Giampiero Morettini nacque a Luogosanto, oggi in provincia di Olbia-Tempio, il 10 dicembre 1977, figlio di Mario Morettini, contadino, e Caterina, che due anni prima aveva dato alla luce il primogenito Francesco. Venne battezzato il 1° gennaio 1978.
L’anno successivo si trasferì con la famiglia a Sant’Angelo di Celle, frazione del comune di Deruta, in provincia di Perugia. Frequentò l’asilo e le elementari in paese, anche se non sembrava molto portato per lo studio; in compenso era vivace e intelligente.
Casa sua era molto vicina alla chiesa parrocchiale di San Michele arcangelo, dove ricevette, il 3 maggio 1987, la Prima Comunione. Poco dopo, cominciò a servire all’altare come chierichetto insieme al fratello.
Dopo il Sacramento della Cresima, ricevuto il 13 maggio 1990 nella parrocchia di San Michele a Sant’Angelo di Celle, continuò a frequentare il gruppo adolescenti, fino alla terza media. Da allora non partecipò più alla Messa domenicale, anche se, quasi per abitudine, a Natale e a Pasqua andava alle funzioni presso il santuario di Santa Maria degli Angeli ad Assisi.
Terminate le medie non senza difficoltà, s’iscrisse all’Istituto Tecnico Industriale «Alessandro Volta» di Perugia, scegliendo l’indirizzo di meccanica. Bocciato a giugno, manifestò ai genitori di voler interrompere gli studi, ma loro lo spinsero a continuare; alla fine, però, accettarono la sua scelta.
Per circa sei anni, Giampiero lavorò in un’officina nella periferia di Perugia, che lasciò nel 1999 per mettersi in proprio.
La sua famiglia, intanto, aveva dato vita a un’azienda agraria. Nel 2004, insieme alla madre, per vendere i prodotti dei loro terreni, aprì un negozio nel centro storico di Perugia; due anni dopo, trasferì l’attività nel paese di Castel del Piano.
Dopo il servizio militare, svolto nel 1997, Giampiero cambiò nell’aspetto fisico, dimagrendo di parecchio, ma non nelle abitudini: dormiva poche ore per notte, passava le serate con gli amici e non trascorreva tempo in casa.
Metteva comunque molta passione in quello che faceva, specie nell’attività lavorativa. Disponeva ogni giorno in maniera diversa la frutta, che andava a ritirare ai mercati generali la mattina presto, e cercava di accogliere al meglio i clienti.
Proprio nel suo negozio avvenne il fatto che, per sua stessa ammissione, gli cambiò la vita. Il 13 marzo 2006 l’amico Fabio Bistarelli avvisò Giampiero, intento alle pulizie prima dell’apertura pomeridiana, che quel giorno sarebbe passato un incaricato della parrocchia per la benedizione pasquale.
Poco dopo l’uscita dell’amico, nel negozio entrò una suora della Comunità delle Beatitudini, effettivamente inviata dalla parrocchia di Castel del Piano, dove si stava svolgendo una missione al popolo, nel cui ambito entrava l’aiuto nelle benedizioni.
Dopo aver asperso l’ambiente del negozio con l’acqua benedetta, chiese al titolare di poter pregare con lui, o meglio su di lui. Giampiero decise di assecondarla, per una questione di rispetto, ma durante la preghiera si sentì come assente; allo stesso tempo, sentì come un calore interno e un senso di serenità.
Nel pomeriggio dello stesso giorno andò in parrocchia, come gli aveva suggerito la suora prima di lasciare il negozio. Partecipò alla Messa, celebrata all’aperto, poi si diresse dal parroco, don Francesco Buono, dichiarando di volersi confessare: non subito, però, ma in modo da potersi preparare con calma.
La sera, prima di addormentarsi, guardò il Crocifisso, come faceva sempre: quella volta, però, si sentì come strappare il cuore dal petto. Pochi giorni dopo, il 19 marzo, si confessò da don Francesco, durante una liturgia penitenziale, con una vera confessione generale. Ai familiari non aveva raccontato nulla, però la madre, da alcuni indizi e soprattutto dal cambiamento nel suo sguardo, aveva immaginato che fosse successo qualcosa.
Iniziò immediatamente il cammino catechetico dei “10 Comandamenti” a Santa Maria degli Angeli e, quasi per recuperare il tempo perduto, si diede a letture spirituali: non libri di poco conto, ma le opere di autori come san Giovanni della Croce, santa Teresa d’Avila, santa Teresa di Gesù Bambino e santa Faustina Kowalska. Affrontò anche gli scritti di san Giovanni Maria Vianney, il Santo Curato d’Ars, e riscoprì san Francesco d’Assisi grazie alla lettura di «La sapienza di un povero» di Éloi Leclerc.
Di pari passo, s’immerse nella vita della comunità parrocchiale, a cominciare dall’ambito liturgico, diventando anche ministro straordinario dell’Eucaristia. S’iscrisse anche alla Scuola diocesana di teologia «Leone XIII» di Perugia. Dopo anni di lontananza, dovuti anche a qualche forma di pregiudizio, si sentiva pienamente accolto: era come se non si fosse mai accorto di una porta sempre aperta per lui.
Nel 2008 andò a vivere da solo, mentre l’anno successivo cominciò a partecipare alle Cellule di Evangelizzazione (gruppi di preghiera e condivisione all’interno delle case) attive nella parrocchia di Castel del Piano. Agli amici e ai familiari sembrava lo stesso di sempre, allegro e ironico, anche se a volte spariva senza dire dove andasse.
Fu anche impegnato come animatore ed educatore di bambini e ragazzi, partecipando con loro e con altri parrocchiani a molti pellegrinaggi. Nel frattempo, aiutato dal suo parroco nonché guida spirituale, andava interrogandosi se Dio volesse che lui non prendesse la via del matrimonio. Anni prima era stato innamorato di una ragazza, ma non si era mai dichiarato, anche se gli amici avevano intuito qualcosa.
Una domenica, però, durante la Messa, ascoltò il brano di Vangelo dove Gesù elogia una vedova che getta nel tesoro del Tempio tutto quello che aveva per vivere. Quel “donare tutto” accese in lui come una scintilla, che il giorno dopo divenne come un fuoco, in seguito a un gesto semplice: appena sveglio, verso le tre o le quattro del mattino, si fece il segno della Croce. Anche di questo diede conto al suo padre spirituale.
Durante il pellegrinaggio parrocchiale in Terra Santa, il 26 agosto 2010, annunciò ai presenti che sarebbe entrato in Seminario nell’ottobre successivo. Aveva già avvisato i familiari il mese prima, il 10 luglio. La madre reagì insultandolo e prendendosela con lui e col padre, il quale non riusciva a parteggiare per l’uno o per l’altra; Francesco, il fratello, pensava invece a uno dei suoi colpi di testa. La serenità con cui Giampiero viveva la situazione li lasciava, in ogni caso, piuttosto interdetti.
Aveva comunque una sorta di preoccupazione, legata soprattutto al fatto di dover lasciare l’attività commerciale interamente sulle spalle dei genitori, piuttosto anziani. Monsignor Gualtiero Bassetti, arcivescovo di Perugia-Città della Pieve, lo rassicurò che nel primo anno, quello propedeutico, necessario per chi come lui non aveva fatto studi classici, avrebbe potuto continuare ad aiutarli, ma fu colpito dalla chiarezza con cui il futuro seminarista intendeva verificare pienamente la propria vocazione.
Con altrettanta chiarezza si presentò a don Nazzareno Marconi, allora Rettore del Pontificio Seminario Umbro «Pio XI», dichiarando: «Vorrei regalare la mia vita a Dio». Il Rettore lo affiancò a un compagno più abile negli studi e, col tempo, si rese conto della serietà con cui assumeva vari piccoli incarichi, si trattasse di sistemare il giardino del Seminario o di riordinare la sacrestia, compito che svolse dopo due anni dal suo ingresso. Pur essendo stonato, non si tirava indietro quando si trattava d’intonare il Salmo durante la Messa.
Con i compagni aveva un rapporto sostanzialmente buono, facilitato dai lati migliori del suo carattere: cercava di favorire e mantenere l’unità tra loro. Qualcuno, a dire il vero, mal sopportava la sua insistenza nel fare tutto al meglio, come anche la sua assidua preghiera col Rosario, mentre altri litigavano con lui perché era capace di metterli di fronte alle loro debolezze.
Non rinnegava mai il suo passato, anzi: ci scherzava sopra, spesso mostrando una foto dei suoi anni giovanili. Solo a pochissimi rivelò, in modo molto riservato, le esperienze che l’avevano condotto all’ingresso in Seminario. Desiderava comprendere come essere un buon sacerdote, partecipando agli incontri comunitari di approfondimento e ponendo lui stesso domande.
Le difficoltà nelle materie curricolari continuavano, ma le affrontava in spirito di affidamento a Gesù e alla Madonna, come indicano i disegnini e le brevi invocazioni di aiuto riportate nei suoi quaderni di studio, specie nei punti più ostici. Continuava il suo affidamento anche nella preghiera silenziosa e quotidiana, specie nella cappella principale del Seminario.
Nelle esperienze di tirocinio pastorale, vissute nella parrocchia di Pila per l’anno propedeutico, poi in una comunità il cui parroco era stato travolto da uno scandalo, infine nell’Unità Pastorale Santa Famiglia di Nazareth, fu di aiuto alle catechiste, coinvolto pienamente con i bambini dell’oratorio, capace di seguire e responsabilizzare gli educatori.
L’8 dicembre 2013 fu ammesso tra i candidati al diaconato e al presbiterato. Continuava intanto a confrontarsi, oltre che con gli educatori, col suo arcivescovo, poi creato Cardinale nel Concistoro del 22 febbraio 2014: a lui espose il desiderio di poter vivere un’esperienza di servizio in terra di missione, in mezzo ai poveri. Il cardinal Bassetti pensò allora di organizzare un viaggio in Perù, chiedendogli di accompagnarlo.
La sera del 29 maggio 2014, dopo la cena in Seminario, Giampiero ebbe un malore. Si fece misurare la pressione sanguigna, ma c’era un grande divario tra la minima e la massima. Il mattino dopo fu accompagnato dall’amico Marco Briziarelli al pronto soccorso di Assisi per una visita cardiologica. Gli fu riscontrata un’anomalia cardiaca congenita, precisamente all’aorta e in corrispondenza della valvola tricuspide, che nel suo caso era una bicuspide; prima di allora, non se n’era mai accorto.
Tornando in Seminario sembrava pensieroso e preoccupato. Appena possibile, chiese aiuto all’amico e comparrocchiano Giordano Commodi, anche lui seminarista, che gli spiegò, facendo uso dei propri libri di anatomia (aveva studiato farmacia), quale fosse la natura esatta della sua malattia.
Dopo essersi confrontato con vari medici, decise di farsi operare a Perugia. Intanto sostenne due esami con profitto, ma poi decise di cancellarsi dagli altri. Annunciando l’operazione ai suoi familiari, come anche nella parrocchia di tirocinio, apparve sereno.
L’operazione si svolse quindi presso l’ospedale di Santa Maria della Misericordia a Perugia, il 24 luglio 2014. Anche in quell’occasione Giampiero si affidò a Dio, lasciando scritta un’ultima preghiera sul suo quaderno, chiedendo, tra l’altro: «Insegnami, o Padre, a donare un sorriso dolce di speranza a coloro che incrociano il mio sguardo perché ricevano il Tuo volto e non il mio».
Dopo circa due giorni nei quali il decorso postoperatorio sembrava essersi risolto bene, Giampiero cominciò ad avere una febbre altalenante: venne quindi portato nel reparto di Terapia Intensiva Post-Operatoria Cardiologia. I genitori rimasero in ospedale, mentre al suo fianco si alternavano gli amici e i compagni di Seminario, in procinto di partire per un pellegrinaggio a Fatima.
Ormai non riusciva più a leggere né a sorreggere il Breviario, ma voleva ugualmente pregare, anche solo contemplando il Crocifisso o un’immagine della Madonna. Il cardinal Bassetti gli faceva visita tutti i giorni per incoraggiarlo. Il 16 agosto, dopo che gli ebbe ricordato che il viaggio in Perù era solo rimandato, lo vide piangere e dire, con un filo di voce: «Se il Signore vorrà».
La mattina di domenica 17 agosto, mentre i sanitari lo aiutavano a sedersi sul letto per metterlo in ordine, si accorsero che dalla ferita dell’operazione usciva sangue. Fu portato immediatamente in sala operatoria, in pericolo di vita. Il 21 agosto, alle 17.15, fu dichiarato morto, anche se il decesso era avvenuto intorno alle 15.
I familiari rientrarono dopo che erano stati staccati i macchinari che lo aiutavano a restare in vita, circondando il suo letto e pregando. Arrivò anche il cardinal Bassetti, per un’ultima benedizione. Fu lui a telefonare ai seminaristi, raggiungendoli in un momento libero del pellegrinaggio a Fatima, per dare loro la notizia.
Nel primo pomeriggio la sua salma venne portata nella chiesa di San Pio da Pietrelcina a Castel del Piano, per la cui costruzione Giampiero si era molto impegnato, anche materialmente. Nelle ore successive, come anche durante la veglia di preghiera organizzata la sera stessa, molte persone, soprattutto giovani, si confessarono e dichiararono che il suo comportamento durante la malattia li aveva davvero colpiti.
Alcuni giorni prima di morire, intorno al 4-5 agosto, la madre di Giampiero aveva trovato nella sua borsa, mentre gli prendeva il Breviario, alcuni fogli che sembravano una lettera al suo parroco, ma tenne la scoperta per sé. Quello scritto, che di fatto costituisce il suo testamento spirituale, fu letto dal fratello Francesco e dalla moglie di lui, Laura, all’inizio della Messa delle esequie, presieduta dal cardinal Bassetti:
«Caro don Francesco, carissimi amici e padri!
Se stai leggendo, anzi ascoltando queste parole, vuol dire che questo mio passaggio sulla terra è terminato e, come dice Gesù, “vi vado a preparare un posto”, sono tranquillo che nel momento giusto ci ritroveremo al posto giusto.
Tu conosci il mio grande e unico desiderio che è quello di diventare “Santo”. La vita che ho condotto certo non mi aiuta, il mio comportamento non è stato esemplare. Però è stata una vita bella, non sprecata anche se recuperata, anzi riacchiappata da Dio.
Ti devo chiedere un ultimo favore: il giorno del mio funerale voglio che sia una festa, una meravigliosa festa solenne, magari Mariana perché è tramite Maria che ora sono con il nostro Padre».
Da “Santi e beati”
L'amore per il prossimo è una strada per incontrare Dio e il chiudere gli occhi di fronte al prossimo rende ciechi anche di fronte a Dio. (Papa Benedetto XVI)
Signore Gesù, donaci Sacerdoti che non chiudano gli occhi davanti al dolore e ai bisogni degli altri ma Sacerdoti i cui occhi, illuminati dall’intimità con te, siano bene aperti per condurre a Te tutti coloro che incontrano nel loro ministero pastorale. Te lo chiediamo per Maria, tua e nostra Madre. Amen
Si dice che l'Eucaristia cristifica, ovvero ci rende sempre più familiari a Cristo, tanto che con l'Eucaristia si può parlare proprio di una santificazione in atto e continua. Ricevere l'Eucaristia significa entrare sempre più nella vita di Cristo, nel pensiero di Cristo, nelle cose di Cristo e quindi rinsaldare il vincolo che già ci è stato donato con il Battesimo. L'Adorazione è la possibilità che la grazia santificante presente nella celebrazione eucaristica perduri nel tempo e ci investa continuamente, è una quotidiana iniezione di santità. (Gloria Riva)
Signore Gesù, donaci tanti santi Sacerdoti che ti rendano presente sui nostri altari e dona loro un cuore di adoratori.
Un giorno un fantoccio di ghiaccio, ottimo parlatore e con una invidiabile preparazione culturale, si lasciò prendere dall'ansia di portare un po' di calore agli uomini e alle cose della terra, intirizzita dal freddo e dall'indifferenza. Si preparò con puntiglio e con profondità su tutti gli argomenti riguardanti il fuoco, studiando con certosina pignoleria gli effetti benefici del calore con le sue infinite gradazioni. Gli capitò nel frattempo di incontrare un insignificante fiammifero, un cerino dalla fiamma tenue, ma con la curiosa prerogativa di rimanere sempre acceso. Lo invitò a dividere con lui questo lavoro, a vivere questo impegnativo, ma avvincente programma: incendiare, infiammare, ravvivare uomini e cose in tutto il mondo raggelato. Lo istruì bene sugli argomenti da portare e sui quali discutere con chiunque; lo ammaestrò sulla metodologia del discorso e su quali punti insistere per ottenere attenzione. Gli impartì anche severe lezioni sul tono della voce da tenere e sulla pronuncia corretta delle vocali e delle doppie. Ma il cerino sempre acceso non era capace di dire e neppure di balbettare una sola parola sul fuoco. Si divisero comunque il lavoro, ripromettendosi di incontrarsi dopo aver percorso la propria parte del globo. Il fantoccio parlatore salutò il cerino sempre acceso incitandolo a fare con slancio la sua parte, ma rammaricandosi nel vederlo incapace di parlare e tanto meno di sostenere con enfasi le sue parole.
Il ghiaccio parlatore tornò scornato e avvilito perché di fronte ai suoi discorsi infuocati e illuminati nessuno s'infiammava né s'infervorava; al suo passaggio tutti rimanevano indifferenti; anzi molti si scandalizzavano nell'udire parlare di fuoco proprio da chi passando raffreddava: una vera contraddizione. Il cerino muto, ma sempre acceso, ovunque andava incendiava; anzi ancor prima di arrivare di persona, tutti, cose e persone, al suo passaggio godevano del desiderato calore a tal punto che a loro volta diventavano portatori di fuoco o, sciogliendosi, diventavano generatori di altra vita e di altro calore. Al termine della missione il fantoccio di ghiaccio, s'accorse del proprio totale fallimento; addirittura notò d'aver peggiorato, col suo passaggio, la situazione delle cose e delle persone. Rattrappito dallo sconforto, si fermò in un angolo oscuro della terra, avvolto di neve e appesantito dal gelo, ormai rassegnato a finire i suoi giorni nell'oblio più avvilente. Ma il cerino che avanzava calmo, ma inarrestabile, accendendo fuochi e diffondendo calore, raggiunse anche quel masso di ghiaccio ormai irriconoscibile, adagiato ai margini d'una foresta. Pian piano lo avvolse con la calorosa premura dei pini e dei faggi da lui incendiati, gli stette accanto finché lo sciolse e lo fece entrare nel vicino torrente. Fu la salvezza per il fantoccio di ghiaccio che in quelle onde ritrovò, dopo tanto tempo, la sua identità: divenne vita e portatore di vita. Da quel calore ricevette anche lui la capacità di vivere e unirsi alla vitalità del torrente, prodigandosi in mille servizi senza bisogno di dire una parola. Il fantoccio di ghiaccio parlatore finalmente tacque: sciolto dal calore del cerino sempre acceso, nel torrente ormai parlava la sua vita. Oggi il mondo non ha bisogno di maestri, ma di testimoni.
Signore, manda tanti sacerdoti che sappiano incendiare il mondo con il tuo e il loro amore.
Santissima Trinità, Padre, Figlio e Spirito Santo, col santo battesimo hai posto la tua dimora nel cuore dei tuoi Sacerdoti, così che ti possano adorare in ogni istante e vivere in piena comunione con te, fa’ che essi siano ferventi adoratori della tua mistica Presenza.
Padre, con la tua parola li hai creati, perché la tua sapienza li ha voluti fin dall’eternità, dona a tutti i Sacerdoti di sperimentare il tuo amore di Padre e di essere a loro volta padri per le anime che ricorrono a loro per conforto e consiglio.
Figlio, con il tuo amore spinto fino alla morte e con il tuo sangue prezioso sparso sulla croce, hai riscattato i tuoi Sacerdoti dal potere delle tenebre, donando ad essi il tuo regno, fa’ che siano appassionati annunciatori del tuo regno di amore e di pace.
Spirito Santo, amore del Padre e del Figlio, effuso sui Sacerdoti, li hai trasformati in nuove creature, dona a ciascuno di essi un cuore nuovo per amare te sopra ogni cosa e ogni creatura in te.
O Santissima Trinità, ti rendano gloria e ti servano tutti i Sacerdoti e tutti i popoli della terra, per tutti secoli dei secoli. Amen!
Monsignor Farina viveva in Dio, perennemente e non soltanto nel tempo delle sue preghiere fervidi e prolungate, che tante volte gli occupavano anche le ore della notte.Respirava Dio e traspirava Dio. Era in permanenza abitato da Dio.
Don Raffaele Castiello
Misteri della gioia
1.Maria accoglie l’annuncio dell’Angelo Gabriele e Gesù si incarna in lei.
Maria ha risposto all’Angelo: “Eccomi, sono la serva del Signore, sia fatta la sua volontà”; preghiamo perché i chiamati al sacerdozio rispondano con la sua stessa fede e generosità e scelgano di donarsi con gioia a Dio e ai fratelli.
Padre nostro, 10 Ave Maria, Gloria al Padre
2.Maria va a visitare Elisabetta che la riconosce Madre del Signore.
Maria ha portato il Salvatore Gesù, ancora nel suo grembo, a Elisabetta; preghiamo per tutti i sacerdoti che si fanno prossimi ai più poveri, ai malati e ai carcerati, attraverso la testimonianza di accoglienza, l’annuncio del Vangelo e il dono della Comunione Eucaristica.
Padre nostro, 10 Ave Maria, Gloria al Padre
3.Gesù nasce a Betlemme
Il Bambino che Maria e Giuseppe contemplano appena nato è il Figlio di Dio. Preghiamo perché ogni sacerdote viva con serenità il suo celibato e promuova la vocazione al matrimonio mostrandone la bellezza e l’orientamento alla santità, e aiuti i genitori ad accogliere il dono della vita, facendo vedere l’unicità e l’importanza di ogni figlio.
Padre nostro, 10 Ave Maria, Gloria al Padre
4.Gesù è presentato al tempio, secondo la legge ebraica.
Gesù neonato è stato presentato al tempio, cioè offerto a Dio. Ricordiamo al Signore tutti coloro che si sono donati a lui attraverso una comunità religiosa o monastica, perché il loro sacerdozio, insieme al carisma specifico, porti frutti per il bene di tutta la Chiesa.
Padre nostro, 10 Ave Maria, Gloria al Padre
5.Gesù è ritrovato nel tempio, mentre discute con i Dottori.
Maria e Giuseppe si sono stupiti alla dichiarazione di Gesù di doversi occupare delle cose del Padre suo. Preghiamo perché le famiglie di coloro che sono chiamati al sacerdozio favoriscano, o almeno non ostacolino, le loro scelte, comprendendo che la felicità di ogni persona è seguire la volontà di Dio Padre.
Padre nostro, 10 Ave Maria, Gloria al Padre, Salve Regina.
"Signore, manda santi Sacerdoti e ferventi religiosi alla tua Chiesa".
O Gesù Eucaristia, ascolta benignamente la preghiera che ti rivolgiamo per tutti i Sacerdoti. Tu sei la vite, o Gesù, i tuoi Sacerdoti i tuoi tralci e noi il grappolo d’uva. È per essi che ascendiamo a Te, e Tu ci comunichi l’onda del Tuo Sangue redentore.
Santificali o Signore, sempre più nel loro ministero, perché modellati sul Tuo Cuore Divino portino la salvezza al mondo.
Abbiamo bisogno di luce, ed essi ci diano la tua Parola; abbiamo bisogno di vita, ed essi ci diano la Manna che non muore; abbiamo bisogno d’esempio, ed essi siano la colonna che guidò il popolo d’Israele nel deserto.
Ah, si compia, o Signore l’unione da te auspicata nella preghiera sacerdotale: “Padre Santo, custodisci nel nome tuo quelli che hai a Me consegnati, affinché siano una cosa sola con noi. Ne Io prego solamente per questi, ma anche per coloro i quali per la loro parola crederanno in Me: che siano tutti una cosa sola, come Tu sei in Me, o Padre, e Io in Te, che siano anch’essi una sola cosa in Noi”. Amen
"Vola con lo spirito davanti al tabernacolo, quando non ci puoi andare con il corpo".(Padre Pio)
Andiamo spesso davanti al tabernacolo e sostiamo lì il più a lungo possibile, pregando per la santificazione dei Sacerdoti e per la conversione di tutti i peccatori.
O Gesù Eucaristia, Vittima d'amore per noi poveri peccatori, ti dono il mio cuore con tutto il suo povero amore e ti prego: custodisci tutti i Sacerdoti nel tuo Sacratissimo Cuore: quelli santi perché siano più santi, quelli peccatori perché si convertano e tornino a te pentiti e umiliati e quelli tiepidi perché imparino finalmente ad amarti come meriti.
Chiama ancora tanti giovani a seguirti nella verità e nella gioia e dona loro la grazia della perseveranza. Amen
"La lingua di un maldicente è come un verme che rode i buoni frutti, un bruco che insudicia i più bei fiori lasciandovi tracce della sua schiuma".
Santo Curato d'Ars
Cerchiamo di non parlare male di nessuno, ma in modo particolare dei Sacerdoti.
"Amatemi e amatevi. Ho bisogno di amore: ve lo chiedo come un mendicante può chiedere il pane.
Siate la voragine del mio amore!"
Signore Gesù, donaci Sacerdoti innamorati di te.
Io sento in me un fuoco che non si sa più comprimere; vorrei moltiplicarmi dovunque per fare amare Gesù ed impedire che sia offeso. Il pensiero che la creatura non cura e disprezza il suo Creatore mi opprime!...
Io vorrei essere la vittima dell'onore di Gesù!
E questo fuoco non è mio, perché in me è fango limaccioso! Ma la misericordia di Gesù prende questo fango e lo accende e ne fa il suo fuoco e brucia.
Benedetto l'amore misericordioso di un Dio! Quanto è buono e quanto io sono cattivo!...
È necessario distruggere ogni preconcetto contro Gesù. Bisogna farne conoscere la grandezza, la gloria, la sublime maestà, e Gesù lo vuol fare per mezzo del nulla e del fango, e per questo accende il fuoco col nulla e col fango!
Benedetto Gesù che mi investe e mi possiede, che non rifugge da me così sozzo. Non occorre chiamarlo più... viene da Sé, ed accende il suo fuoco e vibra la sua acuta e tagliente parola... Viva Gesù».
Il Sacerdote è uomo di preghiera
Il Sacerdote soprattutto è un uomo dedito alla preghiera. Questa è la parte essenziale e dirò centrale della sua vita. L’apostolato è la fioritura della preghiera; se manca la pianta viva, la fioritura è tutta artificiale, è formata da fiori di carta che non odorano e non fruttificano.
La Chiesa, infatti, ordinando un Sacerdote, gli dà come principale ufficio quello di offrire il sacrificio del Corpo e del Sangue di Gesù Cristo. Ora il Santo Sacrificio è la più solenne preghiera che il Sacerdote possa fare, e richiede uno spirito di preghiera antecedente e conseguente, nella meditazione e nella recita del Breviario. Il Sacerdote si prepara alla Messa pregando, ringrazia pregando, e celebra offrendo Gesù Cristo e pregando con Lui. Tutta la giornata del Sacerdote è quindi una preghiera, il cui centro vivo è la S. Messa. Egli sta fra il popolo e Dio per pregare, è rivestito del carattere di Gesù per pregare, ed amministra i sacramenti pregando; se non prega è un assurdo vivente ed è un non senso.
Tutto quello che fa un Sacerdote è sempre frutto di preghiera e tutto quello che non nasce dalla preghiera è effimero. Ecco un uomo di grande attività: in tutte le opere, in tutte le associazioni, in tutte le iniziative lo si trova presente. Non ha neppure il tempo di respirare. Lo assorbe la stampa, l’Azione Cattolica, il Catechismo ai fanciulli. È un prodigio di attività, dicono tutti; ma… se non prega tutta quell’attività è sterile, è come un’automobile che sbuffa, stride, si agita, ma non cammina. Perciò il Sacerdote deve persuadersi che la sua vita dev’essere principalmente attiva nella preghiera. Se vuole renderla feconda e ordinata, deve tutta orientarla alla preghiera, e fare in modo che tutte le sue azioni siano una preghiera.
don Dolindo Ruotolo
IO PREGO PER I SACERDOTI:
Signore Gesù, realmente presente nel Santissimo Sacramento dell’altare, noi ti preghiamo per i Tuoi Sacerdoti, perché ti adorino nella gioia e nel dolore, nell’affanno della vita quando sono senza forza, nella pace e nell’angoscia, nella prova della croce quando hanno sete del tuo amore, nel coraggio e nel timore, nel tormento del peccato quando il loro cuore vacilla, nella fede e nella grazia, nello zelo per il regno quando esultano nel tuo nome. Amen
Qualche tempo fa sono andato a visitare Ernesto, un amico sacerdote ortodosso, da pochi giorni ricoverato all'ospedale. Era ormai fuori pericolo e poteva anche parlare, sia pure con un fil di voce. Il nostro discorso è andato spontaneamente alle sue preoccupazioni di non riuscire a rimettersi in salute per tempo. I suoi parrocchiani sollecitavano la sua presenza, la sua preghiera sacerdotale, la celebrazione della S. Messa. Allora ci siamo detti che la più efficace preghiera che Dio chiedeva in questo frangente, era fare bene l'ammalato e offrire il sacrificio di non poter celebrare il divino sacrificio: la S. Messa. Del resto spesso, quando le persone, anziane e ammalate sono angustiate per non poter andare a Messa, si consolano e trovano vera soluzione al loro problema di coscienza quando si sentono dire che è, sì, importante andare a messa; ma che si fa la cosa più gradita a Dio soprattutto quando si vive la propria messa nel fare bene la volontà di Dio, momento per momento, offrendogli anche il dolore di dover rinunciare alla Messa.
Quindi si coglie quanto sia importante davanti a Dio la preghiera del cuore, anche se non espressa o significata in modi diversi. A questo proposito, Ernesto mi racconta che ha passato due notti in sala di rianimazione. Nel letto accanto c'era un barbone che per tutta la notte, e per varie notti, a causa del dolore, si lamentava dicendo solo: “oh, Dio!, oh, Dio!”. Se in un primo momento mi dava fastidio, confida Ernesto poi ho capito che quella era una bella e continua preghiera alla quale anch'io per tutta la notte partecipavo offrendo, con le stesse parole, assieme alle sue, le mie sofferenze e quelle di tutto l'ospedale. Occasione d'oro per vivere quella messa che non poteva celebrare. Poi, sempre disteso a letto, Ernesto continuava a donarmi le sue riflessioni. Mi ribadiva che spesso per pregare noi pensiamo necessario recitare formule, cantare salmi, stare in questa o quella posizione, andare in questa o in quella chiesa. Sì, è tutto importante. Ma Dio vede il cuore, come dice la maestra di orazione, Teresa d' Avila che così si esprime: “L'orazione non consiste nel molto pensare, ma nel molto amare.” Allora è chiaro che chi più ama, più prega; chi meglio ama, meglio prega. Ernesto m'ha poi raccontato che esisteva un monastero dove da poco tempo era entrato un monaco che non sapeva le preghiere, ma sapeva pregare. Un giorno, questo giovane monaco, a letto ammalato, durante l'ora della preghiera corale, voleva pregare anche lui; ma lo faceva in un modo che al P. Abate risultava un po' strano. Senza libri o rosario in mano, steso sul suo letto di malato, il suo superiore lo sente ripetere: a, b, c, d, e, f, ecc. tutte le lettere fino alla zeta. Giunto alla fine dell'alfabeto, lo ripeteva lentamente e con tanta devozione.
Il padre Abate gli si avvicina per domandargli spiegazione d'un simile modo curioso di pregare: “Io, rispose, non so particolari formule, né qui posso leggere i salmi. Dico le lettere dell'alfabeto e le dono a Dio che è mio Padre. Sono certo che Lui conosce tutto di me e sa meglio di me come ordinare le lettere dell'alfabeto in formule di preghiera che mi ottengano le grazie che Lui conosce necessarie per me. Insomma per me la preghiera, espressa in un modo o nell'altro, è solo questione di fiducia in Dio. Do a Dio carta bianca, ripetendogli: fai tu!” E’ un'interpretazione tanto vicina al pensiero di Teresa d'Avila che vive la sua preghiera come un colloquio intimo, continuo con Colui dal quale sappiamo di essere amati. Insomma, se ami, anche il tuo respiro diventa preghiera.
«O Dio, infinitamente santo... Padre infinitamente misericordioso! Ti adoro.
Vorrei riparare tutti gli oltraggi che ricevi dai peccatori su tutta la faccia della terra in ogni istante del giorno e della notte.
Vorrei soprattutto, o Padre mio, riparare le offese e i peccati commessi dai Sacerdoti che celebrano indegnamente il santo Sacrificio della Messa.
Ti presento tutti gli atti di adorazione e di riparazione delle anime che Ti amano.
Ti offro in modo speciale l'olocausto perpetuo del Figlio tuo che s'immola sugli altari in tutti i punti della terra. O Padre infinitamente buono e compassionevole, ricevi quel sangue purissimo in riparazione degli oltraggi degli uomini, cancella le loro colpe e abbi di loro misericordia!».
San Manuel
González García
Manuel González García nacque a Siviglia il 25 febbraio 1877, quarto dei cinque figli di Martín González Lara, falegname, e di sua moglie Antonia, sarta e casalinga. Nell’infanzia fece parte dei “seises”, gruppo di bambini della cattedrale di Siviglia incaricati di danzare davanti al Santissimo Sacramento nel corso di solenni processioni.
Presto maturò in lui il sogno di diventare sacerdote: è narrato che sostenne di nascosto dai genitori gli esami per entrare nel seminario diocesano, dove fu ammesso nel 1889. Fu esemplare nello studio e nella vita comunitaria, venendo ordinato sacerdote il 21 settembre 1901 dall’arcivescovo di Siviglia, poi cardinale, Marcelo Spinola y Maestre (Beato dal 1987).
Inizialmente svolse il suo ministero in piccoli villaggi della provincia di Siviglia, come quello di Palomares del Río, dove avvenne l’esperienza che gli cambiò la vita. Carico di speranze e di ottimismo, don Manuel si era diretto verso quella cittadina per una missione popolare, ma i suoi sogni s’infransero di fronte alla dura realtà: la chiesa cadeva a pezzi e l’altare maggiore giaceva nell’incuria.
Così scrisse tempo dopo: «Mi recai direttamente davanti al tabernacolo… e, che tabernacolo, Dio mio! Che sforzi dovettero fare colà la mia fede e il mio coraggio per non tornarmene di corsa a casa mia. Ma, non fuggii. Là, in ginocchio… la mia fede vedeva un Gesù così taciturno, così paziente, così buono, che mi guardava… che mi diceva tante cose e me ne chiedeva di più; uno sguardo, il suo, nel quale si rifletteva tutta la tristezza che emerge dal Vangelo… Lo sguardo di Gesù in questi tabernacoli è uno sguardo che si fissa nell’anima come un chiodo e non si dimentica mai più. Esso divenne per me come il punto di partenza per vedere, capire e prevedere tutto il mio ministero sacerdotale».
Dal 1902 al 1905 fu cappellano dell’asilo delle Piccole Suore dei Poveri, finché, a soli 28 anni, non divenne prima vicario economo e poi arciprete della parrocchia di San Pietro di Huelva. Ricoprì questo incarico per 10 anni, apportando notevoli cambiamenti nella parrocchia e nella città di Huelva, divenendo famoso in tutta la Spagna per le sue iniziative apostoliche.
Venerdì 4 marzo 1910 decise di condividere con alcune parrocchiane, durante un ritiro mensile loro dedicato, un’intuizione che aveva avuto: «Permettete a me, che invoco molte volte la sollecitudine della vostra carità a favore dei bambini poveri e di tutti i poveri abbandonati, di invocare oggi la vostra attenzione e la vostra cooperazione in favore del più abbandonato di tutti i poveri: il Santissimo Sacramento. Vi chiedo una elemosina di affetto per Gesù Sacramentato… per amore di Maria Immacolata e per amore di questo Cuore così mal corrisposto, vi chiedo che diventiate le Marie di questi tabernacoli abbandonati». Sorse quindi l’Opera delle Tre Marie e dei Discepoli di San Giovanni, detta anche Opera dei Tabernacoli-Calvari, i cui aderenti s’impegnavano a dare e cercare compagnia a Gesù nell’Eucaristia, specialmente dov’era più abbandonato. Nello stesso anno sorse anche una sezione per bambini, la Riparazione Infantile Eucaristica.
La diffusione dell’Opera in altre diocesi spagnole e in America fu incentivata dalla fondazione di «El Granito de Arena» («Il granello di sabbia»), il suo organo ufficiale. Don Manuel decise quindi di chiedere l’approvazione al Papa: il 28 novembre 1912 venne quindi ricevuto da san Pio X, che lo benedisse e l’incoraggiò.
Il suo successore, papa Benedetto XV, lo nominò il 6 dicembre 1915 vescovo titolare di Olimpo e ausiliare della diocesi di Malaga, della quale, nel 1917, divenne amministratore apostolico. Intanto alla sua Opera eucaristica si aggiungeva un nuovo tassello: i Missionari Eucaristici Diocesani, sacerdoti, la cui data di fondazione è il 9 gennaio 1918.
Il 22 aprile 1920 monsignor González venne eletto vescovo titolare della diocesi di Malaga. Appena un anno dopo, aiutato da sua sorella María Antonia, fondò la congregazione delle suore Missionarie Eucaristiche di Nazareth, che sarà poi approvata il 30 agosto 1960.
Durante il suo episcopato cominciarono le prime avvisaglie della guerra civile spagnola: l’11 maggio 1931 gruppi di rivoluzionari bruciarono quasi tutte le chiese di Malaga, appiccando il fuoco anche al palazzo vescovile. Monsignor González affrontò coraggiosamente gli aggressori e si consegnò loro, ma essi lo lasciarono andare. Dovette rifugiarsi prima presso un sacerdote e poi presso una famiglia amica nella cittadina di Ronda, ma poi, visto che i rivoluzionari ricattavano questa famiglia, la lasciò per rifugiarsi a Gibilterra.
Il 26 dicembre 1931 ritornò a Ronda, ma qualche mese dopo la Santa Sede, temendo per la sua vita, gl’impose di ritirarsi a Madrid, dove rimase fino al 1935, guidando da lì la diocesi di Malaga. Nel frattempo, alle suore si erano affiancate, dal 1933, le Marie Ausiliarie Nazarene (poi Missionarie Eucaristiche Secolari di Nazareth).
Il 5 agosto del 1935 rinunciò al governo della diocesi e fu nominato vescovo di Palencia, nella Vecchia Castiglia, dove continuò la sua opera di pastore e fondatore, amareggiato per le stragi che venivano perpetrate in quegli anni di guerra civile. Promosse ugualmente anche un settore giovanile dell’opera iniziale, la Gioventù Eucaristica Riparatrice, nel 1939.
Lui stesso si definì «il vescovo dei Tabernacoli abbandonati», ma altri, per i patimenti cui andò incontro pur non avendo mai versato direttamente il sangue per la fede, non tardarono a denominarlo «il vescovo martire».
Fecondo scrittore, pubblicò più di 30 lavori letterari, in particolare di carattere eucaristico, sacerdotale e di insegnamento catechistico. Il suo capolavoro, «Lo que puede un cura hoy» («Ciò che può un parroco oggi»), fu adottato per molto tempo dai seminaristi spagnoli e latino-americani.
Morì a Madrid il 4 gennaio 1940 e fu sepolto davanti all’altare del Santissimo Sacramento della cattedrale di Palencia, come da sue disposizioni testamentarie: «Chiedo di essere sepolto vicino ad un tabernacolo, affinché le mie ossa, dopo la mia morte, come la mia lingua e la mia penna durante la vita, stiano sempre dicendo a coloro che passano: Qui sta Gesù! Sta qui! Non lasciatelo abbandonato!».
Il 6 aprile 1998 san Giovanni Paolo II autorizzò la Congregazione per le Cause dei Santi a promulgare il decreto con cui monsignor Manuel González García veniva dichiarato Venerabile.
Come miracolo utile per la beatificazione venne preso in esame il caso avvenuto nel 1953 alla diciottenne Sara Ruiz Ortega, di Requena de Campos (Palencia, Spagna), affetta da una peritonite tubercolosa che l’aveva resa paralitica. Il suo parroco, don Francisco Teresa León, le mise una reliquia di monsignor González sotto il cuscino e fece cominciare una novena per chiedere la sua intercessione. La giovane, dopo cinque anni di malattia, si rialzò guarita.
Il processo sull’asserito miracolo venne convalidata il 15 maggio 1998. il 20 dicembre 1999, san Giovanni Paolo II autorizzò la promulgazione del decreto con cui la guarigione era dichiarata miracolosa e avvenuta per intercessione del Venerabile Manuel González García.
La sua beatificazione si è quindi svolta in piazza San Pietro a Roma il 29 aprile 2001, congiuntamente a quella di altri quattro candidati agli altari.
Nel novembre 2008 una donna di Madrid, ammalata di cancro alla gola, chiese di poter ricevere gli ultimi Sacramenti. Il sacerdote, non poté raggiungerla nell’immediato, ma chiese al marito della donna di darle una reliquia del Beato Manuel González García e d’iniziare una novena per chiederne l’intercessione. Al quinto giorno di novena, il cancro risultò scomparso senza l’aiuto della chemioterapia. La donna guarita morì due anni e mezzo dopo d’infarto, quindi per cause estranee al precedente male.
Il 7 ottobre 2009 venne quindi aperta, nella diocesi di Madrid, l’inchiesta diocesana sull’asserito miracolo, conclusa solennemente il 31 maggio 2010 e convalidata il 21 ottobre 2011. Sia i medici, sia i teologi, sia i cardinali e vescovi membri della Congregazione per le Cause dei Santi sono stati unanimi nel dichiarare il fatto come inspiegabile e miracoloso.
Infine, il 3 marzo 2016, papa Francesco ha autorizzato la promulgazione del decreto con cui era accertato l’intervento divino per intercessione del Beato, aprendo la via alla sua canonizzazione, fissata in seguito a domenica 16 ottobre 2016, insieme a quella di altri sei Beati.
La Famiglia Eucaristica Riparatrice
L’eredità spirituale di san Manuel González García continua nella Famiglia Eucaristica Riparatrice, che comprende le varie realtà da lui istituite nel corso del suo ministero: l’Opera delle Tre Marie e dei Discepoli di San Giovanni; la Riparazione Infantile Eucaristica; i sacerdoti Missionari Eucaristici Diocesani; le suore Missionarie Eucaristiche di Nazareth; le Missionarie Eucaristiche Secolari di Nazareth; la Gioventù Eucaristica Riparatrice.
Celebriamo oggi la grande festa dell’Epifania, il mistero della Manifestazione del Signore a tutte le genti, rappresentate dai Magi, venuti dall’Oriente per adorare il Re dei Giudei (cfr Mt 2,1-2). San Matteo, che racconta l’avvenimento, sottolinea come essi arrivarono fino a Gerusalemme seguendo una stella, avvistata nel suo sorgere e interpretata quale segno della nascita del Re annunciato dai profeti, cioé del Messia. Giunti, però, a Gerusalemme, i Magi ebbero bisogno delle indicazioni dei sacerdoti e degli scribi per conoscere esattamente il luogo in cui recarsi, cioè Betlemme, la città di Davide (cfr Mt 2,5-6; Mic 5,1). La stella e le Sacre Scritture furono le due luci che guidarono il cammino dei Magi, i quali ci appaiono come modelli degli autentici cercatori della verità.
Essi erano dei sapienti, che scrutavano gli astri e conoscevano la storia dei popoli. Erano uomini di scienza in un senso ampio, che osservavano il cosmo ritenendolo quasi un grande libro pieno di segni e di messaggi divini per l’uomo. Il loro sapere, pertanto, lungi dal ritenersi autosufficiente, era aperto ad ulteriori rivelazioni ed appelli divini. Infatti, non si vergognano di chiedere istruzioni ai capi religiosi dei Giudei. Avrebbero potuto dire: facciamo da soli, non abbiamo bisogno di nessuno, evitando, secondo la nostra mentalità odierna, ogni “contaminazione” tra la scienza e la Parola di Dio. Invece i Magi ascoltano le profezie e le accolgono; e, appena si rimettono in cammino verso Betlemme, vedono nuovamente la stella, quasi a conferma di una perfetta armonia tra la ricerca umana e la Verità divina, un’armonia che riempì di gioia i loro cuori di autentici sapienti (cfr Mt 2,10). Il culmine del loro itinerario di ricerca fu quando si trovarono davanti “il bambino con Maria sua madre” (Mt 2,11). Dice il Vangelo che “prostratisi lo adorarono”. Avrebbero potuto rimanere delusi, anzi, scandalizzati. Invece, da veri sapienti, sono aperti al mistero che si manifesta in maniera sorprendente; e con i loro doni simbolici dimostrano di riconoscere in Gesù il Re e il Figlio di Dio. Proprio in quel gesto si compiono gli oracoli messianici che annunciano l’omaggio delle nazioni al Dio d’Israele.
Un ultimo particolare conferma, nei Magi, l’unità tra intelligenza e fede: è il fatto che “avvertiti in sogno di non tornare da Erode, per un’altra strada fecero ritorno al loro paese” (Mt 2,12). Sarebbe stato naturale ritornare a Gerusalemme, nel palazzo di Erode e nel Tempio, per dare risonanza alla loro scoperta. Invece, i Magi, che hanno scelto come loro sovrano il Bambino, la custodiscono nel nascondimento, secondo lo stile di Maria, o meglio, di Dio stesso e, così come erano apparsi, scompaiono nel silenzio, appagati, ma anche cambiati dall’incontro con la Verità. Avevano scoperto un nuovo volto di Dio, una nuova regalità: quella dell’amore. Ci aiuti la Vergine Maria, modello di vera sapienza, ad essere autentici ricercatori della verità di Dio, capaci di vivere sempre la profonda sintonia che c’è tra ragione e fede, scienza e rivelazione.
BENEDETTO XVI ANGELUS Mercoledì, 6 gennaio 2010
Operare per Dio solo, sentirlo Padre, dover rendere conto a Lui solo, rinchiudersi nel Suo amore come in una cella di pace, quale felicità!
Essere contenti di piacere a Lui solo, e nel medesimo tempo riguardare come nulla quello che si fa per Lui solo, umiliandosi, impiccolirsi fino a farsi quasi come un cristallo, una limpida goccia che riflette la Sua luce e ne è tutta inondata, quale felicità!
Dio solo! Egli è l'altezza che ci trae, monte d'infinita gloria, anzi diremmo turbine di amore che ci solleva in alto appena ci abbandoniamo teneramente a Lui.
( Don Dolindo Ruotolo)
+Nel Nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Amen.
O Dio vieni a salvarmi. Signore, vieni presto in mio aiuto.
Gloria.
1° Meditazione: chi accoglie me, non accoglie me, ma colui che mi ha mandato.
Allora, sedutosi, chiamò i Dodici e disse loro: «Se uno vuol essere il primo, sia l’ultimo di tutti e il servo di tutti». E, preso un bambino, lo pose in mezzo e abbracciandolo disse loro:
«Chi accoglie uno di questi bambini nel mio nome, accoglie me; chi accoglie me, non accoglie me, ma colui che mi ha mandato». (Mc 9,35-37)
Padre nostro, 10 Ave Maria, Gloria
Adoriamo e benediciamo ogni momento, con Maria Vergine, il SS. Nome di Gesù, nostro Salvatore e gli chiediamo numerosi e santi Sacerdoti che glorifichino il suo Santo Nome.
2° Meditazione: dove sono due o tre riuniti nel mio nome io sono in mezzo a loro.
In verità vi dico ancora: se due di voi sopra la terra si accorderanno per domandare qualunque cosa, il Padre mio che è nei cieli ve la concederà. Perché dove sono due o tre riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro». (Mt 18,19-20)
Padre nostro, 10 Ave Maria, Gloria
Adoriamo e benediciamo ogni momento, con Maria Vergine, il SS. Nome di Gesù, nostro Salvatore e gli chiediamo numerosi e santi Sacerdoti che glorifichino il suo Santo Nome.
3° Meditazione: abbiate in voi gli stessi sentimenti di Cristo Gesù.
Abbiate in voi gli stessi sentimenti che furono in Cristo Gesù, il quale, pur essendo di natura divina, non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio; ma spogliò se stesso, assumendo la condizione di servo e divenendo simile agli uomini; apparso in forma umana, umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce. Per questo Dio l’ha esaltato e gli ha dato il nome che è al di sopra di ogni altro nome; perché nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi nei cieli, sulla terra e sotto terra; e ogni lingua proclami che Gesù Cristo è il Signore, a gloria di Dio Padre. (Fil 2,5-11)
Padre nostro, 10 Ave Maria, Gloria
Adoriamo e benediciamo ogni momento, con Maria Vergine, il SS. Nome di Gesù, nostro Salvatore e gli chiediamo numerosi e santi Sacerdoti che glorifichino il suo Santo Nome.
4° Meditazione: il Nome di Gesù è al di sopra di ogni altro nome che si possa nominare.
Possa Egli davvero illuminare gli occhi della vostra mente per farvi comprendere a quale speranza vi ha chiamati, quale tesoro di gloria racchiude la sua eredità fra i santi e qual è la straordinaria grandezza della sua potenza verso di noi credenti secondo l’efficacia della sua forza che egli manifestò in Cristo, quando lo risuscitò dai morti e lo fece sedere alla sua destra nei cieli, al di sopra di ogni principato e autorità, di ogni potenza e dominazione e di ogni altro nome che si possa nominare non solo nel secolo presente ma anche in quello futuro. Tutto infatti ha sottomesso ai suoi piedi e lo ha costituito su tutte le cose a capo della Chiesa, la quale è il suo corpo, la pienezza di colui che si realizza interamente in tutte le cose. (Ef 1,15-20)
Padre nostro, 10 Ave Maria, Gloria
Adoriamo e benediciamo ogni momento, con Maria Vergine, il SS. Nome di Gesù, nostro Salvatore e gli chiediamo numerosi e santi Sacerdoti che glorifichino il suo Santo Nome.
5° Meditazione: Gesù è la nostra unica salvezza
Allora Pietro, pieno di Spirito Santo, disse loro: «Capi del popolo e anziani, se oggi siamo esaminati a proposito di un beneficio fatto a un uomo infermo, per sapere com’è che quest’uomo è stato guarito, sia noto a tutti voi e a tutto il popolo d’Israele che questo è stato fatto nel nome di Gesù Cristo, il Nazareno, che voi avete crocifisso, e che Dio ha risuscitato dai morti; è per la sua virtù che quest’uomo compare guarito, in presenza vostra. Egli è “la pietra che è stata da voi costruttori rifiutata, ed è divenuta la pietra angolare”. In nessun altro è la salvezza; perché non vi è sotto il cielo nessun altro nome che sia stato dato agli uomini, per mezzo del quale noi dobbiamo essere salvati». (At 4,8-12)
Padre nostro, 10 Ave Maria, Gloria
Adoriamo e benediciamo ogni momento, con Maria Vergine, il SS. Nome di Gesù, nostro Salvatore e gli chiediamo numerosi e santi Sacerdoti che glorifichino il suo Santo Nome.
Salve Regina
Preghiamo:
Guarda, o Padre, questa tua famiglia, che onora il santo Nome di Gesù tuo Figlio; donale Sacerdoti santi che gustino e insegnino ai fedeli a gustare la sua dolcezza in questa vita, per godere la felicità eterna nella patria del cielo. Per Cristo, nostro Signore. Amen
Il mese di gennaio è dominato dalla eccezionale figura di san Paolo apostolo. Ma chi era quest’uomo straordinario? Paolo di Tarso non conobbe Gesù in vita, come i Dodici, ma ebbe come esperienza solo quella di Cristo risorto.
Nacque a Tarso ed in giovinezza fu mandato a Gerusalemme, dove ricevette un insegnamento rigoroso della Legge presso il rabbino Gamaliele il Vecchio. Dopo alcuni anni tornò a Tarso, fu un attivo fariseo, testimone della lapidazione di Stefano e presto ricevette il compito di andare a Damasco per imprigionare i cristiani di quella città, essendo particolarmente zelante e deciso contro la religione di Gesù, che cominciava a diffondersi e affermarsi.
Lasciamo che sia lui a raccontarci la propria esperienza: «Mentre ero in viaggio e mi stavo avvicinando a Damasco, verso mezzogiorno, all’improvviso una grande luce dal cielo sfolgorò attorno a me; caddi a terra e sentii una voce che mi diceva: “Saulo, Saulo, perché mi perseguiti?”. Io risposi: “Chi sei, o Signore?”. Mi disse: “Io sono Gesù il Nazareno, che tu perseguiti”. Quelli che erano con me videro la luce, ma non udirono la voce di colui che mi parlava. Io dissi allora: “Che devo fare, Signore?”. E il Signore mi disse: “Alzati e prosegui verso Damasco; là ti verrà detto tutto quello che è stabilito che tu faccia”. E poiché non ci vedevo più, a causa del fulgore di quella luce, guidato per mano dai miei compagni giunsi a Damasco» (Atti 22,6-11).
Per tre giorni Saulo visse quasi come un morto: non poteva vedere, stare in piedi, mangiare. Poi, al momento del battesimo, i suoi occhi si riaprirono, poté mangiare e riprendere le forze, tornò in vita (cf. Atti 9,18).
Dopo essere stato battezzato da Anania, si ritirò nel deserto di Arabia, dove nel silenzio poté elaborare ciò che gli era accaduto e dove acquistò la forza e il coraggio per annunciare Gesù agli ebrei, che lo cercavano a morte, e ai cristiani che non si fidavano ancora e avevano paura di lui.
La svolta decisiva della sua vita si compie, dunque, sulla via di Damasco, dove egli scopre il mistero della Passione di Cristo che si rinnova nelle sue membra. L’incontro con Lui, incontro personalissimo ed esistenziale, ha diviso la sua vita in due, ha creato un prima e un poi.
La conversione di Paolo ci appare, come il modello della vera conversione cristiana che consiste anzitutto nell’accettare Cristo, nel “rivolgersi” a lui mediante la fede. Essa è un trovare prima che un lasciare. Gesù non dice: “un uomo vendette tutto quello che aveva e si mise alla ricerca di un tesoro nascosto”; Egli invece dice: “un uomo trovò un tesoro e per questo vendette tutto”.
Paolo ha trovato in Cristo il suo tesoro e non lo lascerà mai più. Dirà infatti ai Galati: «Ora vivo per Dio. Sono stato crocifisso con Cristo. Non son più io che vivo: è Cristo che vive in me. La vita che ora vivo in questo mondo la vivo per la fede nel Figlio di Dio che mi ha amato e volle morire per me» (Gal 2, 20-21). E ancora: «Quanto a me invece non ci sia altro vanto che nella croce del Signore nostro Gesù Cristo, per mezzo della quale il mondo per me è stato crocifisso, come io per il mondo» (Gal 6,14-18).
L’Apostolo, come prima di lui Giovanni Battista, è diventato un indice puntato verso uno “più grande di lui”, di cui egli non si ritiene degno di essere apostolo.
Ogni Sacerdote, proprio come san Paolo, dovrebbe dire ogni giorno: “Signore, che vuoi che io faccia?” e poi corrispondere ai disegni della misericordia di Dio su di lui, riconoscere il suo amore, combattere le cattive inclinazioni, progredire nella santità lasciandosi soggiogare dalla dolcezza di Gesù.
L’esperienza di Paolo fu una specie di fusione a fuoco, un lampo di luce che ancora oggi, a distanza di duemila anni, rischiara il mondo.
Tale dovrebbe essere l’esperienza del Sacerdote che quotidianamente incontra Gesù risorto nella celebrazione dei divini misteri e solo così potrebbe diventare, proprio come Paolo, un indice puntato verso Uno “più grande di lui”.
Chiediamo al Signore Sacerdoti che lo amino con la stessa passione di Paolo e lo annuncino con lo stesso fervore.