Lettera n° 7
Roma, 23 Gennaio 1939
Carissime Figlie,
passa il tempo, e col suo ritmo uguale e senza sosta, ci riporta rapidamente ogni anno alle date dei giorni memorabili nei quali noi viviamo nuovamente qualche istante del passato lieto e doloroso come furono gli avvenimenti che esso ci ricorda.
L'anniversario di cui oggi voglio parlarvi è quello del 2 Febbraio, data che voi ben conoscete. Esso è e sarà sempre carissimo ai nostri cuori, perché ci ricorda l'inizio del nostro amato Istituto, e sono certa che tutte in quel giorno ci ritroveremo istintivamente col pensiero nella povera e tanto amata casetta di Grottaferrata, dove si svolsero i primi anni di vita nell'umiltà, nella povertà e nella sofferenza, sotto la guida della nostra carissima Madre, confortate dal suo materno affetto e nel pieno esercizio di quella virtù maschia e decisa che essa sapeva così bene esigere da sé e dalle sue figlie. Come voi ben sapete, la festa del 2 febbraio fu scelta come data di inizio della vita dell'Istituto, appunto perché essa ci ricorda la prima offerta pubblica fatta da Gesù al Divin Padre per la salvezza nostra. Essa segna quindi l'inizio del sacrificio divino dinanzi agli occhi degli uomini, ed allora il rinnovare la nostra completa dedizione a Gesù in questa giornata è atto quanto mai opportuno per noi Oblate, chiamate per vocazione ad unire il nostro sacrificio a quello di Gesù per i fini dell'Istituto.
È vero che noi facciamo sempre il possibile per ben prepararci a quest'atto sempre nuovo e sempre ardentemente desiderato, ma io non vorrei che poi dovessimo fermarci semplicemente a raccogliere ricordi o destare sentimenti, ma desidero piuttosto che questa cara e memorabile data segni ogni anno per noi un nuovo punto di partenza verso la perfezione a cui ci siamo obbligate in forza appunto dei nostri voti. Non si richiede certamente dalla religiosa una perfezione già acquistata, ma si esige che essa tenda continuamente ad acquistarla, ritenendo ciò come uno dei più grandi doveri del nostro stato.
È utile, bello e molto pratico ricordare questa grande verità e rendersi conto della nostra vita di ogni giorno per ricercare quali siano gli ostacoli che ci impediscono o ritardano il cammino.
Figlie mie, la strada è lunga e scabrosa, ma l'amore saprà renderla dolce e soave: percorriamola generosamente e facciamo sì che in ciascuna di noi si riscontri l'impronta di quella virtù forte e virile che tanto stava a cuore alla nostra carissima Madre.
Guardate la grandezza e la sublimità del fine; essa vi dirà che, per raggiungerlo, ogni sacrificio è niente, ed io, lo sapete bene, intendo sempre il sacrificio pratico, la virtù vissuta, e non i desideri vaghi e sentimentali che tolgono all'anima l'energia e le forze e la fanno contentare di quello che è apparenza, dimenticando la sostanza. Desidero dunque che Gesù trovi i nostri animi apparecchiati a tutto e che anticipatamente sappiano tutto accettare, pronti a praticare le virtù che esigono i forti e dolci legami che ci uniscono allo Sposo Divino.
Amiamo la povertà a) Nell'Istituto. Iddio gli dà questa impronta e la nostra Madre, come ben ricordate, questa desiderava per noi con tutte le sue conseguenze penose ed umilianti. Del resto, è la parte che scelse Egli stesso e ne fa fede anche l'umile offerta che Maria SS. presentò al Tempio per riscattarlo: due tortorelle, l'offerta delle persone più abbiette e più povere. E noi, seguendo la via che per ora la Provvidenza ci traccia, guadagniamo il nostro pane col sudore della fronte, aiutiamo i nostri bambini e i nostri Seminaristi con il sangue delle nostre quotidiane fatiche, e, pur usando ogni industria per migliorare le condizioni dell'Istituto, accettiamo generosamente questo stato di cose e contentiamoci di presentare a Dio i nostri desideri di un bene maggiore, rimettendoci in tutto alla sua volontà.
b) In noi stesse. Contentiamoci di quello che ci danno per il vitto, il vestito, l'uso delle cose necessarie; non cerchiamo i nostri comodi sotto nessun aspetto. La natura è così astuta nel farcene vedere la necessità indispensabile, ed è così scaltra nel farci trovare il modo di procurarceli! ... Rinunziamo generosamente a tutte queste cose grandi e piccole che tanto ci impediscono l'esercizio della bella virtù della povertà, della quale bisogna pur sentire il peso, altrimenti a che varrebbe essere povere senza mancare di nulla?...
c) Nei nostri affetti. Con un distacco generoso e completo da tutto quello che non è Dio e che a Lui conduce: distacco dalle persone care che abbiamo lasciato con un addio solenne ed irrevocabile, distacco dalle stesse cose buone che dobbiamo amare sempre in ordine a Dio, pronte ad affrontare ogni situazione ed a rinunziare a tutto, quando una sola parte del nostro essere non dovesse appartenere a Lui solo.
Amiamo la castità
È la virtù che ci rende simili agli angeli, essa ha formato la dolce attrattiva della nostra giovinezza e noi l'abbiamo amata forse senza neppure conoscerla. La nostra grande vocazione, per la quale sentiamo di dover offrire a Dio il sacrificio di soave odore di tutto il nostro essere, doppiamente ci spinge a conservare intatta in noi questa grande virtù, nei pensieri, negli affetti, nei desideri, astenendoci da tutto quello che potrebbe anche lontanamente offuscarla. Tutto ciò che ci circonda più da vicino, e che forma la nostra vita e la ragione del nostro essere di Oblate, tutto ci parla e tacitamente ci raccomanda una purezza intemerata: dalla bianca Ostia dei nostri altari ai candidi lini che così sovente tornano nelle nostre mani; dalle bianche vesti sacerdotali fino al candore degli abiti che indossiamo, tutto deve essere per noi forza, monito, sprone, onde percorrere serene, vigilanti e forti, quella via che deve condurci al seguito dell'Agnello Immacolato e nel Cuore di quello Sposo Divino, di cui né il cielo né la terra ce ne potrebbero dare uno uguale.
Amiamo l'ubbidienza Eccoci, o figlie carissime, al punto culminante della nostra dedizione: i beni esterni, i beni del corpo, i beni dello spirito, e il sacrificio è al completo. Ma se ai primi si rinunzia con più facilità, non è così per gli ultimi che sono i più cari, i più preziosi, i più intimamente legati alla natura umana, poiché è al gran dono della nostra libera volontà che noi rinunziamo e per sempre. Questo è il punto più difficile da superare, ma per chi sa comprenderla, c'è una luce vivissima che irradia il cammino, c'è una forza suprema che spinge e che incalza ed alla quale l'anima non può resistere: l'esempio e la grazia di Gesù. « Traimi Tu dietro a Te: correremo noi all'odore dei tuoi profumi », dicemmo noi nel varcare la soglia della Religione, e Gesù ci attirò con la luce dei suoi esempi e con la forza della sua grazia. Tutta la sua vita fu un'obbedienza continua e questa è stata la grande virtù per mezzo della quale Egli salvò il genere umano.
Gesù ubbidisce al Divin Padre che lo vuole Redentore del mondo e scende nel seno di Maria, va con essa a Betlemme per ubbidire all'editto di Cesare, nasce in una grotta e si sottomette a tutto quello che possono soffrire i bambini, deboli e fragili creature. A Nazareth, tutta la sua vita si compendia in queste parole: «Era ad essi soggetto » . Viene la sua vita pubblica ed Egli stesso dichiara: « il mio cibo è di fare la volontà di Colui che mi ha mandato ». E «alziamoci e andiamo » dice all'inizio della sua Passione, nell'ora della sua grande ubbidienza. Agonizza, suda sangue, il suo dolore è immenso, l'anima affranta, ma anche lì l'ubbidienza trionfa. «Sia fatta la tua volontà e non la mia » . Vengono il tradimento, la condanna, i flagelli, le spine, la Croce ... «Sia fatta la tua volontà». Dona infine la Madre sua e, vedendo che nulla manca al sacrificio fatto di sé all'ubbidienza, pronunzia le sue ultimi parole: «Consummatum est ». Il suo sacrificio è finito, la sua ubbidienza è perfetta.
E questo non è tutto, figlie mie, Gesù sapeva bene che questa lezione, pur così grande, sarebbe stata in breve dimenticata, e allora nella sua infinita sapienza trova il modo di poterla perpetuare. Ed eccolo sui nostri altari, dove si può ugualmente dire: «Era ad essi soggetto », perché Gesù-Ostia ubbidisce a tutti, in tutto e sempre.
I - A tutti: ai Sacerdoti che lo chiamano sull'altare, ai fedeli che lo desiderano, ai ladri che rubano le sue specie, ai sacrileghi che le gettano nel fango e ne fanno ogni scempio.
II - Ubbidisce in tutto: nel Tabernacolo Gesù non ha volontà propria e la sua libertà è incatenata dai legami del Sacramento. Si mette in un Tabernacolo, si espone nell'Ostensorio, gli si cambia posto, si dà ai fedeli, si porta agli infermi, si vuol portare in trionfo per le vie della città, e Gesù è sempre pronto senza scuse e senza rifiuti. Ubbidisce sempre: se il Sacerdote pronunzia le parole della consacrazione, Gesù subito viene; se tace, malgrado il suo desiderio, Gesù non potrà venire fra noi sacramentalmente. Noi sappiamo che ad ogni momento del giorno e della notte si celebrano continuamente le SS. Messe sulla terra, ed ecco Gesù che compie una continua ubbidienza e la compirà fino al giorno in cui nel mondo si dirà l'ultima Messa.
E noi, che siamo state chiamate dal Signore a partecipare più da vicino a questa vita eucaristica, dobbiamo profondamente sentire il dovere di imitare le grandi virtù che rifulgono dal S. Ciborio. Noi lo dicemmo: «Traimi Tu dietro a Te », ed Egli ci attirò e ci fece sue.
Corriamo ora generosamente dietro « l'odore dei suoi profumi», dietro la luce dei suoi divini esempi, nell'ardore di un amore senza misura per Colui che ci elesse e ci volle sue Spose ed Oblate del S.C. di Gesù. ... Sempre unita a voi col pensiero e col cuore, vi assicuro che vi avrò tutte presenti come se nessuna distanza ci separasse, giacché sono certa di ritrovarvi tutte nel Cuore Sacratissimo di Gesù, dove speriamo di attingere sempre nuove forze per nuovi sacrifici, per vivere e morire da vere Oblate del suo Divin Cuore.
Affettuosamente vi abbraccio e vi benedico insieme ai cari Piccoli Amici di Gesù.
La Madre
Lettera n. 6
Preparazione all'Avvento
Roma, 24 Novembre 1938
Carissime Figlie,
sebbene da poco vi abbia inviato una circolare, pure non posso fare a meno di ritornare a voi per suggerirvi un pensiero per l'Avvento che si avvicina e trovarci così sempre unite, non solo di cuore e di sentimenti, ma anche nell'esercizio della virtù per formare un solo tutto in tutte le cose.
La virtù, verso la quale io desidero che vi orientate in questo Avvento e la cui pratica deve servirvi ora come preparazione per il Natale e poi come base di tutta la vostra vita, è quella di una totale e completa sottomissione della vostra volontà e del vostro spirito a quello dei vostri Superiori. Né potrebbe darsi tempo più adatto di questo per riconcentrare il vostro spirito su questa virtù, perché l'esempio di Gesù ed il suo ammirabile "Ecce venio" deve parlare eloquentemente al cuore di un'Oblata. Ed io intendo sottomissione in tutta l'estensione del termine e cioè: nel pensare, nel giudicare, nell'agire; sottomissione agli ordini, alle disposizioni, alle intenzioni dei Superiori, piegando il proprio spirito subito, appena si riceve l'ordine, senza che l'anima senta il bisogno di una preparazione più o meno remota, perché l'Oblata in qualunque momento ed in ogni circostanza deve essere disposta e pronta "per offrire sacrificio al Signore" (Rito per l'ammissione al probandato). Sottomissione verso chiunque abbia anche una piccola partecipazione dell'autorità e questo lo raccomando in modo particolare alle Maestre ed a quelle che in qualsiasi modo hanno qualche contatto con i bambini, fra le quali più di una stenta a sottomettersi alla Direttrice.
No, Figlie mie, bisogna andare avanti con il principio di fede il quale ci insegna che ogni autorità viene da Dio, e quindi le Suore addette ai bambini debbono umilmente dipendere dalla Direttrice in tutto ciò che riguarda l'andamento del Collegio e la formazione dei bambini, senza cercare da un'autorità superiore cambiamento di ordini o di disposizioni. La Superiora ha certamente tutta l'autorità di intervenire e le suddite il diritto di rivolgersi a lei, ma ella non dia mai ad una maestra un ordine contrario a quello ricevuto dalla Direttrice, senza prima segretamente interpellare questa che, a sua volta deve umilmente dipendere dalla Superiora.
Tale sottomissione a tutti i gradi dell'autorità, è la via diritta: chi opera diversamente corre il rischio di divenire fine a se stessa, e togliere dalla sua vita religiosa il fondamento più importante. E, senza il fondamento, ogni edificio crolla.
Io ho fiducia in voi e so di poter contare sulla vostra buona volontà, ma per aiutarvi nell'esercizio di questa virtù e togliere uno dei maggiori ostacoli che vi impedirebbero di raggiungere l'intento, sento il bisogno di insistere perché nessuna mai si permetta di esprimere alle altre, sia in pubblico che in privato, il proprio giudizio e criticare gli ordini e le disposizioni sia della Superiora Generale che delle Superiore locali...
Spero che, con l'aiuto di Dio, con la vigilanza assidua e coscienziosa delle Superiore locali e con la vostra amorosa cooperazione, potremo riuscire a... fare di tutti i nostri cuori un solo ed unico altare, dal quale si elevi incessantemente a Dio l'incenso puro e santo del nostro quotidiano sacrificio.
Che Gesù possa trovare i nostri cuori ben preparati ed infondere in essi il desiderio di ogni virtù tradotto in pratica per la sua maggior gloria, per la nostra santificazione e per ottenere la realizzazione dei grandi fini della nostra vita.
La Madre
Festa del Sacro Cuore di Gesù anno 1938
Lettera n. 5
Roma, 21 Giugno 1938
Carissime Figlie,
la grande festa che si avvicina è per noi una dolce occasione che, facendoci dimenticare la distanza che ci divide, fa incontrare le anime nostre e riunisce tutti i nostri cuori in quello di Gesù.
Il giorno di Venerdì che si approssima è per l'Oblata la festa per eccellenza: la festa del suo spirito, la ragione di essere della sua vita, perché la festa del S. Cuore è il trionfo dell'amore, il riconoscimento dei suoi diritti, è l'espressione suprema di un dolore senza confini che ha ferito e fatto spasimare quel Cuore appunto perché non era e non è amato. E nell'ardore dell'amore, Egli apre il suo petto, svela il Cuor suo e prorompe in quel grido: «Ecco quel cuore che ha tanto amato gli uomini, fino a vuotarsi ed a struggersi per loro mostrar l'amore suo... ma in cambio non ricevo che ingratitudini e disprezzi...». Questo grido amorosamente raccolto dall'umile monaca di Paray-le-Monial, S. Margherita M. Alacoque, riconosciuto dall'autorità suprema della Chiesa, fa sentire la sua eco pietosa attraverso i secoli, giunge al cuore umano, lo penetra, lo commuove, lo investe, lo incalza, e lo rende capace delle più grandi imprese e dei più eroici sacrifici pur di dare a questo Cuore divino amore e riparazione.
Figlie mie, anche noi ascoltammo un giorno questa voce divina. Essa ci giunse mentre la nostra anima si apriva alla vita, sognando forse altre gioie ed altre felicità. Ma quella voce arcana, dolce e soave, fu così potente, la luce che si fece alla mente fu così viva, che noi ci sentimmo attirate irresistibilmente e, rinunziando a tutto, ci mettemmo alla sequela di quel Cuore per dividerne le pene, per confortarne gli intimi dolori e per appagare la sua ardente sete di amore. Ciascuna di noi ricordi in questo momento quella voce... quell'invito... le dolcezze dei primi richiami... la forza e la volontà che ci condussero definitivamente a Lui.
Ma, a chi andammo noi?... Ad un Cuore divorato dalle fiamme e tormentato dalla Croce, ad un Cuore circondato dalle spine, un Cuore trafitto e che butta sangue dalle sue ferite... Consideriamo allora il nostro programma. Il S. Cuore di Gesù ci insegna l'amore, e l'amore ci spinge ad abbracciare la Croce, perché chi ama veramente anela di soffrire per l'amato Le spine numerose e pungenti che lo circondano rappresentano la pratica delle virtù giornaliere, i sacrifici, piccoli, minuti, continui, talvolta pungentissimi... ma, per chi ama, le spine si cambiano in rose, la pena in gioia, il dolore in felicità.
Finalmente, il S. Cuore di Gesù è dolorosamente trafitto, e dalla sua ferita gronda vivo sangue, ebbene, per consolarlo sappiamo accettare quella sofferenza... quell'umiliazione... compiere quel distacco, sopportare quell'angoscia che fa sanguinare il nostro cuore e ci unisce alle pene dello Sposo Divino nell'intimità di un dolore finalmente compreso e condiviso, e che deve dare a Lui tutta la gloria che gli spetta come a Sovrano e Padrone assoluto di tutte le sue creature.
Ed è per noi un obbligo grande quello di accettare la sofferenza, giacché, ricordando lo scopo principale del nostro Istituto, dobbiamo sentire tutto il peso della responsabilità che ci siamo addossata quando accettammo di divenire le Oblate del S. Cuore di Gesù, secondo il pensiero della nostra indimenticabile Madre, per poter compiere gli intimi desideri di Lui e togliere dal suo Cuore quella spina che lo trafigge. E siccome non vi può essere riparazione senza dolore, così noi dobbiamo cercare, amare e volere tutto quello che ci mette nella possibilità di assolvere questo grande compito, offrendoci a Gesù come il « sì » vivente per impetrare grazie di santificazione per noi, per tutti, ma soprattutto per le anime sacerdotali, pupille dei suoi occhi, amore supremo del suo Cuore divino.
Questi forti e soavi pensieri di amore e di riparazione io ho voluto oggi ricordare a voi tutte, affinché la festa del S. Cuore di Gesù ci rinnovi nello spirito della nostra vocazione e ci serva come punto di partenza per un nuovo balzo generoso nella via della virtù realmente praticata e del sacrificio accettato senza riserva.
Considerate e sminuzzate seriamente questi pensieri ai piedi di Gesù esposto e prendete delle risoluzioni efficaci e da tradursi subito in atto, senza perdere tempo in desideri di cose grandi e straordinarie che forse non verranno mai.
Questo è quanto vi auguro per la nostra festa. Vorrei avervi tutte vicine in un giorno così bello e godere della vostra compagnia che mi è carissima, ma il dovere tiene legata ciascuna al proprio posto e ci porge così l'occasione di offrire un bel sacrificio a Gesù. Del resto, per i cuori non vi è distanza, ed io, strettamente unita a voi tutte, vi saluto con materno affetto, implorandovi dal divin Cuore le più elette benedizioni e frutti copiosi di amore e di santità.
La Madre
don Cosimo Petino,
Lettera numero 4:
primo "Piccolo Amico di Gesù",
è ordinato Sacerdote!
Roma, 7 Maggio 1938
Carissime Figlie,
un avvenimento ardentemente desiderato, e lungamente atteso, oggetto di tanti sospiri e ispiratore di tanti sacrifici, sta ormai per avverarsi: in questo mese di maggio e precisamente il giorno 15 avremo il nostro primo Sacerdote...
Che cosa non racchiudono mai queste parole? Tutto per il cuore di un'Oblata!
E, naturalmente, ciascuna di noi si riporta col pensiero a un lontano passato, quando, nel segreto di un'anima tanto a noi cara, l’amatissima Madre Teresa, cominciò a giungere l'eco dolorosa ed appassionata dei desideri del Cuore di Gesù... E la risposta fu pronta e generosa.
Passarono lunghi anni di preparazione nell'umiliazione, nel nascondimento, nel sacrificio reale e vissuto di giorni senza luce, di incertezze dolorose, di lotte e di difficoltà senza numero, finché finalmente la luce spuntò e indicò la via da percorrere per giungere al compimento dei desideri di Gesù. Si ridisegnò allora il cammino con nuovo ardore nel cuore, si lavorò senza tregua, si superarono gli ostacoli che sbarravano il passo e sembravano insormontabili, finché un sacrificio supremo (l’offerta della propria vita da parte della Madre Teresa)diede la spinta finale. Ed ora eccoci alla meta: bella, viva, raggiante di splendore divino. Il primo Sacerdote!...
Cosimo Petino, primo bambino che l'Opera dei Piccoli Amici di Gesù accolse nel suo seno con tutta la freschezza della sua innocenza e che le suore coltivarono, vigilando su di lui con materno amore, cercando di formarlo, come meglio seppero, al grande ideale del sacerdozio, è giunto all'altare. Ancora pochi giorni, ed egli sarà consacrato Sacerdote di Cristo!
Ebbene, mie care figlie, questa grande gioia unita al ricordo degli anni trascorsi ed a tutta la storia che essi racchiudono, deve farci lungamente pensare e riflettere onde non dipartirci mai da quella vita e da quello spirito che seppe condurci al coronamento dei sacrifici compiuti. Quei lunghi anni passati nell'umiliazione, nel nascondimento, nella preghiera fervida, furono il preludio della gioia di oggi, e se vogliamo che questa gioia si rinnovi, se vogliamo che questo Sacerdote sia il primo anello di una lunga catena che non si spezzi più e che porti alla Chiesa quei benefici che forse noi oggi neppure sappiamo immaginare, ebbene, seguiamo quella via.
Noi Oblate però, chiamate per bontà di Dio ad una missione così grande, dobbiamo saper restare sempre nell'ombra, lavorare in silenzio, soffrire sotto il solo sguardo di Dio, facendo della nostra vita un sacrificio perenne e nascosto, un turibolo senza splendore, un seme che nell'oscurità della terra marcisce e muore per dar vita ad una santa vita sacerdotale. Solo così noi potremo continuare la grande Opera dei Piccoli Amici di Gesù, e solo questo spirito, portato in tutte le nostre azioni e nei vari compiti che l'obbedienza ci affida, potrà vivificare le anime dei nostri bambini e fare di ciascuno di essi un Sacerdote santo, che sappia un giorno portare all'altare il giglio intemerato della sua innocenza battesimale congiunto alla grazia sublime del Sacerdozio: questa deve essere tutta la nostra ambizione.
Purtroppo, in mezzo alla gioia, vi è qualcosa che turba la serenità dei nostri cuori e li riempie di tristezza: l’assenza della nostra indimenticabile Madre, di lei a cui Gesù affidò il compimento dei suoi desideri. Già da vari anni, ella, pregustando la felicità del giorno che si avvicina, volle farne un sacrificio anticipato al Signore e, in data 21 Maggio 1920, così scriveva: « Mio Dio, vi fo il sacrificio della mia vita per lo sviluppo e la stabilità dell'Istituto. Io m'impegnerò, per quanto è da me, per l'Opera vostra, ma voi prendete la mia vita allorché potrei godere vedendone la stabilità e lo sviluppo». Ciascuna di noi sa come il Signore abbia accettato questa generosa offerta, ed allora dobbiamo togliere dai nostri cuori ogni tristezza e consolarci pensando che è lei che così ha voluto. Ella sarà certamente presente in ispirito vicino all'altare del suo primo Sacerdote, offrendogli in dono il sacrificio di una vita tutta spesa per lo scopo che appunto in lui si compie e si raggiunge.
Ma, ricordiamoci sempre, che la Madre non seguì altro programma: ella è stata la personificazione del sacrificio perennemente nascosto, del turibolo senza splendore, del seme dal cui disfacimento ha preso vita questo primo fiore e della radice nascosta sotto terra che vivifica l'Opera tutta in un rinnovato fervore di volontario e generoso di sacrificio.
Giunge all'altare il nostro primo Sacerdote: seguiamolo con le nostre ardenti preghiere, come la mamma amorosa che, dopo aver vegliato sull'infanzia del suo bambino, dopo averne seguito l'adolescenza e la prima giovinezza, sente di doverlo ormai lasciar libero di seguire quella via a cui Iddio lo chiama, mentre a lei non resta che pregare per lui. Ma solo Iddio sa quali siano i voti e le preghiere del suo cuore materno per quell'essere a lei così caro. È il nostro caso. La nostra preghiera salga quindi quotidiana e fervente per lui e raccomandiamolo specialmente alla Madonna, che, quasi a dimostrarci la sua materna compiacenza, lo ha voluto sacerdote proprio durante il mese a lei consacrato.
In questi giorni che precedono la Sacra Ordinazione, in tutte le Case dell'Istituto, si reciti una volta al giorno la preghiera ricavata dalla liturgia della S. Ordinazione, di cui vi mandai copia mesi addietro. Così la preghiera liturgica, innalzata a Dio con unità di pensieri e di sentimenti, riuscirà più gradita ed accetta al Signore.
Come già vi ho avvertito, spero che tutte le Case dell'Istituto mandino la propria rappresentanza qui a Roma per il giorno 14 maggio, onde essere presenti alla sacra cerimonia. Ad esse spero che possano unirsi i Seminaristi, ex Piccoli Amici di Gesù, dei vari Seminari, in modo che, insieme ai nostri amati e venerati Superiori, che tanto ci aiutarono e si prodigarono per il bene dell'Opera, la famiglia spirituale sia al completo.
Implorando infine dal Signore per me e per ciascuna di voi la realizzazione del grande programma di vita fervente, operosa e nascosta, nell'intimità della gioia che voi tutte condividete, io vi saluto, vi abbraccio, e affettuosamente vi benedico.
La Madre
Lettera n.3
Roma, 31 Marzo 1938
Mie Carissime Figlie,
si avvicina per noi tutte un grande anniversario: la nascita al cielo della nostra amatissima Madre Teresa, e ciascuna ricorderà certamente con emozione nuova e profonda i dolorosi sentimenti provati in quei tristi giorni, quando sapemmo che la Madre si andava aggravando, quando avemmo la notizia della sua morte, quando vedemmo l'amata salma su quel letto che era stato l'altare del suo sacrificio e la baciammo per l'ultima volta. L'acerbità del dolore non fece altro che stringere sempre più i nostri cuori nell'intimità di un affetto più intenso e ciascuna promise, ai piedi di colei che era stata la nostra Madre, di essere fedele e forte nei suoi doveri religiosi, e raggiungere quella meta di santità che ella ci aveva sempre additato con la parola e con l'esempio.
Chiamata a prendere il suo posto presso di voi, so bene, mie care Figlie, di non poter riempire che in parte il vuoto che ella ha lasciato nei vostri cuori, poiché troppo grande è la differenza nella virtù, nell'esperienza della vita, nella capacità di governo.
Ma voi, animate da vero spirito di fede, mi avete accettata così come sono ed io, promettendovi di migliorare sempre più, vi assicuro del mio sincero affetto, l'unica cosa che in me può avvicinarsi a quello della nostra Madre, a cui cerco di ispirarlo per renderlo retto e puro come Iddio vuole.
Ed è appunto questo sincero affetto che vi porto il quale mi ha ispirato il pensiero di offrirvi un ricordo, in questo primo anniversario della dipartita della nostra indimenticabile Madre, ricordo che servirà a noi che l'abbiamo conosciuta e alle nostre future sorelle che da noi impareranno a conoscerla. E’ un piccolo compendio della vita e dello spirito di lei e cioè il testo della sua« Offerta Suprema» e del suo Testamento Spirituale.
Troverete nella prima pagina l'immagine del S. Cuore di Gesù, quella stessa immagine che la Madre ha contemplato fino all'ultimo respiro dal suo letto di dolore, e che è stato il muto testimonio e confidente delle sue quotidiane sofferenze, dei suoi sospiri, delle sue lacrime. Quello stesso Sacro Cuore, Divino Ispiratore dell'Opera delle Oblate e dei Piccoli Amici di Gesù, che un giorno fece udire il suo doloroso lamento «Ho atteso compassione ma invano, consolatori ma non ne ho trovati...» Egli cerca ancora anime che ascoltino queste pietose parole.
Nell’ultima pagina trovate l'immagine di un'anima ( simbolo di Madre Teresa) che offre se stessa a Dio quale «ostia di soave odore per rispondere ai desideri dello Sposo Divino».
Quest'anima sente la forza, sente il bisogno di purificarsi e di santificarsi, non può stare più terra terra, deve librarsi in alto per raggiungere il grande scopo: immolarsi per il Sacerdozio, per dare a Gesù anime sacerdotali che siano veramente la pupilla dei suoi occhi e canali di grazia per le anime dei fratelli.
Ma l'amore non può contenersi, sente il bisogno di espandersi, di partecipare i propri desideri ad altre anime che l'aiutino a perpetuare la grande Opera che è la vita del suo cuore. Così è avvenuto per la nostra Madre.
Ed ecco la nostra famiglia di Oblate che prende vita: una prima piccola schiera di anime semplici e generose, che poi a mano a mano s'ingrosserà ed alla quale, dopo gli esempi di ogni virtù, Madre Teresa lascia il suo «Testamento Spirituale » che è come il compendio di quello spirito che deve animare le sue figlie all'obbedienza, alla carità scambievole, alla preghiera, all'umile semplicità, e soprattutto all'amore per il S. Cuore di Gesù, perché lo consolino e riparino le offese che Egli riceve, con quello spirito di generosità che è stata una delle caratteristiche più grandi della sua vita.
La sua instancabile generosità nell’esercitarsi nella virtù, i suoi materni insegnamenti, gli esempi luminosi della sua bontà si compendiano nella sua «Offerta suprema» che troverete nell'ultima parte del ricordino, e che le è valsa la gioia di morire nel dolore, nella solitudine del cuore, senza neppure la soddisfazione di vedere il primo frutto di quell'Opera che fu la vita della sua vita (1), pur di consolare il Cuore di Gesù..
Figlie mie, così vive e così muore un'Oblata.
Di fronte a questi esempi, che tutte abbiamo visto con i nostri occhi, non ci sono parole che valgano: non prevalga in noi il dispiacere di averla perduta qui in terra, ma la serena e gioiosa certezza di averla acquistata su in cielo, dove continuerà ad essere sempre la dolce Madre nostra. Non mi rimane ora che ripetervi l'augurio che troverete in fondo al foglietto: «che il suo spirito riviva in ciascuna delle sue figlie » presenti e future, riviva appunto nell'esercizio di quelle virtù che più furono care al cuore della nostra Madre: l'umiltà, il nascondimento, il sacrificio intero e generoso della nostra vita, sul quale soltanto potrà innestarsi, vivere e dar frutto la grande Opera, che deve perpetuare il suo spirito e quello che fu l'ardente desiderio del suo nobile e grande cuore.
Con questo fervido augurio, che io faccio a me stessa, a voi, a tutte quelle che verranno, e che varrà a stringerci nella più salda unione di cuore e di volontà, io vi prego di gradire il ricordino che vi offro, mentre di cuore vi abbraccio e, in nome della nostra amatissima Madre, affettuosamente vi benedico.
Sr. M. Margherita Oblata del S.C.G.
(1) Qui Madre Margherita si riferisce al fatto che Madre Teresa non visse tanto da vedere il primo sacerdote ex Piccolo Amico di Gesù, Mons. Cosimo Petino, salire all'Altare per la prima messa.
Lettera n. 2
Alle Oblate Educatrici
Roma, 5 Novembre 1938
Carissime figlie, oramai tutte vi trovate all'ordine nel luogo e nell'ufficio che Iddio, per mezzo dell'ubbidienza, vi ha assegnato, ed è tempo che vi faccia giungere la mia voce che, sono sicura, voi non mancherete di ascoltare con vero spirito di fede quale eco fedele della voce stessa di Dio.
Questa volta, dato l'inizio del nuovo anno scolastico, la mia parola si rivolge particolarmente alle Oblate Maestre, ma siccome tutte potete essere chiamate a questo delicatissimo ufficio, o potete, per qualsiasi ragione, trovarvi a contatto con i bambini, così è giusto che tutte sappiate come comportarvi con loro, mettervi in guardia e cooperare, nella misura che vi verrà richiesta, al loro maggior bene.
Ed in primo luogo bisogna che tutte siamo ben comprese della grandezza dello scopo dei nostri Collegi. Non si tratta semplicemente di luoghi di educazione, dove i bambini vengono accolti, educati ed istruiti con lo scopo di prepararli alla vita e renderli un giorno buoni ed onesti cittadini. Voi sapete bene che i Collegi dei Piccoli Amici di Gesù dobbiamo riguardarli come qualche cosa di grande e di altamente sublime che si distacca nettamente dagli altri istituti di educazione appunto per il suo scopo altissimo, quale è quello di accogliere, custodire, coltivare le anime dei piccoli per prepararle al più sublime ideale scaturito dal Cuore stesso di Dio: l'ideale del Sacerdozio. Immaginate dunque un giardino magnifico, ben chiuso e custodito, una serra ben riservata dove le preziose pianticelle vengono coltivate con ogni cura, custodite gelosamente dalle intemperie, riparate da tutto ciò che può nuocere ad esse ed impedirne lo sviluppo dello stelo ed il fiorire della corolla.
Ed eccoci al lavoro per il raggiungimento dell'altissimo fine. Figlie mie, non è certamente nostra possibilità e nostro compito infondere la vocazione alle anime: questo dono è di Dio e solo a Lui spetta la scelta. Ma la chiamata di Dio, quante volte resta sconosciuta o viene soffocata, disprezzata, dissipata... Oggi troppe famiglie non sono più quelle di una volta, molte madri più non conoscono, né lontanamente desiderano una vocazione al sacerdozio per i loro figli, non si preoccupano neppure di custodire la loro virtù, e quando hanno dato loro la vita naturale e che questa si sviluppi forte e robusta, credono di aver assolto al loro compito. E la voce di Dio, e il seme prezioso, chi l'ascolta, chi lo cura?... Riflettendo a ciò, la nostra carissima Madre disse: «Noi sostituiremo le mamme e metteremo queste piccole anime in un ambiente dove un tanto dono non vada perduto, e, conservando intorno a questi cari piccoli tutta la dolcezza dell'ambiente familiare, prepareremo il terreno affinché il prezioso seme possa attecchire ed, a suo tempo, dar frutti».
Questa è la preziosa eredità ricevuta dalla nostra venerata Madre, il cui pensiero noi dobbiamo tradurre in pratica. Passiamo allora subito alla prima condizione necessaria per la attuazione del grande programma. La condizione indispensabile è: la grazia di Dio in queste anime. Conservare purissimo l'ambiente del Collegio, conservare in ogni anima in particolare tutto il candore dell'innocenza: come potrebbe Iddio far sentire la sua voce in un cuore già corrotto? Sarebbe impossibile. Né vale la ragione che sono piccoli e non hanno malizia perché la passione del piacere invade tutti, penetra nell'aria con l'aria che si respira, e, dato l'abbandono e la nessuna formazione morale che troppi piccoli ricevono in famiglia, le battaglie per la purezza sono anticipate molto più di quanto si crede.
Io vi parlo oggi con franchezza materna di un argomento delicatissimo, ma sento tutto il dovere di mettervi bene in guardia, affinché nessuna di voi debba un giorno piangere amaramente sulla rovina di queste anime per propria ignoranza, incuria, o mancanza di spirito di sacrificio. Agite in questa opera di educazione e di preservazione con tutte le precauzioni possibili e con la massima delicatezza, ma sappiate conservare tutta la vostra serenità, pensate ed operate con disinvoltura e fate si che non debba mai avverarsi il fatto che, per timore di voi stesse, dobbiate trascurare i grandi doveri che vi legano alle anime a voi affidate.
Rendetevi conto della bellezza di un'anima pura: è come un lago tranquillo senza ombra di tempesta, come un fiore candido che non ha sentito le folate del vento, e dinanzi a queste anime innocenti noi ci sentiamo come riposate a contemplarne il riflesso, e comprendiamo bene perché Gesù abbia tanto amato e prediletto i bambini. Ma il demonio insidia continuamente queste anime e guai se riesce a sfiorare il candore verginale del fanciullo con la prima impressione del male!...
L'Oblata, consapevole del gran tesoro ricevuto da Dio nella persona di questi piccoli, tesoro di cui dovrà un giorno rendergli stretto conto, mette tutto il suo impegno a conoscere il bambino e le sue inclinazioni, a rendersi conto di quello che fa, di quello che dice, dei suoi sguardi, degli stessi suoi gesti, e di tutti quei minimi indizi che possono far scoprire in lui le tendenze della natura. E avendo il Signore elargito alla donna un cuore appositamente fatto, le dà quell'istinto materno che può facilitarle moltissimo il compito della conoscenza del bambino in questa materia. Ma conoscere il bambino non basta: bisogna seguirlo con amore, con intelligenza, con scaltrezza, perché non potete immaginare come la passione acuisca l'ingegno stesso dei bambini e li renda capaci di ogni furberia pur di riuscire nell'intento. E se la Maestra non sta sull'attenti essi riescono ad eludere la vigilanza, a nascondersi, a trovare i momenti opportuni e commettere dei veri e gravi peccati e dirvi poi con indifferenza delle grandi bugie e farvi vedere nero per bianco e bianco per nero. Non vi fidate mai, ma seguite in tutto il bambino con la più grande vigilanza e pensate sempre al male, appunto affinché quel male non avvenga.
Andiamo ora ai mezzi pratici da adottare, ispirandoli al senso della grande responsabilità che grava sulla nostra coscienza:
- Non lasciate mai i bambini soli. Se, per qualunque ragione, dovete assentarvi da loro, aspettate la Suora che vi dia il cambio. E non vi tranquillizzate pensando: «stanno buoni », può essere come può anche non essere: a chi la responsabilità se non fosse?... Così, non lasciate mai un bambino a sorvegliare al vostro posto. Oltre che dubitare della veracità dei suoi rapporti, può benissimo accadere che il bambino si serva di quel tempo di autorità che gode per prendersi delle libertà, e per sé e per gli altri, che possono avere le più funeste conseguenze. Se qualche volta foste costrette a dare un castigo (cosa che dovete cercare di evitare per quanto possibile) guardatevi bene dal chiudere il bambino solo in una camera e lasciarlo lì per ore e ore: sareste voi responsabili del male che potrebbe fare in quelle ore di ozio che passa lontano da ogni controllo.
- La Suora addetta alla sorveglianza nel tempo della ricreazione, dello studio, in dormitorio ecc., non deve avere nessuna occupazione: né leggere, né scrivere, né lavorare. Il suo grande e unico dovere è quello di guardare i bambini, ma guardarli attentamente, guardarli vedendoli, e non con la mente distratta.
-In ricreazione, stia in mezzo a loro, cerchi di interessarli al giuoco e, potendolo, vi prenda parte essa stessa, senza mai perdere di vista nessuno. Non permetta mai che i bambini formino gruppetti appartati e si renda sempre conto dei loro discorsi. Badi alla sua camerata e si astenga assolutamente dal parlare con le altre Maestre, sorvegli con grande attenzione i bambini che in queste ore di libertà si mostrano quali sono ed hanno maggiormente bisogno dell'occhio vigile della Maestra.
-In classe stia in cattedra o giri fra i banchi, rendendosi conto se ogni bambino compie il suo dovere, se fa diligentemente e da solo i suoi compiti e se studia bene le lezioni.
-In dormitorio, sorvegli minuziosamente, passeggiando nelle camere; badi che i bambini si vestano e si spoglino con la dovuta modestia e prontezza, che ci sia la luce adatta senza che i bambini rimangano mai allo scuro, e non vada mai a letto se prima non si è assicurata che tutti dormono profondamente. Per nessuna ragione lasci la camerata e non si scusi col dire che « i bambini dormono ». Non vi fidate affatto perché i bambini possono benissimo far mostra di dormire stando svegli. La Suora deve stare sempre al suo posto di guardia, vicino a loro, nella loro stessa camera, ed è per questo che ho detto alle Maestre che ciascuna dica le sue preghiere della sera e faccia la sua adorazione ai piedi del proprio letto. Il vostro spirito starà ancora più unito a Dio, perché il vostro corpo è lontano da Lui, ma per Lui stesso. Durante la notte, quando vi svegliate, alzatevi con lo stesso amore con cui andreste a fare la vostra adorazione o a guardare la lampada del Santissimo nel timore di trovarla spenta, fate un piccolo giro per i dormitori e rendetevi conto se tutti stanno a posto. Siccome non vi svegliate tutte alla stessa ora, così la sorveglianza avrà un turno e potreste stare più tranquille.
- Innamorate i bambini della virtù della purezza, ma sappiate farlo con discrezione, disinvoltura e prudenza. Mostrate ai piccoli quanto questa virtù sia gradita a Dio: Gesù ebbe per Madre una Vergine purissima, per amico un S. Giovanni, l'Apostolo vergine. Parlate loro degli Angeli, che sono il simbolo della purezza, mostrate ai bambini come i santi l'hanno amata e come hanno subìto il martirio piuttosto che macchiarla.
-Inculcate loro sempre il pensiero della presenza di Dio che tutto vede e dell'Angelo custode che ci sta sempre al fianco. Procurate che facciano regolarmente il ritiro mensile con la meditazione di quelle verità che scuotono le anime, e parlate loro spesso e con grande amore della Passione di Gesù.
-Ispirate al bambino una grande confidenza e fiducia verso i Sacerdoti e specialmente verso il Padre Spirituale e procurate, a costo di ogni sacrificio, che in ogni Collegio i bambini vengano affidati a Sacerdoti scelti e specialmente adatti per loro. Si facciano confessare regolarmente ogni otto giorni, ma si lascino pienamente liberi di andare dal Padre Spirituale ogni volta che vogliono. Nell'aiutarli a fare l'esame di coscienza, non vi dimenticate mai di questo delicato argomento della purezza.
- Abituate il fanciullo a mortificare la gola, perché secondarla è anche questa una sensualità, e ispirategli l'amore al sacrificio, perché senza sacrificio non è possibile la virtù.
- Conservate la fiducia nei fanciulli, senza mai intimorirli: un bambino puro si lascia leggere sino in fondo all'anima e non abbassa mai i suoi limpidi sguardi quando parla con noi. Non ha nulla da nascondere nella sua condotta. Che se vi accorgete del contrario, se aveste seriamente il dubbio che un bambino possa essere guasto, avvisate subito chi di dovere affinché provveda immediatamente ad allontanarlo perché non avvenga la rovina degli altri.
-Tenete sempre i bambini occupati e molto interessati allo studio ed al giuoco, affinché non si abbandonino a fantasticherie. Fateli ricreare con belle e utili passeggiate ed avvicinateli a Dio per mezzo della stessa natura: i fiori, le piante, gli astri, tutto può servire per innalzare i loro pensieri. Se poi qualche volta doveste avvedervi di qualche atto o di qualche cosa poco modesta, ma nella quale il bambino, specie se è piccolo, non può mettere la malizia, guardatevi bene dallo sgridarlo o rimproverarlo fortemente: sarebbe un aprirgli gli occhi e fargli sorgere un dubbio funesto nell'anima. In queste occasioni, mantenete la più grande presenza di spirito, restate calme e poi, con la massima disinvoltura, stornate l'attenzione del bambino e divagate destramente i suoi pensieri. Così pure se i bambini dovessero rivolgervi qualche domanda un po' imbarazzante, siate molto pronte e franche a rispondere. Dite sempre la verità, pur sapendola abilmente coprire quando non si può spiegare tutto.
- Sorvegliate molto attentamente i giornaletti e le riviste illustrate che possono penetrare nel Collegio. Sapete che ho dato il permesso solo per: « Lo Scolaro», i giornaletti della Pia Società di S. Paolo e le Riviste Missionarie. All'infuori di queste, siate molto guardinghe e sorvegliate attentamente anche per i libri, perché i bambini sanno ben nascondere quello che non vogliono far vedere.
- È da noi infine, mie carissime Figlie, che i Piccoli Amici di Gesù debbono ricevere il primo riflesso di purissima luce che li attiri e li orienti verso quest'angelica virtù. Perciò l'Oblata usi sempre ed in tutto la massima riservatezza, tenga un contegno disinvolto ed amabile, ma scevro da ogni familiarità; tratti tutti ugualmente senza badare a simpatie o - antipatie ed abbia per i bambini una bontà più che materna, pur sapendo mantenere fra essa e loro quella distanza necessaria per impedire gli abusi. Cerchi, insomma, in tutti i modi di attirare a sé queste piccole anime per condurle a Dio e, nello stesso tempo, sappia dolcemente respingerle da sé affinché non si fermino a ciò che sarebbe troppo umano.
- Vi indicherò infine un mezzo infallibile, vi rivelerò un segreto ineffabile per poter mantenere in queste carissime anime tutto lo splendore della loro purezza: avvicinatele a Gesù Eucarestia. Che il Piccolo Amico di Gesù senta, come deve sentire ogni Oblata, tutta l'attrazione di questo centro divino; che impari a ricorrere a Gesù nelle sue piccole pene, nelle sue gioie, nelle sue piccole necessità, e si abitui ad andare a Gesù con una ascensione continua e sempre crescente, sino a divenire un giorno l'« alter Christus ». Perciò, appena i bambini sono in grado di capire, si preparino subito alla Prima Comunione, si lascino avvicinare liberamente alla S. Messa anche tutti i giorni, e si stia strettamente all'Orario del Collegio che, non senza una ragione, riporta i bambini ai piedi dell'altare varie volte al giorno. Si istruiscano in modo perfetto per il servizio della S. Messa e nelle sacre cerimonie e sia per loro il premio più ambito quello di poter partecipare al servizio dell'altare, in modo che, senza neppure avvedersene, si ritrovino sempre vicino a Gesù. E allora, non temete: dove non arriveremo noi, arriverà Lui, e Gesù stesso preserverà e formerà i suoi Piccoli Amici secondo i desideri del suo Divin Cuore.
Il programma che vi ho presentato, mie care Figlie, non è facile da attuarsi, ma lo renderete sicuramente meno difficile e veramente fruttuoso se saprete aggiungere allo sforzo della vostra volontà due grandi fattori: la preghiera e il sacrificio. La preghiera, perché senza Dio non possiamo far niente; il sacrificio, perché solo il dolore può vivificare e santificare ogni cosa.
E quando avremo fatto tutto il nostro dovere, quando avremo seguito passo passo i nostri fanciulli, sacrificandoci per loro in tutto, e li vedremo giungere alla grande meta, non cerchiamo soddisfazioni, non pretendiamo ricompense, perché nulla ci è dovuto, ma con umiltà e coraggio riprendiamo il nostro faticoso lavoro a pro di altre anime. Amiamo di lavorare fino all'eroismo del sacrificio, ma lavorare nell'ombra, nell'oscurità, nel silenzio, perché, se vogliamo che questa opera a noi affidata porti con abbondanza i suoi frutti, dobbiamo soprattutto cercare di essere sempre delle buone radici, cioè una vera sorgente di vitalità in Gesù Cristo, nascoste con Lui in Dio. La radice vive sprofondata nella terra, dalla quale trae il succo vitale che produce i rami dei grandi alberi, e questo umore essa lo ritrae appunto da ciò che non appare esternamente: che sia buono o cattivo, amaro o dolce, saporito o insipido, poco importa, in esso è la vita, la vita da ricevere e da dispensare. Una radice è altresì una cosa ignorata e calpestata da tutti, la sua attività si svolge nel segreto e non riceve che per distribuire. Chi ringrazia la radice mentre gusta il frutto ed ammira il fiore?... Non riceve mai un raggio di sole o una goccia di rugiada, non gode la mitezza della temperatura, la circonda soltanto il freddo e la solitudine e rimarrà sempre dimenticata. Se qualcuno si ricorda di lei, se una vanga rivolta il terreno compatto che le toglie la poca aria di cui è circondata, accade spesso che questa vanga di buona volontà la squarci, mentre il bene che si cerca di farle non è per lei, ma per l'albero che essa nutre. Se una mano benefica versa su di lei dell'acqua, questa non le giunge se non mischiata alla terra che la ricopre, e così viene alimentata dal fango. E che cosa è che fa piacere alla radice e la rende forte e rigogliosa?... Il letame con cui si ricopre. Se, per caso, una radice crede di poter disporre del suo sotterraneo e buio dominio, allungarsi come le piace e provare a mandar fuori un timido germoglio, subito qualcuno corre a tagliarlo, le rimprovera di estendersi troppo e di nuocere alle altre produzioni. Ed è giusto, giacché la radice deve concentrare le sue forze in ciò che è l'oggetto della sua missione; è bene, perché quel germoglio della sua personalità orgogliosa non produrrebbe un nuovo albero, ma una pianta selvatica che porterebbe frutti cattivi. Ma quanto alle buone e belle frutta da essa prodotte, la radice non le vedrà mai e nemmeno ne godrà, a meno che non riceva come ingrasso quelle infradiciate. E invece una radice che volesse vedere l'opera sua cesserebbe di essere radice, si seccherebbe e non produrrebbe più niente. È dunque in proporzione della sua vita nascosta e del suo lavoro intimo che una radice è feconda. E quando, mie carissime figlie, questa radice è un'anima, quando quest'anima è un'Oblata, è appunto in proporzione del suo annientamento apparente che produce la gloria di Dio, il bene delle anime per le quali si è offerta, e la santificazione propria. L'esempio della nostra indimenticabile Madre è più eloquente di ogni parola e di ogni commento: seguiamolo generosamente.
Raccomando alle Superiore delle case che sorveglino attentamente, affinché quanto ho detto circa i Collegi venga fedelmente osservato. Raccomando ancora caldamente che le Suore non addette al Collegio non trattino né s'interessino dei bambini e non vadano nei locali a questi destinati senza una ragione speciale e sempre col dovuto permesso.
Raccomando soprattutto alle Direttrici dei Collegi, che hanno più direttamente la responsabilità delle anime dei nostri piccoli, che mettano in pratica e facciano praticare dalle Maestre quanto ho scritto per la difesa del candore di queste tenere anime, infondendo ed accrescendo sempre nei Collegi la pietà vera e sentita, la disciplina forte e soave, l'amore al proprio dovere di oggi che disporrà i Piccoli Amici alla vita ed al sacrificio di domani.
Le Maestre siano pienamente sottomesse alla Direttrice e questa alla Superiora, in modo che non vi sia mai mancanza di comprensione né da una parte né dall'altra, ma ciascuna sappia tirar diritto a Dio facendo tacere tutto ciò che è umano, per il bene sempre maggiore dei Piccoli Amici di Gesù.
Benedico affettuosamente voi, ed i bambini a voi affidati, ed imploro su tutte e tutti le più elette grazie del Cielo.
La Madre
Lettera n.1
Viva il Cuore trafitto di Gesù
Roma, 21 Novembre 1937
Mie carissime Figlie, all'avvicinarsi dell'Avvento, sento il bisogno di farvi giungere la mia parola di affettuoso e materno incoraggiamento, onde disporre i nostri animi a passare col maggior fervore possibile i santi giorni che precedono la festa della nascita di Gesù.
La Chiesa nostra Madre, nella sua altissima sapienza, fa precedere alle grandi solennità un periodo di preparazione appunto affinché le anime s'infervorino nel raccoglimento e si diano ad un esercizio più accurato di virtù che le disponga a meglio ricordare i divini misteri e serva loro come punto di partenza per una nuova ascesa verso il bene, nel nostro caso, verso la perfezione.
Se tutte le anime cristiane debbono vivere del pensiero e dello spirito della Chiesa, molto più dobbiamo farlo noi religiose e più particolarmente noi Oblate che, per la nostra particolare vocazione, ci sentiamo intimamente legate a quanto vi ha di più caro, di più grande e di più sacro nella Chiesa: il Sacerdozio. Raccogliamoci dunque in noi stesse e, pur continuando nelle nostre quotidiane attività, qualunque esse siano, rinnoviamo nell'intimo del nostro cuore il gran pensiero, così familiare alla nostra carissima Madre, del « Dio vivente con noi ».
Questo spirito di raccoglimento ci porterà a vedere più chiaramente in noi stesse i nostri difetti, le lacune esistenti nella nostra vita religiosa, e ci farà sentire più distintamente la voce del Signore che ci richiede quella rinunzia, quel distacco, quel sacrificio, dandoci, nello stesso tempo, la grazia per superare le difficoltà della natura. Gesù viene in questo mondo per riparare il peccato ed il suo esempio ci dice che riparare vuol dire soffrire. Egli aspetta anche da noi una riparazione: è questa soprattutto la vocazione che ci ha data e lo scopo a cui debbono convergere i nostri pensieri, le nostre preghiere, i nostri sacrifici, l'esercizio stesso della nostra esterna attività presso le care anime che Iddio ci ha affidato, ma ricordiamoci che anche noi, come Gesù, non potremo dare a Dio la riparazione che da noi si aspetta se non per mezzo della sofferenza.
Ed allora, andiamo al pratico della nostra vita quotidiana, e, come tante volte vi ho detto, accettiamo amorosamente e compiamo generosamente tutti i piccoli sacrifici di cui è composta e che ciascuna di noi ben conosce. Qui sta tutto e io vorrei che si capisse bene, perché allora non ci sarà più pericolo di illuderci basandoci su parole e cose grandi che in realtà non esistono e su cose avvenire che forse non verranno mai, ma su quello che è quotidianamente pratico e che, fatto con vera fedeltà, può costituire un vero martirio per la natura.
Ecco dunque i punti che io vi propongo per questo Avvento: raccoglimento che ci faccia meglio conoscere i divini desideri, e fedeltà alla grazia per compierli tutti ed a qualunque costo realizzando in noi ogni momento l'«Ecce venio » pronunziato da Gesù nel venire in questo mondo a compiere la sua opera di riparazione.
Raccomando caldamente alle Direttrici dei Collegi ed alle singole Maestre di preparare e disporre gli animi dei bambini a questo santo tempo, in modo da abituarli a vivere fin da ora dello spirito della Chiesa. Ed in primo luogo pregate molto Iddio che vi aiuti, poi sappiate adattarvi alle capacità dei bambini, escogitate i mezzi adatti per infervorare i piccoli cuori, ed infine amateli ardentemente questi bambini, custoditeli come fiori, conservateli come tesori, preservateli dal male a costo di ogni vostro sacrificio, e, pensando a quello che un giorno potranno essere, trattateli e riguardateli tutti e ciascuno come il più grande e più prezioso deposito che Iddio, nella sua infinita bontà, abbia potuto affidare alle sue Oblate.
Con i migliori auguri di una vita di sempre più intensa osservanza regolare e di amoroso sacrificio per il fine dell'Istituto, vi benedico affettuosamente anche in nome della nostra indimenticabile Madre, implorando la sua materna assistenza e la sua intercessione presso Dio per le nostre anime, per l'Istituto e per l'Opera dei Piccoli Amici di Gesù.
Affettuosamente in Gesù Cristo
Sr. M. Margherita Tanlongo
Superiora Generale
delle Oblate del Sacro Cuore di Gesù
Una maestra di vita
PRESENTAZIONE DI DON CONSIMO PETINO
PRIMO "PICCCOLO AMICO DI GESU'"
La raccolta e la pubblicazione delle lettere circolari di Madre Margherita Tanlongo farà bene alle Suore che l'hanno conosciuta e anche alle Suore — le giovani speranze — che non l'hanno conosciuta: alle prime, perché vi troveranno riflessa e confermata — per così dire — l'immagine che ne avevano; alle altre, perché impareranno ad apprezzare e ad amare chi ha avuto una parte rilevante nel consolidamento dell'Istituto delle Suore Oblate.
La storia che si scriverà dovrà unire necessariamente Madre Margherita alla Madre Teresa, e non per un semplice dato cronologico — essendo stata la prima ad assumere la guida dell'Istituto dopo la Fondatrice — ma per un elemento più importante, in quanto ne assimilò lo spirito in maniera pressoché unica e poté dare respiro e compimento alle opere che attendevano di venire alla luce. Madre Margherita è l'anello di congiunzione indispensabile per capire in tutta la sua emergenza la missione singolare della Madre Teresa e spiegare l'evolversi dell'Istituto nella forma attuale. Queste lettere aiutano in parte a rendersi conto del misterioso intreccio delle due vite per la crescita organizzativa dell'Istituto e — quel che più conta — per il suo alto afflato spirituale e per la maturazione ascetica delle Suore.
Fortunate le persone che hanno avuto consuetudine di rapporti con Madre Margherita! Il loro numero si va assottigliando, perché la morte fa la sua parte, chiamandone qualcuna ogni anno. Quelle che rimangono però sono ancora un bel numero; possono dare testimonianza, e la danno piena ed entusiasta. Tra esse ci sono anch'io.
Non è stata una cosa di poco conto per me aver conosciuto la Madre Margherita. Certe grazie non han no prezzo; sono, oltre tutto, ineffabili, perché la parola si sente come prigioniera di se stessa, impotente a dire tutto ciò che vorrebbe. Il ricordo di Madre Margherita si fa più intenso con il passar degli anni. È il tempo, infatti, che ci fa sentire maggiormente la mancanza di quelle persone che hanno lasciato un segno profondo. Ci si rammarica, allora, di aver vissuto accanto ad esse con una specie di abitudine pigra che non ha saputo trarre pieno profitto dalla loro saggezza. La pubblicazione di queste lettere è un'occasione propizia per ricuperare valori trascurati e riassaporare il gusto della lezione data da Madre Margherita nei suoi anni operosi. Fu, infatti, una maestra di vita. Insegnò con le parole e con lo scritto.
Chi avvicinava Madre Margherita s'accorgeva subito di trovarsi dinanzi ad una personalità d'acuta intelligenza e di forte volontà. Poche parole di convenienza, e poi il discorso saliva in alto, ai grandi principi che illuminano l'esistenza e danno significato e sapore alle cose. Le beghe, le piccinerie, le meschinità del vivere quotidiano — nelle quali spesso si affoga — non trovavano accoglienza. Madre Margherita guardava sempre alle verità eterne e con loro giudicava le vicende del tempo. Era sua abitudine mentale, rafforzata dalla meditazione, calare il provvisorio e l'effimero o l'affanno dei giorni — come dice la Scrittura — nel mare dell'eternità. Gli avvenimenti, allora, sulla sua bocca si trasfiguravano e acquistavano diverso valore. Ci si vergognava di essere rimasti presi e disorientati dalle bagattelle — ché, a pensarci bene, vere bagattelle sono tutte le cose di quaggiù —e ci si sentiva come pulcini afferrati dall'aquila e trasportati in un cielo più puro.
Con Madre Margherita si era costretti a ragionare, ad «avere la testa sul collo» (era una delle sue espressioni favorite), cioè a saper dare alle cose il loro vero peso, non lasciandosi guidare dal capriccio e dall'emotività, ma filtrando ogni giudizio attraverso i principi. Esatto. Sono i principi, infatti, che possono fornire il senso giusto delle cose e che consentono di farne la sana applicazione ai casi concreti, avvolti spesso in una gretta vischiosità. Nel fare questo Madre Margherita era aiutata da un innato e spiccato umorismo, con cui interpretava gli avvenimenti, scoprendone il lato debole. Il suo umorismo era benevolo, non pungente, sdrammatizzava le situazioni, smussava gli angoli, coglieva il lato comico delle cose (che c'è sempre, per chi è capace di guardare a fondo oltre le apparenze), e riusciva così a dare serenità e a far sorridere anche le persone affette di mutria.
Se la sua acuta intelligenza le consentiva di rendere viva la conversazione, la sua volontà la rendeva proficua. Perché non si usciva dalla sua conversazione soltanto con una nuova luce e una chiara visione di se stessi e degli altri, ma con un più decisivo impegno di rinnovamento. Madre Margherita era forte e vigorosa, d'una fortezza e d'un vigore, però, sostanziati di dolcezza. E «la dolcezza — come già insegnò il Faber — è la pienezza della forza». Otteneva quel che voleva senza ricorrere a mezzi coercitivi. Trasmetteva agli altri la sua volontà così che s'imparava a saper « volere» il bene senza tentennamenti. Chi adoperava l'arma del lamento e del piagnisteo, ripiegandosi languidamente su se stesso, sentiva subito spuntarsela tra le mani. Le volontà fiacche, indebolite spesso dalle concessioni alle proprie debolezze, si trovavano a disagio con Madre Margherita che sapeva capire le lacrime in qualche momento (ed era squisita nel consolare), ma non le tollerava come espressione abituale. Era forte ed educatrice di persone forti, che devono essere capaci di saper superare le difficoltà con costante letizia. Da Madre Margherita, insomma, non si andava per passare il tempo con discorsi vuoti. Le parole dovevano esprimere concetti e i concetti dovevano seguire una logica in modo da aprire la mente a più ampia visione, rafforzare le convinzioni e ispirare propositi coraggiosi.
Non si pensi con questo che la conversazione diventasse pesante o cerebrale, tale da interessare solo le persone di grande levatura intellettuale. Madre Margherita sapeva adattare il linguaggio al suo interlocutore così che chiunque vi trovava gradimento, tanto più che sapeva condire il discorso con quelle innocenti battute tipicamente romane, nelle quali il buon senso fa spicco. Niente sussiego, dunque, niente pose cattedratiche, ma colloquio di anima ad anima per elevare gli altri. L'importante per la buona Madre non era «parlare per parlare», ma potere e saper dire qualcosa, spingere a mettere un po' d'ordine nelle idee e nei sentimenti, far scendere un pezzo di cielo nello spirito tormentato e inquieto, diffondere il buon odore di Cristo. E così le parole uscivano dalla sua bocca come tante perle. Gli occhi vivacissimi e il gesto da gran signora qual era, per nascita ed educazione, accompagnavano graziosamente il suo dire ed erano un incanto, un dono sempre nuovo, una finezza ineguagliabile.
Se avessimo registrato le conversazioni con Madre Margherita!...
Il suo insegnamento non si esaurì nella parola detta sempre a modo. Ella scrisse molto. Lo scrivere le era congeniale, e se ne faceva un dovere da osservare scrupolosamente. Rispondeva a tutte le lettere, e non per semplice esigenza di educazione (che è già una bella forma di carità), ma per un bisogno di far sentire la sua amicizia soprannaturale. Le lettere, anche quelle delle persone modeste che sapevano tenere appena la penna in mano, le davano gioia e l'arricchivano, giacché in ognuna scopriva una ricchezza umana. Madre Margherita le custodiva gelosamente come un tesoro. Su di esse rifletteva e poi prendeva la penna per aprire il suo animo a chi le aveva aperto il proprio. I due cuori, per quanto lontani, s'incontravano, ed era come una festa, perché le lettere di Madre Margherita recavano sempre un messaggio di speranza e di carità cristiana. Semplici, ma non affrettate; dolci, ma senza languidezza; di solido contenuto, ma non pedanti: tali erano le risposte che Madre Margherita dava a chi le scriveva. A volerle raccoglierle sarebbe una bella e buona impresa; ma bisogna rispettare la riservatezza dovuta alle destinatarie che hanno confidato alla Madre i loro segreti e le loro ansie, sui quali non è lecito indagare. Nessuno può violare le soglie della coscienza altrui, che rimane un sacrario sigillato agli uomini e aperto soltanto a Dio.
Per fortuna, l'archivio dell'Istituto custodisce le lettere circolari di Madre Margherita, e sono, appunto, quelle qui raccolte (1). Furono scritte nel lungo periodo del suo governo — dall'aprile 1937 al luglio del 1963 — e vengono riportate per intero, salvo qualche brano di minore interesse. Evidentemente, esse non hanno (e non possono avere) quella fresca immediatezza delle lettere private, inviate cioè a singole persone. In compenso, la loro importanza è maggiore. Essendo dirette a tutta la famiglia religiosa delle Suore Oblate, hanno una diversa tonalità, non legata alle situazioni personali. Riecheggiano il pensiero genuino della Fondatrice, vivificandolo con nuovi apporti, sia riguardo allo spirito dell'Istituto sia riguardo alle opere da esso promosse e sostenute. Madre Margherita amava intensamente la sua vocazione di consacrata tra le Oblate. Considerava un gran dono di Dio essere stata alla scuola incomparabile della Madre Teresa che l'aveva iniziata all'ideale della preghiera riparatrice e del servizio d'amore ai sacerdoti.
Chi legge adesso le sue lettere, vi scorge come in filigrana la figura della Madre Teresa che ispira il pensiero e guida quasi la mano nella stesura. Madre Margherita sapeva di aver ricevuto una specie di sacro deposito da custodire e da trasmettere inalterato. La coscienza di dover continuare sulla linea tracciata dalla Fondatrice era così forte da farle confrontare sempre il suo pensiero con quello della Madre Teresa per assicurarne la genuinità. La Fondatrice, studiata e amata, era il punto di riferimento, la fonte dell'autenticità, il segno qualificante dei suoi interventi e dei provvedimenti adottati. Le lettere qui riunite sono — per così dire — l'eco amplificata della voce della Fondatrice, dalla quale Madre Margherita aveva appreso la virtù della fedeltà alla vocazione di Oblata e alla Regola che ne indica i mezzi per realizzarla.
Se si vogliono cogliere i punti salienti delle lettere circolari o —per usare un'immagine colorita — le colonne portanti dell'Istituto, consegnato dalla Fondatrice a Madre Margherita e da questa trasmessa alle sue figlie, mi sembra che si possano ridurre a quattro:
1) l'eccellenza della vocazione di Oblata;
2) il primato della vita interiore;
3) il servizio d'amore ai sacerdoti;
4) la cura dei Piccoli Amici.
1. — Quando Madre Margherita trattava della vocazione di Oblata, non parlava, ma (si direbbe) cantava. Le brillavano gli occhi di una gioia pura, d'una festosità incontaminata come dell'avvenimento che dava alla persona una dignità senza pari, una sorta di regalità. Non è un motivo ricorrente nella liturgia che «servire Dio è regnare»? A maggior ragione è regina la donna che si consacra totalmente a Lui con la pratica dei consigli evangelici. Essere persona consacrata tra le Oblate, per Madre Margherita, non era un «dare qualcosa» ma un ricevere tutto, non uno scendere in basso ma un salire in « altissimo loco», non un impoverirsi ma un arricchirsi di doni che trascendono ogni valore umano. Difatti: quale valore può paragonarsi all'amore che diventa riparazione e immolazione a esempio di Cristo «che ci ha amati e per noi ha dato se stesso quale oblazione e sacrificio di soave odore» (Ef 5, 2)? I voti dell'obbedienza, povertà e castità con i quali si qualifica la sequela di Cristo nella vita consacrata delle Oblate, dilatano l'amore riparatore e sostengono tutta l'offerta di se stesse come « vittima santa, pacifica, gradevole a Dio » (Rom 12, 1). Questi temi sono diffusi nelle lettere circolari e nelle esortazioni qui raccolte. Alcune volte esplicitamente, altre volte implicitamente: sempre, come nota dominante ispiratrice del pensiero che ferveva nella mente di Madre Margherita. La quale, esaltando l'eccellenza della vita consacrata tra le Oblate, non lo faceva per fatua contrapposizione agli altri Istituti. Era troppo intelligente e amante della Chiesa per non capire la varietà dei doni con cui lo Spirito Santo l'adorna. Amava però, con singolare amore, il carisma della Madre Teresa e cercava di scoprirne tutta la bellezza e la fecondità di donazione che comporta. « Gesù— scrive nella lettera datata 21 novembre 1937 —viene in questo mondo per riparare il peccato ed il suo esempio ci dice che riparare vuol dire soffrire. Egli aspetta da noi una riparazione: è questa soprattutto la vocazione che ci ha data e lo scopo a cui debbono convergere i nostri pensieri, le nostre preghiere, i nostri sacrifici, l'esercizio stesso della nostra esterna attività presso le care anime che Iddio ci ha affidate, ma ricordiamoci che anche noi, come Gesù, non potremo dare a Dio la riparazione che da noi si aspetta se non per mezzo della sofferenza». Così Madre Margherita traduceva ed esprimeva in parole chiare e comprensibili da tutti lo spirito della Madre Teresa, per la quale la sofferenza non spegneva la fiamma dell'amore né inaridiva le sorgenti della generosità. La fedele portavoce non ha alterato il messaggio della Fondatrice, ma l'ha reso più incisivo con la sua autorità e la sua convinzione.
2. — Non si diventa vere Religiose dalla mattina alla sera. L'assunzione dell'abito esteriore vale poco — può ridursi, anzi, a meschina formalità — se non è accompagnato dall'abito interiore delle virtù. E le virtù non sono facili ad acquistarsi: lo insegnano i santi che sono gli interpreti qualificati del Vangelo, e lo insegna tutta la tradizione ascetica della Chiesa. Al progresso spirituale non è che molti facciano attenzione. Anche nella vita consacrata ci si può abituare ad un quieto adattamento con una monotona ripetizione di atti senza fervore e senza scatti di entusiasmo. Chi può negare la possibilità di una cappa di vita grigia, nella quale le virtù evangeliche risultano come diluite e opacizzate, quasi irriconoscibili? Tanto più che le seduzioni del mondo non si arrestano alla soglia della propria donazione, ma possono penetrare sempre con forza suadente e allettatrice, trovando facile accoglienza nella fragilità delle convinzioni e instaurando comoda alleanza con le debolezze della propria natura. Gli impegni della vita apostolica, alla quale tanti Istituti sono chiamati, possono contribuire, per la loro urgenza e complessità, ad alterare il clima di spiritualità (e di contemplazione) necessario ad una famiglia religiosa. Di qui la necessità di un richiamo continuo alla finalità primaria della vita consacrata, che è «il raggiungimento della carità perfetta per mezzo dei consigli evangelici, i quali traggono origine dalla dottrina e dagli esempi del Divin Maestro » . Madre Teresa ebbe sommamente a cuore la santificazione delle Oblate; e Madre Margherita con pari intensità afferrò il primato della vita interiore, della « dimensione contemplativa». Nella lettera del 28 gennaio 1941 scrive: « Nell'occasione della grande festa, piena per noi di dolci ricordi e che ci riporta ai piedi dell'altare per la rinnovazione dei nostri voti, io sento più che mai forte l'affetto che a voi mi lega ed il dovere che ho, in forza dell'ufficio che mi è stato assegnato, di condurvi, come meglio so e posso, nella via della perfezione... Voglio ricordare a me stessa e a voi tutte quella grande e dolcissima realtà che è la vita di Dio in noi, la nostra vita trascorsa con Dio nell'intimità del nostro cuore, nella soave dolcezza di sentirlo vicino e dentro di noi, pronto ad ascoltarci, a dirigere i nostri pensieri, a sorreggere i nostri passi, ispirandoci amore, generosità e sacrificio... La nostra vitalità nell'opera della nostra santificazione ed in quella del nostro apostolato, la nostra energia, saranno appunto in proporzione della vitalità della nostra vita interiore. Come vedete, è cosa fondamentale. È necessario dunque che noi tutte cerchiamo di meditare ed approfondire seriamente che cosa sia la vita interiore, affinché essa informi praticamente tutto il nostro essere». Queste parole non sono che l'inizio; ma il più bello è tutto il resto, quando Madre Margherita descrive la vita interiore con esattezza teologica e rara efficacia.
3. — La nota caratteristica delle Suore Oblate è l'intenso impegno ascetico di preghiera e di riparazione per i sacerdoti, e, come espressione di operosa carità, ogni forma di aiuto agli stessi. Madre Margherita poté ricevere dalle vive labbra della fondatrice quest'ideale di vita; lo arricchì con la sua riflessione e lo tradusse in opere esterne come « i segni dei tempi» richiedevano. Vide la vocazione di Oblata legata a quella del Sacerdote; ne gustò il nesso fino a renderlo parte ineliminabile di se stessa. A mano a mano che gli anni passavano e cresceva l'esperienza, l'ideale si faceva più luminoso e vibrante. Avrebbe fatto chissà che cosa, la buona Madre, per trasfondere nelle sue figlie lo stesso ardore. Un ardore dalle altissime vibrazioni soprannaturali che arrivava a voler diventare «ostia sacerdotale» per indicare che tutto è possibile a chi ama i sacerdoti: dare anche la vita per essi! A somiglianza, appunto, di Gesù che «offrì se stesso vittima senza macchia a Dio» (Ebr 9, 14). Quando Madre Margherita parlava dei sacerdoti, la sua voce diventava calda, quasi a voler rendere più accese le parole, per comunicare agli altri la sua fede. E di fede profonda si trattava, come appare, tra gli altri, da questo brano di lettera del 31 agosto 1958: «Noi ben sappiamo quali immensi benefici porti all'umanità tutta l'opera del sacerdote, continuatore di quella divina di Gesù, redentore e santificatore delle anime, canale prezioso dove passa la grazia divina per riversarsi nel cuore degli uomini. Egli rappresenta ciò che vi ha di più grande al mondo: posto fra il cielo e la terra, fra Dio e l'uomo, ha ricevuto da Gesù stesso quei poteri che nessuna creatura ebbe mai». E ancora: «La salvezza del mondo? ... sono i sacerdoti santi. Ogni loro parola è messaggio di pace, il loro esempio ha una forza irresistibile, la loro presenza vale essa stessa come una predica, impongono rispetto e ammirazione, e l'ombra loro può compiere prodigi come l'ombra di S. Pietro. Vedendoli si pensa a Dio, avvicinandoli ci sentiamo migliori e nessuna anima può sottrarsi al calore vivificante della loro carità. Quale cumulo di grandezze, quale abisso di spirituali ricchezze» . Come si vede, lo spirito della Madre Teresa si ritrova pari pari in Madre Margherita; ed è uno spirito che deve mantenersi intatto nella famiglia religiosa delle Suore Oblate, come suo elemento specifico.
4 — C'è un quarto pilastro, voluto dalla Madre Teresa, ed è la cura dei Piccoli Amici di Gesù. L'idea, nel 1 925 , era peregrina e parve a certuni quasi stravagante. Oggi non è più così, anzi la si considera come un'intuizione precorritrice dei tempi. Essa fa blocco con l'Istituto delle Suore Oblate; volerla staccare significherebbe mutilare il pensiero della Madre Teresa. Possono variarne alcune forme, in vista dell'animazione vocazionale e della promozione delle vocazioni, ma l'idea ispiratrice non ammette cambiamenti. La Madre Margherita, appena ebbe tra le mani la responsabilità piena dell'Istituto, dedicò le sue migliori energie allo studio dei collegi perché vi permanesse quell'aria di famiglia che era prezioso retaggio della Fondatrice, e si migliorassero i criteri educativi e l'ordinamento interno, facendo tesoro dell'esperienza personale e delle consorelle. Che amabilità nel trattare con i bambini! Che finezza psicologica e che rispetto della loro piccola personalità! Donna di elevato sentire e di squisita educazione ricevuta nella distintissima famiglia di origine, Madre Margherita fu la saggezza in persona, capace di risolvere i casi più delicati, imprimendo ai collegi una vitalità nuova. Di qui i suoi continui appelli alle Suore perché uscissero da una fase empirica e si adeguassero culturalmente e pedagogicamente ai compiti loro affidati. Le lettere sono piene di richiami accorati e lucidi, di provvedimenti divenuti indilazionabili, di indicazioni utili, ma soprattutto di indicazioni a capire bene la loro vocazione di educatrici. Si può citare un brano dell'ultima lettera (del 10 ottobre 1962) qui riportata, che è come il canto del cigno: «Andate, carissime figlie, andate in mezzo ai bambini innocenti, considerandoli come un'aiuola di gigli, ed abbiatene tutta la cura affinché il divin Giardiniere possa posare il suo sguardo di predilezione. Preservateli dal male con la vostra costante ed oculata vigilanza, infondete piano piano nel loro cuore la conoscenza e l'amore a Gesù. Studiate le loro tendenze e cercate di scoprire il lato buono che ogni bambino ha certamente e fate leva su quel lato per ottenere da lui un piccolo sacrificio, una vittoria, un gesto generoso. Sentite tutta la responsabilità della grande missione che Iddio vi affida per mezzo dell'ubbidienza e pensate che una vostra parola, un vostro sacrificio, potranno forse essere decisivi nella vita di un bambino e farlo orientare e decidere del suo avvenire ... Sapete che ormai i nostri collegi sono Preseminari, e questo deve dirvi tutto e farvi accettare ogni fatica, abbracciare ogni sacrificio per cooperare alla formazione di coloro che, con amorosa predilezione, Iddio sceglie per sé». Quale commento potrebbe aggiungere forza e splendore a queste parole? Si dovrebbe far punto qui, e ce ne sarebbe abbastanza per capire la grandezza morale di quella donna e religiosa Oblata che fu Madre Margherita. Ma un'altra pennellata non guasta, e si riferisce alla sua azione provvida e lungimirante a favore dei sacerdoti. Le sue parole a questo proposito raggiungono una specie di lirismo. È una pagina che non avrei timore di definire stupenda, perché le parole veramente generano meraviglia e commozione. Anch'essa fa parte dell'ultima lettera sopra citata. Eccola: «Andate anche voi, carissime figlie, e spargetevi per le Case del Clero e per le Parrocchie portando dappertutto l'olezzo di una purità senz'ombra, il delicatissimo riserbo di un contegno senza asprezza, la totale dedizione di una generosità senza misura. Andate come angeli tutelari e come conforto al ministro del Santuario aiutandolo con l'umile fatica delle vostre mani. Andate al Sacerdote stanco del suo faticoso lavoro, oppresso da tante preoccupazioni per il bene delle anime ... se voi non ci foste, chi potrebbe sollevarlo in mezzo a tanti pensieri che lo assillano, in mezzo a tante amarezze che si succedono nel suo cuore sacerdotale? Mentre, quella casa linda e ordinata, quel vitto preparato con tanta amorosa cura, quella biancheria così ben messa, tutte quelle piccole attenzioni, e il solo sapere che c'è un'anima amica pronta a compiere con soprannaturale pensiero qualunque sacrificio per la sua tranquillità, sono per lui luce benefica, riposo refrigerante, che lo rende più atto ad affrontare nuove fatiche. E voi, figlie carissime, spazzando la casa, preparando la cucina, rigovernando stoviglie, ecc. sia per i Piccoli Amici che per i Grandi Amici, fate un bene incalcolabile. Ed allora, fatelo sempre con lo stesso amore con cui la Vergine Maria serviva il suo Gesù; voi forse non vi rendete neppure conto del gran bene che fate e forse, fino al termine della vostra giornata terrena, ignorerete di quanto bene siete state apportatrici e, povere operaie vagliate e stanche, in piedi sulla soglia dell'eterna gioia, vi stupirete delle parole che Dio vi dirà e della ricompensa che vi sarà data. Andate dunque, figlie carissime, e la benedizione di Dio vi accompagni nel vostro sentiero. I nostri cuori, cementati dalla carità di Cristo, non avranno mai timore, e al desiderio e alla trepida domanda dello Sposo divino che si rivolge al nostro generoso amore, risponderemo con slancio: Eccomi, manda me.
A Madre Margherita voglio applicare le parole che S. Girolamo scrisse per S. Paola Romana: «Non rattristiamoci di aver perduto una tal donna, ma ringraziamo di averla avuta, anzi d'averla ancora, perché in Dio tutto vive e chi ritorna a Lui continua a far parte della nostra famiglia».
MONS. COSIMO PETINO
(1) Non tutte sono state pubblicate: questa è soltanto una prima scelta.