Mgr Guidi mi rinnovò l’ordine di presiedere alla piccola Comunità, ma abituata al disordine, non ci fu verso, tranne due o tre, di poter ottenere qualche cosa.
Erano trascorsi più di 15 giorni dalla morte della Poveretta allorché una mattina Mgr mi chiamò dopo la S. Messa e mi disse: “Credo che è volontà di Dio che tu sorta; hai bisogno di rimetterti”, poi tacque e come seguendo un progetto aggiunse: “Però tu devi tornare dopo 40 giorni...” tacque di nuovo e indi soggiunse: “Queste, il Cardinale le fa in questo tempo ritirare dalle Suore del Preziosissimo Sangue... Vuoi anche tu andarci invece di andare dal p. Abate?...”. Io non sapevo cosa decidere, da una parte pensavo all’ordine del p. Abate, dall’altra parte comprendevo che ora si sarebbe potuto fare qualche cosa e nella titubanza in cui stavo chiesi a Mgr di lasciarmi 3 giorni per riflettere e pregai lui anche di raccomandare la cosa al Signore. Dopo 3 giorni Mgr mi chiamò dopo la S. Messa e mi disse: “Sai, io sempre più credo che è volontà di Dio che sorti”, ed aggiunse: “Per un poco”. Io rimasi tranquilla del tutto, la volontà di Dio ora la vedevo chiara.
Scrissi un biglietto a mia madre, ed essa venne nelle ore pomeridiane a prendermi.
La mamma aveva avvertito il p. Abate il quale mi attendeva in casa. Appena lo vidi gli dissi: “Padre mio, sono sortita dall’inferno”.
Il p. Abate mi ordinò di non ritirarmi presso le Suore della Provvidenza di Grottaferrata, come io espressi il desiderio, ma invece mi consigliò di prendere una camera in affitto e ritirarmi in Grottaferrata, restando così libera di me. Come il solito io obbedii, mia madre non si oppose perché comprese bene che in Roma dove la famiglia aveva preso dimora stabile, non ci sarei restata e perciò mi lasciò libera. Allora ero entrata nei 23 anni.
La mia dimora presso la Poveretta fu di undici mesi, questa dimora aveva fatto tanto bene all’anima mia, e per essere del tutto sincera, il pensiero di non aver avuto più un esercizio di virtù così mediato, più di una volta mi ha fatto rimpiangere quel tempo in cui le mie passioni e la natura soffrivano è vero, ma l’anima ci acquistava.
Dimora nella casa di Spalletta
Uscita dalla Poveretta, mi stabilii in Grottaferrata presso Enrichetta Spalletta, donna maritata senza figli e anziana.
Ebbi da questa una camera libera del tutto anche di entrata, sicché non avevo nulla a fare con questa famiglia, né con gli altri inquilini. Mio primo pensiero fu di formarmi un orario giornaliero onde regolare il primo tempo.
Ottenni dal p. Ab. il permesso di levarmi il cappello e vestire dimesso.
Lo zio materno e la mammà mi fornivano i generi per vivere e gli abiti per vestirmi, ma davo tutto ai poveri e mi nutrivo di legumi che cuocevo per 3 o 4 giorni.
Ripresi le mortificazioni corporali, che con entrare dalle Sepolte Vive e dalla Poveretta avevo sospeso, ed alle già dette adottai un cilizio di setole di cavalli e a questi in dati giorni sostituivo una catenella alta un palmo che mettevo alla vita.
Io sentivo un bisogno grande di patire, e non avendo sofferenze interne, mi aiutavo con le mortificazioni, le quali oltre a darmi un mezzo di soffrire qualche cosa per il mio Signore, mi aiutavano anche a vivere più raccolta e a stare più sopra me.
Il tempo per lo più lo passavo ai piedi di Gesù Sacrnto. In questo turno di tempo il p. Abate mi fece conoscere Mgr Bocali; al quale mi fu ordinato di aprire il mio cuore. Obbedii. Questi mi faceva andare spesso da lui e mi parlava molto del Signore e del Cuore trafitto di Gesù.
Il p. Ab. un giorno mi ordinò di far un esposto su quanto io dicevo del Cuore trafitto di Gesù e soggiunse che Mgr Bocoli aveva deciso portarlo al Santo Padre e parlargli in proposito. Obbedii (il Papa era Leone XIII). Passato qualche tempo sembrò che p. Abate volesse seriamente occuparsi del Cuore di Gesù trafitto e dei suoi desideri, ne parlò a vari Sacerdoti e mi fu ordinato di scrivere nuovamente; ed io feci ciò che mi ordinò. Nel meglio tutto fu sospeso e p. Abate andò fuori, poi ebbe dei dispiaceri e la cosa rimase incominciata. Non potendo godere la tranquillità che desideravo nella camera presa in affitto, domandai licenza di trovarne un’altra onde non essere tanto disturbata, il che mi fu concesso.
Dimora nella casa di Lorenzo Consoli
Da Consoli presi un piccolo appartamento di due camere e cucina; qui stetti del tutto tranquilla e proseguii la mia vita. Mi si avvicinarono intanto delle giovanette la cui anima semplice cercava con verità Dio e il suo amore.
Io cominciai a occuparmi di queste anime che Iddio mi aveva mandato, e dietro loro richiesta insegnavo e le istradavo nell’esercizio della virtù cercando che la comprendessero più in pratica che in teoria, le indicavo e spiegavo il modo di fare l’esame di coscienza, l’orazione ecc.
Occupando così il mio tempo pensavo che il Signore era contento e per il bene di queste anime, e volentieri sacrificavo l’attrazione che sentivo verso il SS.mo Sacrnto.
In questo tempo la mia vita di orazione passò senza alcun che di speciale. Ricordo bene che quando andavo a pregare o mi trovavo ai piedi del Sacramento, l’anima mia stava in silenzio e trovavo una grande quiete, provavo consolazioni nell’animo e accesi desideri di patire, di vivere povera povera, nascosta a tutti, e di portare anime al Signore. I miei desideri erano grandi e non avendo nulla da patire perché l’animo non aveva tentazioni, mi sfogavo con le penitenze che facilmente mi venivano accordate.
Sentivo anche un bisogno di amare tanto Iddio e per Lui mi pare che avrei fatto qualunque cosa. Mi sembrava tutto poco quello che facevo per il Signore e quindi mi feci vari strumenti di penitenza alcuni dei quali mi furono accordati.
In questo tempo la mia salute deperì molto e spesso cadevo malata.
Il p. Abate in questo periodo di tempo poco stava in Grottaferrata, quindi spesso mi regolavo per l’anima, con D. Teodoro Merluzzi, Basiliano.
Egli era un santo religioso, capiva bene le mie ispirazioni verso Iddio e dolcemente assodava il mio spirito vivace.
Per ragioni che nella storia dell’Opera troverà dovetti cambiare casa e col primo maggio lasciai questo appartamento.
Dimora nella casa del Roncaccia
In questa nuova dimora s’iniziò l’Opera, ed infatti il giorno dei SS. Angeli Custodi, Teresa Canestri e Angela Mascherucci (anima cara a Dio) si stabilirono definitivamente con me. Nell’iniziare quest’opera io non avevo in vista di formare un Istituto, ma sì bene di riunire un piccolo numero di anime attorno a Gesù Sacrnto, che intendessero i suoi lamenti e consolassero il suo trafitto Cuore.
Io compresi il mio dovere, in questa nuova fase della mia vita, quindi mi detti con tutto l’impegno a esercitarmi nella virtù, specie umiltà, obbedienza e orazione. Abbracciai atti di umiltà o meglio dire disprezzo di me e mi assoggettai ad opere ed atti (che troverà nella storia dell’Opera) che ripugnavano fortemente al mio orgoglio. L’ubbidienza cercai eseguirla con un fine più soprannaturale e ciò feci perché sentivo internamente che Iddio voleva da me “purità d’intenzione”. Benché mi trovavo più occupata, mi detti però con più impegno all’orazione.
In questo tempo io pregavo con molta quiete e questa era la mia ordinaria orazione, altre volte mi trovavo come se invece di pregare quest’anima assaporasse un dolce sonno e riposo nel seno del Cuore di Gesù. Le consolazioni abbondavano nel mio animo. Tentazioni e angustie non sentivo. Io avevo dei grandi desideri i quali formavano un martirio per la mia anima ardente.
I desideri che divoravano lo spirito mio erano: l’amore. Io sentivo il bisogno forte potente di amare Iddio, molte volte fra giorno l’anima mia restava compresa di questo amore alla vista del creato, delle piccole bestioline ecc. e dietro questo sentimento mi lasciavo trasportare. L’altro mio desiderio era di “portare anime al Cuore trafitto di Gesù”: io sentivo dentro di me un impulso continuo nella Com., nelle preghiere, mortificazioni, io dimenticavo me stessa, dimenticavo le mie cattiverie e pregavo, mi offrivo senza considerazione per il bene delle anime. Unito a questi due desideri vi era quello che occupava tutto il mio cuore, la mia mente, la mia volontà, “consolare il Cuore trafitto di Gesù”. Questo pensiero, questo desiderio era (ed è) sempre vivo in me, sicché il fine di ogni mia cosa era (ed è) consolare Gesù, spesso io offrivo (senza pensare che il mio cuore non era ancora puro e spoglio di tutto) il cuor mio come un luogo ove Gesù nel suo dolore fosse venuto a nascondersi e con sincerità dicevo a Gesù: “Gesù mio, venite nel mio cuore così siete riparato dalle offese che trafiggono il vostro Cuore”.
Io non riflettevo a quello che dicevo e lo dicevo tanto spesso. Povero Gesù mio, in che cuore v’invitavo a venire! e Voi mi amavate benché sì cieca su me stessa e cercavate da me consolazione. Mio Maestro Divino, quanto questo tratto commuove il mio povero cuore!
Questi desideri un po’ più vivi del mio carattere, avevano bisogno di sfogo e non avendo niente da soffrire nel mio animo ottenni fra le altre mortificazioni quella di farmi battere (da una mia fidata) da capo a piedi con l’ortica, ma una volta che ciò prolungai il sangue si ritirò dal cuore e venni meno, e dietro questo non feci più questa mortificazione e invece adoprai le spine e con più discrezione. Mi esercitavo anche in altre mortificazioni afflittive ed in quelle che temperavano il mio carattere vivo e il mio orgoglio.
Ebbi molto da soffrire dalla parte dei miei parenti paterni, ma questo genere di sofferenza non mi arrivava al fondo del cuore, mi causava piuttosto noia che altro.
La sofferenza che più mi arrivava al cuore era la condotta del p. Ab. verso di noi. Egli fin d’allora addimostrò ciò che poi fu nel corso degli anni: e la sua poca premura per le anime mi affliggeva. Spesso gli scrivevo in proposito. Ma io credo che il Signore ciò disponeva affinché io mi abbandonassi solo a Lui. Un giorno più dell’altro impensierita mi rivolsi al Signore ed Egli per mezzo della solita voce mi rispose: “L’opera è mia, non delle creature”. Io mi inquietai e allora mi venne alla mente quello che il Signore promise ad Abramo. Egli sperò, credette. Così feci allora io e stabilii di sempre fare. Mi pare d’essere stata fedele a questo sentimento.
Come nella storia dell’Opera troverà, dovevo spesso sortire per trovare il danaro per la pigione di casa. Questo per me era un grande sacrificio, il mio orgoglio si opponeva, ma il Signore mi aiutava e il pensiero di non negare a Dio un sacrificio mi sosteneva per eseguire ciò che l’ubbidienza m’imponeva.
Durante queste gite io pregavo sempre e ricordo che il mio cuore, il mio pensiero era tanto occupato del Cuore trafitto di Gesù che non mi occupavo d’altro che di compiere ciò che mi era stato ordinato. Il mio corpo certe volte era molto stanco ed anche sfinito, ma l’anima mia si sentiva tanto felice, pensando a Dio e di soffrire, per consolarlo, qualche cosa.
In questo tempo la Madre mia celeste mi liberò da vari pericoli per l’anima mia non solo, ma mi sostenne anche allorché più di una volta nel tempo delle mie private preghiere, durante la notte, sentivo degli scuotimenti di porte, dei gridi e rotolamenti di grosse pietre, sicché io ero invasa dalla paura e ricorrevo allora con fiducia alla mia Madre celeste ed ella mi rendeva forte a non temere e non desistere dall’adorazione e fortificata così internamente proseguivo a pregare, far penitenza secondo in quei momenti mi trovavo dedicata, e per solito tornava poi la calma, il nemico mi lasciava in pace ed io proseguivo tranquilla i miei esercizi di pietà.
Il p. Abate mi trattava con molta severità, questo però non mi toglieva la fiducia che avevo verso di lui, spesso mi percuoteva sul volto, mi faceva prostrare e mi calpestava la testa, dal che avveniva qualche volta che il sangue si pestava, e sul volto mi apparivano delle macchie nerastre ed allora mi ordinava di non sortire di casa. Distaccava anche il mio cuore, che era affettuoso; certe volte mi dovevo fare una forza molto grande nell’eseguire ciò che mi ordinava, come fu una volta (e altre simili) che dovetti uccidere una colomba che si era a me affezionata e mi veniva incontro ogni qual volta mi vedeva, io me ne compiacevo e avevo in essa posto affetto, egli mi ordinò di ucciderla, cosa che feci subito ma ricordo che il mio cuore e la mano tremavano nel fare questa operazione dolorosa e difficile per me.
Mio Dio, quando penso alla vostra bontà, io non so come ringraziarvi. Eravate voi, mio caro Dio, che mi facevate sentire che con questi mezzi mi volevate spogliare di ciò che non era voi, e ricordo l’impulso che sentivo di togliere da me ciò che a voi non piaceva e di spingermi sempre avanti sorpassando su tutto. Mio Dio, mio Dio! Così passò la mia dimora nella casa di Roncaccia e quando la lasciai per andare nella casa attuale dell’Istituto, feci uno sproprio generale di tutto ciò che ancora mi restava di mobili ed altro di mia famiglia, donai via tutto e così rimasi povera povera.
Dimora stabile nella Casa dell’Istituto
Il 17 ottobre 1891 presi stabile dimora nella casa dell’Istituto con Teresa Canestri e Angelina Mascherucci. Io proseguii la mia vita interiore come per il passato, ed intesi nel mio cuore un nuovo impulso a vivere per Iddio. Mi detti con più slancio all’orazione, cercai di stabilirmi nell’abbandono in Dio, quest’abbandono mi sembrò necessario per poter amare Iddio davvero e questo desiderio fu in me rinforzato dalla lettura di un piccolo libretto intitolato Iddio mi basta. Mi parve che quelle paginette trovassero un’eco nel mio cuore e quindi ne cominciai l’esercizio. Per riuscire meglio in questo cominciai a interdirmi ogni pensiero e preoccupazione dell’avvenire e quindi mi abituai pian piano a pensare al solo giorno presente, indi abbreviai il tempo di mezza giornata, finché ora sento che l’anima mia riposa talmente in Dio che pensa solo al momento presente. Questo esercizio, se mi faceva crescere nella fiducia in Dio, era anche necessario e mi costava non poco specie per p. Ab. che spesso lasciava Grottaferrata e si stabiliva in Roma e quindi delle anime nostre poco se ne occupava.
Io sentivo molto la responsabilità delle anime delle due giovani che stavano con me, ed anche l’anima mia si trovava bisognosa; ma Iddio sempre buono permetteva tutto questo affinché mi abituassi a cercare Lui solo. Io però sentivo il desiderio di Dio e questo desiderio era grande e quindi mi sfogavo con penitenze le quali facilmente mi venivano accordate di tempo in tempo determinate. Mi legai anche a Dio coi voti di castità, povertà ed obbedienza al p. Abate.
Spesso il p. Abate mi dava o mi mandava l’ordine di portarmi in Roma per trovare il danaro onde terminare i pagamenti ai muratori. In queste gite mi comportavo sempre come di sopra ho detto.
Il 2 febbraio 1894 fu dato principio all’Opera e le prime fummo 6. Quel giorno fu per me di grande consolazione perché avevo Gesù Sacrnto in casa e avrei potuto con un piccolo numero di anime ritirarmi totalmente dal mondo e pensare solo a consolare, amare e riparare col Cuore trafitto di Gesù, ma fu anche un giorno di dolore perché avrei bramato che sin dalla vigilia si fosse passato in raccoglimento e preghiera, ma Iddio permise tutto il contrario perché questi due giorni per ordine del p. Ab. si lasciò libera l’entrata ai secolari, e questo via vai di persone, quella confusione ecc. teneva il mio cuore in tanta pena perché desideravo raccogliermi e pregare con le altre, ma però volli obbedire e mi sottomisi senza né lamento né mostrare ciò che sentivo.
Avendo la fortuna di vivere sotto lo stesso tetto con Gesù mi sembrava tutto poco e ero pronta a soffrire qualunque cosa.
Nel tempo della S. Messa specie nella Comunione mi donai tutta a Dio e mi offrii a patire qualunque cosa pur di appagare i desideri del Cuore trafitto di Gesù. Avendo Gesù Sacramentato in casa io non desideravo più nulla, quindi allorché ero libera dai miei doveri, mi portavo ai piedi di Gesù Sacrnto.
Dall’apertura dell’Opera io intesi in modo tutto speciale che da ora in avanti dovevo essere tutta di Dio, vivere una vita tutta di intima unione con Lui, e portare al suo Cuore trafitto molte anime. Il Signore stesso parlava all’anima mia, il mio cuore rimaneva penetrato intimamente dei lamenti del Cuore di Gesù, e ricordo che mi sentivo come se l’anima vivesse delle stesse pene di questo cuore appassionato e amante.
Il p. Ab. aveva lasciato molto il pensiero della formazione delle figlie a me, quindi, quando egli non veniva cominciai a fare delle conferenze sulla vita di una vittima, e nei discorsi in coro per l’occasione della colpa esortavo a consolare il Cuore di Gesù e palesavo a quelle anime semplici le pene e i desideri del Cuore trafitto di Gesù. Intanto io cominciai ad accrescere le penitenze, ed ottenni di farmi battere con un nervo in date circostanze, mi fu permesso di bruciarmi con un ferro e anche in qualche occasione bruciarmi con la fiamma di una candela, questa mi causò delle piaghe specie in una gamba, e mi costrinse a stare in letto, e dietro questo non vi provai più a farle tanto profonde. Le piaghe che mi facevo cercavo inasprirle con aceto e sale, ed il dolore lo offrivo al Signore per le anime e per l’Opera. Ebbi anche il permesso di appendermi ad una croce che avevo innalzato nella soffitta, quando mi era permesso di appendermici (per lo spazio di dieci Pater, Ave e Gloria) restavo sospesa un 25 centimetri sopra la terra. Questa mortificazione lasciava l’anima mia tanto compresa delle pene che Gesù aveva sofferto sulla croce. Veramente è una sofferenza estrema e solo l’amore ha potuto tenere Gesù per 3 ore sulla croce.
Quando voglio ora pensare alle pene di Gesù in croce penso a quelle che io provavo, e allora l’animo mio s’interna alle sofferenze di Gesù Crocifisso e mi produce nel cuore una pena intima intima di compassione e d’amore. Una volta m’impressi sul petto con la stampa infuocata, un cuore, e questo feci perché volevo mostrare al Signore che lo amavo sopra ogni dolore. Tale impressione essendo stata fatta profonda mi durò la piaga aperta per il periodo di un anno e più. Queste ed altre furono le penitenze che offrivo a Dio per le anime e per l’Opera.
Il Signore permise che p. Abate cominciasse quasi subito a mostrarsi stanco dell’Opera. Credo che Iddio dispose così per un bene, e certo che con l’andar del tempo il mio solo rifugio fu Iddio e procurai fin da quest’epoca a cercare Iddio solo solo sia in me come nelle figlie.
In questo tempo esperimentai purtroppo quanto è incerto l’appoggio delle creature e come è vano confidare nell’uomo e quindi mi appoggiai a Dio, di Lui solo mi fidai e con la sua grazia non mi perdetti d’animo in mezzo alle tante traversie e contrarietà che col tempo ci furono da soffrire. Riconosco in questo la grande bontà di Dio.
Mio Dio, Voi per farmi stare appoggiata a Voi solo, vi serviste del vostro servo, e permetteste che per un lungo periodo di anni comprendessi e provassi qual fragile canna è la creatura e questo Voi faceste per rendere il mio cuore tutto per Voi. Come ringraziarvi mio Dio e mio Bene infinito? Ah, non altro che con amarvi tanto e vivere interamente in Voi abbandonata.
Verso il 1902 il p. Abate si disinteressò quasi del tutto dell’Opera e fu affidata ad un giovane monaco. Questo fu un tempo terribile sia per l’inesperienza di questi come per le infedeltà al Signore. Queste infedeltà quanto mi costavano! Sentivo che Iddio mi sollecitava, mi veniva dietro, ed io, resistere a Dio non volevo, ma non trovavo più il modo di ridarmi a Lui, né mi riusciva aprire il mio cuore a p. Abate in quelle rare volte che veniva perché avevo perduto la fiducia in lui e quindi oppressa da pene intime trascorsero questi anni nell’ansia, nel pianto e spessissimo mi prostravo lunga in terra con le braccia in croce, ai piedi di Gesù Sacramentato e con gemiti e grida del mio cuore supplicavo Iddio di darmi un padre per l’anima, una padre alle Figlie, all’Opera.
Stando le cose così io sentivo fortemente l’obbligo che gravemente posava sopra di me riguardo all’opera di Dio, e sentivo il peso delle anime che si erano fiduciose affidate all’Istituto. In queste angustie mi rivolgevo a Dio, e quante preghiere, quante mortificazioni gli offrivo a questo scopo! Quando penso a questi anni rimango meravigliata nel vedere come il Signore fu buono, mentre io ero tanto, ma tanto cattiva e infedele a lui.
Dal 1904 al 1908 p. Abate si fece vedere molto raramente, e l’anima mia sfiduciata di lui, rimase in un intero abbandono da tutte le creature. Lo spirito mio si trovava oppresso, sentivo che non avrei mai più aperto il mio cuore al p. Abate ed il Signore conoscendo la mia estrema debolezza mi veniva dietro, mi confortava, mi animava ad abbandonare me e l’Opera a Lui solo, ed io seguivo questo impulso, replicavo atti sopra atti di abbandono, e finivo sempre con sentire il mio cuore più di Dio. Quale in questi anni fu la mia orazione? Non so dirlo; ricordo solo che mi trovavo penata per le mie cattiverie, sentivo il gemito dell’anima mia che voleva tornare a Dio ed essere sola di Lui, spesso la tristezza e la noia m’invadeva, e cadevo in sentimenti di disperazione, sicché l’orazione, tolto alcune volte, per me era un tormento, un martirio.
Nel periodo di questi anni caddi malata di tifo e bile.
Nel 1908 p. Abate ci abbandonò definitivamente. Iddio aveva preparato il mio cuore a questo colpo, ed il mio primo pensiero fu di fare un atto intero di abbandono in Dio: rimisi a Lui l’opera, l’anima delle Figlie, l’anima mia e feci atto di obbedienza al Vescovo della Diocesi.
In quest’anno conobbi il P. Gallois, marista.
Nella storia dell’Opera vedrà come Iddio si servì di questo Padre per mettere l’Istituto in regola con la Chiesa, per stabilire le opere esterne ecc. Io gli affidai la mia anima, infedele a Dio, ma pure sitibonda di Dio.
Mi sembrò rinascere a nuova vita e l’animo riprese subito vigore, ritrovai Dio e tornai ad amarlo. In questo periodo di tempo nulla di speciale mi accadde, penitenze non ne feci perché non mi erano permesse, lavorai sul mio carattere.
(Ho dimenticato dire che al P. Gallois aprii il mio animo ma non del tutto perché non intesi in me l’impulso di manifestargli le impressioni che il mio animo aveva avuto sul Cuore trafitto di Gesù e le intime mie aspirazioni come ho fatto con lei).
Nel 1912 il p. Gallois fu dai Superiori trasferito in Torino e l’anima mia rimase nuovamente sola e ricaddi nel mio stato di tiepidezza e di angustie e cominciai nuovamente a pregare per un padre a cui affidare la mia anima.
Conobbi lei, con lei ho ritrovato Iddio e la vita interiore, e spero che il Signore aiuterà ed illuminerà lei per condurmi a quella santità a cui da piccola sentivo di aspirare.
Nel tornare col pensiero alla mia vita passata, nel mio animo è accaduto un sentimento di umiliazione nel vedere un Dio sovrabbondare di misericordie un’anima come la mia ed io essere stata tanto infedele al mio Dio. Io sento il bisogno di riparare il mio passato e ripararlo per mezzo specialmente dell’amore e del totale abbandono in Lui.
Sì mio Dio, il resto dei miei giorni siano spesi tutti per amarvi e quest’amore distrugga in me ciò che non è vostro e renda a Voi un tributo di riparazione con portarvi anime, tante anime al Vostro Cuore trafitto.
Mio Dio, mio tutto!
Fine!
Aggiunta 1a
Quando morì Teresa Canestri, la sua morte fu tale per i precedenti che a voce le raccontai, che tutte le altre figlie rimasero impressionate e nella camera attigua piangevano ecc. Io nella pena in cui mi trovavo e senza riflettere, vedendo che il p. Ab. voleva andar via e lasciare così la moribonda, gli dissi con la vivezza del mio carattere: “Avere lei e un cavolo è tutt’uno”. Detto questo compresi il male da me fatto, la mancanza di rispetto dovuto al mio superiore e più che altro l’avere così trattato un Sacerdote. A questo scatto inconsiderato di carattere successe subito il pentimento e postami ginocchioni chiesi più e più volte perdono.
Il p. Abate non volle, malgrado la sincerità del mio pentimento e lacrime, perdonarmi, e seccamente mi disse: “Ora credo che tutto ciò che è accaduto nell’animo vostro non viene dallo spirito di Dio”. Queste parole fecero una impressione funesta nell’anima mia e vi rimasero scolpite, insieme a una pena continua continua.
Io non lasciai subito, del tutto, l’orazione, ma il sentire Iddio ecc. mi accresceva la pena e cominciai a trascurarla un poco per volta. La trascurai volontariamente: mi sembrava minor male lasciare l’orazione anziché essere ingannata da uno spirito che non era Dio. Dietro questo mi entrò nel cuore la persuasione della inutilità della preghiera per l’anima mia perché essendo così rilasciata e per tanto tempo ingannata, Iddio non mi avrebbe ascoltato, e andò tanto innanzi questa persuasione che mi sembrava di fare un affronto a Dio col solo presentarmi avanti a Lui; e quindi un poco per volta mi ritirai dal fermarmi la sera avanti al ciborio a trattare familiarmente con Dio, fino a che non ci andai più. Cominciai a tralasciare la Comunione e così un poco per volta degli esercizi di pietà.
Che l’anima in questo periodo di tempo così doloroso si sia del tutto allontanata da Dio non posso dirlo, perché io ricordo che il pensiero di Dio non mi lasciava mai, il desiderio e l’impulso di pregare lo sentivo, l’animo mio si trovava certe volte in uno stato di pena, di disperazione.
Alle volte risolvevo di tornare all’orazione, ma allora le parole di p. Abate mi tornavano alla mente e mi sembrava di sentirle ripetere così calcate e secche come mi furono quella volta dette, e allora fuggivo da Dio e mi sfogavo a piangere.
Mi rialzai da questo stato, ma non definitivamente, con fare da sola gli Esercizi. A lei ho consegnato un libretto nero in cui sono scritti gli esercizi che feci (non ricordo l’anno) e nella prima pagina scrissi la causa che mi induceva a fare detti esercizi ed era che la notte venivo svegliata e sentivo dirmi: “Così fai la vittima?”.
Il timore di essere ingannata è grande in me, e mi fa andare molto cauta non solo, ma cerco a non pensare mai a quello che mi accade.
Ora dicendo tutto a lei io mi trovo tranquilla e quando gli ho riferito le cose non ci penso più volontariamente, e se il mio pensiero è occupato di Dio e del Cuore trafitto di Gesù e del suo volere non è per mia volontà o sforzo di essa, ma perché lo sento dentro di me. Prego lei con tutto il mio cuore di rimettermi nella retta via se sono ingannata.
Aggiunta 2a 10
Dicembre 1921
Roma Viva il Cuore trafitto di Gesù!
Quando andai la prima volta dal padre Gallois fu nel 1907 o 1908. Finché il p. Ab. non lasciò definitivamente l’Istituto, mi confessavo semplicemente al p. Gallois e rispondevo alle sue domande; ritirandosi p. Abate dall’Istituto, allora gli affidai l’anima mia e sentendo sempre più bisogno di una direzione, mi proposi di vivere di obbedienza e gliene feci voto. Sul principio mi ordinò di fare la meditazione sopra i Novissimi, indi lasciò libertà al mio spirito.
Sotto la direzione di questo padre, l’animo mio si ritrovò nel sevizio di Dio, avevo molti sentimenti e consolazioni e il mio spirito si sentiva incamminare alla via dell’amore, però queste consolazioni e sentimenti li sentivo realmente in me, ma non erano così intimi, così profondi come ora, né mi accadeva nell’animo quello che mi accade ora nel fondo di esso.
Allora dovevo andare a Dio a forza di volontà, cioè combattendo le mie cattive abitudini, faticai molto e con poco frutto, perché le abitudini erano inveterate, e tutto questo contribuiva a farmi spesso ricorrere a Dio. Ciò nonostante il Signore era buono con me e versava il suo amore e le sue consolazioni nell’animo mio, mi sentivo internamente spinta a perfezionare la mia obbedienza, a uniformare meglio la mia volontà a quella di Dio; feci varie offerte (che lei conosce), le scrivevo come mi sentivo ispirata di fare, e il padre Gallois le offriva in tempo della S. Messa.
Nei 4 anni che restai sotto la direzione di questo padre il lavoro più faticoso per me fu di sottomettere il mio giudizio ai cambiamenti e alle opere esterne che furono messe nell’Istituto benché per il passato qualche idea ne avevo avuto. Cercai di sottomettermi in tutto e esortavo le figlie, facendo miei i sentimenti dell’obbedienza ecc.
Sottomisi anche il mio giudizio riguardo alle penitenze, io sentivo che all’anima mia facevano bene, ma vedendo che mi erano accordate per compiacenza, ne feci un sacrificio al Signore e non domandai più nulla. In questa totale sottomissione di giudizio combattei molto (ma il mio combattimento lo nascosi a tutti), io sentivo che Iddio esigeva questa morte assoluta da me e quindi volevo contentarlo, ed il mio giudizio stava in un torchio di soppressione; con l’aiuto di Dio ci riuscii ed ora ne godo il frutto, perché godo la libertà di spirito, riuscendomi come naturale il sottomettere il mio giudizio. Quando padre Gallois partì da Roma lo spirito mio si trovava nelle suddette condizioni. Non andai più avanti, ma neppure tornai indietro. La prima volta che fui da lei sulla fine del 1913 o sul principio del 1914.
Era vario tempo che pregavo caldamente il Signore di provvedermi un padre per la mia direzione. Allorché fui da lei io intesi che il Signore mi affidava a lei, ma ebbi molto a penare prima che lei mi accettasse.
Intimamente persuasa di quello che sentivo cominciai subito a eseguire i consigli che mi dava in confessionale; ricordo che una volta lei mi parlò del Cuore di Gesù, le sue parole scesero nel mio cuore e intesi che nell’animo si risvegliava l’amore assopito e quindi mi detti con più premura all’orazione e da quella volta in poi io mi misi con più fervore a cercare Dio solo: passavo del tempo ai piedi del Signore felice di avere lui solo per testimonio del mio amore e spesso dicevo al mio Dio di darmi un padre per l’anima mia, ma che prima mi avesse abituata a cercare lui solo solo.
Nel 1917 aprii una casa a Nidastore; nell’estate andai e mi fermai lì 2 mesi. In questo tempo ero più libera e quindi passavo molto tempo in Chiesa ai piedi di Gesù Sacramentato.
In questi miei trattenimenti col Signore Egli mi fece risentire i suoi lamenti al mio cuore, decisi, tornare in Roma, di pregare nuovamente lei a prendere la direzione dell’anima mia; veramente io sentivo il bisogno di una persona per lo spirito mio perché temevo d’inganno e questo timore mi induceva a lasciare l’orazione, e allontanata che mi fossi da questa in cui sentivo e sento che si concentrano tutte le forze dell’anima mia cosa sarei divenuta? Il passato me ne dava l’idea.
Con queste idee tornata in Roma venni da lei, la pregai nuovamente a prendermi sotto la sua direzione, le accennai la riparazione al Cuore di Gesù ecc., ma tutto brevemente e troncando perché temevo che m’imponesse di non tornare più da lei, ma lei fece un sospiro, e disse infine di trovare altra direzione ecc.
Il mio cuore ebbe pena, però pensai di ubbidire e dicevo a me stessa: cerchiamo di conoscere la volontà di Dio, e quindi con più premura mi posi in giro per i confessionali, con molta mia ripugnanza e sempre con esito sfavorevole.
Finalmente nel 1919 lei mi accettò e ricordo che l’anima mia stava, dietro la malattia avuta, più risoluta che mai di darmi senza eccezione a Dio. Il resto lo sa.
(2) ciborio= tabernacolo in cui si conserva il Santissimo Sacramento
" Se il chicco di frumento caduto in terra non muore, rimane solo; se muore porta molto frutto" .
Teresa pensa soltanto di riunire, in un vincolo di fraternità e di preghiera, delle giovani nelle quali il Signore « possa deporre (sono sue parole) il Suo amore sofferente ».
Invece, senza che nemmeno lei se ne renda conto, una nuova famiglia religiosa sta nascendo dal suo cuore.
Il Signore, infatti, le fa sentire una richiesta: « Dammi dei Sacerdoti Santi ». C'è, in questa domanda, la passione con cui Cristo, seduto presso il pozzo di Sicar, chiede un giorno alla Donna di Samaria: « Dammi da bere! ».
Non le promette nulla, e lei non chiede nulla per sé. Ha impegnato la vita per Dio, e questo le basta. Non vedrà nemmeno i frutti della sua attesa...
Il 2 febbraio 1894 segna la data d'inizio della Congre¬gazione delle Suore Oblate del S. Cuore di Gesù, che nasce nella clausura, nella povertà, in una totale mancanza di sostegni umani. Gli inizi sono duri, ma rispecchiano quella generosità di risposta con cui la Teresa vuole pregare e fare dono di se stessa (e con lei, le prime « figlie »), per la santità dei Sacerdoti. Sono gli anni in cui, mentre il chicco affonda le sue radici nella zolla, la spiga della nuova famiglia religiosa comincia ad innalzarsi in una promessa di maturazione.
La fisionomia particolare della Congregazione si rivela in maniera chiara, quando il Cardinal Satolli, Ordinario Diocesano, dice alla Serva di Dio che è giunto il momento di unire, alla preghiera, anche qualche forma di attività « esterna ». Comincia, per lei, un itinerario sofferto e appassionato di ricerca: preparare le giovani alla vita perché, divenute brave mamme, sappiano essere il cuore delle loro famiglie e le prime educatrici dei loro piccoli, dato che la famiglia è l'humus naturale in cui può fiorire una vocazione. Più tardi, verso gli anni venti, sorgono i « Collegi dei Piccoli Amici di Gesù ». Sembrano qualcosa di rivoluzionario, e sono senz'altro una novità in assoluto: si affiancano ai Seminari per offrire vivai di vocazioni alla Chiesa.
Non mancano, nei confronti di quest'idea coraggiosa, la diffidenza dei superficiali, ed anche le derisioni, l'ostilità, gli scherni, non esclusa l'incomprensione degli stessi amici. Ma lei non si lascia scoraggiare, e tutto progredisce fecondato anche dalle sue intime sofferenze. Intanto i Collegi si moltiplicano, in varie località dell'Italia Centro-Meridionale, mentre a Roma i Piccoli Amici di Gesù si affermano decisamente come promesse e speranze per la Chiesa Diocesana.
Teresa Casini lascia questa terra il 3 aprile 1937, pronunciando le parole: « Sono tanto tranquilla... sento Dio vicino a me ».
Un anno dopo, Cosimo Petino, il primo ex Piccolo Amico di Gesù viene ordinato sacerdote.
La Congregazione delle Suore Oblate del Sacro Cuore di Gesù, anche dopo la morte della Fondatrice, ha proseguito il suo Cammino nella fede e nella coerenza con gli ideali di fondazione, e il carisma continua a vivere, arricchendosi via via di quelle connotazioni nuove che sono richieste dai segni dei tempi. ...
Pregare e operare per le vocazioni sacerdotali, traducendo questo impegno nelle forme di ministerialità che si rivelano più attuali.
Pensare, con quella capacità di discernimento che è dono dello Spirito, agli innumerevoli problemi esistenziali e pastorali che riguardano i Sacerdoti. Farsi portatrici di una mentalità e di una sensibilità nuova nei loro confronti, ed essere presenti con la collaborazione e la condivisione di fatiche e di ideali. E questo, non solo in Italia, ma anche nell'America del Nord e del Sud, in Africa, in India, in Perù e su qualunque itinerario geografico il Signore chiama le Oblate verso nuovi orizzonti.
Così il carisma di Madre Teresa Casini si realizza nel tempo con quella novità che nasce dallo Spirito; e si fa richiamo a sostegno dei Sacerdoti, perché siano santi, e perché, in un fiorire di vocazioni, esprimano il volto sempre giovane della Chiesa.
"Io mi riposo, o mio Dio, nel seno della vostra infinita misericordia e provvidenza; fate voi di me e di tutto ciò che riguarda me quel che volete, poiché io so bene quanto mi amate.
Roma, 2 settembre 1924
La sua offerta suprema
“Cuore trafitto di Gesù, a cui tutto desidero immolare in me, e così attestarti il mio amore e consolare il tuo trafitto Cuore, ti prego nella bassezza del mio nulla, di voler distruggere in me ciò che vi ha di più nobile, quello che costituisce il fondo del mio cuore, cioè ‘Il desiderio della vita’ per compiere i desideri del tuo trafitto Cuore, cioè ‘l’Opera delle Oblate e delle Vocazioni al Sacerdozio’. Questo desiderio della vita ti usurpa la gloria che solo a te è dovuta, perché occultamente appropria a me ciò che è tutta opera tua.
Purifica, distruggi, annienta in me questa parte più eletta del mio cuore; ed il vuoto che questa immolazione lascia sia dal tuo intimo dolore e dal tuo amore riempito”.
Maria Teresa Casini