Presentazione Autobiografie

della Beata M. Teresa Casini

Quando la voce di Dio ci raggiunge, e noi ripetiamo adsum a Colui che chiama le stelle per nome, un processo di morte e di vita prende l'avvio all'interno delle nostre esistenze. E noi diventiamo « altri » perché coinvolti nel piano di Dio.

Le pagine autobiografiche di Madre Teresa Casini ci schiudono il mistero di questo suo cammino interiore. Pagine semplici, senza pretese letterarie, che appunto per questo ci lasciano più pensosi. Forse, Madre Teresa ci aiuterà a scoprire il significato e l'importanza di una vera presenza della Comunità cristiana a sostegno dei Sacerdoti: presenza di preghiera, di partecipazione, di collaborazione. Ci dirà qualcosa, Madre Teresa, comunicandoci il Suo desiderio e la Sua ansia: perché i Sacerdoti siano santi e numerosi. Ci renderà partecipi di quella misteriosa angoscia della quale un giorno la sua giovinezza si sentì improvvisamente ricolma: il giorno in cui, per la prima volta, si trovò di fronte alla tragica realtà dell'Amore tradito. Quell'angoscia non la lasciò mai più.

La vita della Beata Maria Teresa Casini (1864-1937) è racchiusa fra due date circoscritte in un breve spazio geografico: Frascati-Grottaferrata, ed ha tuttavia il respiro dell'universalità caratteristica di Roma. Le pagine delle Autobiografie, nelle quali ella parla delle sue vicende, a volte anche straordinarie, si rivelano semplici come tutte le cose grandi che non hanno bisogno delle parole per imporsi. Al di là delle notizie, si coglie infatti, oggi più attuale che mai, il suo carisma, la sua vocazione, che potremmo sintetizzare così: una vita tutta donata a Dio per la santità dei Sacerdoti.

L'Istituto delle Suore Oblate del Sacro Cuore di Gesù, da lei fondato, ha proseguito il suo cammino nella fede e nella coerenza di un carisma, che deve continuare a vivere, arricchendosi via via di quelle connotazioni che sono richieste dai segni dei tempi.

AUTOBIOGRAFIA DI MADRE TERESA

SCRITTA DIETRO RICHIESTA

DEL PADRE GALLOIS (1)

(trascritta secondo l'originale, senza correzioni di forma)

Viva il Cuore trafitto di Gesù.

In famiglia io ero molto amata ed ero la preferita da mia sorella, la quale pochissimo stava in casa, perché la nonna essendo rimasta sola per la partenza del nonno per la Russia prese con sé mia sorella. Io amavo mio padre (2) molto più di mia madre (3), perché mamma mi sgridava spesso ed il mio cuore si inaspriva, ed invece papà mi prendeva dalla parte del cuore e quando secondavo i miei capricci egli mi parlava dolcemente ed io mi quietavo.

Essendo papà molto pio e d’indole mite ed affettuoso prese egli stesso ad educare il mio cuore. Quello che mio padre mi inculcava era la pietà e la compassione verso i poveri, ed anche verso le bestie. Citerò alcuni fatti di cui mi è rimasta memoria. Egli non permetteva che avessi fatta la colazione prima di aver recitato ad alta voce ed in ginocchio le mie preghiere e chiesta poi la benedizione ai genitori ed abbracciandoli dato loro il buon giorno, e la sera parimenti non potevo andare al riposo se prima non avevo detto il Rosario con la famiglia, a cui tutti anche le donne dovevano assistere, e dette forte le mie preghiere e presa la benedizione dai genitori, ecc.

Nel Natale papà faceva in una camera un grande altare e sopra vi poneva un Bambino di cera, ed egli mi insinuava di mortificare la mia gola per amore del Bambino Gesù, portando sull’altare i dolci da me preferiti, il che facevo ben volentieri per contentare mio padre. Quando nelle domeniche o in altre feste vi era al Duomo la predica, mio padre conduceva mammà e me per assisterla, mi ricordo che quel tempo per me era un tempo di lotta. Il posto in cui io stavo vedevo il Sacramento, non potevo fare a meno di volgermi verso l’altare poiché io sentivo una viva voce che nell’intimo del mio animo mi spingeva a pregare e adorare Gesù Sacramentato, ma io resistevo perché pensavo che se mi davo a Dio io non potevo più né divertirmi né fare i capricci e quindi (essendo che questo impulso mi veniva quasi sempre e con forza lo ricordo bene) io dicevo quasi con dispetto o impazienza: “Signore, lasciami godere la mia gioventù, quando sono vecchia pregherò e dirò il Rosario”, ma sentendo con più insistenza quella voce io allora prendevo il libro e mi mettevo a leggere il Miserere sembrandomi quella una preghiera appropriata. Riguardo alle prediche io non ricordo di averle capite.

Quando feci la mia prima confessione, e stando sola nella sacrestia di casa a prepararmi, nel guardare un grande Crocifisso che stava appeso al muro intesi nel mio cuore un sentimento vivo dell’amore che Gesù mi portava, e un lume chiaro dei miei peccati, sicché io piansi sia questi come il poco amore che avevo avuto sino allora verso il Signore, intesi anche che dovevo farmi santa, ciò lo desiderai e lo promisi al Signore. Questa promessa rimase impressa nel mio cuore ed anche in mezzo ai miei giuochi fanciulleschi mi tornava al pensiero.

Di tanto in tanto mio padre mi diceva che a notte inoltrata mi avrebbe condotta a vedere l’inferno, ed infatti mi conduceva alla nostra calciara ove per il gran fuoco e per il sinistro senso ed aspetto che mostravano a quell’ora tarda gli uomini che attendevano a questo lavoro, sembrava un inferno, e papà mi diceva che se non ero buona e non amavo Iddio, per una eternità sarei stata all’inferno. Ricordo che io ricevevo molta impressione quando sentivo dirmi così da mio padre, e spesso me ne andavo nella sala da ricevere e lì sola sola pensavo all’eternità, a Dio che non aveva avuto principio e non avrà mai fine, pensavo alla morte e poi conchiudevo che era inutile essere nata per poi morire e stare una eternità senza amare Iddio, e questo mi opprimeva il cuore e domandavo a Dio quasi disgustata: “E allora perché mi avete fatta nascere?”, e poi fuggivo dove stavano riuniti quei di casa.

Dalle Figlie del S. Cuore di Gesù (4) appresi ad amare Maria e sempre l’ho salutata nell’incontrare le sue immagini. Dopo Iddio, a Maria, mia buona Madre, debbo molti aiuti e grazie.

Mio padre m’inculcava anche la compassione verso i poveri. Era costume in casa che un giorno la settimana e nell’ora assegnata si dispensava alla porta di casa l’elemosina ai poveri. Ora mio padre, nel tal giorno, mi prendeva nelle sue braccia e datomi il danaro voleva che io dispensassi l’elemosina ai molti poveri che accorrevano alla nostra porta di casa. Quando papà non vi era, la donna mi conduceva con sé alla porta. Nelle feste natalizie mi faceva distribuire i dolci di Natale alle donne addette a cantare ogni sera le litanie alla Madonna che stava fuori alla nostra casa.

Mio padre amava assai gli uccelli e quindi vicino alla camera da pranzo aveva una camera appositamente accomodata ove teneva liberi i molti canarini che amava tenere. Gli uomini di mio padre vedendo l’affetto che papà portava a queste bestioline credendo farle piacere spesso le portavano dei passeri vivi presi alla rete. Stando quasi sempre io con papà, naturalmente queste bestiole le prendevo io, ma mio padre dolcemente parlando mi faceva conoscere che quegli uccelli amavano la campagna, che forse i figlioletti attendevano il cibo e che ritenendo io quell’uccello questi sarebbe morto e anche i figli morirebbero, queste ed altre simili cose mi diceva ed io allora lo lasciavo in libertà, perché mi faceva pena ritenerlo.

Benché mio padre si prendesse così pensiero di formare il mio cuore, pure io ero un misto di cattiveria e di bontà, di cattiveria perché avevo i capricci e quando volevo una cosa bisognava contentarmi. Un giorno per andare al passeggio mi fu fatto indossare un vestitino nuovo, io avevo detto che volevo una saccoccia, questa non mi fu messa, io non replicai, ma quando ebbi indossato l’abito presi le forbici e dalla vita sino ai piedi lo tagliai, sicché fu inservibile. Amavo che mi si raccontassero i fatti dei santi e questi fatti mi commuovevano sino al pianto, però non amavo i lunghi discorsi. Mia madre spesso mi gridava perché mi diceva che venivo su senza quell’amor proprio che era necessario avere nel mondo, e si inquietava anche con papà perché crescevo così, alle volte mi diceva che ero “bizzoca”, una finta e da tutto questo io penso che dovevo essere stata molto cattiva.

Così passai i miei primi anni sino all’età di nove anni, quando papà con una santa morte andò al cielo. Mia madre d’indole ben diversa di papà ed inclinata ai divertimenti del mondo, dopo il tempo del lutto, cambiò tutto l’andamento della famiglia. Disgraziatamente, la nonna (5) , donna seria e di soda pietà, prima che papà morisse, ci lasciò per raggiungere nonno in Russia, così mammà con la morte di papà rimase libera di sé nella giovane età di 28 (6) anni

Essendo io la primogenita, mammà mi tenne sempre con sé mentre mia sorella fu messa in collegio e mio fratello piccolino lasciato alla balia. Cominciai quindi a frequentare il mondo, e durante l’estate si restava in Grottaferrata nella casa di nonno Rayner e quindi, feste da ballo, cavalcate, pranzi e tanti altri divertimenti occupavano i giorni; nell’inverno poi in Roma si risiedeva, ed i teatri, le società, le feste da ballo, le passeggiate, erano, ora una, ora un’altra, cose di tutti i giorni e di tutte le sere. Io mi abbandonai allegramente a tutti questi divertimenti, ricordo però che ogni qualvolta passavo avanti a qualche chiesa il mio pensiero si volgeva al Sacramento e una tristezza penetrava nel mio cuore, ma poi presto tornavo alla mia spensieratezza.

Verso i 12 anni domandai con insistenza a mia madre di entrare in qualche collegio, io amavo tanto lo studio, ma per lo stato di salute mi era stato proibito dai medici; il Signore permise che mia madre, avendo desiderio di andare in Russia, acconsentì alla mia richiesta e quindi mi mise dalle Dame del Sacro Cuore. In questo caro luogo il mio cuore gustò e provò una pace non mai provata in mezzo al mondo; il Signore mise nel cuore della maestra generale una premura particolare per farmi essere buona, e quindi spesso mi prendeva con sé, mi parlava dolcemente, mi insinuava la virtù, e siccome io con tutto il desiderio di studiare che avevo non potevo applicarmi allo studio perché cadevo malata, la maestra generale mi lasciava più libera delle altre ed io approfittavo per andare presso di essa. Finché fui in Collegio ebbi, dopo il primo mese, sempre il cordone di buona condotta e mi assegnarono per sorvegliatrice della classe.

Il 7 maggio 1876 feci la mia prima Comunione, mi preparai con molta premura, e ricordo che stavo molto a me; desideravo il Signore nel mio cuore e quando lo ricevetti provai una consolazione inesplicabile e mi consacrai tutta a lui. Che respiro profondo e di gran cuore mandai a Gesù quando stava per venire nel mio cuore! La pace da me gustata, la gioia e consolazione del mio cuore fu così grande che io non lo dimenticherò mai, e quel giorno intesi la prima inclinazione per le prime Comunioni.

Tornata mia madre dalla Russia, vedendo che io non stavo bene, mi fece vedere da un dottore, nostro conoscente; questi disse che lo studio per me era impossibile e proseguendo a stare in collegio sarei presto morta; mia madre mi riprese subito in casa, mi circondò di affetto particolare, mi procurò divertimenti e mi contentava in tutto. Però nel mio cuore non avevo più la pace del collegio ed in sua vece sentivo un vuoto nel cuore. Questo vuoto era il mio tormento, esso mi seguiva nei divertimenti, nei balli, nei teatri, e ricordo come molte volte, vestita in abito di maschera oppure di società, io mi chiudevo in camera e prostrata in ginocchio scongiuravo il Signore, pregavo povero papà mio a farmi divertire e togliermi quel vuoto nel cuore, ma era inutile, in apparenza ero gaia, ridevo, ballavo appassionatamente, tutti mi credevano felice ed invece il cuore era straziato e tornata in casa, mi chiudevo in camera e vestita come ero mi ponevo o in ginocchio oppure seduta sulla sponda del letto a piangere per lungo tempo fino a che stanca mi mettevo in letto; la mattina mi alzavo col proposito di abbandonarmi ai divertimenti sperando di trovare la felicità, ma tutto era inutile e sempre finivo col pianto. Il mio cuore aveva bisogno d’amore, ma l’amore delle creature non mi appagava e benché ero corteggiata pure non potevo pensare a dare il mio affetto ad un uomo, né inclinavo a sposare per non stare soggetta. Sentivo in me inclinazione ad essere libera ed agognavo a 21 anni che uscita di minorità potevo essere libera di me.

Amore alla vanità non lo sentivo né amavo i gingilli d’oro che sono solite portare le giovanette, mi sembra viltà tenere il cuore in queste cose, un solo gingillo amavo e questo lo donai alla Madonna quando mi detti a Dio.

Ma mia madre mi lasciava molto danaro ed io questo lo dispensavo tutto ai poveri, mi facevano pena, e quando venivano in casa ed io non avevo niente, perché esaurivo subito il danaro che mia madre mi dava, allora prendevo di nascosto biancheria e altro e lo donavo, se poi non potevo prendere niente allora mi toglievo le vesti di sotto e le donavo.

Amiche non le ho avute mai, il mio affetto era in modo particolare per mio fratello Alessandro, questi lo amavo assai ed ero anche da lui ricambiata.

Malgrado questa mia vita dissipata e mondana il Signore mi veniva dietro. Ricordo le mie lotte allorché andavo in chiesa per sentire la S. Messa nelle domeniche, io ero costretta a stare sempre in luogo nascosto da conoscenti, perché entrando in chiesa una forza misteriosa s’impossessava di me, io mi sentivo investire della presenza di Dio né potevo attendere ad altro che alla Messa in atteggiamento serio e raccolto, e da ciò prendevano i nostri conoscenti motivo per burlarmi e inculcarmi a fare come facevano loro cioè a parlare, a ridere e a farsi segni, nel tempo che si celebrava la S. Messa; io acconsentivo ma poi era impossibile, non potevo farlo, io allora non ero padrona di me. Quando passavo avanti al Sacramento io ero costretta pormi in ginocchio, salutare Gesù, farle una buona genuflessione, mi schernivano gli altri, io lottavo perché la mia superbia si risentiva di questi scherni, ma io non potevo resistere a quell’impulso che mi sentivo. Quando mia madre andava in Russia, e questo è stato per tre anni di seguito, durante i due mesi più caldi dell’estate, allora mi lasciava in Grottaferrata presso le Figlie della Divina Provvidenza: in questo luogo io ritrovavo la pace e il vuoto del mio cuore spariva. Il confessore mi faceva fare tutte le mattine la Comunione ed io provavo delle grandi consolazioni, la mia felicità era di fare la visita al Sacramento, lo pregavo di star sempre nel mio cuore, sentivo che lo amavo. Però tutto questo non lo dicevo a nessuno, neppure al confessore, come parimenti non dicevo le penitenze che per amore del Signore io facevo. Una volta fra le altre mi cinsi alla vita, sulla carne nuda, una ruvida corda tutta piena di nodi e la strinsi bene e di tanto in tanto la premevo forte, la tenni per più giorni, senza toglierla mai neppure la notte, la mia salute si risentì e per timore di essere scoperta me la tolsi; facevo anche altre mortificazioni. Io sentivo una pace nel cuore incredibile, amavo tanto il mio Dio e mi sentivo appagata e felice, ma presto passava il tempo e mammà riprendendomi in casa mi gettava nuovamente nel mondo ed io allora mi ci abbandonavo ed il vuoto e la lotta ricominciava più aspramente, e sentivo che il mio cuore aspirava a un amore grande, infinito e questo né il mondo né le creature potevano darmelo.

Quando mia nonna con il nonno tornarono dalla Russia ci presero con loro. Il nonno aveva l’istesse idee di mammà, quindi frequenti erano le serate da ballo e gli altri divertimenti, ma Iddio pose un termine a tutto questo.

Mia madre con quella vita eccessivamente dispendiosa che aveva fatto, aveva dato fondo ai beni che papà ci aveva lasciati, più intaccato il patrimonio dei nonni, allora si cambiò, piano piano, e l’economia entrò in casa e con questa tanti pericoli di meno per la povera anima mia, ma siccome lo zio Arturo, fratello di mammà, mi amava più di mia sorella, temette che quella vita di economia e priva di divertimenti, secondo lui necessari per me, nuocesse alla mia salute e quindi si prese l’incarico di procurarmi divertimenti e mi portava con sé ora in un posto ora in un altro. Io ne sentivo pena, però non avevo cuore di ricusare, ne avevo pena non già perché non amassi i divertimenti, ma perché il vuoto che sentivo nel mio cuore mi amareggiava tutti i piaceri.

In tutto il tempo che sono stata in casa ho sempre mostrato un’indole sottomessa e dolce. Vedendomi amata io non avevo cuore di contraddire, quindi sacrificavo volentieri i miei desideri e le mie vedute e aderivo alla volontà dei nonni senza contraddirli. Io amavo la libertà di me stessa, ma questo cuore cedeva subito avanti alla dolcezza e alla bontà.

Parimenti mi commovevano molto le pene della servitù e anche delle altre persone estranee alla nostra casa. Cosa non avrei fatto e dato per consolare chi soffriva! Ricordo che una volta una delle donne di servizio si ammalò: aveva una fortissima febbre; io (che per natura mi ripugnava assistere gli ammalati) mi privai di una gita di piacere che si doveva in quel giorno fare con una comitiva, e mettendo una scusa (perché non amavo che gli altri sapessero i miei sentimenti) restai in casa, mi misi vicino a quella povera donna che soffriva, le tenni compagnia e prestai ad essa tutti quei servigi che le erano necessari, e vincendo la ripugnanza mia naturale, le asciugavo il sudore e l’abbracciavo; quella povera donna rimase tanto consolata e mi pose molto affetto, ed io quel giorno non intesi il vuoto nel mio cuore.

Cose di questo genere le facevo spesso, però all’insaputa di tutti. Finalmente spuntò il giorno che la grazia di Dio trionfò in me, ma debbo anche dire che fu tutta opera di Dio, perché io davvero non avevo cooperato, il solo dubbio che un giorno mi potevo consacrarmi a Dio mi metteva paura; mentre da una parte il mondo non mi appagava, temevo poi di darmi tutta a Dio, e quindi sfuggivo e temevo quel bene che poteva solo appagare il mio cuore famelico di un amore stabile, e che avesse riempito il vuoto di esso.

Il Signore si servì di altri pericoli per perdere il poco che mamma ci aveva lasciato dei beni di papà. Nell’età di 18 anni in cui allora stavo, compresi appieno la nostra posizione, abbracciai con tutto il pensiero lo stato di povertà in cui noi tre saremmo caduti, ebbi delle ore di sconforto e di abbattimento, poi mi calmai e pensando che era una sciocchezza l’amare i beni della terra, risolsi di darmi a Dio interamente se il Signore evitava la vendita dell’ultimo bene stabile rimastoci; per ottenere ciò mi rivolsi a Maria, da cui avevo altra volta sperimentato il suo aiuto, le donai l’unico gingillo d’oro che avevo e mi misi in aspettativa. Passarono 24 ore e il pericolo scomparve ed allora mantenni la promessa, mi detti a Dio ed il mio cuore si intese libero di quel vuoto, sentivo che amavo Iddio e quest’amore lo riempiva.

Grottaferrata, 16-3-1909.

 

AUTOBIOGRAFIA DI MADRE TERESA

SCRITTA DIETRO RICHIESTA DEL PADRE GALLOIS (1)

(Stesura più dettagliata)

Viva il Cuore traf. di Gesù!

Rev.do padre in G.C.

Cercherò di essere minuta più che posso. Mio nonno Franch, Paul Rayner (7) nato a Bouttencourt, e Mélanie Joseph Iossart (8) nata a Iantissart sous Chaumont; tornati dalla Russia ci presero presso di loro, sicché nel 1882 io mi trovavo in Grottaferrata coi nonni.

Il 25 marzo di detto anno (io sono nata nel ’64 quindi dal p. Ab. (9) andai nell’82 e non già nell’83), andai per la prima volta a confessarmi dal p. Ab. (10) . Io allora avevo 18 anni. La cosa andò così: verso la fine di gennaio ottenni dalla Madonna (come in altra relazione ho scritto) la grazia che non ci fossero veduti i pochi beni paterni che ci erano restati. Dopo questa grazia, ogni sabato digiunavo, e tutte le mattine andavo alla parrocchia e ascoltavo la Messa che celebrava il p. Ab.

Io non lo conoscevo che di nome; ma il raccoglimento e l’aspetto grave che aveva nella celebrazione, mi ispirava venerazione e nel medesimo tempo un vago desiderio di affidarle l’anima mia. La grazia di Dio operava in me, perché cominciai a sentir vergogna del mio modo di vivere; ma non ero ancora risoluta, perché titubavo, però pregavo la Madonna. Benché nulla di particolare, in quel tempo, facessi, pure non essendo abituata ad alzarmi di buon ora, fui sconcertata nella salute e verso la metà di febbraio caddi malata di bronchite; le cure affettuose che i miei cari mi apprestarono, fecero arrestare il male. In questo tempo, mia sorella Adele, per mera curiosità volle andarsi a confessare dal p. Ab., al suo ritorno mi disse quanto questi le aveva detto; mi piacque la sodezza del suo parlare, ed in cuor mio stabilii di andare da lui.

Il 25 marzo, la nonna mi permise di andarmi a confessare, ed a questo effetto nelle ore pom. mi portai alla parrocchia; giunta in chiesa, titubai, ed invece del p. Ab. feci chiamare il curato; questi mi voleva costringere ad andare sempre da lui, ma io lo lasciai dire e mi confessai col pensiero sempre rivolto al p. Ab.

Tornata in casa cominciai a sentire dei rimorsi sulla confessione fatta. Questi rimorsi erano insoliti per me: io che mi confessavo ogni 3 oppure 4 mesi eppure non avevo più pace, e durante la notte mi svegliavo spesso, ed il primo pensiero che si presentava alla mia mente, era la confessione mal fatta. La mattina mi alzai prestissimo e alle sei mi trovavo già in chiesa; feci chiamare il p. Ab. che venne subito; io schiettamente le dissi della confessione mal fatta per il pensiero che avevo rivolto a lui, le raccontai i rimorsi così insoliti avuti, e la risoluzione presa di affidarle l’anima mia. Egli attentamente mi ascoltò, indi mi fece una forte sgridata trattandomi da civetta ed altro ed infine mi disse che presto sarei morta, avendo corta la vita, e dovevo perciò farmi santa: questa parola penetrò nel mio cuore, risvegliò il sentimento che piccolina ai piedi del Crocefisso avevo avuto e risposi: “Mi ci farò”. Ed egli soggiunse che la vita che menavo non mi conduceva certo alla santità, ed io aggiunsi: “Ebbene, lo vedrà”. Tornata in casa dissi in famiglia, specialmente alla nonna, che volevo confessarmi da p. Ab. e mi fu permesso.

Sentivo un desiderio grande di andarmi nuovamente a confessare, ma il timore di essere importuna mi rattenne; nel mio cuore sentivo il desiderio di darmi a Dio; ero stanca di tutto! Dopo 8 giorni tornai dal p.Ab. Egli rimase sorpreso del mio ritorno, perché, come poi seppi, avendo Egli raccontato al p. Maestro D. Teodoro Merluzzi l’accaduto con me, entrambi pensavano che dopo un simile parlare io non sarei più tornata; in fondo non avevano tanto torto, perché se il Signore non avesse tenuta assopita la mia superbia, e risvegliato il sentimento della mia santificazione, non so cosa avrei fatto. Ma il Signore è sempre stato buono con me! In questa seconda volta misi l’anima mia nelle mani di p. Ab. Egli mi parlò dolcemente e quanto mi disse scese nel mio cuore; i suoi detti erano seri e giusti. Nell’animo mio venne una grande pace e tranquillità, compresi che per farmi santa dovevo abbracciare l’ubbidienza e a questa virtù intesi subito inclinare il cuore, nacque anche nel mio cuore il desiderio di farmi povera per amore verso il mio caro Dio, avevo delle grandi consolazioni ed il cuor mio sempre sitibondo di amore, e che purtroppo nulla l’appagava e sempre si sentiva un vuoto insopportabile, si trovava soddisfatto, amava, e questo amore lo riempiva; in una parola era contento. Feci con molta pace e tranquillità la mia confessione generale, e da questa cominciò per me una vita nuova. Mi fu concessa la Comunione due volte la settimana.

Il mio comportamento in casa cambiò di molto; benché per il mio buon cuore, cercavo di accondiscendere al desiderio dei miei cari, pure ciò era sempre una cosa naturale e in fondo cercavo me stessa, ma datami a Dio ben compresi che dovevo cambiare e quindi mi detti ad aiutare la donna di servizio, mi alzavo prima delle quattro, spazzavo il salone e lavavo il pavimento, facevo il caffè. Ricordo che al mio naturale ripugnava a far queste cose, però il mio spirito si trovava molto contento ed in queste faccende e fatiche sentivo il Signore vicino al mio cuore e spesso mi intrattenevo con lui. Per es. io spazzavo: ebbene, nel far questo dicevo al Signore che avesse ben purificata l’anima mia, togliendo da essa tutto ciò che era di ostacolo al suo amore e così facevo in tutte le fatiche che volontariamente mi addossai. Procurai anche di compiacere in tutto quei di casa, non ricusandomi mai e spesso dicevo dentro di me: che dovevo contentar tutti per far contento Iddio.

Come ho detto, mi fu concessa la Com. due volte la settimana, ma il mio cuore non era pago perché sentivo che la Com. era il mio tutto; quindi insistevo e pregavo che mi venisse concessa quotidiana. Un giorno che io la domandai con calde istanze, il p. Ab. mi disse che era disposto a contentarmi in quel giorno che avrei troncata la relazione che avevo con una signora. Io questa l’amavo e volentieri mi intrattenevo con essa, perché aveva versato tutto il suo cuore nel mio, ma ahimé! quante cose cattive mi aveva fatto conoscere!

Io non risposi; andai ai piedi di Gesù Sacramentato e le promisi che avrei troncato ogni relazione. Era dura, per il mio cuore, questa promessa, ma la feci. Nel tornare in casa, questa signora mi chiamò affinché andassi in casa sua, ed io recisamente ricusai; questa, inconsapevole dei miei sentimenti, mi parlò al cuore, pianse, ecc. Io soffrii molto in quel momento, però le dissi risoluta, che avendo cambiato vita io non intendevo più avere relazione con essa. Quanto ciò mi costò Iddio solo lo sa! Il giorno seguente mi fu concessa la Com. quotidiana. Oh, come allora il mio cuore fu felice! Il Signore versava a piene mani le sue consolazioni nel povero mio cuore che sitibondo di amore le riceveva avidamente.

Ottenuto il permesso di comunicarmi quotidianamente io non mi preoccupai più di andare dal p. Ab., la mattina ricevevo Gesù, e alle ore pom. la nonna mi permetteva di passare alcune ore ai piedi del Sacramento, quindi ero felice, non cercavo altro.

Ma ciò non piacque al p. Ab. ed un giorno mi disse che dovevo andare più spesso da lui, ed io le risposi che stavo contenta e non avevo bisogno di nulla; ma Egli mi ordinò di ubbidire e di confessarmi ogni 8 giorni; ed io obbedii.

Quanto più stavo ai piedi di Gesù Sacramentato tanto più il mio cuore si andava distaccando da tutto, quindi cominciai a vestirmi più dimessa, non misi più i fiori sul petto o nei capelli allorché andavo a pranzo, infine levai da me tutte quelle cose che sentivo che non concordavano con quello che mi faceva capire il Signore, ma non lo feci tutto insieme, volta per volta, come capivo, senza prevenire, né ricusare, né ritardare. Datami a Dio la devozione alla Madonna fu ben grande in me, dopo Gesù, io non avevo altro pensiero che Maria, oh quanto l’amavo la Madre mia!... Quanto più nel mio animo cresceva l’amore verso il Signore, tanto più sentivo di dover testimoniare al mio caro Dio, il mio affetto verso di Lui; ma che potevo io fare?...

Mi addossai altre fatiche le più ripugnanti per me, quindi lavavo i piatti, prendevo la legna, custodivo il pollaio, portavo da mangiare agli uomini della vigna ecc., ma tutte queste cose ancora non mi appagavano, e sentivo nel fondo del mio cuore che l’ubbidienza e l’umiltà erano le cose più care e più accette a Dio; quindi cominciai, per amore del Signore, a domare ed umiliare la mia superbia nelle piccole occasioni che mi si presentavano, cercavo specialmente quando mia sorella mi faceva o diceva delle cose che la mia superbia si risentiva, di tacere e non far valere le mie ragioni; ubbidivo a tutti di casa; l’ubbidienza più dura per me fu quella prestata a mammà ed alla sorella Adele, questa perché era tanto capricciosa, e la mammà non ordinava cose giuste e la nonna si dispiaceva. Con andar poi del tempo, il p. Ab. mi ordinò di ubbidire a lui ed alla nonna. In questo esercizio di virtù e nelle fatiche che mi addossavo, io provavo molta pace e tranquillità di animo, che ho ora ritrovata da quando mi sono messa, Padre, nelle sue mani.

In questo primo anno feci i voti, non ricordo la data, né il mese. Mio nonno dava delle frequenti feste da ballo, e benché di molto si fosse ritirato per economia, pure queste feste erano frequenti. Io amavo assai il ballo e ballavo anche bene, quindi ballavo molto ma avendo cambiato vita, il ballo non faceva più per me né entrava più nelle mie idee: in quelle feste dunque prendevo parte alla conversazione, mi vestivo come i nonni e lo zio desideravano, cercavo compiacerli in tutto, ma ricusavo di ballare adducendo lo stato gracile della mia salute.

Di tanto in tanto mi allontanavo dal salone, e nella mia camera da letto mi ponevo ginocchione, facevo la visita, in spirito, a G. Sacrnto, la Com. spirituale, pregavo un poco col mio cuore, e poi tornavo al salone. Quando in famiglia veniva il barone Melhem, allora le feste erano più prolungate, ma io mantenni sempre la stessa risoluzione.

Lo zio Arturo non era contento del mio cambiamento di vita, per più di due mesi mi tenne dei lunghi ragionamenti sulla nostra religione, che egli diceva fanatismo, e metteva in campo tutti i dubbi e tutte le sue idee, per farmi prevaricare. Ma Iddio, sempre buono con me, mi aiutò con la sua grazia. In mezzo a tutte queste cose un solo pensiero stava fisso nel mio cuore: amare e contentare in tutto Iddio, quindi sempre più vigilavo sopra di me. In questo primo anno io cominciai nell’orazione a provare una quiete e pace grandissima, come se l’anima mia prendesse un dolce riposo nel seno del suo Dio.

Questo modo di pregare mi lasciava un raccoglimento interno ed un desiderio più grande di darmi alla perfezione. Tentazioni, non ricordo di averle avute, l’animo mio stava tranquillo e tranquillamente serviva Iddio.

Il 18 ottobre 1882 caddi malata con una polmonite, indi una tisi incipiente cominciò lentamente a consumarmi. Fui attorniata di cure immaginabili, lo zio non aveva più pace e credendo rendermi piacere mi portava ora un romanzo, ora un altro dicendo che questi avrebbero sollevato il mio morale. Io lasciavo fare, ma non ne lessi alcuno. Il p. Ab. mi mandò le opere di S. Francesco di Sales, ma anche queste non lessi, il dottore mi aveva proibito qualunque applicazione mentale.

Ricordo che l’animo mio stava molto tranquillo, l’unica pena che sentivo era quella di non poter ricevere il Signore e non poter stare ai suoi piedi, avanti al ciborio, mi sfogavo con affetti ed atti di amore. Mio fratello Alessandro ogni mattina andava a servire la Messa al suo confessore, onde ottenere dalla Madonna la mia guarigione.

Dopo 4 mesi entrai in convalescenza e quando cominciai ad alzarmi chiesi alla nonna il permesso di far venire il p. Ab., che durante la malattia non domandai mai, per un sentimento di delicatezza riguardo alla famiglia. La nonna subito mi compiacque ed il p. Ab. fu da me nelle ore pom. Io le domandai subito il permesso di rifare la Com. e la visita a Gesù Sacrnto. Egli rimise la cosa alla nonna. Quando il p. Ab. mi lasciò, partì con il presentimento (come poi mi disse) che presto sarei morta; il dottore aveva assicurata la famiglia che non avevo più che tre mesi di vita.

La mia convalescenza andava sempre meglio, sicché cominciarono a tornarmi le forze. Allora la nonna si portò presso le Suore di S. Maria dell’Orto, che da poco tempo erano venute in Grottaferrata ed avevano preso la casa di Gritter vicinissima a noi, e pregò la superiora di permettere che la mattina avessi potuto da loro fare la Com. e nelle ore pom. la visita al Sacramento; queste buone Suore compiacquero la nonna ed io tutti i giorni andavo alla loro chiesina e mi ci trattenevo varie ore. Il Signore con questa occasione, mi fece la grazia di farmi conoscere la bell’anima di Suor Maria Stanislaa ( 11) che poi fu una delle prime 12 Vittime. Che anima cara e quanto amava Gesù! Morì in concetto di santa. Ricordo che un giorno in cui le Suore avevano il Sacramento esposto, ed io ero stata presso il Signore varie ore, la Superiora temendo per la mia salute, mi fece andare un poco nel loro giardino, quivi m’intrattenni con Suor Maria Stanislaa, ed entrambe sedute sull’orlo di una fontana parlammo del Signore. M. Stanislaa, con un volto angelico m’indicò la chiesa e mi disse: “Gesù è là”. Più non parlammo, i nostri cuori si intesero bene.

La mia salute andava sempre migliorando, sicché ritornai nel mio stato naturale, allora approfittando della maggiore libertà che la nonna mi dette, passavo la maggior parte del giorno ai piedi del Sacramento. Spesso nell’orazione i miei sentimenti restavano sospesi, ed io allora non avevo più pensieri, né avvertivo quanto attorno a me accadeva. In questo stato alcune volte mi si presentava Gesù alcune altre volte invece sentivo la sua voce nel mio cuore che mi chiedeva di essere consolato, che il suo Cuore era trafitto e che cercava anime. Io provavo tanta pena e passavo le ore a internarmi nelle pene del caro mio Signore.

Una volta stavo ai piedi di Gesù Sacrnto, nel mio poco procuravo consolarlo nell’abbandono in cui è lasciato nel Sacramento, quando Gesù mi si presentò, avanti al ciborio, in un aspetto mesto e addolorato, Egli non parlò, ma mi mostrò il suo Divin Cuore trafitto da una spina, al lato destro, al disopra del Cuore. Io capii che Gesù voleva essere consolato e che era trafitto il suo Cuore. Io mi intesi tanta pena, i miei sentimenti erano tutti assorti nel pensiero di Gesù e del suo Cuore trafitto. Rimasi lungo tempo ai piedi del Sacrnto, io, Gesù non lo vedevo, ma non potetti più pregare, una sola cosa occupava la mia mente e immaginazione, cioè il Cuore trafitto di Gesù. Andai poi in casa, ma questo pensiero teneva la mia mente occupata e per più giorni sentivo tanta pena per Gesù... Gesù tornò altre volte nella stessa maniera a farmisi vedere e ricordo che il suo atteggiamento mesto e la vista del suo Cuore trafitto penetrava nel mio cuore.

Io allora non ero capace di altro che di sentire tanta pena e ci soffrivo tanto.

Io riferivo tutto al p. Ab. Egli mi raccomandava sempre ubbidienza, semplicità ecc. Non sapendo la causa perché il Cuore di Gesù era trafitto da quella spina, mi ordinò di domandarlo al Signore, e quando Gesù mi si presentò nuovamente col suo Cuore così trafitto ed in quello stato di mestizia, io, nell’intimo del mio cuore le domandai la causa di quella spina, e Gesù con accento mesto e doloroso mi disse: “Il mio Cuore è trafitto da questa spina conficcatami da quei sacerdoti che non corrispondono alla sublime loro vocazione”. Mi richiese di consolarlo e più nol vidi. Tutto questo produceva nell’anima mia un desiderio grande di condurre anime al Signore.

La prima volta che vidi Gesù col Cuore trafitto, fu nelle ore pom.: io stavo ai piedi di Gesù Sacramentato nella Parrocchia; quando mi disse la causa delle spina che trafiggeva il suo Divin Cuore, fu un giorno di domenica nel tempo dopo la S. Messa.

Il sapere che il Cuore di Gesù soffriva, mi eccitava nel cuore un vivo desiderio di patire io pure qualche cosa, mi formai delle cinte con latta tagliata a punta, ma il p. Ab. non me lo permise, mi dette una cat. ed una discip., la prima la portavo quasi tutto il giorno e qualche volta anche la notte, la seconda poi la facevo ogni giorno e molte volte sino a sangue.

Nei venerdì ottenni di non bere mai, mi alzavo la notte per pregare, durante il giorno poi ero costretta secondare l’impulso che internamente sentivo di umiliarmi e vincere le ripugnanze della mia natura. In tutto questo io trovavo uno sfogo nel mio cuore che tanto sentiva di amare Iddio e tanta pena mi sentivo per Gesù Eucaristia; oh, le pene del Cuore di Gesù erano sempre nella mia mente, ma io non potevo comprendere come il Cuor di Gesù venisse offeso dai Sacerdoti e pensavo che era un inganno il mio; ma un giorno Egli mi disse: “Il Sacerdote è parte delle mie viscere, pupilla dei miei occhi, il carattere sacerdotale è al disopra di qualunque dignità. Io ho chiamato queste anime al mio servizio dandole una vocazione così sublime, le ho circondate di lumi e grazie dello Spirito Santo e le ho messe in mezzo alla società affinché, trattando continuamente tra essa, mi fossero tanti canali in cui le anime passassero per venire al mio cuore. Ma – aggiunse con espressione di dolore – non tutti corrispondono alla loro vocazione e con le loro infedeltà e ingratitudini trafiggono il mio cuore conficcando una spina in esso”. Mi chiese poi di riparare e consolarlo nel suo dolore.

Per pregare non ho mai adoprati libri: una volta il p. Ab. mi domandò come pregavo, ed io le risposi che al Signore le dicevo tutto quello che mi veniva dal cuore, ma Egli non rimase appagato e volle sapere se pregavo con la bocca; le dissi di no, perché era il mio cuore che parlava; allora non mi domandò altro. Benché amavo tanto la lettura, pure allorché mi detti a Dio non lessi più, al p. Ab. restituii le opere di S. Francesco di Sales, ritenendomi solo i Trattenimenti che qualche volta leggevo, adopravo anche l’Imitazione di G.C. che mia madre per la mia festa me ne aveva comprata una in francese. Altri libri non ricordo di aver letto; il p. Ab. mi aveva proibito qualunque lettura, e se alle volte mi davano qualche vita di santi, io la sottoponevo prima al giudizio del p. Ab.

In questo anno 1883 nel mese di novembre mi aggregai alla congregazione delle Zelatrici; alla funzione per l’ammissione della medaglia venne la nonna, la sorella Adele ed il fratello Alessandro. Il p. Ab. mi rivolse un discorso molto bello sulle pene del Cuore di Gesù e sulla riparazione, il popolo rimase molto soddisfatto, ed il mio cuore sentivasi ben contento di aver donato il mio nome a questa congregazione.

Con il consenso della nonna, andavo a visitare gli ammalati, sola però non mi è stato mai permesso, quindi mi riunivo con una zelatrice di età e maritata.

Dagli ammalati specialmente poveri, quanto si doveva fare! Mancavano di tutto e restavano soli la maggior parte del giorno, quindi si portava loro cibo, biancheria, le spazzavamo la camera ecc. ed in ultimo ci assedevamo e le si parlava del Signore e dei novissimi; e questa povera gente, specialmente quelli abbandonati nella campagna, rimanevano tanto contenti, ed accettavano i sacramenti.

Prendevo con mia grande consolazione parte all’adorazione pubblica che le Zelatrici facevano nella parrocchia, sicché posso dire che questa congregazione l’amavo molto perché si occupava del Signore e del prossimo. Dopo poco tempo fui eletta assistente, ed allora ebbi più libertà per occuparmi di tutte quelle pratiche che riguardavano più direttamente Gesù Sacrnto; ebbi anche l’incarico di regolare l’ora santa nel primo giovedì del mese. Dodici zelatrici prendevano parte a quest’ora.

La mia salute faceva degli alti e bassi e spesso ricadevo malata con bronchite; ma appena riavuta riprendevo il mio tenore di vita.

Il p. Abate mi donò un Crocifisso in carta pesta, molto espressivo, ed anche mi fece dono di un quadro con l’immagine del Cuore di Gesù, mia nonna mi fece tutto accomodare nella mia camera da letto, ed allorché restavo in letto, veniva con mia sorella ed il fratello a recitare il Rosario vicino a me ed avanti il Crocifisso. Benché non sempre forte in salute e quindi impotente a seguire tutte le pratiche di pietà, sentivo però sempre crescere nel mio cuore l’amore verso il Signore, e quanto più comprendevo le pene del Cuore Eucaristico di Gesù, tanto più sentivo il desiderio di essere tutta di Dio e di consolare il Cuore trafitto di Gesù.

Io comprendevo bene (come scrivevo al p. Ab.) che nello stato di gloria in cui Gesù sta non può più patire, ma il mio cuore sentiva il bisogno di riparare e portare anime a Gesù che sapevo sitibondo di esse. Un giorno che pregavo e pensavo come mai il Signore mi amava tanto e mi faceva intendere le pene del suo Cuore, mentre io ero tanto cattiva, intesi nel fondo dell’anima mia queste parole, che lasciarono tanta pace nell’anima: “Io mi voglio servire di te come di un canale per condurre le anime al mio Cuore”.

Quando il mio spirito era preso fortemente di Dio allora tutto mi parlava di lui, ed il mio cuore non poteva contenere la forza di un amore così veemente e sentivo che l’anima mia faceva dei grandi slanci, come (dicevo al p. Ab.) volesse scappare dalla prigione del corpo per andarsene da Dio.

Nell’Avvento del 1884 ebbi il permesso di digiunare, ma questo apportò danno alla mia salute.

Durante questo Avvento, attesi in modo più particolare a purificare l’anima da quei difetti in cui cadevo giornalmente. Non ricordo se fu in questo tempo che detti qualche biglietto al p. Ab. per portarlo su sé ed offrirlo al Signore nel tempo della santa Messa. In questi biglietti, scrivevo a Gesù chiedendole amore e mi donavo a lui.

Fu anche in quest’anno che la nonna mi permise di rivestire e fornire di tutto l’occorrente una bambina più povera del paese, ed il giorno di Natale la rivestii tutta.

In questo tempo conobbi Teresa Canestri e strinsi amicizia con essa. Nonna me lo permise ed il p. Ab. fu contento. Ricordo che le pratiche di pietà le facevamo insieme e cercavamo animarci ad amare tanto il Signore. Una volta Teresa fu penitenziata dal p. Ab. che le tolse la Com. Questa mi fece tanta pena ed un dopo pranzo mi portai dal p. Ab. e perorai per Teresa; ma il p. Ab. mi disse che non poteva contentarmi perché Teresa non si umiliava né rientrava in sé: vidi giusto il sentimento del p. Ab. e tacqui. Desiderando di fare la disciplina, chiesi, allora, il permesso, notificandole il perché volevo farla, ed era per offrirla al Signore perché mi facevano pena i lamenti del Signore e volevo fare qualche cosa per lui. Il p. Ab. non mi rispose, ma dopo stata un poco in silenzio mi disse: “Scegli: se io ti concedo quanto mi chiedi, io non ridò la Com. a Teresa: se ridono la Com. a Teresa, a te non concedo la disciplina”. Io allora pensai che il Signore sarebbe stato molto contento riandare in quell’anima, ed allora risposi: “Padre, vado a chiamare Teresa, la confessi e le ridoni la Com.”. Mi levai subito dal confessionale e mentre Teresa si confessava pregai tanto che il Signore la facesse rientrare in sé. Dopo confessata, mi disse che il p. Ab. l’aveva perdonata e le aveva ridonato la Com.: il mio cuore fu molto contento.

Andavo così, pian piano, servendo il Signore, seguendo quanto Egli mi richiedeva, e procuravo in tutto tenere il mio cuore libero da ogni affetto. Fra mio fratello Alessandro e me vi era un affetto particolare, spesso ci abbracciavamo e non potevamo stare lungo tempo divisi; io pensai fare un sacrificio al Signore, quindi promisi, per un tempo determinato, di non abbracciare più il fratello. Fu duro per me questo sacrificio, ma potevo negare qualche cosa al Signore? Spesso il p. Ab. mi diceva che Egli aveva fatto fare 9 anime religiose, ed io rispondevo: “La decima non sarò io, perché un monastero come sento nel mio cuore non esiste”, ed Egli per solito mi rispondeva: “Tu che ne sai? Non conosci i monasteri”, era giusta la sua risposta e tacevo: ma poi mi interrogava ed io semplicemente le dicevo che desideravo un monastero dedicato alla riparazione unendosi con Gesù Sacramentato, e poi le ricordavo i lamenti del Signore e il desiderio di portare anime a Dio: questo desiderio era grande in me.