Se non vedo,

non credo.

Cristo risorto, non è una suggestione, non è una illusione, non è un’emozione. Non è una fantasia, un’idea, un pensiero.

È una realtà. È vivo e vero. È Dio. Lui può tutto. Può risorgere, tornare in vita. Perché è la Vita. È il Vivente. È il Tutto. È la realtà.

Come Tommaso, non ti basta il racconto. Lo vuoi incontrare. Lo vuoi toccare, come si fa con una persona viva e vera.

Anche Gesù lo vuole, per questo ti viene incontro. Viene e ti fa vedere il suo corpo risorto. Ti fa vedere le sue ferite. Ti chiede di toccare quelle ferite.

Metti il tuo dito nel buco dei chiodi. Senti, non c’è più il chiodo, non c’è più il dolore, non c’è più la ferita. È rimasto solo il segno.

Metti la tua mano nel suo fianco. Senti, non c’è più la lancia, non c’è più il sangue, non c’è più la morte.

Quelle ferite sono ancora lì. Sono li aperte, per accogliere le tue ferite. Per accogliere il tuo dolore. Per farti entrare nel suo corpo risorto.

Ecco la risurrezione.

È incontrare Cristo risorto. È toccare il segno dei chiodi e del costato. È mettere le tue ferite, in quelle ferite. È risorgere in lui.

È inginocchiarsi, davanti a lui. E proclamare, “Mio Signore e mio Dio”.

Da “Cercare la fede”

"La preghiera è 

la debolezza di Dio

e

l'onnipotenza dell'uomo".

  Papa Pio XII

Il bambino e l'amore vero

Un ragazzino vide scritto alla porta d’un negozio: "si vendono cuccioli". Si presentò chiedendo: "quanto costano i cagnolini?"

Il padrone rispose: "tra 30 e 50 euro”.

Il bambino mise la mano in tasca e ne estrasse alcune monete: "ho solo 2,37 euro … Posso vederli?". Ad un fischio, dal retrobottega entrò correndo il suo cane seguito da cinque cuccioli. Uno di questi però era rimasto molto indietro rispetto agli altri. "Cosa gli è successo?" – chiese il bambino.

L’uomo gli spiegò: “è rimasto zoppo per sempre perché è nato con un’anca difettosa. Il bambino si commosse a quelle parole ed esclamò: "questo è il cagnolino che voglio comprare!".

E l’uomo gli rispose: "no, non dovrai comprarlo! Se lo vuoi veramente te lo regalerò!".

Il bambino rimase attonito e guardando l’uomo diritto negli occhi, gli disse: "non voglio che lei me lo regali: vale tanto quanto gli altri cagnolini e io le pagherò il prezzo intero."

L’uomo rispose: "Ma non sarà mai in grado di correre come gli altri cagnolini!".

Allora il bambino mostrò all’uomo la sua gamba sinistra, malformata ed imprigionata in un pesante apparecchio metallico e gli disse: "questo non importa, anch’io non posso correre e il cagnolino avrà bisogno di qualcuno che lo capisca!".

Gli occhi del negoziante si riempirono di lacrime… e, sorridendo, disse: "ragazzo, mi auguro e spero davvero che ciascuno di questi cuccioli trovi un padrone come te."

Padre Andrea Panont O.C.D

Gesù Risorto appare

Lunedì in albis:

a Maria, sua Madre

la Vita trionfa sulla morte.

Pasqua di risurrezione:

“Il Signore è risorto, è veramente risorto!”.

Come potremmo non sentirci "trafiggere il cuore" (cfr At 2,37), alla maniera di coloro che per primi udirono la predicazione di Pietro nel giorno di Pentecoste? Cristo morì e risuscitò, per non morire mai più. La storia dell’umanità fu definitivamente cambiata. Il lungo dominio del peccato e della morte venne distrutto dal trionfo dell’obbedienza e della vita; il legno della croce svelò la verità circa il bene e il male; il giudizio di Dio fu pronunciato su questo mondo e la grazia dello Spirito Santo venne riversata sull’umanità intera. Cristo, il nuovo Adamo, ci ha insegnato che mai il male ha l’ultima parola, che l’amore è più forte della morte, che il nostro futuro e quello dell’umanità sta nelle mani di un Dio provvido e fedele».

Benedetto XVI (visita al Santo Sepolcro)

Sabato Santo: un silenzio terribile

Il mistero terribile del Sabato santo, il suo abisso di silenzio, ha acquistato quindi nel nostro tempo una realtà schiacciante. Giacché questo è il Sabato santo: giorno del nascondimento di Dio, giorno di quel paradosso inaudito che noi esprimiamo nel Credo con le parole «disceso agli inferi», disceso dentro il mistero della morte. Il Venerdì santo potevamo ancora guardare il trafitto. Il Sabato santo è vuoto, la pesante pietra del sepolcro nuovo copre il defunto, tutto è passato, la fede sembra essere definitivamente smascherata come fanatismo. Nessun Dio ha salvato questo Gesù che si atteggiava a Figlio suo. Si può essere tranquilli: i prudenti che prima avevano un po’ titubato nel loro intimo se forse potesse essere diverso, hanno avuto invece ragione.

Sabato santo: giorno della sepoltura di Dio; non è questo in maniera impressionante il nostro giorno? Non comincia il nostro secolo a essere un grande Sabato santo, giorno dell’assenza di Dio, nel quale anche i discepoli hanno un vuoto agghiacciante nel cuore che si allarga sempre di più, e per questo motivo si preparano pieni di vergogna e angoscia al ritorno a casa e si avviano cupi e distrutti nella loro disperazione verso Emmaus, non accorgendosi affatto che colui che era creduto morto è in mezzo a loro?

Benedetto XVI: “Il mistero terribile del Sabato santo della storia

Venerdì Santo:

Ave Crux, spes unica!

Giovedì Santo:

dell'Eucaristia

giorno dell'istituzione

e del Sacerdozio

LETTERA DEL SANTO PADRE GIOVANNI PAOLO II AI SACERDOTI PER IL GIOVEDÌ SANTO 2005

Carissimi sacerdoti!

1. Particolarmente gradito, nell'Anno dell'Eucaristia, mi torna l'annuale appuntamento spirituale in occasione del Giovedì Santo, il giorno dell'amore di Cristo spinto « fino all'estremo » (cfr Gv 13,1), il giorno dell'Eucaristia, il giorno del nostro sacerdozio.

Il mio pensiero viene a voi, sacerdoti, mentre trascorro un periodo di cura e di riabilitazione in ospedale, ammalato tra gli ammalati, unendo nell'Eucaristia la mia sofferenza a quella di Cristo. In questo spirito voglio riflettere con voi su qualche aspetto della nostra spiritualità sacerdotale.

Lo farò lasciandomi guidare dalle parole dell'istituzione eucaristica, quelle che ogni giorno pronunciamo in persona Christi, per rendere presente sui nostri altari il sacrificio compiuto una volta per tutte sul Calvario. Da queste parole emergono indicazioni luminose di spiritualità sacerdotale: se tutta la Chiesa vive dell'Eucaristia, l'esistenza sacerdotale deve avere a speciale titolo una « forma eucaristica ». Le parole dell'istituzione dell'Eucaristia devono perciò essere per noi non soltanto una formula consacratoria, ma una « formula di vita ».

Un'esistenza profondamente « grata »

2. « Tibi gratias agens benedixit... ». In ogni Santa Messa ricordiamo e riviviamo il primo sentimento espresso da Gesù nell'atto di spezzare il pane: quello del rendimento di grazie. La riconoscenza è l'atteggiamento che sta alla base del nome stesso di « Eucaristia ». Dentro quest'espressione di gratitudine confluisce tutta la spiritualità biblica della lode per i mirabilia Dei. Dio ci ama, ci precede con la sua Provvidenza, ci accompagna con continui interventi di salvezza.

Nell'Eucaristia Gesù ringrazia il Padre con noi e per noi. Come potrebbe questo rendimento di grazie di Gesù non plasmare la vita del sacerdote? Egli sa di dover coltivare un animo costan- temente grato per i tanti doni ricevuti nel corso della sua esistenza: in particolare, per il dono della fede, della quale è diventato annunciatore, e per quello del sacerdozio, che lo consacra interamente al servizio del Regno di Dio. Abbiamo le nostre croci – e certo non siamo i soli ad averne! – ma i doni ricevuti sono così grandi che non possiamo non cantare dal profondo del cuore il nostro Magnificat.

Un'esistenza « donata »

3. « Accipite et manducate... Accipite et bibite... ». L'auto-donazione di Cristo, che ha la sua scaturigine nella vita trinitaria del Dio-Amore, raggiunge la sua espressione più alta nel sacrificio della Croce, di cui l'Ultima Cena è l'anticipazione sacramentale. Non è possibile ripetere le parole della consacrazione senza sentirsi coinvolti in questo movimento spirituale. In certo senso, è anche di sé che il sacerdote deve imparare a dire, con verità e generosità: « prendete e mangiate ». La sua vita, infatti, ha senso se egli sa farsi dono, mettendosi a disposizione della comunità e a servizio di chiunque sia nel bisogno.

Questo, appunto, Gesù si aspettava dai suoi Apostoli, come l'evangelista Giovanni sottolinea raccontando della lavanda dei piedi. Questo anche il Popolo di Dio si attende dal sacerdote. A ben riflettere, l'obbedienza a cui egli si è impegnato nel giorno dell'Ordinazione, e la cui promessa è invitato a ribadire nella Messa crismale, prende luce da questo rapporto con l'Eucaristia. Obbedendo per amore, rinunciando magari a legittimi spazi di libertà quando si tratta di aderire all'autorevole discernimento dei Vescovi, il sacerdote attua nella propria carne quel « prendete e mangiate » con cui Cristo, nell'Ultima Cena, affidò se stesso alla Chiesa.

Un'esistenza « salvata » per salvare

4. « Hoc est enim corpus meum quod pro vobis tradetur ». Il corpo e il sangue di Cristo sono dati per la salvezza dell'uomo, di tutto l'uomo e di tutti gli uomini. E' una salvezza integrale e al tempo stesso universale, perché non c'è uomo che, a meno di un libero atto di rifiuto, sia escluso dalla potenza salvifica del sangue di Cristo: « qui pro vobis et pro multis effundetur ». Si tratta di un sacrificio offerto per « molti », come recita il testo biblico (Mc 14,24; Mt 26,28; cfr Is 53, 11-12) con una tipica espressione semitica che, mentre indica la moltitudine raggiunta dalla salvezza operata dall'unico Cristo, implica al tempo stesso la totalità degli esseri umani ai quali essa è offerta: è sangue « versato per voi e per tutti », come in alcune traduzioni legittimamente si esplicita. La carne di Cristo è infatti data « per la vita del mondo » (Gv 6,51; cfr 1 Gv 2,2).

Ripetendo nel silenzio raccolto dell'assemblea liturgica le parole venerande di Cristo, noi sacerdoti diveniamo annunciatori privilegiati di questo mistero di salvezza. Ma come esserlo efficacemente, senza sentirci noi stessi salvati? Noi per primi siamo raggiunti nell'intimo dalla grazia che, sollevandoci dalle nostre fragilità, ci fa gridare « Abba, Padre » con la confidenza propria dei figli (cfr Gal 4,6; Rm 8,15). E questo ci impegna a progredire nel cammino di perfezione. La santità, infatti, è l'espressione piena della salvezza. Solo vivendo da salvati, diveniamo annunciatori credibili della salvezza. D'altra parte, prendere ogni volta coscienza della volontà di Cristo di offrire a tutti la salvezza non può non ravvivare nel nostro animo l'ardore missionario, spronando ciascuno di noi a farsi « tutto a tutti, per salvare ad ogni costo qualcuno » (1 Cor 9,22).

Un'esistenza « memore »

5. « Hoc facite in meam commemorationem ». Queste parole di Gesù ci sono state conservate, oltre che da Luca (22,19), anche da Paolo (1 Cor 11,24). Il contesto nel quale sono state pronunciate – è bene tenerlo presente – è quello della cena pasquale, che per gli ebrei era appunto un « memoriale » (zikkarôn, in ebraico). In quella circostanza gli israeliti rivivevano innanzitutto l'Esodo, ma con esso anche gli altri eventi importanti della loro storia: la vocazione di Abramo, il sacrificio di Isacco, l'alleanza del Sinai, i tanti interventi di Dio in difesa del suo popolo. Anche per i cristiani l'Eucaristia è « memoriale », ma lo è in una misura unica: non ricorda soltanto, ma attualizza sacramentalmente la morte e la risurrezione del Signore.

Vorrei inoltre sottolineare che Gesù ha detto: « Fate questo in memoria di me ». L'Eucaristia dunque non ricorda semplicemente un fatto: ricorda Lui! Per il sacerdote ripetere ogni giorno, in persona Christi, le parole del « memoriale » costituisce un invito a sviluppare una « spiritualità della memoria ». In un tempo in cui i rapidi cambiamenti culturali e sociali allentano il senso della tradizione ed espongono specialmente le nuove generazioni al rischio di smarrire il rapporto con le proprie radici, il sacerdote è chiamato ad essere, nella comunità a lui affidata, l'uomo del ricordo fedele di Cristo e di tutto il suo mistero: la sua prefigurazione nell'Antico Testamento, la sua attuazione nel Nuovo, il suo progressivo approfondimento, sotto la guida dello Spirito, secondo l'esplicita promessa: « Egli v'insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto » (Gv 14,26).

Un'esistenza « consacrata »

6. « Mysterium fidei! ». Con questa esclamazione il sacerdote esprime, dopo ogni consacrazione del pane e del vino, lo stupore sempre rinnovato per lo straordinario prodigio che si è compiuto tra le sue mani. E' un prodigio che solo gli occhi della fede possono percepire. Gli elementi naturali non perdono le loro esterne caratteristiche, giacché le « specie » restano quelle del pane e del vino; ma la loro « sostanza », per la potenza della parola di Cristo e dell'azione dello Spirito Santo, si converte nella sostanza del corpo e del sangue di Cristo. Sull'altare è così presente « veramente, realmente, sostanzialmente » il Cristo morto e risorto nell'interezza della sua umanità e divinità. Realtà eminentemente sacra, dunque! Per questo la Chiesa circonda di tanta riverenza questo Mistero, e attentamente vigila perché siano osservate le norme liturgiche poste a tutela della santità di così grande Sacramento.

Noi sacerdoti siamo i celebranti, ma anche i custodi di questo sacrosanto Mistero. Dal nostro rapporto con l'Eucaristia trae il suo senso più esigente anche la condizione « sacra » della nostra vita. Essa deve trasparire da tutto il nostro modo di essere, ma innanzitutto dal modo stesso di celebrare. Mettiamoci per questo alla scuola dei Santi! L'Anno dell'Eucaristia ci invita a riscoprire i Santi che hanno testimoniato con particolare vigore la devozione all'Eucaristia (cfr Mane nobiscum Domine, 31). Tanti sacerdoti beatificati e canonizzati hanno dato, in questo, una testimonianza esemplare, suscitando fervore nei fedeli presenti alle loro Messe. Tanti si sono distinti per la prolungata adorazione eucaristica. Stare davanti a Gesù Eucaristia, approfittare, in certo senso, delle nostre « solitudini » per riempirle di questa Presenza, significa dare alla nostra consacrazione tutto il calore dell'intimità con Cristo, da cui prende gioia e senso la nostra vita.

Un'esistenza protesa verso Cristo

7. « Mortem tuam annuntiamus, Domine, et tuam resurrectionem confitemur, donec venias ». Ogni volta che celebriamo l'Eucaristia, la memoria di Cristo nel suo mistero pasquale si fa desiderio dell'incontro pieno e definitivo con Lui. Noi viviamo nell'attesa della sua venuta! Nella spiritualità sacerdotale questa tensione deve essere vissuta nella forma propria della carità pastorale, che ci impegna a vivere in mezzo al Popolo di Dio, per orientarne il cammino ed alimentarne la speranza. E' un compito, questo, che richiede dal sacerdote un atteggiamento interiore simile a quello che l'apostolo Paolo viveva in se stesso: « Dimentico del passato e proteso verso il futuro, corro verso la meta... » (Fil 3,13- 14). Il sacerdote è uno che, nonostante il passare degli anni, continua ad irradiare giovinezza, quasi « contagiando » di essa le persone che incontra sul suo cammino. Il suo segreto sta nella « passione » che egli vive per Cristo. San Paolo diceva: « Per me il vivere è Cristo » (Fil 1,21).

Soprattutto nel contesto della nuova evangelizzazione, ai sacerdoti la gente ha diritto di rivolgersi con la speranza di « vedere » in loro Cristo (cfr Gv 12,21). Ne sentono il bisogno in particolare i giovani, che Cristo continua a chiamare a sé per farseli amici e per proporre ad alcuni di loro la donazione totale alla causa del Regno. Non mancheranno certo le vocazioni, se si eleverà il tono della nostra vita sacerdotale, se saremo più santi, più gioiosi, più appassionati nell'esercizio del nostro ministero. Un sacerdote « conquistato » da Cristo (cfr Fil 3,12) più facilmente « conquista » altri alla decisione di correre la stessa avventura.

Un'esistenza « eucaristica » alla scuola di Maria

8. Il rapporto della Vergine Santa con l'Eucaristia è molto stretto, come ho ricordato nell'Enciclica Ecclesia de Eucharistia (cfr nn. 53-58). Pur nella sobrietà del linguaggio liturgico, ogni Preghiera eucaristica lo sottolinea. Così nel Canone romano diciamo: « In comunione con tutta la Chiesa, ricordiamo e veneriamo anzitutto la gloriosa e sempre vergine Maria, Madre del nostro Dio e Signore Gesù Cristo ». Nelle altre Preghiere eucaristiche, poi, la venerazione si fa implorazione, come, ad esempio, nell'Anafora seconda: « Donaci di aver parte alla vita eterna, insieme con la Beata Maria, Vergine e Madre di Dio ».

Insistendo, in questi anni, specie nella Novo millennio ineunte (cfr nn. 23 ss.) e nella Rosarium Virginis Mariae (cfr nn. 9 ss.), sulla contemplazione del volto di Cristo, ho additato Maria come la grande maestra. Nell'Enciclica sull'Eucaristia l'ho poi presentata come « Donna eucaristica » (cfr n. 53). Chi più di Maria può farci gustare la grandezza del mistero eucaristico? Nessuno come Lei può insegnarci con quale fervore si debbano celebrare i santi Misteri e ci si debba intrattenere in compagnia del suo Figlio nascosto sotto i veli eucaristici. La imploro, dunque, per tutti voi, Le affido specialmente i più anziani, gli ammalati, quanti si trovano in difficoltà. In questa Pasqua dell'Anno dell'Eucaristia mi piace riecheggiare per ciascuno di voi la dolce e rassicurante parola di Gesù: « Ecco tua Madre » (Gv 19,27). Con questi sentimenti, di cuore tutti vi benedico, augurandovi un'intensa gioia pasquale.

Dal Policlinico Gemelli in Roma, 13 marzo, quinta domenica di Quaresima, dell'anno 2005, ventisettesimo di Pontificato.

GIOVANNI PAOLO II

Mercoledì Santo:

è terribile essere traditi!

In quel tempo, uno dei Dodici, chiamato Giuda Iscariòta, andò dai capi dei sacerdoti e disse: «Quanto volete darmi perché io ve lo consegni?». E quelli gli fissarono trenta monete d’argento. Da quel momento cercava l’occasione propizia per consegnare Gesù.

Giuda è finito sotto il dominio di qualcun altro: chi rompe l’amicizia con Gesù, chi si scrolla di dosso il suo «dolce giogo», non giunge alla libertà, non diventa libero, ma diventa invece schiavo di altre potenze – o piuttosto: il fatto che egli tradisce questa amicizia deriva ormai dall’intervento di un altro potere, al quale si è aperto.

Tuttavia, la luce che, provenendo da Gesù, era caduta nell’anima di Giuda, non si era spenta del tutto. C’è un primo passo verso la conversione: «Ho peccato», dice ai suoi committenti. Cerca di salvare Gesù e ridà il denaro (cfr Mt 27, 3ss). Tutto ciò che di puro e di grande aveva ricevuto da Gesù, rimaneva iscritto nella sua anima – non poteva dimenticarlo. La seconda sua tragedia – dopo il tradimento – è che non riesce più a credere ad un perdono.

Il suo pentimento diventa disperazione. Egli vede ormai solo se stesso e le sue tenebre, non vede più la luce di Gesù – quella luce che può illuminare e superare anche le tenebre. Ci fa così vedere il modo errato del pentimento: un pentimento che non riesce più a sperare, ma vede ormai solo il proprio buio, è distruttivo e non è un vero pentimento.

Fa parte del giusto pentimento la certezza della speranza – una certezza che nasce dalla fede nella potenza maggiore della Luce fattasi carne in Gesù. Giovanni conclude il brano su Giuda in modo drammatico con le parole: «Egli, preso il boccone, subito uscì. Ed era notte» (13,30). Giuda esce fuori – in un senso più profondo. Entra nella notte, va via dalla luce verso il buio; il «potere delle tenebre» lo ha afferrato (cfr Gv 3,19; Lc 22, 53).

Benedetto XVI

Martedì Santo: Pietro sperimenta

la propria debolezza.

«Figlioli, ancora per poco sono con voi; voi mi cercherete ma, come ho detto ai Giudei, ora lo dico anche a voi: dove vado io, voi non potete venire». Simon Pietro gli disse: «Signore, dove vai?». Gli rispose Gesù: «Dove io vado, tu per ora non puoi seguirmi; mi seguirai più tardi». Pietro disse: «Signore, perché non posso seguirti ora? Darò la mia vita per te!». Rispose Gesù: «Darai la tua vita per me? In verità, in verità io ti dico: non canterà il gallo, prima che tu non m’abbia rinnegato tre volte». (Gv 13, 36-38)

Pietro, che aveva promesso fedeltà assoluta, conosce l’amarezza e l’umiliazione del rinnegamento: lo spavaldo apprende a sue spese l’umiltà. Anche Pietro deve imparare a essere debole e bisognoso di perdono. Quando finalmente gli cade la maschera e capisce la verità del suo cuore debole di peccatore credente, scoppia in un liberatorio pianto di pentimento. Dopo questo pianto egli è ormai pronto per la sua missione. Dagli ingenui entusiasmi dell’adesione iniziale, passando attraverso l’esperienza dolorosa del rinnegamento ed il pianto della conversione, Pietro è giunto ad affidarsi a quel Gesù che si è adattato alla sua povera capacità d’amore. E mostra così anche a noi la via, nonostante tutta la nostra debolezza.

(Catechesi di Benedetto XVI, 24 maggio 2006)

Lunedì Santo: Maria di Betania

con un profumo preziosissimo.

unge i piedi di Gesù

"Sei giorni prima della Pasqua, Gesù andò a Betania, dove si trovava Lazzaro, che egli aveva risuscitato dai morti. E qui gli fecero una cena: Marta serviva e Lazzaro era uno dei commensali. Maria allora, presa una libbra di olio profumato di vero nardo, assai prezioso, cosparse i piedi di Gesù e li asciugò con i suoi capelli, e tutta la casa si riempì del profumo dell’unguento".

Maria di Betania “prese trecento grammi di profumo di puro nardo, assai prezioso, ne cosparse i piedi di Gesù, poi li asciugò con i suoi capelli” (12,3). Il gesto di Maria è l’espressione di fede e di amore grandi verso il Signore: per lei non è sufficiente lavare i piedi del Maestro con l’acqua, ma li cosparge con una grande quantità di profumo prezioso, che – come contesterà Giuda – si sarebbe potuto vendere per trecento denari; non unge, il capo, come era usanza, ma i piedi: Maria offre a Gesù quanto ha di più prezioso e con un gesto di devozione profonda.

L’amore non calcola, non misura, non bada a spese, non pone barriere, ma sa donare con gioia, cerca solo il bene dell’altro, vince la meschinità, la grettezza, i risentimenti, le chiusure che l’uomo porta a volte nel suo cuore".

Omelia di Benedetto XVI per la Santa Messa nel V anniversario della morte di Giovanni Paolo II, Il 29 marzo 2010 .

OSANNA AL FIGLIO DI DAVIDE

I fanciulli rendono omaggio a Gesù come figlio di Davide ed acclamano l’Osanna. Gesù aveva detto ai suoi discepoli che, per entrare nel Regno di Dio, avrebbero dovuto ridiventare come i bambini. Egli stesso, che abbraccia il mondo intero, si è fatto piccolo per venirci incontro, per avviarci verso Dio.

Per riconoscere Dio dobbiamo abbandonare la superbia che ci abbaglia, che vuole spingerci lontani da Dio, come se Dio fosse nostro concorrente.

Per incontrare Dio bisogna divenire capaci di vedere col cuore. Dobbiamo imparare a vedere con un cuore giovane, che non è ostacolato da pregiudizi e non è abbagliato da interessi.

(OMELIA DI SUA SANTITÀ BENEDETTO XVI Piazza San Pietro Domenica, 16 marzo 2008)

Ti saluto o Croce Santa.

Gesù la Croce fa paura.  Ha fatto paura a te e a maggior ragione fa paura a noi.

Davanti alle nostre croci siamo presi dallo sgomento, dallo scoraggiamento, dal rifiuto, dalla ribellione. 

Aiutaci a capire che solo la Croce ci salva e che, portata con te, diventa più leggera.

LA DEVOZIONE DEL GIORNO - GIOVEDÌ -

 Il Giovedì è il giorno dedicato al Santissimo Sacramento, per ringraziare il Signore dell’istituzione dell’Eucaristia e pregare per i sacerdoti, per le vocazioni, ma anche e in riparazione dei sacrilegi che si commettono contro il Santissimo Sacramento.

PREGHIERA AL CUORE DI GESÙ NELL’EUCARISTIA

Cuore di Gesù nell’Eucaristia,  amabile compagno del nostro esilio, Ti adoro!

Cuore Eucaristico di Gesù, Cuore solitario, Ti adoro!

Cuore umiliato, Ti adoro!

Cuore abbandonato, Cuore dimenticato, Cuore disprezzato, Cuore oltraggiato, Ti adoro!

Cuore sconosciuto agli uomini, Cuore amorevole, Ti adoro!

Cuore pieno di bontà, Ti adoro!

Cuore che desideri essere amato, Cuore paziente nell’attenderci, Ti adoro!

Cuore interessato ad ascoltarci, Cuore desideroso di essere supplicato, Ti adoro!

Cuore fonte di nuove grazie, silenzioso, che desideri parlare alle anime, Ti adoro!

Cuore, dolce rifugio dei peccatori, Ti adoro!

Cuore che insegni i segreti dell’unione divina, Ti adoro!

Cuore Eucaristico di Gesù, Ti adoro!

Farsi rispettare

Uno dopo l’altro, alcuni amici vengono a cercare un perché, un valore, se mai ci fosse, in tutte le amarezze della vita.

Di fronte alle situazioni quotidiane e inevitabili, e per tante altre circostanze che più o meno si assomigliano, trovo la risposta osservando ciò che accade ad un acino d’uva nel suo normale percorso dalla vigna alla cantina.

Sarebbe un guaio grosso se nella vigna incontrassi un grappolo dorato che amasse farsi fotografare, accarezzare, ammirare…rispettare. Basta osservare come e quanto gli “manchi di rispetto” il suo agricoltore.

Quando finalmente lo vede bello, ingiallito, rigonfio e maturo lo avvicina con la forbice e lo getta nel cesto a confondersi con gli altri. Dal cesto lo fa passare nel torchio buio che, prima ancora che accenni a lamentarsi o a pretendere “rispetto”, lo stritola senza “pietà”, liberandolo così da ogni tentazione di narcisismo che nasce dall’egoismo.

In questo terribile momento della vita, il grappolo ha perso la sua fisionomia, la sua personalità, tutta la sua bellezza; si è sentito calpestato, torturato, dilaniato; in una parola non ha avvertito “nessun rispetto” da nessuno; nel preciso momento in cui ha perduto la dignità di grappolo, ha potuto diventare vino e rivelare a tutti che cosa significa beneficare l’umanità.

Nel vangelo si parla di un Grappolo (Gesù) che non poteva farsi “rispettare” dagli uomini: doveva inebriare l’umanità.

padre Andrea Panont O.C.D.

Gesù è il chicco di grano caduto in terra

Gesù ci dice: “In verità, in verità, vi dico: se il chicco di grano caduto in terra non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto” (Gv 12, 24).

Gesù è il chicco di grano che muore. Dal chicco di grano morto comincia la grande moltiplicazione del pane che dura fino alla fine del mondo. Egli è il pane di vita capace di sfamare in misura sovrabbondante l’umanità intera e di donarle il nutrimento vitale: il Verbo eterno di Dio, che è diventato carne e anche pane, per noi, attraverso la croce e la risurrezione.

(Via crucis del cardinale Ratzinger aprile 2005)

San Giuseppe, veglia su di noi.

Il nostro Dio è un Dio di pietà, di tenerezza.

Sentiamoci avvolti dal Suo amore

Dio dice a te e dice a me: "Sion ha detto: «Il Signore mi ha abbandonato, il Signore mi ha dimenticato». Si dimentica forse una donna del suo bambino, così da non commuoversi per il figlio delle sue viscere? Anche se costoro si dimenticassero, io invece non ti dimenticherò mai". ( Is 49, 14-15)

Cura dell'Alzheimer

Si sta sperimentando da poco negli USA un sistema che consente alla persona sofferente del morbo di Alzheimer di essere quotidianamente aiutata e stimolata nei propri ricordi. E’ risaputo che questo male colpisce la memoria.

Ne è molto interessato il mio amico Sandro, che ha la moglie ammalata proprio di Alzheimer: da un po’ di tempo inizia un discorso…smette improvvisamente e non ricorda più cosa stava dicendo o che cosa volesse dire. Spesso non ricorda nomi e non riconosce persone o familiari.

L’altra sera rincasava dal lavoro assieme al figlio; la moglie si è avventata contro il figlio: “Ma tu chi sei…cosa fai qui? Vattene a casa tua”.

Il giorno dopo lui stesso, terrorizzato, è dovuto scappare dalla stanza, minacciato dal coltello impugnato dalla moglie che non lo riconosceva più.

La cura americana per questi ammalati è chiamata “Il film della vita”. Si tratta di un filmato di 30 minuti circa: presentato più volte durante la settimana al malato di Alzheimer permette di ricordargli chi è, quali sono le sue relazioni, con chi gli sta vicino o e con chi lo va a trovare, lo stimola cerebralmente in modo positivo anche con musiche da lui gustate in precedenza.

E’ spaventoso, se non tragico, il male che ti impedisce di riconoscere la moglie e i figli, gli amici…ma è da curare più urgentemente l’Alzheimer dello spirito: la malattia di chi smarrisce la fede e, perdendone la memoria, non riconosce Dio.

Come cura, la Chiesa ci propone ogni giorno il suo “filmato della vita”: è il “memoriale eucaristico” che ti ripresenta Dio che ti ama fino a morirne; ti si dona come Parola che ti guarisce; ti nutre come Pane che ti fa vivere con gioia la comunione dei fratelli nei quali ti ricorda di riconoscere Gesù.

Padre Andrea Panont O.C.D.

Il cuore vuoto della grazia di Dio

Sapete che il nostro Divino Salvatore, che è la verità e la bontà stessa, diceva ai discepoli: "Se la vostra giustizia non supererà quella degli scribi e dei farisei, non entrerete nel regno dei cieli" (Mt 5,20). Sono davvero di Cristo queste parole. Lui non voleva condannare l'adultera; chi si degnava di colloquiare con la samaritana e rivelare i misteri del cielo a colei che conduceva una vita sbagliata; lui che acconsentiva a mangiare coi pubblicani, socialmente considerati peccatori; che permetteva alla Maddalena di lavargli i piedi e asciugarli coi suoi capelli; lui che era "così dolce e umile di cuore" (Mt 11,29), accusava pubblicamente i Farisei come anatemi: "Guai a voi Farisei ipocriti, che chiudete il regno dei cieli davanti agli uomini; perché così voi non vi entrate..." (Mt 23,13). (...)

Ricordate il Fariseo che Cristo ci dipinge mentre sale al Tempio per pregare. Quale è la sua preghiera? "O Dio, ti ringrazio che non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adùlteri, e neppure come questo pubblicano. Digiuno due volte la settimana e pago le decime di quanto possiedo" (Lc 18,11-12); Non mi coglierete in alcun difetto, dovete esser fiero di me". E, in senso letterale, quanto diceva era vero: osservava tutto ciò.

Tuttavia quale è il giudizio di Gesù? Quest'uomo uscì dal tempio giustificato, ma col cuore vuoto della grazia di Dio. Perché questa condanna? Perché il disgraziato si gloriava delle sue buone azioni e poneva la perfezione nell'osservanza puramente esteriore, senza preoccuparsi delle disposizioni interiori del cuore. Nostro Signore ci dice anche: "Se la vostra giustizia non supererà quella dei farisei, non entrerete nel regno dei cieli". (...) E' nel cuore, infatti, che sta la perfezione; poiché l'amore è la legge suprema.

Dom Columba Marmion

Ago e filo

 Ago e filo cuciono, rattoppano, uniscono ogni strappo, ogni divisione. Il cristiano è chiamato ad essere un sarto; specialista di ago e filo. Quante volte si può, si deve cucire, ricucire? Fino a settanta volte sette; cioè sempre. L'ago è il dolore che trascina il filo e lo conduce nello spazio creato dalla sua puntura. Il filo è l'amore che non può passare se non attraverso il vuoto creato dalla punta del dolore. Ago e filo sono inseparabili nel cucire. E’ vano il passaggio dell'ago senza il filo, come è vano il dolore senza l'amore; è impossibile al filo penetrare senza l'ago, come non ha forza l'amore senza il dolore. Solo tramite la dolorosa puntura dell'ago è possibile al filo passare e ripassare sulla ferita del tessuto e così ricomporla, aggiustarla, sanarla. “Quant'è facile - osserva Gilbert, un amico sarto - fare uno strappo; è un attimo; ma per ricucire, per riparare quello strappo bisogna passarvi sopra molte e molte volte con ago e filo”.

Le sue parole mi fanno riflettere a quanta attenzione, quanta delicatezza richieda il trattare col prossimo: è così facile lo strappo: un'impazienza, uno sgarbo, una parola, un gesto possono rompere o, almeno, incrinare il rapporto con lui; ma quanti atti d'amore per ricucirlo, quanto impegno per riparare a un'offesa. Ad ogni strappo va trovato e usato il filo adatto, per colore e per spessore, alla stoffa lacerata e alle cuciture precedenti; così non può esserci un modo di amare uguale per ogni persona.

I gesti che riparano lo strappo non sono uguali perché sono diverse le persone con le quali si ha da trattare. Ognuno va avvicinato secondo i suoi gusti, il suo linguaggio, la sua sensibilità. Non per tutti è uguale il saluto, non a tutti è gradito lo stesso modo di parlare. A stoffa nuova, rattoppi nuovi; rattoppi vecchi a stoffa vecchia. Altrimenti i rattoppi nuovi strappano la stoffa vecchia. Piangere con chi piange, ridere con chi ride è la massima di S. Paolo l'arte del farsi uno con ciascuno, con tutti.

Norbert, un amico calzolaio, mi confidava che molta gente nel comperare le scarpe, si lascia ingannare da cuciture apparenti, che coprono incollature affrettate. Bisogna saper distinguere le cuciture vere da quelle simulate, per non lamentarsi dopo dell'inganno.

L'amore tende a riannodare lo strappo. Ma attenzione alla qualità del filo. Le pezze possono essere di stoffa la più forte, la più pregiata, ma se non usi filo adeguato e resistente l'abito non si ripara e se usi filo scadente, scadente è pure il risultato del lavoro.

Solo il filo robusto dell'amore di Dio può riannodare i rapporti tra fratelli. I rapporti cuciti dall'amore umano, interessato, egoistico, sono non autentici e di breve durata. L'amore che cuce fino alla fusione dei cuori è quello che viene da Dio. La chiesa fa cantare: Ci ha riuniti tutti insieme Cristo - amore. Beati i matrimoni, fortunate le comunità religiose dove abitano persone unite da questo amore.

Stavo per fare un monumento all'ago e al filo che insieme fanno vere opere d'arte. Basta osservare un vestito: tanti pezzi di stoffa messi armoniosamente insieme. Ma, passando a salutare Gilbert, nel suo negozio, vedo sul tavolo di lavoro, adagiati e inerti l'ago e il filo; inoperosi accanto a tagli di stoffa che aspettano la loro opera. Gilbert non c'era; era a letto ammalato. Per una settimana ago e filo rimasero immobili, senza poter far niente. Mancava la mano dell'artista. Ago e filo in mano al sarto non sanno cosa fa l'artista; la loro fortuna, il loro valore è nello stare nella sua mano e fidarsi della sua perizia.

Capisco che anch'io, se voglio cucire, ricucire ed essere strumento di unità devo solamente stare in mano al divino sarto, l'unico capace di usarmi per il suo grande sogno, il suo meraviglioso disegno: riannodare ogni strappo dell'umanità, fare di due un popolo solo, condurre ogni uomo nell'unica famiglia di Dio: “Padre che tutti siano uno!”

"Appena lo vide,

gli corse incontro e lo baciò".

 Beati noi che siamo figli di un tale Padre!

Se solo lo capissimo!!!

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