carità che lei compie di nascosto, privandosi di carne, frutta e uova che puntualmente finiscono sulla tavola di qualche povero. Si impegna a fondo nell’Azione Cattolica, come delegata del canto e delle missioni, come segretaria e socia effettiva, modellata, plasmata e formata ad offrirsi interamente per il bene degli altri.
Per qualche mese viene assunta nella cooperativa del paese: è l’occasione buona per portare Gesù sul posto di lavoro, per affascinare e conquistare con il suo sorriso che ha radici nel vangelo e si nutre quotidianamente di Eucaristia.
“La mia vita per i sacerdoti”, scrive al confessore a marzo 1934, svelando così l’offerta compiuta per la santificazione dei sacerdoti e perché sorgano nuove vocazioni, la prima delle quali sboccia proprio in famiglia, quando uno dei fratelli entra negli Oblati di San Giuseppe ad Asti.
Poi la vita di sempre, condita da preghiera e carità. Custodisce gelosamente il segreto della sua offerta fino al 10 giugno 1934, quando le viene diagnosticato il tifo addominale, contro il quale il suo fisico lotta per tre settimane. Negli ultimi giorni si fa portare all’ospedale di Cles, per non disturbare troppo i familiari; qui ha il tempo di rinnovare la sua offerta e ricevere gli ultimi sacramenti prima di abbandonarsi, l’8 luglio, non ancora venticinquenne, tra le braccia di Gesù, suo unico amore. ”La vita è una cipolla, che si sbuccia piangendo”, aveva detto un giorno.
A Trento aspettano che la Chiesa proclami Bianca Chilovi quella che i suoi compaesani da sempre ritengono: una santa.
Erminia Piermarioli, una fiammella che arde e risplende
ERMINIA PIERMARIOLI
Nel 1917 tre Religiose “Oblate del Sacro Cuore di Gesù” partirono da Grottaferrata (Roma), dirette a Nidastore di Arcevia in provincia di Pesaro oggi di Ancona. Erano state chiamate là per aprire una scuola materna e per insegnare lavori di cucito e ricamo alle ragazze del paese. La Fondatrice dell’Istituto delle Suore Oblate del Sacro Cuore di Gesù: “Madre M. Teresa Casini” , aveva aderito alla richiesta.
La piccola famiglia religiosa contava poco più di un ventennio di vita. In essa si respirava un’aria cordiale di famiglia e la Fondatrice la animava con il suo zelo e il suo amore materno, proveniente dall’amore per Cristo e per le anime. Il distacco pertanto delle tre suore dalla cara Madre Teresa, dalle amate consorelle, dal piccolo monastero in cui avevano trascorso anni felici, fu sentito e doloroso...Ma il Signore le attendeva là, nelle Marche. Partirono senza rimpianti, con generosa disponibilità convinte che ovunque avrebbero potuto pregare, sacrificarsi e lavorare, avendo di mira sempre lo scopo della loro amata vocazione di Oblate del Sacro Cuore di Gesù.
IL VIAGGIO LONTANO
Forse un sorriso può affiorare sulle labbra nel leggere la parola “lontano”, relativa alla località di Nidastore. Oggi le distanze non esistono più. Ma noi ci riferiamo ad altri tempi....Si consideri: Grottaferrata - Nidastore non sono geograficamente vicine. Da Grottaferrata, quasi sulle sponde del Tirreno, si deve attraversare l’Italia per giungere a Nidastore di Arcevia, in prossimità delle sponde dell’Adriatico. Si pensi al periodo storico, bellico e doloroso, del 1914-18 nel cui contesto cade il 1917, quando le tre Suore partirono. In quel tempo raggiungere una località qualsiasi, vicina o lontana, era davvero un problema. Viaggi penosi, con grandi disagi, con una lentezza indicibile. Treni vecchi a vapore, che sbuffavano, gettando sui viaggiatori polvere nerastra di carbone. Orari incerti di partenza e di arrivo. Poi, dover prendere altri mezzi per giungere là dove non arrivava il treno. Corriere logorate, dondolanti, come vecchie diligenze del Far-West su strade sassose, facevano sobbalzare i poveri viaggiatori.
NIDASTORE
Un piccolo paese, sulla cui cinta muraria ben conservata poggiano direttamente le abitazioni e alcuni palazzi con portali cinquecenteschi e seicenteschi in ottimo stato di conservazione. Il castello di Nidastore – "nido degli astori", ossia dei falchi che venivano usati per la caccia nel Medioevo – è tra i nove castelli di Acervia quello più settentrionale, ai confini con la provincia di Pesaro. E’ costruito sull’alto di una collina, che digrada in leggero declivio tutto verde di vigneti, di orti, di piantagioni di tabacco e di frumento. Gli abitanti, dediti all’agricoltura, coltivavano i loro campi con amore, perché da essi traevano i mezzi di sussistenza. Nel lavoro agricolo profondevano le loro energie, senza badare a orario lavorativo. Tuttavia quello agricolo è un lavoro dal rendimento incerto. I prodotti sono esposti alle variazioni atmosferiche stagionali: tempo propizio che fa crescere e maturare i frutti ma anche intemperie che talvolta rovinano tutto, facendo brutalmente tramontare speranze di benessere, e gettando famiglie benestanti nella povertà o addirittura nella miseria. Gli agricoltori hanno perciò sempre nel cuore quella trepidazione derivante da tali incertezze, e placano l’ansia con la fiducia in Dio radicata nel loro cuore. Solo Dio potrà e dovrà aiutarli, rendendo fecondi di buoni raccolti i loro campi, irrorati di lavoro, di fatiche, di speranze. E Iddio li aiuta, anche quando sembra che tutto vada o sia andato distrutto, premiando così la loro fiducia semplice, ma profonda.
In questo ambiente di gente operosa e semplice le Suore Oblate iniziarono con piacere la loro attività. Le famiglie mandarono subito e volentieri dalle Suore i loro bimbi per la scuola materna e le giovanette per imparare lavori di cucito e di ricamo. Le Suore accoglievano tutti con amore e gioia e insegnavano ad amare Gesù in modo semplice e pratico.
ERMINIA
Fra le altre, una ragazza di nome Erminia Piermarioli, cominciò a frequentare il laboratorio delle Suore. Andava volentieri, e seguiva l’insegnamento religioso con buoni risultati, riscontrabili nella sua vita, specie in casa dove viveva insieme ai genitori, a un fratello poco più grande di lei, e ad altri fratelli e sorelle più piccoli, mentre la fa miglia diventava sempre più numerosa.
Ad Erminia accadde qualcosa di simile al giovane ricco del Vangelo:” Gesù, guardandolo con tenerezza, l’amò...” (Mr.10,21). Il giovane citato nel Vangelo si turbò e se ne andò. Erminia invece gioì dello sguardo di Gesù, percepito nel suo intimo, e rispose all’amore di Lui con lo slancio di un cuore di fanciulla, che si apre appena alla vita, e con grande gioia interiore. Dopo qualche tempo ella rivelò alle Suore il suo segreto: era nato in lei il desiderio di farsi Religiosa come loro. Le Suore allora l’aiutarono a fare discernimento : le fu suggerito in modo particolare di pregare a lungo per poter comprendere se il suo desiderio celava una autentica “vocazione alla vita religiosa” o era soltanto un fuoco di paglia. Le fu consigliato anche di parlarne con il Parroco, don Enzo Gramolini, il quale aveva conosciuto personalmente la Madre Teresa Casini, durante i due mesi che ella si era trattenuta a Nidastore, per verificare che le sue suore stessero bene e svolgessero la missione loro affidata. Da Lei aveva conosciuto lo spirito dell’Istituto e, quando Erminia gli confidò che desiderava entrare tra le suore Oblate, egli se ne mostrò entusiasta.
Don Enzo era un santo Pastore; in paese era stimato per le sue doti di pietà e di virtù sacerdotali. Era animato da fervoroso zelo apostolico e da carità verso i poveri.
Erminia trovò nel suo Parroco uno vero collaboratore di Dio, che l’aiutò molto sia nel verificare la serietà della chiamata di consacrazione a Dio nella vita religiosa e sia nella decisione di una risposta generosa.
LA FAMIGLIA
I genitori di Erminia: Rodolfo Piermarioli e Clorinda Ripanti, quando appresero dalla figlia qual era il suo desiderio, non si stupirono come di una novità inaspettata. Conoscevano bene la ponderatezza e l’assennatezza della loro figlia. Erano persone molto semplici ma di grande fede. Rodolfo svolgeva il suo lavoro nel settore agricolo, poiché era coltivatore diretto. La moglie, Clorinda, casalinga, accudiva alla sua famiglia, che gradatamente si ingrandiva. E in questo era aiutata molto dalla sua Erminia che si dimostrava servizievole.
Dopo la nascita del primo figlio, Paris, era arrivata Erminia ad allietare i suoi genitori. La bimba nacque il 23 settembre 1903 alle ore 10 antimeridiane. I genitori decisero subito il nome da imporle:” Erminia”. Era consuetudine, in paese, di portare i neonati in Parrocchia il giorno stesso della nascita per l’amministrazione del Sacramento del Battesimo. Perciò Rodolfo, felice per il lieto evento, portò la sua piccina al sacro fonte, accompagnato dai parenti Giuseppe e Parisina Piermarioli, che dovevano fungere da padrino e da madrina.
Il Battesimo! Che grande dono di Dio! Erminia diventò così realmente figlia di Dio e tempio della Trinità, il giorno stesso della sua nascita.
Il Battesimo le fu amministrato dal Reverendo Sacerdote Giovanni Bonetti.
Ora la notizia che Erminia voleva consacrarsi a Dio si collegava a quel giorno, ormai lontano, ma pieno di gioia. Era una nuova grazia, che si riversava sulla loro figlia, per renderla sposa di Cristo, per sempre.
2 FEBBRAIO 1919
Una data liturgica significativa, il 2 febbraio: si celebra infatti la Presentazione al Tempio di Gesù Bambino e perciò data significativa per chi si presenta al Tempio di Dio per un’offerta totale di sé al Signore. Questa data, scelta di proposito dall’Istituto delle Suore Oblate del Sacro Cuore di Gesù, riassume nella festa liturgica io scopo oblativo della propria vocazione e missione nella Chiesa.
Il 2 febbraio 1919 Erminia lasciò la sua famiglia: i genitori, tre fratelli e due sorelle. Lasciò il suo paese natìo: Nidastore, come si lascia il nido in cui si è nati e vissuti, offrì al Signore il sacrificio di tutto ciò che costituiva il suo piccolo mondo e partì per una nuova meta: “Grottaferrata “ (Roma), di cui aveva sentito solo parlare.
Il suo cuore era straziato per la sofferenza del distacco, ma l’ideale brillava nel suo animo: consacrarsi a Dio per santificarsi e aiutare le anime a salvarsi, secondo il fine dell’Istituto da lei scelto liberamente.
Il viaggio fu lungo e penoso, come poteva essere un viaggio nell’immediato dopo guerra. Poi finalmente l’arrivo alla Stazione Termini di Roma; da qui bisognava proseguire con un trenino diretto verso i Castelli Romani, dove si trova la ridente cittadina di Grottaferrata, così varia nella sua struttura, con villini disseminati fra í giardini, intorno al centro storico, con panorami incantevoli e aria salubre. In essa spicca la maestosa Basilica di Santa Maria, di rito Greco, che risale all’anno mille, all’epoca di San Nilo Abate fondatore di Grottaferrata, con l’annessa Badia dei Monaci Basiliani.
Non molto distante da qui, si trova il piccolo monastero delle Suore Oblate del Sacro Cuore di Gesù.
La Madre Teresa accolse Erminia col grande senso di maternità, caratteristico in lei.
Erminia si ambientò presto e si sentì davvero “in famiglia” fra le consorelle, che la circondarono subito di quella cordialità fraterna, che proviene dall’amore per Cristo. Era felice d’aver realizzato il suo sogno e di sentirsi in un clima di grazia, che la impegnava a corrispondere all’amore del Signore.
POSTULANTE ESEMPLARE
Suor Maria Agnese Bifaro, che l'ha conosciuta personalmente ha scritto di lei: "Nell’anno 1919 due giovani entrarono nell’Istituto. La prima di esse fu Erminia Piermarioli. Io mi trovavo allora nella Comunità di Grottaferrata. La ricordo molto bene: pacifica, assennata, riservata nel parlare; più che con le parole si esprimeva con i suoi grandi occhi, che riflettevano il candore della sua anima, il suo buon senso e la sua intelligenza. Nello stesso tempo era sorridente e socievole, e con l’altra Postulante era l’animatrice delle più allegre ricreazioni".
Erminia si distingueva per una spiccata inclinazione alla preghiera, specialmente per la devozione alla Santissima Eucaristia e si recava in cappella per fare compagnia al Signore, appena le era possibile.
Per lei la Regola non era un peso; anzi pareva che l’osservanza della Regola le fosse connaturale. Insomma in lei erano presenti tutte le attitudini e le disposizioni per divenire una Oblata autentica. Tutto faceva credere che Erminia sarebbe stata ammessa alla prossima vestizione religiosa per l’inizio del Noviziato.
Il Noviziato è tempo di preparazione intensa alla Professione Religiosa, con istruzioni sui consigli evangelici e sulle Costituzioni dell’Istituto. Dopo il Noviziato, con i Voti di castità, povertà e obbedienza, ci si dona liberamente a Gesù, per solo amore. Questo doveva essere, secondo le previsioni umane, il cammino normale di Erminia.
LE VIE DEL SIGNORE
Ma, i disegni di Dio sono imperscrutabili!
“La vita dell’uomo è come l’erba del campo: al mattino fiorisce e verdeggia; la sera appassisce e dissecca“. (Salmo 89,6)
Erminia da circa due mesi ha compiuto 16 anni. Ha donato a Gesù il fiore della sua giovinezza, entrando nell’Istituto per consacrarsi a Lui in così tenera età; è tutta impegnata per dimostrare a Gesù, in modo concreto, il suo amore; si sente felice.
Suor M. Agnese continua la narrazione: "Sotto i gentili lineamenti del suo volto, e, nascosto dietro il suo aspetto giovanile, c’era un male che allora non perdonava. Nei primi giorni dell’autunno del 1919 la presenza del male si rese nota. Io dormivo nella stanza attigua al dormitorio delle Postulanti, e sentivo, nella notte, spesso dei colpi di tosse. E’ un forte raffreddore - si diceva i primi giorni ¬è influenza. Erminia scherzava: ”Che musica questa notte!”.
Il responso della visita medica fu come un fulmine a ciel sereno: ”Tubercolosi”. Purtroppo il male era galoppante.
A nulla giovavano le cure premurose ed affettuose per farla guarire.
Ella era cosciente della gravità e della inesorabilità della sua malattia ma era così abbandonata alla volontà di Dio che sembrava non preoccuparsene. Le cure che le si apprestavano erano molto dolorose ma lei sopportava tutto con una serenità straordinaria.
Fu avvisata la famiglia, ma non venne nessuno a farle visita: forse per il periodo di semina nei campi che teneva occupato il papà; forse, per la famiglia numerosa da accudire che impegnava troppo la mamma, forse, per la lentezza del servizio postale. Non si sa.
La Superiora, Suor Maria Palmira Brunetti, era preoccupatissima e si diede premura di scrivere di nuovo ai genitori. Proprio in quei giorni però cadde tanta neve; si chiusero le vie di comunicazione; tutto era fermo. Intanto la Superiora, donna piena di fede, imbucò ugualmente la lettera per i genitori di Erminia. Era devotissima di S. Giuseppe, ed altre volte aveva sperimentato il Suo patrocinio. Nell’imbucare la lettera, con tanta fiducia fece questa preghiera:” San Giuseppe, io so che tutte le vie di comunicazione sono chiuse, tuttavia io imbuco la lettera; pensa tu a farla arrivare a destinazione”.
Due giorni dopo giunse la mamma di Erminia da Nidastore. Aveva ricevuto la lettera il giorno precedente, e nonostante tutte le difficoltà su indicate e si era precipitata a vedere la figlia, che ormai era in fin di vita.
Erminia, nel periodo di appena undici mesi di vita religiosa, pur essendo ancora Postulante, aveva ben compreso lo scopo dell’Istituto e la sua spiritualità. Lo ebbe presente nel suo soffrire, e qualche giorno prima di spiccare il volo per il Cielo, fece liberamente e spontaneamente la sua offerta al Signore:” Mio Dio, ti offro la mia vita per la santificazione dei Sacerdoti”.
Questa gentile figlia della terra marchigiana non fece in tempo a percorrere l’itinerario di preparazione alla vita religiosa.
Gesù aveva fretta di portarla in Paradiso. La prese con Sé il giorno 20 gennaio 1920. Erminia aveva soltanto 16 anni e 4 mesi di età; solo 11 mesi di vita religiosa, ma la sua persona delicata, la sua giovane e gioiosa vita e il suo amore per il Signore avevano acceso nella sua famiglia e nella comunità religiosa, in cui era vissuta per così breve tempo, una fiammella apparentemente tenue ma in effetti così resistente, che risplende ancora a distanza di quasi un secolo.
A lei si addicono in modo particolare le parole di una preghiera del cardinale John Henry Newman:
Stai con me, Gesù, e io inizierò a risplendere come tu risplendi;
a risplendere fino ad essere luce per gli altri.
La luce, o Gesù, verrà tutta da te: nulla sarà merito mio.
Sarai tu a risplendere, attraverso di me, sugli altri.
Fa’ che io ti lodi così.
Nel modo che tu più gradisci, risplendendo sopra tutti coloro che sono intorno a me.
Da’ luce a loro e da’ luce a me;
illumina loro insieme a me, attraverso di me.
Insegnami a diffondere la tua lode, la tua verità, la tua volontà.
Fa’ che io ti annunci non con le parole ma con l’esempio,
con quella forza attraente, quella influenza solidale che proviene da ciò che faccio,
con la mia visibile somiglianza ai tuoi santi,
e con la chiara pienezza dell’amore che il mio cuore nutre per te.
Rosa Rufini
Suor Maria Rosa
" Mi ha messo sulla bocca un canto nuovo, lode al nostro Dio". (Salmo 39,4 ) -
Chi risponde il suo " Sì! " al Signore, dopo aver sondato se stesso nel suo intimo, sente che la sua vocazione è come un seme che ha bisogno dell'ambiente adatto per germogliare, crescere e fruttificare; un ambiente che favorisca l'intimità divina, la vita di orazione e di raccoglimento indispensabile. Gesù Eucaristia costituisce il polo di attrazione e la sorgente a cui si attinge un continuo rinnovamento per la vita interiore e per l'attività apostolica.
La vocazione religiosa è un servizio d'amore a Dio, alla Chiesa, ai fratelli, nelle più svariate forme apostoliche, con l'unico obiettivo della salvezza eterna, personale e universale: siamo figli di Dio, redenti da Gesù, e aspiriamo a goderLo per sempre.
Non è " bene " solo quello che splende alla luce del sole. C'è anche tanto bene, che viene compiuto nel silenzio e nel sacrificio, in unione con Cristo per tutta la Chiesa.
PIENO CONSENSO
Rosa Rufini non ha ancora 19 anni: dovrebbe compierli l'otto maggio 1902. E’ solo una minorenne ma, quando Dio chiama, l'età non conta ed è il Signore stesso che spiana la via in modo insperato, aiutando, chi ascolta la sua voce a perseguire l'ideale intravisto all'orizzonte.
Rosa, di carattere forte ma sereno, ha già preso la sua decisione: aderire all'invito di Gesù, consacrandosi a Lui.
La vita cittadina, un po' frivola ed emancipata di Frascati, non la attira. Rosa è orientata verso altre scelte: appartenere sempre e solo a Cristo. In questo desiderio, che vuol tradurre in concretezza, trova la sua felicità.
I genitori non si oppongono. Conoscono la tempra della figlia e sono sicuri che la sua scelta è stata da lei ben ponderata. Non possono vedere fino in fondo cosa passi nell’animo di quella ragazza ardente, che ha subito il fascino della predilezione di Cristo, ma intuiscono il fuoco d’amore che la anima e approvano la sua decisione.
Rosa è ancora minorenne e il padre, per dimostrare che sua figlia è pienamente consapevole del passo decisivo che sta per fare, ne dà garanzia concedendole il consenso non solo a voce ma anche quello scritto. Vuol consegnarlo insieme ai documenti, quando Rosa entrerà in convento.
Ma, come fare? Vincenzo Rufini sa appena vergare la propria firma con l'incertezza di un bimbo di prima elementare e ai primi tentativi. La moglie, Maria Clementina, è analfabeta. Risentono entrambi le conseguenze della mentalità e della situazione della loro epoca nei confronti dell'istruzione. Tuttavia non si smarriscono e superano questo scoglio, rivolgendosi ad una persona di loro conoscenza, che si presta volentieri a scrivere a macchina il loro consenso.
Viene acquistato un foglio di carta bollata da 10 centesimi, e in pochi minuti tutto è pronto. Infine il testo viene suggellato da un segno di croce (+) accanto ai loro nomi scritti a macchina e autenticato da testimoni: Grazzini Raffaele e Tomassini Eugenio. "Noi sottoscritti dichiariamo che la nostra figlia Rosa è entrata di spontanea volontà nel monastero delle Vittime del Cuore di Gesù situato in Grottaferrata e noi ci siamo contentati e abbiamo secondato la volontà della figlia. Tanto per la verità.
RUFINI VINCENZO al segno di croce + Teste : Grazzini Raffaele
RUFINI CLEMENTINA al segno di croce + Teste:Tomassini Eugenio.
Quanta generosità rivela questo foglio ingiallito dal tempo! Esso commuove, perché rivela il travaglio di due cuori luminosi e colmi di amore e di fede di genitori, riconoscenti a Dio, il Quale può liberamente cogliere per Sé il frutto del loro amore.
DOVE ANDARE?
Consacrarsi a Dio. Dove?
Rosa non ha perplessità. Conosce una sua concittadina di nome Teresa Casini, che ha la sciato i suoi cari e ha dato vita da pochi anni in Grottaferrata (Roma), una ridente cittadina a breve distanza da Frascati, una nuova Famiglia Religiosa denominata " Vittime del Cuore di Gesù ". La famiglia è ancora piccola ma fervente. Le monache vivono in clausura, in un piccolo monastero, quasi al centro del paese, sotto il medesimo tetto di Gesù Sacramentato, Ospite in una simpatica Chiesetta laterale, che fa parte del complesso edilizio, fatto costruire da Teresa.
Questa è la scelta di Rosa. Ella manifesta a Madre Teresa il suo desiderio e viene subito accettata. La Madre ha uno sguardo profondo, perspicace e intuisce che la giovane sarà una buona Religiosa.
Il 26 marzo 1902 Rosa parte dalla casa paterna, alla volta del monastero, accompagnata dai genitori. Lascia la bella Frascati che domina l'immensa distesa di vigneti, di villini, e gode di un panorama incantevole, che si perde verso la Città Eterna: "Roma".
Per Dio si lasciano tante cose, anche gli affetti più cari che passano in secondo ordine, senza rimpianti né nostalgia. La forza soprannaturale, che proviene dallo Spirito, assiste e sostiene coloro che vengono chiamati a fare della loro vita un’offerta al Signore per il bene dei fratelli.
Arrivati al monastero, Vincenzo Rufini consegna alla Madre Teresa il documento del consenso e altri due documenti scritti in latino:
1) Certificato di Battesimo.
2) Certificato di Cresima.
Rosa ha ricevuto questi sacramenti nella Chiesa Cattedrale Parrocchia Tuscolana, dedicata a "S.Pietro Apostolo".
La piccina era stata portata al Sacro Fonte lo stesso giorno della sua nascita: l’otto maggio 1883. Le erano stati imposti tre nomi, significativi, come un presagio: " Rosa Agnese Caterina". Nomi augurali, scelti e voluti dai coniugi Rufini per la sesta dei loro figli, due dei quali in tenera età avevano già raggiunto il Paradiso. In quel momento, sulla loro Rosa si era posato lo sguardo di Dio, come in un rinnovarsi della scena evangelica: "Questi è il mio Figlio diletto, nel quale mi sono compiaciuto".
Il Battesimo le fu amministrato dall'Arciprete D. Scipione Tofini.
Il dodici agosto 1891, all'età di otto anni, Rosa aveva ricevuto il Sacramento della Cresima da Sua Eccellenza Rev.ma Mons. Luigi M. Canestrari -Vescovo Titolare di Terme, Amministratore Apostolico della Diocesi di Frascati.
"Ricevi il sigillo dello Spirito Santo che ti è dato in dono". Con queste parole del Sacro Rito, pronunziate dal Vescovo, la piccola Rosa veniva resa coraggiosa testimone di Cristo.
La Cresima è un impegno. Ma è anche il Sacramento che fa crescere e maturare nella vita, il seme della fede deposto in noi il giorno del Battesimo; inoltre infonde una speciale energia spirituale per combattere le conseguenze del peccato che sono in noi. Rosa, come tutte le fanciulle non è esente dai difetti propri della sua età. In casa è l'ultima dei figli, e, senza volerlo, rispecchia il modo di fare dei fratelli e delle sorelle più grandi di lei. Ha un carattere forte, che la rende talvolta poco gradita a chi l'avvicina ed anche a se stessa, quando constata i suoi limiti, ma sente in sé l'aiuto divino, ed è noto a Dio solo il suo lavorìo intimo, intessuto di amore, di sconfitte e di riprese.
IL DISTACCO
Vincenzo e Maria Clementina affidano la loro Rosa a Madre Teresa, e ripartono per Frascati. Soli.
Quel distacco dalla figlia bagna di lacrime i loro occhi e fa sanguinare il loro cuore, ma essi proseguono il cammino mentre rinnovano la loro offerta al Signore.
Rosa ha visto chiudersi la porta d'ingresso della clausura dietro ai genitori, che sono andati via. Scoppia a piangere ma offre tutto a Gesù, Suo Amore, e si fà forza. Madre Teresa l'accompagna da Gesù Sacramentato e in Lui Rosa depone il suo generoso sacrificio.
L'amore per Dio non distrugge la sensibilità ma la sublima.
LA NUOVA VITA
Il giorno stesso, 26 marzo 1902, Madre Teresa fa indossare a Rosa l'abito da Postulante: una tonaca color grigio scuro, lunga, dalle maniche ampie; un velo bianco, che copre la sua testa ricciuta; al collo una piccola croce, che pende da un cordone nero di lana intrecciata.
Rosa acquista così la parvenza di una Religiosa in erba.
Ella trova che la piccola Comunità, presieduta dalla Madre Teresa, è molto fervorosa, vive nella più esatta osservanza del regolamento ed è dedita alla preghiera e alla penitenza. Quelle giovani, guidate da Madre Teresa, hanno uno scopo ben preciso: offrirsi al Sacro Cuore di Gesù in riparazione delle offese che riceve dai Suoi più cari, cioè dai Sacerdoti e per ottenere alla Chiesa Sacerdoti santi. Con piena dedizione sono fedeli all'adorazione diurna e notturna, e alla recita del "Mattutino" alle 2:30 della notte. Fanno penitenze volontarie, lavorano e accettano con gioia i più grandi sacrifici.
La povertà estrema le mette spesso a dura prova. Tante volte manca il cibo necessario; perfino il pane! In Comunità, tuttavia, vi è un clima di inalterabile fiducia in Dio, ed Egli, quando tutto manca, viene incontro alle Sue spose in modo insperato, mandando il pane, la farina e talvolta il pranzo già cotto e gustoso. La buona gente del paese sa che sono povere e le benefica come può.
Rosa dà buona prova di sé; lavora su se stessa con perseveranza.
Madre Teresa l'ammette alla vestizione da Novizia, e il 17 ottobre 1902 (festa di S. Margherita Maria Alacoque, Protettrice speciale della piccola Congregazione nascente), si svolge il sacro rito.
Rosa veste il candido abito religioso e il velo bianco; la piccola croce, sorretta ora da un cordone bianco riposa sul suo cuore.
La Congregazione è dedicata al S. Cuore di Gesù e perciò alle giovani novizie vengono dati nomi che si riferiscono a Lui; il nome nuovo di Rosa è:" Suor Maria del Cuore di Gesù Morente".
VITA CONTEMPLATIVO-ATTIVA
Suor Maria del Cuore di Gesù Morente trascorre l'anno di noviziato in un esercizio di esemplare virtù. Intanto altre giovani entrano in monastero.
La Congregazione nascente gode la stima e l'amicizia di persone eminenti, fra cui il Cardinale Francesco Satolli, che dall'ottobre del 1903 è Vescovo della Diocesi di Frascati alla quale appartiene Grottaferrata. Il Presule si rende conto che la Comunità, pur lavorando sodo per procurarsi da vivere, versa in una povertà estrema , e consiglia alla Fondatrice di dar vita a qualche opera esterna di apostolato, per procurarsi più facilmente il sostentamento. La Madre obbedisce, e con lei le sue figlie.
L'anno 1908 volge al termine. Senza eliminare l'adorazione diurna e notturna al Santissimo Sacramento, la recita in comune dell'Ufficio Divino nelle varie ore del giorno, il Mattutino durante la notte, e le varie pratiche religiose, viene aperto un laboratorio di cucito e ricamo per bambine, e si inizia così un genere di vita contemplativo-attiva, che conserva intatta la finalità intima dell'inizio.
Madre Teresa vede in Suor Maria del Cuore di Gesù Morente una personalità dalla tempra forte ed equilibrata e le affida le Postulanti (1) con piena fiducia.
LA FAMIGLIA RELIGIOSA CAMBIA NOME
Nell'anno 1912 il Cardinale Francesco Cassetta - Vescovo di Frascati (successore del Cardinale Francesco Satolli)- prende particolarmente a cuore la piccola famiglia religiosa delle “Vittime del Cuore di Gesù". Non gli sembra però confacente quel nome, dato che non vi è più la vita claustrale. Decide di cambiarlo in un altro simile: "Oblate del Cuore di Gesù". Lo propone alla Fondatrice, Madre M. Teresa Casini ,la quale accetta, abituata com'è a seguire, con un'obbedienza piena di fede, le direttive dell'Autorità Ecclesiastica.
Il Card. Cassetta conferma ufficialmente il nuovo nome col Decreto di erezione canonica dell'Istituto delle "Oblate del Cuore di Gesù ", in data 1° novembre 1916.
PROFESSIONE RELIGIOSA
Madre Teresa aveva scelto la data del 2 febbraio 1894, festa della Presentazione di Gesù Bambino al Tempio, per cominciare ufficialmente col primo gruppo, la vita religiosa nella nuova casa fatta costruire da lei: una festa particolarmente legata allo scopo specifico dell'Istituto, che consiste:" nell'offerta di se stesse a Gesù, e in unione con Lui al Divin Padre, per riparare e impetrare in favore dei Sacerdoti”. A distanza di anni, nella medesima data( 2 febbraio 1913) Madre Teresa d'accordo con la Autorità Ecclesiastica, stabilisce la prima Professione Religiosa. Insieme alla Madre altre dieci Suore sono ritenute idonee all’emissione della professione. Fra queste c'è Suor Maria del Cuore di Gesù Morente. I nomi da claustrali vengono sostituiti con un ritorno al nome di Battesimo, preceduto da "Suor Maria", in onore della Vergine Madre di Gesù. Così, Suor Maria del Cuore di Gesù Morente, da ora in poi si chiamerà semplicemente: " Suor Maria Rosa".
BARREA
La piccola Famiglia Religiosa deve dividersi per motivi di apostolato.
La domanda ricevuta di aprire un Asilo in Barrea (L'Aquila),diocesi di Montecassino, viene sottoposta all'Autorità Ecclesiastica e approvata.
Barrea è un piccolo paese montano, situato nella zona del Parco Nazionale d'Abruzzo. Nel novembre 1914 la Madre manda tre Suore, fra cui Suor Maria Rosa. La Superiora Suor Maria Amelina Luccichenti le affida il compito di aiutante presso i bambini dell'Asilo Infantile, ed ella s’impegna così bene, che la Direttrice, Angela Millefiorini, le consegna un attestato di lode in data 14 settembre 1916: " La sottoscritta Direttrice dell'Asilo Infantile di Barrea, nell'anno scolastico 1914 - 1915,attesta che la Signora Rosa Rufini del fu Vincenzo, nata a Frascati 1°8 maggio 1883 ha lodevolmente disimpegnato nell'anno suddetto il suo ufficio di aiuto-maestra giardiniera nell'Asilo da lei diretto.
Barrea ,14 settembre 1916
firmato: Angela Millefiorini
Suor Maria Rosa insieme alle Consorelle, quando è libera dagli impegni dell'Asilo, si occupa delle ragazze che si recano da loro per imparare lavori di cucito; spiega loro il Catechismo; cerca di far conoscere e amare Gesù. I frutti sono soddisfacenti, anche nel campo delle vocazioni religiose che si sviluppano fra le adolescenti.
RITORNO A ROMA
Madre Teresa nel settembre 1916 richiama a Grottaferrata Suor Maria Rosa.
Di nuovo un piccolo distacco, questa volta dai bimbi innocenti dell'Asilo e dalle ragazze con le quali si erano stabiliti rapporti cordiali di amicizia, derivanti in modo particolare dall'insegnamento religioso. Esso penetrava nei cuori allo schiudersi delle grandi realtà della vita.
A Suor Maria Rosa la Madre Teresa affida il compito di "Maestra delle Novizie". Quale concetto aveva di lei la Madre, per averla scelta a compiere un lavoro così delicato di formazione?
Nella domanda all'Autorità Ecclesiastica per l'erezione del Noviziato a Roma il 10/5/ 1916,1a Madre scrive:
10-5-1916
Richiesta per l'erezione del Noviziato al Card. Basilio Pompili Il Consiglio deliberò di eleggere provvisoriamente a Maestra delle Novizie Suor Maria Rosa Rufini, di 35 (2) anni di età e di religione 15, religiosa di ottimo spirito, di fine criterio, intelligente, bene istruita su quanto riguarda la vita religiosa, attaccata allo spirito dell'Istituto ed alla regolarità di esso. Il Consiglio ora è soddisfatto del disinteresse personale con cui questa religiosa disimpegna il suo ufficio e del come sa infondere nell'animo delle Postulanti lo spirito dell'Istituto, quindi penserebbe di confermarla nella sua carica.
firmato: Suor MariaTeresa Casini
LAVORO APOSTOLICO
1916: un anno particolare, nel turbine della prima guerra mondiale. Tante vittime, sui campi di battaglia. Tanto lavoro nelle retrovie. Tante preoccupazioni, lacrime. E poi, il razionamento di qualsiasi genere necessario alla vita. Tutta la Nazione soffre e prega.
Si legge nelle testimonianze scritte da due Suore Oblate, antiche Novizie di Suor Maria Rosa: "Con il suo abituale sorriso ella non faceva sentire il peso della mancanza del necessario durante il periodo della guerra. Aveva grande carità e spirito di sacrificio; aveva cura delle anime a lei affidate e sapeva infondere nei cuori l'amore all'Opera e allo spirito dell'Istituto" (Suor Maria Geltrude Cervi)
" La nostra Maestra era Suor Maria Rosa Rufini, una Suora intelligente e di criterio sano, brava in tutto. Era allegra, ma mai trascendeva nel volgare o in risa sguaiate; nel tratto era fine e gentile. Suor Maria Anna Volante era una delle dieci Novizie vestitesi l'8 dicembre 1916. Aveva 17 anni. Era alta, slanciata, piena di vita e fervorosa. Nel giro di poco tempo si ammalò: aveva fatto al Signore l'offerta della sua vita per la santificazione dei Sacerdoti. Un giorno, mentre la nostra Maestra Suor Maria Rosa entrava nell'infermeria per farle visita, suor Maria Anna, che era stata fino allora fuori dei sensi, si sollevò sul letto e disse con voce ferma: "Tu verrai subito dopo di me. Pochi giorni dopo(6-2-1917) Suor Maria Anna morì, e nel giugno dello stesso anno morì anche Suor Maria Rosa Rufini in seguito ad una operazione subita a Roma. Noi giovani fummo molto impressionate da quella morte così repentina". (Suor M. Rosina Luisi)
Il lavoro di riforma del proprio carattere, dura tutto l'arco della esistenza. Suor Maria Rosa lo sa. Anche lei riscontra, nel suo lavoro spirituale, che talvolta il suo carattere forte varca la frontiera; diventa rigido. E, allora? L’ esempio da imitare è la dolcezza di Gesù. Scrive Suor Maria Agnese Bifaro-, "Il 21 marzo1917 , da Villetta Barrea, mio paese natale, giunsi alla stazione di Roma con la Madre Teresa Casini, con mia zia Gerarda Di Janni, e con la studente Palmina Grassi. Qui trovammo Suor Maria Rosa che ci attendeva. Dopo aver abbracciato Madre Teresa, salutò noi. Era tempo di guerra; bisognava aprire le valigie per la verifica e fare in fretta. Tutte se la cavarono bene; io non riuscivo a far presto. Allora Suor Maria Rosa, con modo alquanto brusco, mi disse:" Non sei capace neppure di aprire la valigia tua?". Il modo e le parole, ferirono il mio amor proprio, e nel mio animo si formò una impressione non bella di Suor Maria Rosa. Ma quando fummo a casa a Grottaferrata e vidi il folto gruppo delle novizie che le corsero incontro, la circondarono e le fecero molta festa, rimasi stupita e pensai che, contrariamente a quanto avevo pensato, doveva essere una Suora che si faceva amare. Infatti, in seguito, parlando con le novizie, seppi che era una delle migliori Suore; per questo Madre Teresa le aveva affidato le novizie, che l'amavano forse più della propria madre.
Suor Maria Rosa aveva capito bene lo spirito dell'Istituto, ed aveva ricevuto il dono di saperlo infondere nel cuore delle giovani. Aveva capito il valore dei voti religiosi e l'importanza che l'Oblata deve dare alla pratica della povertà, dell'obbedienza e della castità; ma soprattutto era un'anima eucaristica, e desiderava che le novizie si formassero alla scuola di Gesù Saramentato.
Purtroppo, dopo appena tre mesi dall'inizio del noviziato, le fu diagnosticato un fibroma, che doveva portarla alla tomba. Suor Maria Rosa dovette lasciare le novizie, e fu ricoverata all'Ospedale S.Carlo, di Roma.
Le giovani pregarono, piansero, sperarono. Qualcuna offrì al Signore la propria vita per lei.
Dio aveva altri piani.
Suor Maria Rosa era matura per il Cielo, e il 26 giugno 1917 lasciò questa terra per andare al suo Dio e lasciando nell'Ospedale un esempio non comune. Fu rimpianta da tutti.
Aveva solo 34 anni di età e 15 di vita religiosa.
Ricordo il trasporto della salma. Da Roma fu riportata col carro funebre, a Grottaferrata. Tutte noi : novizie, postulanti, e suore della Comunità, andammo ad accoglierla a circa tre chilometri dal Cimitero, e l'accompagnammo fino alla tomba. Il lungo corteo procedeva pregando. Le Novizie, specialmente, piangevano la loro Maestra buona e santa, capace di formare la loro anima alla vita di Oblate del S. Cuore di Gesù, secondo lo spirito della Madre Teresa."
NOTE
(1) Le postulanti sono le giovani che chiedono di entrare in monastero per diventare religiose.
(2) In quella data Suor Maria Rosa aveva 33 anni, non 35.
Anna Rosa Volante
Sr Maria Anna
ANNA ROSA VOLANTE “SUOR MARIA ANNA "
IL PAESE NATIO
Piccolo paese montano in provincia di L' Aquila a metri 1.050 di altitudine, fra i monti alberati del Parco Nazionale d’Abruzzo, Barrea appare allo sguardo soltanto quando si giunge a breve distanza, proseguendo sulla strada piena di tornanti che vi ci porta.
Nel mirare le case ammucchiate sul pendio, si ha l’impressione di vedere un presepio animato, di altri tempi. Un paese fra il verde, quieto, isolato, irto su rocce, di fronte all’orizzonte ove lo sguardo spazia sull’infinito e dove, avvolti da un silenzio quasi irreale, si può parlare col Creatore e ascoltarLo, senza che alcuna cosa turbi quei colloqui intimi.
UNA NUOVA CREATURA: FIGLIA DI DIO
Il sedici marzo 1900, mentre il paese è avvolto ancora nel clima invernale, anche se giornate limpide, inondate di azzurro e di sole, rinfrancano il fisico e fanno presagire l’imminente primavera, una bimba allieta con la sua nascita la famiglia Volante.
I genitori, Silvestro e Anna Lucia, ne sono felici.
Al Sacro Fonte, nella Chiesa Parrocchiale dedicata a San Tommaso Apostolo, vengono imposti alla bimba due nomi: " ANNA ROSA ".
I PRIMI ANNI
La bimba cresce. Nella sua casetta modesta, quasi povera, vive una vita sana, serena, sobria, ignara del lusso e delle comodità dello stile cittadino.
I monti formano una bella cortina che nasconde il suo paesello.
I mezzi di comunicazione sono così rari che il rischio di un inquinamento a tutti i livelli sembra inesistente.
Nella famiglia, ormai numerosa, Anna, la primogenita, si impegna nei vari lavori domestici. Procura la legna per riscaldare la casetta in modo che si avvertano di meno i rigori invernali. E’ svelta e animata sempre da buona volontà. Le compagne del tempo la ricordano così. Nella loro voce c’è una nostalgica, affettuosa ammirazione verso l’antica concittadina, che abitava accanto, appena a due porte di distanza dalla loro abitazione.
IL SEME GERMOGLIA
Intanto una piccola Comunità di Suore Oblate del Sacro Cuore di Gesù, venuta da Grottaferrata (Roma), svolge a Barrea il suo apostolato mediante la Scuola Materna. Qui i bambini vengono trattati bene, imparano tante cose. I genitori sono contenti, ve li accompagnano con piacere e hanno piena fiducia nelle suore.
Ben presto le ragazze del paese fanno amicizia con le Religiose.
La mattina esse frequentano le classi elementari nella Scuola Comunale, e nel tempo libero del pomeriggio si recano all’Asilo, dove le Suore si prestano volentieri ad insegnare loro lavori di cucito, canti in onore della Vergine Maria e per la Liturgia Eucaristica, e colgono l’occasione per parlare loro di Gesù. Senza che se ne avvedano, svolgono una saggia catechesi.
Gli insegnamenti penetrano nelle anime semplici e intatte delle fanciulle. In alcune si delinea attraente il desiderio della vita consacrata a Dio. Forse non si pongono proprio il problema della scelta dello stato, tanto è chiaro il fascino della consacrazione a Dio. Anna Rosa ha solo 15 anni, ma con precoce maturità pensa:" Potrei farmi Suora come loro".
Gesù lavora nella sua anima semplice, che ascolta, e si rende disponibile. Un bel giorno si decide; manifesta il suo desiderio alle Suore che subito l’accettano perché già la conoscono bene.
VERSO LA NUOVA META
I genitori di Anna Rosa, buoni e semplici, non osano contrastare il desiderio della loro amata figlia. Hanno seguito il suo progressivo sviluppo fisico e morale con affettuosa ammirazione. La vedono bella, alta, slanciata, comprendono la serietà della sua decisione, e benché sia ancora quindicenne, la ritengono idonea per la vita religiosa e si stimano fortunati della scelta che Dio ha voluto fare nella loro famiglia.
Il calendario del 1915 presenta l’ultima data dell’anno, che tramonta per inabissarsi nella storia passata:"31 dicembre". Per Anna Rosa questa data segna le ultime ore trascorse in famiglia, il distacco sofferto ma lieto dai cari genitori, dalle sorelle e dai fratelli, e la partenza verso Roma.
Si può affermare che Anna parte, seguendo il cammino che Cristo le addita, attirandola a Sé.
GROTTAFERRATA
Una vita nuova, del tutto diversa da quella vissuta finora, si apre dinanzi ad Anna Rosa. Grottaferrata è una ridente e panoramica cittadina dei Castelli Romani.
Qui c’è un piccolo monastero fatto costruire da poco più di un ventennio dalla giovane Madre Teresa Casini, la quale ha dato vita ad una nuova Famiglia Religiosa: “Le Suore Oblate del Sacro Cuore di Gesù".
Le Suore non sono molte, ma sono tutte giovani ed entusiaste della loro consacrazione a Dio, entusiasmo da tradurre in testimonianza di vita virtuosa e coerente. Esse costituiscono il primo gruppo che vive per un grande ideale, nascosto come la perla fra le valve di un’ostrica: consolare il Cuore di Gesù e pregare per la santificazione dei Sacerdoti.
In questo ambiente Anna Rosa, nel primo fiore della sua giovinezza, trova un clima favorevole e benefico. Trascorre il tempo del Probandato(1) nell’esercizio delle virtù religiose. Di volontà ferrea, non lascia intentato alcun mezzo per acquistare lo spirito della Famiglia Religiosa, di cui sta per entrare a far parte e pratica le virtù proprie, insegnate dalla Madre Teresa, maestra impareggiabile e guida trascinatrice.
I pensieri di Anna Rosa si proiettano nell’avvenire e lei si ripromette di fare molto per la gloria di Dio e per il bene delle anime. Si dedica perciò con docile obbedienza e con amore agli studi, al lavoro, al canto, alla musica, e vi riesce mirabilmente. E’ fervorosa nella preghiera e ama particolarmente l’adorazione al Santissimo Sacramento.
La Madre Teresa e le Consorelle sono ammirate del lavoro che la grazia di Dio fa in questa giovane dalla tempra forte come i monti del suo paese natìo, ricchi di verde e di fiori campestri, nati solo per la gloria di Dio Creatore.
Il giorno dell’Immacolata: 8 dicembre 1916, dopo undici mesi di Probandato, Anna Rosa indossa il santo abito religioso insieme ad altre quattro Probande. (2)
La Madre Teresa Casini ha una spiccata e filiale devozione verso la Madonna, insieme ad una particolare stima per il nome che si riceve al Santo Battesimo, perciò alla Vestizione Religiosa fa conservare a ciascuna novizia il proprio nome di battesimo, ma lo fa precedere da quello della Madonna: Maria. Così la giovane Probanda Anna Rosa riceve insieme al candido abito delle Oblate, il nome di:" Suor Maria Anna”.
In questa circostanza Suor M. Anna, sotto l’impulso di una forte ispirazione divina, offre tutta se stessa al Signore quale vittima di espiazione per il bene della Santa Chiesa e per la santificazione dei Sacerdoti.
L’inizio del Noviziato, e l’offerta di sé fatta spontaneamente, sono per Suor M. Anna un nuovo incentivo alla virtù: con maggiore amore e crescente impegno vive l’obbedienza, l’umiltà, i1 sacrificio. Ella, forse internamente sicura che Dio ha accettato l’offerta della sua vita e presaga della sua prossima fine, parla spesso della morte, del Cielo, ed in ogni piccola occasione esorta le consorelle di noviziato all’amore verso il Sacro Cuore di Gesù, al sacrificio ed alla riparazione.
Il 24 gennaio 1917 suor Maria Anna avverte nel suo fisico un po’ di calore insolito. E’ una febbretta, che le dura quattro o cinque giorni. Nulla di allarmante; nessun sintomo che possa far presagire la sua imminente dipartita da questo mondo. Ella, però, all’apparire di questa febbre, dice apertamente che morirà, e chiede in grazia di essere sepolta vicino ad una Consorella deceduta circa diciotto anni prima, in concetto di santità. (si presume che sia Suor Maria Caterina Canestri).
Dal 28 al 29 gennaio si riscontrano in Sr. M. Anna delle strane forme di malessere. Scompare del tutto la febbretta. La giovane novizia però alterna a momenti di delirio momenti di assoluta lucidità mentale, nei quali rinnova spesso l’offerta della sua vita al Signore, parla di Dio, recita giaculatorie e pronunzia atti di amore, desiderando la morte per consumare tutta la sua offerta.
Le cure mediche e quelle affettuose, di cui viene circondata sia dalla Madre Teresa che dalla comunità, non giovano a nulla: non si constatano segni di miglioria. Allora con grande dispiacere si avvisa la famiglia.
Il 31 gennaio 1917 pare che sia l’ultimo giorno della sua vita, ma la "vittima", che teme sempre di "soffrire poco per dimostrare il suo amore al suo Signore", deve ancora soffrire. Entra in agonia e questa si prolunga per più giorni. Suor Maria Anna, sempre cosciente, offre tutta la sua sofferenza con amore, fiducia, abbandono e gioia ammirabile.
La notte dal 5 al 6 febbraio, verso le tre antimeridiane, suor M. Anna all’improvviso spalanca gli occhi, li gira intorno alla camera poi li volge in alto, e, come se vedesse innanzi a sé qualcosa di un insolito splendore, apre le braccia e fa l’atto di voler andare con slancio verso ciò che vede, poi le ripiega sul petto in forma di croce e spira dolcemente guardando il cielo.
Non sono trascorsi due mesi dalla sua vestizione religiosa e dalla sua offerta, e Iddio l’ha già accolta fra lo stuolo delle vergini che seguono lo Sposo Celeste.
LA FORZA DELL’ESEMPIO
" Con vent’anni nel cuore, sembra un sogno la morte, eppur si muore!". Cosi scriveva Delia Agostini (giovane di Azione Cattolica)nel suo diario, durante la malattia che la strappa alla vita terrena. Ma è serena e forte. Ella sa che è creata per il Cielo.
Così Suor Maria Anna! Nel cuore racchiude il suo segreto: "l’offerta della sua Vita ", fatta l’8 dicembre, e si prepara all’incontro con Dio, senza rimpiangere la sua giovinezza, anzi lieta di offrirla tanto presto, come un fiore sbocciato per Gesù, nel pieno della sua fragranza.
Le Consorelle Novizie non sanno nulla di tutto questo. Sono soltanto spettatrici della sua fede, della sua fortezza, della sua virtù e la ammirano. Ora sentono il gran vuoto lasciato da lei, che non c’è più, ma sentono aleggiare fra loro la sua presenza, parlano di lei, la ricordano con nostalgìa e grande affetto e soprattutto la imitano.
Lontano, nei paesetti d’Abruzzo, Suor M. Anna, mediante il virtuoso ricordo di sé, lasciato sulla terra, fa sì che altre giovani prendano il suo posto per essere come lei Oblate autentiche
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Nell’immaginetta-ricordo leggiamo:
Anima bella,
che in poco tempo hai raggiunto
la meta da tutti desiderata,
prega per la Chiesa,
per il Sommo Pontefice,
per i Sacerdoti,
per la tua Famiglia religiosa, che ti ama,
per la tua cara famiglia,
per il tuo paese natio! "
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TESTIMONIANZA DI
Suor M. Agnese Bifaro
Io sono nata a Villetta Barrea, in provincia di L’Aquila, un paesino poco distante da Barrea.
Ho conosciuto questa Suora Oblata, non per averla vista, ma per averne sentito parlare. Ecco come la conobbi.
Un giorno incontrai un’amica, di carattere molto espansivo; appena mi vide, piena di commozione, cominciò a dirmi:" Sai? A Grottaferrata, vicino a Roma, presso certe Suore, che hanno una comunità anche a Barrea, sta per morire una novizia in concetto di santità; è nativa di Barrea!". Con l’entusiasmo di due giovanette di sedici anni, le quali conoscono solo la propria famiglia e la Chiesa, demmo inizio ad un vivo discorso sulla vocazione religiosa. Io conclusi, risoluta, di voler subito entrare in quell’Istituto; l’amica tentennò, pensando che non avrebbe avuto il permesso dalla mamma.
Rientrata a casa raccontai tutto a mia madre ed aggiunsi che volevo farmi Suora in quell’Istituto. Ella non rispose ma mi parve che acconsentisse.
Il 2 febbraio, festa della Presentazione di Gesù al tempio, la mattina andai a Messa con mamma. La giornata era serenissima e il paesaggio tutto bianco di neve. Visto il tempo favorevole, osai chiedere a mamma se potevamo andare insieme a Barrea per conoscere le Suore.
Mi aspettavo una risposta negativa, invece accondiscese. Andammo a piedi. Per la salita ripida, e per di più ghiacciata, camminavo con passi incerti. Fu allora che sperimentai per la prima volta, in maniera nuova, la tenerezza di mia madre, la quale mi aiutava a salire pian piano.
Arrivate al convento venne ad aprirci la porta una Suora vestita di bianco, bella nel volto, alta, accogliente. Si chiamava Sr M. Amelina. Parlammo con lei per un bel poco di tempo.
Prima di andar via c’invitò a fare una visita in Cappella: c’era il SS. Sacramento esposto e un gruppetto di Suore in adorazione.
Tra di esse, come seppi dopo, c’era anche suor Maria Lutgarda, la quale è stata poi la mia maestra di noviziato. Ella mi ha raccontato che, vedendomi, aveva intuito che ero un’aspirante alla vita religiosa, e aveva pregato per me.
Si dirà: Cosa c’entra tutto questo con Suor M. Anna Volante? C’entra, perché io, dopo che l’amica mi aveva parlato della Suora moribonda in concetto di santità, decisi di farmi Suora tra le Oblate.
Fui fortunata a trovare mamma favorevole, perché altre persone o mi presentavano altri Istituti o mi consigliavano di aspettare.
Invece, dopo aver conosciuto le Suore Oblate, nel giro di un mese e diciannove giorni, preparammo tutto ciò che occorreva e il 21 marzo potei partire per Roma. Insieme a me c’era la sorella di mamma, che divenne Suora Oblata come me con il nome di suor M. Gerarda.
Un altro particolare: quando entrai nel Probandato, erano trascorsi solo cinquanta giorni dalla morte di Sr M. Anna, e tra le Novizie, specialmente durante la ricreazione, il discorso ritornava sempre sulla connovizia deceduta.
Non si riusciva a capire nulla della sua malattia, senza nome, durata tanto poco tempo; infine si seppe che aveva fatto il voto di Vittima per la santificazione dei Sacerdoti.
A me Probanda, restava molto impresso tutto ciò che si diceva sulla sua vita fervorosa e mi animava a fare lo stesso. Ho voluto raccontare tutto questo, perché sono stata sempre convinta che la morte di Suor M. Anna Volante, e forse la sua offerta furono determinanti per la mia vocazione.
Suor Maria Agnese Bifaro
Superiora Generale dell'Istituto delle Suore Oblate
dal 1969 al 1975
(1) Il Probandato era il tempo dedicato alla verifica della vocazione, sia da parte della giovane che desiderava farsi relidiosa e sia da parte della comunità religiosa.
(2) - Antonucci Maria: Sr M. Amelia. CIVITELLA ALFEDENA
- D’Amico Carmela: Sr M: Carmela. BARREA
- D’Amico Teresa: Sr M. Teresina. BARREA -
- D’Amico Clarice: Sr M. Clara. BARREA
Caterina Canestri
SUOR MARIA DEL CUORE DI GESU' AGONIZZANTE
( cenni biografici scritti
dalla Beata Madre Teresa Casini )
Ebbe a genitori Antonio e Maria de Gasperis e nacque in Grottaferrata. Fin da bambina ci restano di questa figliuola cari ricordi ed il Signore fin dalla più tenera età venne lavorando quest’anima.
Mi raccontava essa infatti che all’età di circa otto anni si sentiva fortemente spinta a pregare che nei giorni di festa più grande, mentre le sue compagne si recavano al passeggio, essa si chiudeva in camera e quando cominciava a sentire le note del concerto, si metteva in ginocchio a piangere e a pregare perché pensava alle offese che il Signore avrebbe ricevuto, né acconsentiva mai a prendere parte ai divertimenti né a vestirsi.
Soltanto una volta, per contentare i suoi, accondiscese un giorno di festa a recarsi in Frascati, ma uscita appena dalla porta di casa come giunsero a lei le note del concerto, le tornarono in mente le sofferenze del Signore e, detto fatto, tornò indietro e si chiuse nella sua camera a piangere e a compatire il Signore.
Sebbene la sua famiglia possedesse una discreta fortuna, né fosse obbligata a lavorare, pure essa non ebbe alcuna istruzione o educazione ed il suo stesso parlare era quello di una vera figlia del popolo. In cambio però essa era dotata di una grande semplicità e quando si rivolgeva al Signore, lo faceva con una fede sì viva da ottenere quanto bramava.
Primogenita di una numerosissima famiglia, essa s’impegnava e si sacrificava per i fratelli e sorelle con un vero spirito di abnegazione, cominciando fin d’allora a dare alla sua vita l’impronta di un perfetto spirito di sacrificio che poi formò sempre una delle sue note caratteristiche.
PRIME LUCI
Caterina, vedendo le giovani del paese che mi seguivano, volle unirsi a loro, si decise di far parte dell’Opera e manifestò ai suoi le sue intenzioni.
Ma la madre sua si oppose a tutta forza, perché non voleva privarsi del valido aiuto che in essa aveva; il padre anche non ne volle sapere, poiché trovava nella figlia un forte sostegno, occupandosi essa di tutto, sorvegliando gli artisti e i muratori che fabbricavano per conto della famiglia, e, dotata naturalmente del sentimento dell’economia e del risparmio, essa era molto utile ai suoi.
Il 2 febbraio 1894, quando tutte le altre entrarono, essa dovè restare fuori e la famiglia cominciò a farla soffrire in tutti i sensi.La madre ebbe cuore di cacciarla di casae farle passare le notti alla stalla oppure al tinello, sola, in mezzo a tutta l’umidità; altre volte doveva dormire gettata sopra un sacco di farina che le serviva da letto ed il più spesso con l’aggiunta di busse e minacce. Il giorno poi l’obbligava ai più faticosi lavori e la figliuola non si ricusò mai in nulla, né si lamentò di niente; sempre ferma nella sua vocazione, essa era sicura che il Signore presto o tardi le avrebbe aperto la strada. Trascorsero così otto mesi, sempre in mezzo alle sofferenza, né vi era il più piccolo accenno che le cose potessero cambiare.
“GUARDA LA STELLA….INVOCA MARIA”
La figliuola si rivolse allora con tutta fiducia alla Madonna, e avute dalla mamma due lire, le consegnò al P. Abate, pregandolo a far celebrare una Messa con l’immagine della Madonna scoperta, allo scopo di ottenere dal Signore la grazia desiderata.
Assistito alla Messa, essa fece ritorno in casa, ove con animo risoluto si gettò ai piedi della mamma, supplicandola a darle il desiderato consenso. Questa, subitamente cambiata, acconsentì alla richiesta della figlia, ma aggiunse che né lei, né alcun altro di famiglia, l’avrebbero accompagnata.
Questo nuovo sacrificio fu accettato dalla giovane con molta generosità; essa riconobbe nel subitaneo cambiamento della madre una grazia speciale di Maria, e sempre la ritenne per tale.
Recatasi da me, mi partecipò la notizia e, d’accordo col P. Abate, si stabilì il giorno della sua entrata il 17 ottobre di quell’anno 1894.
ECCOMI! VENGO!
Caterina, la mattina di quel giorno, si staccò dalla famiglia e, sola sola, si recò al monastero per essere ricevuta. Veramente il suo sacrificio era perfetto; essa lo compiva con generosa semplicità, mentre che io conoscevo quale profondo affetto nutriva per la sua famiglia e, soprattutto per la madre sua, potevo misurare la grandezza dell’atto che compiva.
Entrata in monastero, essa non ebbe che due pensieri: la preghiera ed il lavoro.
Per lei Gesù Sacramentato era divenuto tutto e passava quanto tempo poteva avere disponibile, ai piedi del Sacramento.
Io però, conoscendo le sue buone qualità ed il criterio di cui era fornita per l’andamento di casa, d’accordo con il P. Abate, le affidai l’ufficio di economa e di rotara (1). Ciò le fu molto doloroso, non perché non amasse di sacrificarsi, ma perché per le esigenze dell’ufficio, essa era costretta a doversi esentare spesso dagli atti comuni (2), né poteva poi impiegare tanto tempo nella preghiera.
Al principio mi fece qualche resistenza, né poteva decidersi a prendere questa strada ma io tenni forte, e la figliuola, rimessasi interamente nelle mie mani, mi lasciò campo libero di lavorarla come volevo. Si accomodò liberamente a quanto si richiedeva da lei, non fece più un lamento e si dette con tutta volontà a vincersi e a morire a se stessa.
Si andava così disponendo alla vestizione religiosa. Essa aveva molto pregato il Signore per ottenere le prove richieste dal P. Abate e pregava anche caldamente il P. Abate a volersi piegare ai comuni desideri. Questi che in fondo stimava assai la virtù della figliuola, si piegò anche in grazia di lei ed il giorno 5 marzo 1897, essa ricevè l’abito religioso con il nome di “ Suor Maria del Cuore di Gesù Agonizzante”.
Non potrò mai dimenticare la gioia che si vedeva scolpita sul suo volto nei giorni precedenti la sacra cerimonia, essa sembrava trasformata e si tratteneva continuamente ai piedi di Gesù in dolci ed intimi colloqui.
La figliuola mi confidò che, nel momento della sua vestizione, essa intese chiaramente nel cuore che il Signore le chiedeva il sacrificio della sua vita. Mi disse che a questa richiesta aveva provato una fortissima ripugnanza a morire, né poteva pensare a farne il sacrificio. Però, facendosi forza, né avendo cuore di negare al Signore qualche cosa, in un giorno tanto bello, essa acconsentì al sentimento che aveva inteso nel cuore e si abbandonò a quanto il Signore le richiedeva.
IMPEGNO COERENTE
Passata al noviziato, non posso spiegare con quanto fervore la figliuola si dette all’esercizio della virtù. Gesù Sacramentato era per lei un centro di attrazione a cui non sapeva resistere e mi sembra ancora di vederla ai piedi del tabernacolo, passare lungo tempo col Signore, nella sua positura semplice e raccolta, tutta intenta a consolare e tener compagnia Gesù Sacramentato.
Ben presto però ella dovette tornare alle sue occupazioni di economa e questa volta, senza neppure una replica, essa si mise a disimpegnare il suo ufficio, riservandosi di andare dal Signore in tutti i ritagli di tempo che poteva trovare.
La figliuola spinse tant’oltre il suo spirito di sacrificio da disimpegnare da sola gli uffici di economa, dispensiera, cuoca e rotara, trovando pure un po’ di tempo per il lavoro (3). Essa poneva una grande attenzione all’economia, sorvegliava con tutto rigore gli artisti che venivano in casa, ed esperta com’era dei prezzi dei materiali e di quanto potesse occorrere, teneva fronte a tutti, né gli artisti potevano ingannarla, e si dovevano sempre piegare alle condizioni che essa proponeva.
In quel tempo noi ci trovavamo nella più grande povertà e la cara figliuola, senza perdersi d’animo, cercava di togliere a me, parte dei pensieri e delle pene, ricorrendo con tutta fiducia a Gesù Sacramentato.
Per l’ufficio di economa, doveva pensare a provvedere il cibo alla Comunità. La cosa non era troppo facile in quei tempi di tanta povertà, ma la figliuola aveva un bel ritrovato: segnando il pranzo, essa scriveva quel poco che aveva potuto trovare in casa ( generalmente solo patate) e poi aggiungeva: la pietanza la manda Gesù Cristo. E Gesù infatti la mandava sempre, sia in generi che in danaro. Quando non vi era proprio nulla, né alcuna speranza di umani aiuti, essa non si perdeva d’animo e: “Adesso ci penso io” diceva e, prendendo la penna in mano scriveva dei bigliettini al Signore che poi andava a riporre sotto il Ciborio.
Questi biglietti, dopo la morte della filgiuola, io li tolsi di là e restai ammirata nel percorrerli, dell’ingenua semplicità con cui erano scritti. L a figliuola, come ho detto, non aveva avuto istruzione, quindi i biglietti erano pieni di spropositi e scritti proprio nel dialetto del paese. Uno fra gli altri era così concepito: “Caro sposo mio. Io non so come non vi vergognate a mantenere le vostre spose solo a sole patate. Fate tanto il piacere di mandare subito qualche altra cosa”.
Veramente io posso dire che il Signore ascoltava l’ingenua preghiera, anzi la figliuola stessa, uscendo dal Coro dopo aver posato i biglietti, veniva a darmi l’avviso se l’aiuto sarebbe arrivato o no, e debbo dire la verità che c’indovinava sempre.
Divenuta affatto dimentica di se, occupata la mente dal pensiero del suo Signore Sacramentato, essa, col continuo esercizio, arrivò a far morire in sé ogni inclinazione di natura: io potevo disporre di lei come volevo e trattarla come più mi piaceva, senza mai udirne un lamento, né averne una replica, e tutto ciò con la massima disinvoltura e semplicità.
FATE PRESTO
Io prevedevo però che il Signore ben presto me l’avrebbe tolta: l’aveva chiesto essa stessa a Gesù in uno dei suoi biglietti ove diceva. “ Caro sposo mio. Quando sarà che mi verrete a prendere e a portarmi in paradiso con Voi? Fate presto perché mi sono annoiata di stare su questa terra e voglio venire ad amarvi per sempre”.
E veramente essa era morta a tutto e non restava altro che morire anche a questa vita. Nella notte della festa del Cuore di Gesù dell’anno 1898, essa ebbe all’improvviso una abbondante emottisi, né da quella più si riebbe. Sopraggiunse una polmonite e, guarita appena questa, ne sopraggiunse un’altra e così fino a cinque. Era malata già di nefrite ed in questa circostanza la malattia le si accentuò e complicandosi con il mal di cuore, le fece soffrire indicibilmente.
Io, dalla parte mia, ero in letto malata col cuore, né potevo prestare le mie cure alla cara inferma; le feci però sapere che per ubbidienza doveva dirmi che cosa desiderava di più per cibo. Essa ubbidì, ma amante com’era di mortificarsi, non chiese altro che un po’ di pappa.
Appena io mi fui ristabilita e potei lasciare il letto, mi portai subito dall’inferma che trovai aggravatissima. Pure si riebbe e tirò avanti un altro po’ di tempo, ma ben presto sopravvenne una paralisi al cuore che mi fece perdere ogni speranza.
Il pensiero della cara inferma era continuamente rivolto al Signore e quasi non si accorgeva delle pene che soffriva.
Ripetutasi la paralisi nella sera del 29 di ottobre, il medico curante Dott. Giulio Sprega, mi disse che l’inferma non sarebbe arrivata all’indomani. Allora, mandai subito per il P. Abate, il quale venne subito ed erano le ore dieci di sera. L’inferma aveva perduto i sensi, ma a mano a mano si riebbe; volle confessarsi, le furono fatti pronunziare i santi Voti secondo lo spirito dell’Opera, ed essa stessa chiese con gran premura il Santo Viatico. Le venne subito portato e, ricevuta la Comunione, volle dopo qualche tempo il Crocifisso. Appena l’ebbe tra le mani, essa se lo strinse al cuore e, guardandolo amorosamente a Lui cominciò a ripetere i dolci nomi di “ Sposo mio, amore mio” e mille altre tenere espressioni.
In quel momento, essa senti nell’animo la spinta a compiere per il suo Signore un ultimo sacrificio e, abituata a subito corrispondere, volle fare a dio l’offerta dei più cari affetti del suo cuore, promettendo al Signore che non avrebbe più riveduto i parenti. Si raccomandò caldamente a me, di farle mantenere la sua promessa e non dare il permesso a nessuno di venirla a vedere. Credetti bene di contentarla e fino all’ultimo io sono stata testimonio della sua fortezza.
Tenerissima com’era per la madre sua, essa non si piegò neppure di fronte a lei; il solo pensiero di dover mancare alla sua promessa, le toglieva la gioia dal volto, e volle infatti morire senza rivedere nessuno.
Si raccomandava poi a quelle che l’assistevano di non farla vedere ai suoi neppure dopo la morte; le venne promesso, ma naturalmente non fu poi mantenuto.
“NON ABBIA PAURA”
La mattina del 30 ottobre, il P. Abate le celebrò la Messa in camera, poi, dovendo assentarsi da Grottaferrata, le disse queste parole: “Io ti do l’ubbidienza di aspettarmi e di non morire prima del mio ritorno”.
La figliuola accettò sebbene un po’ a malincuore. Essa sentiva la morte appressarsi e ne parlava come della più bella cosa che potesse accaderle.
Il P. Abate restò qualche giorno in Roma e la figliuola con la sua solita semplicità mi diceva: “ Come fa bene il P. Abate! Lui se ne sta a Roma e mi ha proibito di morire. Ma io vorrei andarmene in Paradiso, potrebbe tornare a darmi il permesso, e poi continuare le sue cose”.
In questi giorni che erano gli ultimi della sua vita, io le stavo più che mai vicina, ed essa stessa mi veniva preparando alla sua morte, mi faceva coraggio ed un giorno, fra gli altri, mi disse: “ Madre, lei fatica e fabbrica da una parte, ma stia attenta che il diavolo le va rovinando tutto dall’altra, però non abbia paura e vada avanti”. Allora io non compresi nulla, ma in seguito si vennero a scoprire alcuni fatti i quali dimostrarono come realmente in quel tempo varie persone stavano lavorando per rovinare l’Opera; ma giunti in tempo, si riuscì ad arrestare le cose.
LUCI NEL TRAMONTO
Fra i novizi dei monaci basiliani vi era un giovane che aveva risoluto di tornare al mondo. Ne fu parlato all’inferma e questa gli mandò a dire che non si fosse mosso, perché un giorno se ne sarebbe trovato contento. Ed il giovane, dietro ciò, non si mosse dalla sua vocazione, ed ora è divenuto Sacerdote e dà di sé buone speranze.
Gli otto giorni che corsero dalla seconda stretta alla sua morte, furono giorni di atroci sofferenze per la povera giovane. Si era gonfiata in modo straordinario; il respiro riuscivale difficilissimo, ma essa non perdeva nulla della sua serenità.
Volle rivedere tutte le sorelle (4) e parlare a ciascuna in particolare. A tutte raccomandò caldamente tre cose: molto amore all’Opera; una perfetta ubbidienza a me; ed il più grande attaccamento ai miei sentimenti. Assicurò che tutte si sarebbero trovate molto contente se l’avessero ascoltata, specialmente sugli ultimi due punti.
Vi erano cinque probande (5) che il P. Abate non si voleva decidere a vestire (6). Le figliuole erano di ciò molto addolorate, ma l’inferma rivolta a loro disse: “ Siate buone che per Natale riceverete una bella grazia, però siate buone e ubbidite sempre alla Madre”.
A me promise poi che, appena sarebbe andata in Paradiso, mi avrebbe mandato in regalo mille lire che mi occorrevano in quel tempo di gran premura, né sapevo dove trovarle.
Intanto erano trascorsi quattro giorni dall’ultima stretta, quando il 2 di novembre si ripeté con maggior forza e per l’ultima volta.
Telegrafai al P. Abate che si recò subito in Grottaferrata e trovò la figliuola priva affatto di sensi e prese a raccomandarle l’anima. A poco a poco però l’inferma si riebbe e riconosciuto il P. Abate gli disse con tutta semplicità: “Sei venuto finalmente! Io ti ho aspettato, adesso però dammi il permesso di morire e di andarmene in Paradiso”. Il P. Abate allora le rispose che si compisse pure su di lei la Volontà di Dio e, dovendo tornare in Roma per affari urgenti, si allontanò dall’inferma. Questa visse ancora tre giorni, ma non riuscirò mai a spiegare quello che soffrì. Non potendo più restare coricata, passò questi giorni seduta sulla sponda del letto, con un affanno continuo che la spingeva a cercare l’aria che sentiva mancarsi ad ogni momento.
Essa vedeva la morte vicino a lei, la guardava con occhio sereno e tranquillo e, sebbene il parlare le riuscisse di tanta fatica, pure non cessava mai di rivolgere al suo Signore le più dolci espressioni, felice di unirsi a Lui per sempre.
La mattina del 5 novembre, giorno di sabato, la figliuola verso le ore dieci, mi chiese di aiutarla ad adagiarsi; compresi che erano quelli gli ultimi momenti e difatti, composta appena sul letto, essa perdé i sensi, entrò in agonia, e nel suo respiro si udì il rantolo della morte. Durava così circa da un tre quarti, quando all’improvviso l’inferma si scuote, riacquista d’un tratto i sentimenti e gira lo sguardo al Crocifisso; si colorisce in volto, diviene bella, di una bellezza che la trasformò tutta, e rivolto al suo Signore il più dolce sorriso, spira placidamente.
Erano le 10:45 del mattino del 5 novembre 1898.
La figliuola non contava ancora 24 anni di età, eppure sul suo letto di morte, essa poteva veramente ripetere il “Consummatum est” della gran Vittima a cui si era unita con tanto generoso amore, ed io non potrò mai dimenticare quella bellezza che improvvisamente le trasformò il volto nel suo ultimo sguardo al Crocifisso. Essa era forse un riverbero di quell’innocenza che, come mi assicurò il P. Abate, intatta rendeva al suo Signore.
La sua spoglia mortale, vestita dell’abito religioso, fu composta secondo l’uso dell’Istituto. Vi fu un gran concorso di gente e si credè necessario accontentare le brame del popolo e mostrarne il cadavere a quanti lo richiedevano.
TESTIMONIANZE
Molte persone si raccomandarono all’intercessione della defunta ed assicurarono di aver ottenuto varie grazie, ma noi veramente non ci siamo mai fondate su ciò, né abbiamo cercato d’indagare la verità delle cose.
Quello che io posso dire è che, trascorsi pochi giorni dalla sua morte, ebbi per via affatto inaspettata, le mille lire che la figliuola mi aveva promesso. Il giorno di Natale il P. Abate, cambiato non si sa come di sentimenti, vestì (7) le cinque Probande, le quali videro così compiersi la grazia annunziata dalla loro sorella.
Durante la sua malattia, essa un giorno mi promise che, se il Signore glielo avesse permesso, dopo morta sarebbe venuta a farmi una visita, però, aggiunse che verrebbe una notte in cui l’adorazione al Santissimo fosse sospesa e nel caso che la lampada del Sacramento dovesse spegnersi. Io accettai né vi pensai più.
Era passato già qualche tempo dalla morte di Caterina, ed una sera, avendo tutte le figliuole faticato assai durante il giorno, e quindi essendo molto stanche, io credetti necessario farle riposare, e per quella notte sospendere l’adorazione.
Per ragioni di salute, io dormivo in quel tempo fuori di cella, in una cameretta attigua al dormitorio e con me riposava l’infermiera. Non mi era riuscito in quella notte di prendere sonno, sicché ero perfettamente sveglia, quando vidi entrare in camera e venire a me una novizia con la sua lampada accesa in mano, la quale inginocchiatasi mi disse: “Madre, si spegne la lampada” e mi chiese la benedizione. Non ripensando a niente e credendola una delle figliuole la quale era molto cagionevole di salute, la sgridai fortemente perché senza permesso si fosse alzata, mentre sapeva bene che col freddo che faceva, non volevo affatto che si muovesse dal letto e, terminai ingiungendole di tornare subito in cella. A questa intìma la novizia sorrise, si alzò e se ne partì. Io la seguivo con lo sguardo, pensando all’imprudenza commessa dalla figliuola, ma fissando meglio l’andamento della persona, la statura, e tutto l’insieme, conobbi che non poteva essere quella che io avevo creduto; ripensai alle parole dettemi, al sorriso, e allora mi tornò in mente la promessa fattami da Caterina.
Intanto alla mia voce erasi svegliata l’infermiera; questa si alzò subito, ma uscita dalla camera non vide nessuno. Si recò in coro e trovò la lampada quasi spenta.
Con tutto ciò la mattina io chiamai le figliuole e domandai chi di loro si fosse alzata e venuta da me con la lampada accesa. Ciascuna mi assicurò di essere restata a letto e di non avere accesa nessuna lampada. Non mi restava dunque altro che persuadermi che la defunta aveva mantenuto la sua promessa, cosa che non mi meraviglia, riflettendo alle virtù di quella cara figliuola.
E veramente il ricordo di lei, è per me una delle più dolci consolazioni. Sono ormai passati quasi dici anni dalla sua morte e la sua memoria è tuttora viva in Comunità, parlandone spesso con desiderio d’imitarla nella virtù e nell’amore verso il Divin Sacramento.
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Il suo aspetto fisico non aveva nulla di speciale: bruna di colorito, piuttosto bassa e tarchiata di personale, con due grandi occhi neri e capelli dello stesso colore.
Essa fu la prima figliuola che il Signore si raccolse dopo l’apertura della casa e mi è caro il pensiero che ora si trovi in Paradiso a rappresentare e proteggere lassù, ai piedi del trono del Signore, questa piccola Opera e tutte coloro che ne fanno parte.
CATERNA CANESTRI Nata a Grottaferrata (Roma) il 25/11/1874, diocesi di Frascati. Entrata in religione (8) il 17/10/1894
Vestizione da novizia il 5/3/1897 “ SUOR MARIA DEL CUORE DI GESU’ AGONIZZANTE”
Professione religiosa il 30/10/1898.
Deceduta in Grottaferrata il 5/11/1898.
MADRE TERESA CASINI
NOTE
(1) La rotara nei monasteri di clausura era la monaca addetta alla ruota, una specie di armadio cilindrico girevole, che serviva a introdurre nell’edificio oggetti e prodotti varî senza che gli estranei penetrassero nell’interno di esso neanche con lo sguardo.
(2) Per atti comuni si intendono i tempi di preghiera e di lavoro fatti dalla comunità riunita.
(3) Si tratta del lavoro che le suore facevano in comune per guadagnarsi da vivere.
(4) In questo caso per sorelle si intendono le suore e non le sorelle di sangue.
(5) Le probande erano le giovani che si preparavano alla vita religiosa.
(6) A quel tempo prima della professione religiosa c’era la così detta “vestizione” una cerimonia durante la quale alle giovani veniva consegnato e fatto indossare l’abito religioso.
(7) Si intende: vestì dell’abito religioso.
(8) Si intende : entrata in monastero.
ANGELINA MASCHERUCCI
( cenni biografici scritti
dalla Beata Madre Teresa Casini )
LA SUA FAMIGLIA
Nacque in Grottaferrata da Luigi e Marina Ferretti.
Il padre esercitava l'ufficio di guardia alla Villa Santovetti ed aveva la sua buona mesata; possedevano anche qualche cosa della loro, sicché in famiglia, se non c'era ricchezza, non mancava nulla del necessario e, quel che più vale, erano persone oneste e religiose che educavano nella pietà i loro filgiuoli.
Angelina fu la primogenita di casa. Essa sortì da natura una salute cagionevolissima, fin da giovanetta andò soggetta a varie emottisi che le prepararono la via all'infermità che poi le tolse la vita.
INSIEME IN CAMMINO
Io la conobbi quando essa contava venti anni di età.
Di animo molto semplice; desiderava e cercava veramente il Signore. La sua ignoranza rendeva un po' scusabile la sua testardaggine dei primi tempi.
Si stava al primo inizio dell'Opera in casa della Spalletta, né mai io avevo pensato a questa figliuola. Essa si recava tutte le sere in parrocchia per la visita al Santissimo, ove mi recavo anch'io: là mi conobbe e cominciò a seguirmi quando uscivo di Chiesa.
Dopo qualche giorno avevamo stretto amicizia ed essa mi dichiarò la sua decisa volontà di unirsi a me per l'Opera; difatti si pose sotto la direzione del P. Abate, né da quel giorno mi lasciò più.
In casa della Spalletta, fra le altre giovani che cominciarono ad avvicinarmi, essa spiccç fra tutte per un tenero amore a Gesù Sacramentato e quando, passata io all'abitazione del Consoli, le altre si ritirarono, essa restò fedele e nella propria famiglia cercava di compieree le pratiche che le erano state insegnate, recandosi poi nel giorno a farmi qualche visita.
Malgrado tutti i rimproveri e i disprezzi dei suoi e specialmente di una sua sorella, Angelina si alzava regolarmente la notte a pregare aggiungendo anche la pratica dell'Ora Santa nella notte dal giovedì al venerdì.
Queste alzate di notte dovevano riuscirle molto dolorose, poiché la sorella che dormiva con lei si prendeva spesso il gusto di impaurirla onde farla smettere, ma la figliuola restò sempre ferma nella vita intrapresa e con molta pazienza sopportava ogni cosa.
Manifestata chiaramente ai suoi la decisione presa, questi al principio si opposero, ma poi, mano a mano vennero cedendo e, passata io all'abitazione del Roncaccia nel maggio 1889, essa nel settembre cominciò a recarsi da me la sera, finché il 1° ottobre ottenne la benedizione dei genitori e ci riunimmo definitivamente.
DONAZIONE ESEMPLARE
Affidata a me, Angelina, spiegò un carattere buonissimo, avendo fondo di dolcezza, una semplicità veramente ammirabile che le facveva cercare solo il Signore e si accentuò ancor più la sua tenerezza verso Gesù Sacramentato.
Nella stretta della povertà in cui ci trovammo in quei principi, essa non fece mai un lamento e si adattò, anzi si abbandonò con molta generosità ai sacrifici e alle privazioni materiali.
A FRASCATI
Non così facilmente, però, ella potè adattarsi alla mancanza di una direzione alla quale il P. Abate non poteva regolarmente attendere, ed io durai fatica a mantenerla calma e tranquilla.
Questo genere di privazione tanto più le riuscì doloroso quando trascorsi pochi mesi, essa cadde ammalata ed il suo stato d'infermità rendendole ancor più sensibile una tale mancanza, la giovane ne soffrì assai.
Il P. Abate le raccomandò di fare l'Avvento soffrendo con pazienza gli incomodi del male, delle cure, uniformandosi in pace alla volontà di Dio, per amore di Gesù Cristo.
Fortunatamente don Salvatore Frattocchi- già stato monaco basiliano, poi divenuto sacerdote secolare- trovandosi in Grottaferrata, s'investì delle circostanze e cercava di supplire lui in quel che poteva. Egli era di buono spirito, di un fare dolce, sì, ma che non risparmiava.
La malattia intanto progrediva sempre più, la febbre e la tosse erano continue ed io, molto penata ed impensierita, chiamai i medici di Frascati i quali mi consigliarono un cambiamento d'aria e fu deciso di portarla in Frascati presso le religiose di S. Carlo.
Il Frattocchi prese per sé la spesa di lire otto al giorno, ed io insieme all'infermiera mi recai in Frascati, ove dalla mia zia Carmine Masi mi veniva somministrato quanto era necessario di cibo speciale per la malata, poiché le suore davano il cibuo buono per uno sano, ma non per un'ammalata.
Il cambiamento d'aria giovò apparentemente alla salute della figliuola, la quale dopo un mese si era rimessa ed aveva ripreso tutte le sue forze fisiche, sicché facemmo ritorno in Grottaferrata.
17 OTTOBRE 1892
Si era nell'anno 1892, la nuova casa era all'ordine ed il 17 ottobre anche la Mascherucci ne prendeva possesso.
Da quel giorno, essa si mise con più ardore a servire il Signore che si degnava in quel tempo di versare nel cuore della figliuola abbondanti consolazioni, forse per prepararla al sacrificio che poi le avrebbe richiesto.
Mi ricordo, fra le altre, di un giorno in cui, sentendo del fracasso in coro, né sapendo spiegarmi cosa fosse, mi affrettai ad andare per assicurarmi dell'accaduto; e trovai la figliuola che con tutta semplicità, stava facendo salti di gioia, ed alle mie interrogazioni, rispose che aveva il cuore talmente pieno di consolazione che non sapeva esternarla in modo migliore.
MIGLIORAMENTO APPARENTE
La sua salute però, migliorata solo apparentemente, ben presto si trovò in peggiori condizioni di prima, finché giunta all'aprile del 1893, essa fu costretta a mettersi in letto, né da questo peggioramento più si riebbe.
( Lettera del P. Abate: 21 aprile 1893: " Sia che viva, sia che muoia, Angelina sia sempre di Gesù.... faccia la vittima a modo di Gesù non a modo suo")
Posso dire con verità di aver fatto il possibile per salvarla. Tutto ciò che io potevo avere di migliore, tutto ciò che mi veniva dato per carità, io lo serbavo per la mia cara inferma, ma a nulla valsero le mie cure ed il desiderio che avevo di rivederla sana; il male progrediva ogni giorno e si giunse ben presto agli ultimi stadi della tisi. Angelina soffriva con ammirabile rassegnazione: tutto il suo pensiero era di unire le sue pene a quelle di Gesù Sacramentato. Si sentiva felice quando poteva fare la S. comunione, il che le era facilmente concesso, stante la bontà di mons. Nocella che di tanto in tanto veniva a celebrare la S. Messa in Coro e quindi comunicava l'inferma.
DIFFICOLTA'
Le giovani di fuori che desideravano di far parte dell'Opera, cominciavano intanto a fare pressione per essere ammesse, ma le rispettive famiglie si opposero tutte, dicendo che non avrebbero mai dato il consenso alle figlie, se prima non fosse rimandata l'ammalata.
" SACRIFICIO "
La pazienza con cui questa figliuola sopportava le sue sofferenze, me la rendeva ogni giorno più cara. Il pensiero delle privazioni e delle pene che fino allora aveva sopportato per l'Opera, non mi faceva decidere a doverle imporre questo nuovo sacrificio; immaginando bene quanto le sarebbe riuscito doloroso.
Il pensiero dell'Opera d'altra parte mi dimostrava la necessità di questo passo, sicché d'accordo col P. Abate, si chiese consiglio a varie persone sul da farsi. Tutte consigliarono di rimandare l'inferma e dar principio all'Opera ed il P. Abate lasciò a me l'incarico di avvisare la figliuola e la famiglia di lei, dicendomi che non avrebbe più messo piede in casa finché vi si trovava l'inferma.
Io, facendomi molta forza, mi avvicinai al letto della cara figliuola e le manifestai la decisione a cui si era dovuto venire.
Angelina pianse lungamente, e poi facendosi un gran coraggio, si rivolse a me dicendosi pronta a fare questo sacrificio e spontaneamente si offrì al Signore, vittima per il bene dell'Opera.
Ne feci avvisata la famiglia, la quale non voleva intendere di riprendersela, ed un fratello della giovane venne diretto al monastero con un coltello alla mano e fu miracolo se io potei scampare il colpo.
La cara inferma, invece, fatta l'offerta, se ne rimase calma e tranquilla nel suo dolore. Essa si studiava di calmare gli animi dei suoi che potè infatti ridurre ad accettare la cosa.
Venne il 20 ottobre 1893: io mi sentivo l'animo oltremodo addolorato; mi tolsi dal collo la reliquia del legno della Santa Croce e, ponendololo sul petto della povera figliuola, la pregai di conservarla per mi amemoria e di rimandarmela quando al Signore fosse piaciuto di accettare il suo sacrificio. Essa me lo promise e, più coraggiosa di quanto avrei immaginato, fece ritono in famiglia.
SOFFERENZA EROICA
Qui ( ad Angelina ) le venne assegnato un bugigattolo, perché i parenti non volevano l'infezione della malattia nelle stanze più comode ed ariose della casa. L'aria la riceveva da una piccola finestra e la cara inferma, pur bisognosa di respirare liberamente, non mai si lamentò della minima privazione. Veramente il suo letto divenne una scuola di pazienza: essa memore della sua offerta, soffriva con una rassegnazione e una pace che non si può spiegare, e lo stesso Monsignor Nocella che spesso si recava a visitare l'inferma, ne restava talmente edificato che non sapeva staccarsene.
Sulla parete di fronte al letto ove giaceva, essa teneva il quadro del Cuore di Gesù con la B.Margherita che io le avevo regalato, ed i suoi sguardi erano continuamente fissi lì, e lì trovava la forza per sopportare le sue sofferenze.
Finché io potei uscire di casa mi recavo ogni giorno a visitarla, ma il 1° di febbraio 1894, mi concedai da lei per non rivederla mai più.
IL SIGNORE CONSUMO' L'OLOCAUSTO
L'Opera intanto cominciava a progredire; le vocazioni si succedevano e il Signore, che aveva accettato l'offerta, teneva in fondo di letto la cara figliuola in preda alle più crude sofferenze, senza la dolce consolazione di poter almeno esser testimone dei frutti del suo sacrificio, finché il 29 luglio di quello stesso anno 1894, il Signore consumò l'olocausto e si riprese la bell'anima di lei.
LA PRIMA OBLATA
in quel tempo io mi trovavo in letto malata. Appena Angelina ebbe dato l'ultimo respiro, il P. Abate che l'aveva assistita, le tolse dal collo la reliquia della Santa Croce e si affrettò a venire da me, temendo che la campana funebre lo prevenisse e mi facesse consapevole della morte della figliuola. Egli presentò la reliquia ed a questo segno compresi che Angelina non era più.
La sua morte fu invidiabile: essa spirò felice che il Signore l'avesse accettata come vittima per l'Opera che aveva tanto amato.
Il suo ritratto fisico era il seguente: alta di statura e molto esile. Colorito di un bel roseo che si cangiò poi in una tinta giallastra nel tempo della malattia. Occhi e capelli neri che le davano insieme una certa avvenenza e graziosità
L'Opera ritiene e riterrà sempre questa figliuola come appertenente a sé, ed in prova di ciò la spoglia mortale di lei è stata posta in un luogo di deposito, in attesa che l'istituto possa avere una tomba propria.
Madre Teresa Casini
suor maria franca sigurani
oblata del sacro cuore di gesù
Cenni biografici
Suor Maria Franca Sigurani nacque a Roma il 4 gennaio 1939. Fu una persona sorridente ed aperta, esuberante e riservata al tempo stesso. Nella freschezza dei suoi vent’anni cantò serena la sua gioia di vivere, chiudendo nel cuore un dolce segreto di dedizione e di amore per Colui che è il Dio Amore.
La tragica morte del padre durante un’incursione aerea, il 18 marzo 1944, fu l’occasione di cui si servì il Signore per attirarla all’Istituto delle Suore Oblate del Sacro Cuore di Gesù. Qui, il clima di famiglia proprio dell’Istituto e l’amabilità delle suore con cui si trovò a vivere, fecero nascere in lei, ancora bambina, il desiderio di consacrarsi totalmente al Signore nella vita religiosa, desiderio che condivise con mamma Irma, la quale, dopo attenta riflessione e sofferta decisione, affidò la figlioletta Anna, di soli quattro anni, a una sua sorella e il 4 maggio del 1946 entrò come postulante nell’Istituto delle Suore Oblate del Sacro Cuore di Gesù, dove fu religiosa con cuore di mamma fino alla morte.
Suor Maria Franca, alla scuola delle Suore Oblate del Sacro Cuore di Gesù, imparò ad “amare Dio con tutto il cuore, con tutta l’anima, con tutte le forze”, a vivere la vita come dono per gli altri e a nutrire un’alta stima per i Sacerdoti. All’età di dodici anni, il 22 ottobre 1951, come si rivela da un suo scritto, si offrì a Dio con il voto di verginità.
Questo dono si concretizzò ai piedi della Madonna della Perseveranza venerata nel Pontificio Seminario Romano Minore. Qui studiava il fratello Pietro, che, diventato poi Sacerdote della Diocesi di Roma ha esercitato il suo ministero presso le parrocchie di sant’Ignazio di Antiochia allo Statuario, di santa Maria delle Grazie al Trionfale, della Natività di Nostro Signore Gesù Cristo in via Urbisaglia e attualmente, nonostante la veneranda età, lo esercita ancora, con incredibile entusiasmo, presso la Basilica di sant’Eustachio, accogliendo tutti coloro che hanno bisogno del suo aiuto.
A quindici anni ella iniziò il percorso di formazione per diventare Suora e il 7 settembre 1954 vestì l’abito bianco delle Oblate del Sacro Cuore di Gesù. L’otto settembre del 1955 fece la sua prima professione religiosa, che fu per lei il punto di partenza per una vita di amore e di fedeltà a Gesù sempre maggiore. Generosissima con gli altri, non esitava a compiere qualsiasi sacrificio per accontentare tutti, nascondendo, con amabile semplicità, il bene che faceva. Sotto un costante sorriso nascose le difficoltà che incontrava ogni giorno. La preghiera e l’immolazione per la santificazione dei Sacerdoti, secondo il carisma proprio dell’Istituto di cui faceva parte, fu il grande palpito della sua giovane vita, così bene espresso in un suo scritto: “ Per i rappresentanti di Cristo bisogna pregare- e perché no?- immolarsi. Ripetiamo spesso davanti ad ogni rinuncia: “ Quanto più io sarò Ostia, tanto più essi saranno Sacerdoti!”. Viviamo la vita di Ostie con Gesù Ostia, ed in vista del Sacerdozio dobbiamo santificarci, accettando per amore tutte le sofferenze che ci capitano. Viviamo illuminate da questa luce divina ed allora tutto ci sembrerà più facile”.
A diciotto anni cominciò ad esplicare le sue belle attitudini di insegnante e di educatrice fra i Piccoli Amici di Gesù prima a Grottaferrata e poi a Foggia. Qui maturò la sua ardente aspirazione e, l’11 agosto 1959, fece dono a Dio della sua vita per la santità dei Sacerdoti.
Quell’offerta, così presto accettata dal Signore, rimase un segreto nell’intimo del suo cuore. Solo la mattina del 23 novembre 1959, in cui, all’età di soli vent’anni, improvvisamente fu chiamata alle Nozze Eterne, le si trovò appuntato dalla parte del cuore un sacchettino, contente un foglietto, su cui era scritto: “ Dio mio, io comincio ad addentrarmi tra le pareti ed a scalare i gradini del Tuo santo Altare. Fa che senta tutta l’amarezza di questa ascesa, affinché egli possa salirli con il cuore traboccante di gioia. Fa’ che la mia giovinezza si allieti solo alla sua ombra, affinché la sua dia frutti di vita; riempi il mio calice di fiele e di aceto ed aiutami a berlo, affinché lui allontani dalle sue labbra riarse il nettare delle gioie mondane. Mio Dio, che io sia il Tuo e non il suo usignolo, che io sappia cantare nascosta tra le spire insanguinate della Tua corona di spine e che nel mio canto Ti supplichi incessantemente per la sua redenzione. Dammi una croce, qualunque essa sia, anche quella di non averla: piantamela nel cuore, affinché egli non senta i diletti della carne. Trafora le mie tempia con la tua corona di spine, perché egli non pensi che a Te e al suo Sacerdozio. Appesantisci la Croce sulle mie spalle e a lui falla vedere sfolgorante di luce. Che io salga il Tuo Altare come Tu hai salito il Calvario, e che egli ascenda al Tuo altare come Tu sei asceso al Tabor! Per lui sacrifico me stessa! Dammi la sua anima ed il suo Sacerdozio. Toglimi tutto il resto”.
L’offerta di suor Maria Franca, per un seminarista, che le aveva mostrato una simpatia inopportuna, fu il logico coronamento di quello spirito di cui si era nutrita fin da piccola nell’Istituto delle Suore Oblate del Sacro Cuore di Gesù, che ha una fisionomia tipicamente sacerdotale, proprio come lo concepì la Beata Madre Maria Teresa Casini, la quale visse nella contemplazione Eucaristica del mistero del Cuore di Cristo, Sommo ed Eterno Sacerdote. Significativo è quanto ella ha lasciato scritto nelle sue note intime: “ Io sento nel mio spirito un impulso che mi spinge verso Dio. Non posso più vivere così terra terra!…. Debbo elevarmi sopra me stessa per vivere in Dio, per immolarmi per il Sacerdozio e per consolare il Cuore trafitto di Gesù.”.
Oggi, in un tempo in cui il Sacerdozio ministeriale è attaccato da tutte le parti, suor Maria Franca, con la sua offerta generosa, invita ciascuno di noi ad amare e a far proprio il grande ideale per il quale visse e morì e che sintetizzò nella frase:
“Quanto più io sarò Ostia, tanto più essi saranno Sacerdoti”.
PREGHIERA
Signore Gesù, Sacerdote Eterno, che ci hai detto:
“Imparate da me che sono mite e umile di cuore”
e hai amato i piccoli e i semplici, ti chiediamo,
se è nella tua volontà e per il bene della Santa Chiesa, di concederci il
riconoscimento della santità di suor Maria Franca Sigurani,
Oblata al tuo Sacro Cuore,
che ha offerto la sua giovane vita
per la santificazione dei tuoi ministri.
La sua intercessione ottenga da te
numerosi e santi sacerdoti alla tua Chiesa
e a noi la grazia che con fiducia e umilmente imploriamo…
Pater, Ave, Gloria
Chiunque ottenga grazie per l’intercessione di suor Maria Franca è pregato di comunicarlo a:
CENTRO DI SPIRITUALITA’ SACERDOTALE
Suore Oblate del S.Cuore di Gesù
via del Casaletto, 128- 00151 Roma
centrospiritualitasacerdotale@suoreoblate.it
Tel. 06/53273861- Cell. 333/4838454
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