PRIMA DOMENICA DI QUARESIMA
"In quel tempo,
lo Spirito sospinse Gesù nel deserto
e vi rimase quaranta giorni,
tentato da Satana."
"Leggevamo ora nel vangelo che il Signore Gesù era tentato dal diavolo nel deserto. Precisamente Cristo fu tentato dal diavolo, ma in Cristo eri tentato anche tu. Perché Cristo prese da te la sua carne, ma da sé la tua salvezza, da te la morte, da sé la tua vita, da te l'umiliazione, da sé la tua gloria, dunque prese da te la sua tentazione, da sé la tua vittoria. Se siamo stati tentati in lui, sarà proprio in lui che vinceremo il diavolo. Tu fermi la tua attenzione al fatto che Cristo fu tentato; perché non consideri che egli ha anche vinto? Fosti tu ad essere tentato in lui, ma riconosci anche che in lui tu sei vincitore. Egli avrebbe potuto tener lontano da sé il diavolo; ma, se non si fosse lasciato tentare, non ti avrebbe insegnato a vincere, quando sei tentato".
VIA CRUCIS
PER LA SANTIFICAZIONE
DEI SACERDOTI
PREGHIERA INIZIALE
Signore Gesù, che hai amato gli uomini fino alla morte in croce, voglio venire con Te, accompagnandoTi con la mente e col cuore sulla via del calvario. Voglio seguirTi per piangere i miei peccati, quelli dei tuoi sacerdoti e quelli di tutti gli uomini, miei fratelli, causa della Tua crocifissione e darTi prova del mio amore riconoscente. Illumina la mia mente, scuoti la mia indifferenza e insensibilità e fa' che nel dolore io sappia guardare al tuo dolore e in esso trovare consolazione. AMEN
Prima stazione: Gesù è condannato a morte
Ti adoriamo, Cristo, e ti benediciamo perché con la tua santa Croce hai redento il mondo.
Per tutti i sacerdoti disprezzati, calunniati, perseguitati, soprattutto per quelli il cui ministero incontra tanti ostacoli. Ti prego, o Gesù, affinché il loro zelo non si affievolisca, ma, attraverso la sofferenza, si accenda sempre di più.
Santa Madre deh! Voi fate che le piaghe del Signore siano impresse nel mio cuore.
Seconda stazione: Gesù prende la Croce
Ti adoriamo, Cristo, e ti benediciamo perché con la tua santa Croce hai redento il mondo.
Penso alle molte croci dei sacerdoti: ai pericoli morali, alla solitudine in terra di missione o in piccole parrocchie sperdute; alla povertà, alla malattia. Penso soprattutto a chi porta la croce delle supreme responsabilità della Chiesa, al Papa e ai Vescovi: a tutti concedi, o Signore, di portare la loro croce dietro di te e insieme con te.
Santa Madre deh! Voi fate che le piaghe del Signore siano impresse nel mio cuore.
Terza stazione: Gesù cade la prima volta
Ti adoriamo, Cristo, e ti benediciamo perché con la tua santa Croce hai redento il mondo.
Penso soprattutto ai sacerdoti novelli: preghiamo affinché le prime difficoltà del ministero non li facciano cadere nello scoraggiamento e nel pessimismo. Fa', o Signore, che essi, dopo ogni prova, riprendano il cammino più fiduciosi in te, contando meno sulle proprie forze.
Santa Madre deh! Voi fate che le piaghe del Signore siano impresse nel mio cuore.
Quarta stazione: Gesù incontra sua Madre
Ti adoriamo, Cristo, e ti benediciamo perché con la tua santa Croce hai redento il mondo.
Per quel doloroso incontro concedi, o Gesù, alle madri dei sacerdoti di sapere incoraggiare, sostenere i loro figli nel proseguire la loro missione e di cooperare ad essa, come Maria, con le loro preghiere e le loro sofferenze.
Santa Madre deh! Voi fate che le piaghe del Signore siano impresse nel mio cuore.
Quinta stazione: Gesù aiutato da Simone di Cirene
Ti adoriamo, Cristo, e ti benediciamo perché con la tua santa Croce hai redento il mondo.
II sacerdote è il Cireneo che tu, o Signore, hai dato alle anime. Fa' che egli sappia consumarsi per esse senza risparmiarsi, trovando nell'esercizio del ministero la via per la propria santificazione. Ti prego specialmente per i direttori spirituali.
Santa Madre deh! Voi fate che le piaghe del Signore siano impresse nel mio cuore.
Sesta stazione: La Veronica asciuga il volto di Gesù
Ti adoriamo, Cristo, e ti benediciamo perché con la tua santa Croce hai redento il mondo.
Ti prego, o Gesù, che nessuna delle donne che il sacerdote incontra sul suo cammino gli sia pietra d'inciampo. Moltiplica invece il numero delle anime sacerdotali e verginali, che sappiano andare incontro al sacerdote con coraggio, prudenza e rettitudine d'intenzione, per essere collaboratrici del suo ministero.
Santa Madre deh! Voi fate che le piaghe del Signore siano impresse nel mio cuore.
Settima stazione: Gesù cade la seconda volta
Ti adoriamo, Cristo, e ti benediciamo perché con la tua santa Croce hai redento il mondo.
Per i sacerdoti vittime dell'imprudenza, della propria debolezza o delle insidie del mondo. Ti prego, rendili pronti ad accorgersi dei rischi che corrono, determinati nel dare gli strappi necessari per fuggirli, costanti nel dono di sé.
Santa Madre deh! Voi fate che le piaghe del Signore siano impresse nel mio cuore.
Ottava stazione: Gesù incontra le donne di Gerusalemme
Ti adoriamo, Cristo, e ti benediciamo perché con la tua santa Croce hai redento il mondo. Dalle pie donne Gesù esige la contrizione più perfetta, quale condizione per poter comprendere e piangere la sua Passione e così unirsi al suo sacrificio. A maggior ragione richiede tutto dai suoi sacerdoti, che celebrano ogni giorno l'Eucaristia. Ti prego, Signore, perché tu dia al sacerdote la fede, lo spirito di umiltà, il cuore contrito e il fervore necessario per una devota celebrazione della Messa.
Santa Madre deh! Voi fate che le piaghe del Signore siano impresse nel mio cuore.
Nona stazione: Gesù cade la terza volta
Ti adoriamo, Cristo, e ti benediciamo perché con la tua santa Croce hai redento il mondo.
Signore, ti prego intensamente per i sacerdoti che sono nel peccato, chiusi in se stessi, che non si lasciano aiutare da nessuno e che rischiano di perdersi. Rialzali subito e sana le loro ferite. Ti prego ancora per i sacerdoti agonizzanti: che nessuno muoia separato da te.
Santa Madre deh! Voi fate che le piaghe del Signore siano impresse nel mio cuore.
Decima stazione: Gesù è spogliato
Ti adoriamo, Cristo, e ti benediciamo perché con la tua santa Croce hai redento il mondo. Ti prego, Gesù, che ogni sacerdote sappia spogliarsi dell'uomo vecchio e rivestirsi dell'uomo nuovo nella giustizia e nella santità vera. Le umiliazioni lo rendano sempre più disponibile a fare la tua santissima volontà.
Santa Madre deh! Voi fate che le piaghe del Signore siano impresse nel mio cuore.
Undicesima stazione: Gesù è inchiodato sulla croce
Ti adoriamo, Cristo, e ti benediciamo perché con la tua santa Croce hai redento il mondo.
Ti prego, Gesù, che il sacerdote, unito alla croce della tua volontà, accetti per te il martirio silenzioso del dovere quotidiano fatto bene e con amore. Unendosi a te, che sulla croce preghi il Padre, trovi nella preghiera la gioia e la forza per il dono totale di sé.
Santa Madre deh! Voi fate che le piaghe del Signore siano impresse nel mio cuore.
Dodicesima stazione: Gesù muore in croce
Ti adoriamo, Cristo, e ti benediciamo perché con la tua santa Croce hai redento il mondo.
Perché il sacerdote sia con te e come te 'sacerdote e vittima', anche quando ciò significa dolorosa e intima crocifissione. Ti prego soprattutto per i sacerdoti dei paesi in cui c'è la persecuzione: dona ad essi la forza di affrontare il martirio.
Santa Madre deh! Voi fate che le piaghe del Signore siano impresse nel mio cuore.
Tredicesima stazione: Gesù e deposto dalla croce
Ti adoriamo, Cristo, e ti benediciamo perché con la tua santa Croce hai redento il mondo. Ti prego, o Gesù, che tutti i sacerdoti vivano e muoiano tra le braccia materne di Maria. Nel momento della prova non cerchino tanto il sostegno e il conforto degli uomini, ma si rivolgano a Lei, con vera e filiale devozione.
Santa Madre deh! Voi fate che le piaghe del Signore siano impresse nel mio cuore.
Quattordicesima stazione: Gesù è posto nel sepolcro
Ti adoriamo, Cristo, e ti benediciamo perché con la tua santa Croce hai redento il mondo.
Che tutti i sacerdoti vivano ogni giorno in quell'atteggiamento di umiltà, di raccoglimento e di preghiera che li aiuti a custodire gelosamente l'amicizia di Cristo, in modo da renderne partecipi anche gli altri fratelli. Solo così potranno vivere sin da ora la vita nuova dei risorti.
Santa Madre deh! Voi fate che le piaghe del Signore siano impresse nel mio cuore.
PREGHIERA FINALE
II Tuo sepolcro è troppo freddo, Gesù, e non è Tuo! Vieni nel mio cuore; è Tuo e Ti ama. lo so, Gesù che Tu sei seme di Risurrezione. Resta con me, fino all'ora in cui potrò vederTì nel gaudio del Cielo, dove Tu sei sempre il Risorto e anch'io sarò con Te. Amen
La sacralità dell’Eucaristia.
Card. A.M. Ranjith
(6°)
Anche Papa Giovanni Paolo II ha spiegato il nesso ontologico tra la celebrazione – ricezione e momenti di adorazione dell’Eucaristia dichiarando che essa “è allo stesso tempo sacramento – sacrificio, sacramento – comunione e sacramento – presenza”. Sono legate insieme, non è possibile separarle.
Infatti, non si può celebrare l’Eucaristia senza essere consapevoli della grandiosità di quanto avviene sull’altare e senza assumere un atteggiamento di timore e di venerazione verso Dio che si offre ogni giorno sugli altari per la nostra salvezza.
Ciò che avviene realmente nella celebrazione dell’Eucaristia è che il sacerdote celebrante, totalmente identificato con il Sommo Sacerdote, Cristo, la cui celebrazione della festa pasquale nella Gerusalemme celeste, circondata dai cori degli angeli continua senza fine, diventa l’“alter Christus” e permette alla festa della nostra redenzione di realizzarsi anche sui nostri altari. L’invisibile sacrificio celeste di amore,dell’”agnello immolato”, scende in modo visibile sui nostri altari – il divino diventa terreno.
Papa Benedetto XVI lo spiega: “Gesù Cristo ci mostra come la verità dell’amore sa trasfigurare anche l’oscuro mistero della morte nella luce irradiante della risurrezione. Qui il fulgore della gloria di Dio supera ogni bellezza intramondana. La vera bellezza è l’amore di Dio che si è definitivamente a noi rivelato nel Mistero pasquale”. Ciò non può che colmarci di stupore e di adorante venerazione.
Anche ricevere la Comunione richiede fede nella immensità di ciò che sta per avverarsi – il Signore viene a me, o meglio, venendo da me, mi abbraccia e desidera trasformarmi in se stesso. Non si tratta di un semplice atto meccanico di ricevere un pezzo di pane – qualcosa che avviene in un istante. Ma è l’invito a essere in comunione con il Signore: invito all’amore. Il Papa spiega l’adorazione con queste parole testuali: “La parola greca (per adorazione) è proskynesis. Essa significa il gesto della sottomissione, il riconoscimento di Dio come nostra vera misura, la cui norma accettiamo di seguire… la parola latina per adorazione è ad– oratio, contatto bocca a bocca, bacio, abbraccio e quindi in fondo amore. La sottomissione diventa unione,perché colui al quale ci sottomettiamo è Amore. Così sottomissione acquista un senso, perché non ciimpone cose estranee, ma ci libera in funzione della più intima verità del nostro essere”.
L’adorazione quindi è sottomissione per amore ed intimità con il Signore. Ciò significa che accogliere il Signore, l’atto che ci permette l’esperienza del Suo amore al massimo livello, invitandoci a stare con Lui, non può aver luogo se non in un clima di adorazione. E anche l’immolazione di Cristo alla consacrazione del pane e del vino, il culmine del Suo sacrificio per amor nostro, non può non essere un momento che esige adorazione. Per cui si può dire che l’Eucaristia richiede adorazione sia durante la celebrazione sia nel ricevere la Comunione.
Afferma Papa Benedetto: “la Comunione e l’adorazione non stanno fianco a fianco o addirittura in contrasto tra loro, ma sono indivisibilmente uno… L’amore o l’amicizia sempre portano con sé un impulso di riverenza, di adorazione. Comunicare con Cristo perciò esige che fissiamo lo sguardo su di Lui, permettere al Suo sguardo di fissarsi su di noi, ascoltarlo, imparare a conoscerlo”.
Mercoledì delle ceneri:
"Ricordati che
polvere sei
e
in polvere tornerai".
I SACERDOTI E LA QUARESIMA
Riflessione mese di marzo 2022
Il Mercoledì delle Ceneri segna, nella tradizione cristiana, l'inizio della Quaresima, il tempo di preparazione alla Pasqua. Comincia il percorso che culminerà nel Triduo Pasquale, con la memoria della passione, morte e risurrezione del Signore Gesù.
All’inizio di questo tempo forte, continua a risuonare per cristiani di tutti i tempi, l’annuncio del vangelo secondo Marco: «Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete nel Vangelo!» (Mc 1,15).
La conversione richiesta è un riorientamento dell’esistenza, una decisione per Dio e la quaresima è proprio l’occasione in cui Dio rimette le cose a posto! Se lui si impegna in questa impresa, anche noi dobbiamo impegnarci a rimettere a posto le cose della vita! Il che vuol dire: ritornare a Dio, ossia ritornare a considerare Dio come Dio, a pensare a Dio come Dio, a parlare a Dio come Dio, ad agire con Dio come Dio fa con noi, ritornare a fargli spazio nella nostra vita.
La Quaresima inizia quaranta giorni prima della Pasqua. In ogni chiesa, il mercoledì delle Ceneri durante l’Eucaristia o la Liturgia della Parola, il Sacerdote impone sul capo o sulla fronte dei fedeli un pizzico di cenere ricavata bruciando i rami di ulivo benedetti nella Domenica delle Palme dell’anno precedente. Un gesto simbolico, per ricordare la caducità della vita terrena: «Ricordati, uomo, che polvere tu sei e in polvere ritornerai» è l’ammonizione del celebrante che accompagna il segno, oppure: «Convertitevi e credete nel Vangelo», a evocare le prime parole di Gesù, che aprono il tempo di Quaresima, e spronare i fedeli alla conversione.
Le ceneri dicono la nostra straordinaria abilità nel “mandare in cenere” i doni straordinari che ci sono stati affidati, trattenendoli solo per noi, considerandoli una proprietà da sfruttare, non una ricchezza da porre a servizio degli altri. Fermarsi a questo, tuttavia, significa ignorare ciò che è determinante, cioè il motore principale di ogni conversione: Dio può trarre una vita nuova anche dalle nostre ceneri! Non c’è fallimento o tradimento a cui egli non possa porre rimedio. Ed è proprio questo il miracolo continuo provocato dal suo amore.
La Quaresima è indubbiamente un tempo di penitenza e la penitenza a cui siamo chiamati non è un esercizio fine a sé stesso; non induce prima di tutto a concentrare la nostra volontà, a moltiplicare gli sforzi, a dar prova singolare del nostro coraggio, della nostra bravura. È, al contrario, un cammino di speranza, una via d’uscita dal nostro peccato e dalle sue conseguenze, per accogliere pienamente la grazia di Dio.
La Quaresima è anche il tempo propizio per digiunare dal superfluo, dall’ipocrisia, dalle parole menzognere, dalle parole che uccidono, da tutto ciò che appesantisce l’anima… è il tempo di fare deserto. Fare penitenza, digiunare, pregare e fare l’elemosina vuol dire pertanto cogliere l’occasione di conversione che il Signore ci offre per dare una svolta alla nostra vita e per abbandonarci all’amore di Dio, un amore che ci precede e ci sorprende, un amore che in Cristo ci ha mostrato di essere più forte dei nostri peccati, delle nostre infedeltà, delle nostre debolezze.
Cari sacerdoti, dopo questa pandemia che, con il terrore del contagio e della morte, ha disorientati e allontanati da Dio noi e voi, per favore approfittate di questo tempo favorevole, ristabilite il vostro contatto con il Signore, prendeteci per mano e ricominciate a parlarci di Dio, della trascendenza, delle anime, della vita eterna. Ne abbiamo tanto bisogno.
Atto di riparazione
al Volto Santo
di Gesù
Vi adoro e vi lodo, mio divino Gesù, Figlio del Dio vivente, per tutti gli oltraggi che avete sofferto per me, che sono la più miserabile delle vostre creature, in tutte le sacre membra del vostro corpo, ma particolarmente nella parte più nobile di voi stesso, cioè del vostro Volto.
Vi saluto, Volto amabile, livido per gli schiaffi e colpi ricevuti, insozzato dagli sputi e sfigurato per i cattivi trattamenti, che vi hanno fatto soffrire gli empi Giudei.
Vi saluto, begli occhi, bagnati dalle lacrime che avete sparso per la nostra salute.
Vi saluto, sacre orecchie, tormentate da un'infinità di bestemmie, di ingiurie e di motti sanguinosi.
Vi saluto, santa bocca, piena di grazia e di dolcezza per i peccatori, ed abbeverata di fiele e di aceto, per l'ingratitudine mostruosa di coloro che avevate scelto come vostro popolo.
Vi saluto, infine, o Gesù, mio Salvatore, coperto di nuovi oltraggi dai bestemmiatori e dagli empi dei nostri giorni: vi adoro e vi amo.
La sacralità dell’Eucaristia.
Card. A.M. Ranjith
(5°)
3. Un’altra obiezione che si era diffusa largamente in certi ambienti, è che l’adorazione non sia conforme allo spirito della celebrazione eucaristica, o che sia soltanto un’attività pietistica senza nesso con la SS.ma Eucaristia. Tale asserzione che la Chiesa aveva già condannato in passato, sembrò riemergere con forza nella riforma liturgica post conciliare, soprattutto sullo sfondo di una riduzione della Santa Messa a semplice banchetto conviviale, a prezzo della dimensione sacrificale.
In effetti, è avvenuto che pratiche quali la Benedizione col Santissimo Sacramento, l’Ora Santa, l’adorazione perpetua fossero giudicate come contrarie allo spirito del Concilio. Già il Concilio di Trento aveva denunciato quelli che rifiutano la tradizione secolare di devozione o culto eucaristico: “Se qualcuno dirà che nel santo sacramento dell’Eucaristia il Cristo, unigenito Figlio di Dio, non deve essere adorato con culto di latria, anche esterno; e perciò non deve neppure essere venerato con una particolare solennità; né deve essere portato solennemente in processione, secondo il lodevole e universale rito e consuetudine della santa Chiesa; o che non deve essere esposto pubblicamente all’adorazione del popolo; e che coloro che l’adorano sono degli idolatri: sia anatema”. Quello stesso Concilio affermò che “l’uso di conservare la santa Eucaristia in un tabernacolo è così antico che era noto anche ai tempi del Concilio di Nicea. Che poi la stessa santa Eucaristia sia portata agli infermi e a questo scopo sia conservata con cura nelle chiese, oltre a essere un fatto sommamente giusto e ragionevole, è anche comandato da molti concili e rientra nell’antichissima consuetudine della Chiesa cattolica. Questo santo sinodo stabilisce perciò che bisogna assolutamente conservare questo uso salutare e necessario”.
A questo proposito, è bene ribadire che la pratica di conservare il SS.mo Sacramento per portarlo agli infermi o agli eremiti, è veramente antica. Era una conseguenza naturale all’antica fede della Chiesa sulla presenza permanente e personale di Cristo nelle specie consacrate dell’Eucaristia. E’ questa fede che ha condotto gradualmente la Chiesa a introdurre il culto formale all’Eucaristia al di fuori della Messa e a quelle pratiche devozionali, quali processioni, atti di adorazione, visite al Signore nella pisside, finestre dalle celle dei monaci da cui potevano osservare e adorare Cristo nel tabernacolo ed infine alla festività del Corpus Domini, l’Ora Santa, la Benedizione col SS.mo Sacramento, le confraternite di adoratori e i congressi eucaristici. Si è trattato di un processo in continuo sviluppo.
La considerazione importante era che, poiché Cristo è presente nelle specie eucaristiche non soltanto durante la celebrazione della Santa Messa ma anche dopo, Egli deve essere adorato e glorificato. Le specie eucaristiche, una volta consacrate, rimangono divine e perciò adorabili – è la presenza visibile di Cristo in mezzo a noi. Una pratica, certamente, che fu ridicolizzata dai riformatori e chiamata idolatria. Giovanni Calvino, ad esempio, che non considerava il pane e il vino vero corpo e sangue di Cristo ma solo un segno o simbolo, riteneva l’adorazione eucaristica praticata dai cattolici, una idolatria. Il loro uso delle sacre specie era quindi limitato solo al rito della comunione e gli avanzi venivano scartati. La stessa posizione più o meno avevano Lutero, Zwingli e Melantone.
La Chiesa cattolica è chiara su questo, poiché le devozioni eucaristiche non sono che una conseguenza naturale della sua fede nella presenza permanente e immutabile di Cristo nelle specie eucaristiche. E’ in questa luce che bisogna comprendere la tradizione bimillenaria della Chiesa – l’Eucaristia esiste per l’adorazione così come per la comunione.
Paolo VI ha dichiarato: “la Chiesa Cattolica professa questo culto latreutico (di adorazione) al Sacramento eucaristico non solo durante la Messa, ma anche fuori della sua celebrazione, conservando con la massima diligenza le ostie consacrate, presentandole alla solenne venerazione dei fedeli cristiani, portandole in processione con gaudio della folla cristiana”.
Alcuni purtroppo affermano che il Concilio Vaticano II non ha dato tanta importanza alle devozioni eucaristiche, per cui non merita grande attenzione. In effetti, potrebbe essere questa un’analisi corretta, dato che il documento conciliare sulla sacra Liturgia “Sacrosanctum Concilium”, sia nella presentazione generale, sia nella esposizione sulla SS.ma Eucaristia e degli altri sacramenti e sacramentali, non fa menzione delle devozioni al SS.mo Sacramento. Fa accenno alle devozioni popolari in un breve passaggio, ma nulla sulle devozioni eucaristiche. Ciò è in forte contrasto con l’esposizione sul tema che si hanno nei decreti del Concilio di Trento e nell’enciclica “Mediator Dei” di Pio XII. Se sia stata una dimenticanza voluta o accidentale, è una questione aperta. Molto probabilmente, quelle devozioni venivano date per scontate come un dato di fatto e perciò non trattate in modo esplicito. Tuttavia, si sarebbe dovuto fare qualche menzione, data l’importanza dei pronunciamenti del Concilio per il futuro e l’importanza data a queste devozioni lungo i secoli. Tale omissione fu la probabile ragione della succitata pretesa che l’Eucaristia non è per l’adorazione ma per essere mangiata, e che il Concilio non ha dato molta importanza a quell’aspetto di culto liturgico.
Anche questo può aver spinto Papa Paolo VI a lamentarsi nell’enciclica sulla Santa Eucaristia del 3 settembre 1965, Mysterium Fidei, che “non mancano… motivi di grave sollecitudine pastorale e di ansietà, dei quali la coscienza del Nostro dovere Apostolico non ci permette di tacere. Ben sappiamo infatti che tra quelli che parlano e scrivono di questo Sacrosanto Mistero ci sono alcuni che circa le Messe private, il dogma della transustanziazione e il culto eucaristico, divulgano certe opinioni che turbano l’animo dei fedeli ingerendovi non poca confusione intorno alle verità di fede”. Il Papa prosegue poi spiegando che cosa intende per “opinioni” e tra queste nomina “l’opinione secondo la quale nelle Ostie consacrate e rimaste dopo la celebrazione del sacrificio della Messa, Nostro Signore Gesù Cristo non sarebbe più presente”. L’errore menzionato dimostra una diminuzione del ruolo della fede eucaristica della Chiesa e della sua pratica di adorazione. Il Papa continua affermando il valore dell’adorazione eucaristica in modo esteso nell’enciclica. Egli dichiara “la Chiesa Cattolica professa questo culto latreutico al Sacramento Eucaristico non solo durante la Messa ma anche fuori della sua celebrazione, conservando con la massima diligenza le ostie consacrate, presentandole alla solenne venerazione dei fedeli cristiani, portandole in processione con gaudio della folla cristiana” (Mysterium. Spiega poi con grande dettaglio e citazioni dei Padri della Chiesa, vari elementi di devozione eucaristicae il dovere di conservarli. Esorta i Vescovi “affinché questa fede, che non tende ad altro che a custodire una perfetta fedeltà alla parola di Cristo e degli Apostoli, rigettando nettamente ogni opinione erronea e perniciosa, voi custodiate pura ed integra nel popolo affidato alla vostra cura e vigilanza e promoviate il culto eucaristico a cui devono convergere finalmente tutte le altre forme di pietà”.
E così, alla luce di una quasi totale assenza di menzione sull’adorazione e devozioni eucaristiche nella costituzione conciliare sulla sacra liturgia “Sacrosanctum Concilium”, e alla tendenza riemergente in alcuni ambienti di ridimensionare o rigettare tale fede, questa enciclica di Paolo può essere considerata una risposta adeguata a quegli elementi protestantizzanti in seno alla Chiesa e una dovuta correzione certamente, per cui dobbiamo essere grati a Papa Paolo VI. Riguardo all’opinione secondo cui non vi sarebbe continuità tra la celebrazione della santa Eucaristia e le relative devozioni, è la stessa Mysterium Fidei che dà la risposta, dichiarando: “la Chiesa professa questo culto latreutico al SS.mo Sacramento non solo durante la Messa ma anche al di fuori di essa”.
La sacralità dell’Eucaristia.
Card. A.M. Ranjith
(4°)
Il Santo Padre, papa Benedetto XVI, nella Esortazione apostolica post-sinodale “Sacramentum Caritatis”, parla di un’opinione che si era diffusa “mentre la riforma liturgica conciliare muoveva i primi passi”, secondo cui “l’intrinseco rapporto tra la santa Messa e l’adorazione del SS.mo Sacramento non fu abbastanza chiaramente percepito”.
Dichiara il papa, “un’obiezione allora diffusa prendeva spunto, ad esempio, dal rilievo secondo cui il Pane eucaristico non ci sarebbe stato dato per essere contemplato, ma per essere mangiato”. Una situazione scaturita probabilmente da qualche influsso della teologia protestante, dal momento che tracce di tale errore riflettono quanto avvenuto durante la riforma protestante. Quasi tutti i riformatori contraddicevano la dottrina tridentina sulla presenza permanente e transustanziata di Cristo nel pane e vino consacrati, riducendolo a un mero fatto simbolico, affermando peraltro che l’Eucaristia era solo una cena conviviale, ma non un sacrificio riattualizzato, per cui veniva meno l’adorazione.
Benché Lutero, Zwingli, Melantone e Giovanni Calvino avessero prospettive particolari tra loro a volte contraddittorie, in genere la loro interpretazione dell’Eucaristia era in contrasto con la teologia cattolica del tempo. Lutero sosteneva che la presenza reale si limitava alla ricezione della Santa Comunione. Infatti i luterani credono nella presenza reale solo tra la consacrazione e la Santa Comunione. Posizione che fu fermamente condannata dal Concilio di Trento, che decretò che “se qualcuno dirà che, una volta terminata la consacrazione, nel mirabile sacramento dell’Eucaristia non vi sono il corpo e il sangue del Signore nostro Gesù Cristo, ma che vi sono solo durante l’uso, mentre lo si riceve, ma né prima né dopo; e che nelle ostie o particole consacrate, che si conservano o avanzano dopo la comunione, non rimane il vero corpo del Signore: sia anatema”.
Per la Chiesa cattolica dunque la presenza di Cristo nelle specie consacrate dell’Eucaristia, non è limitata solo al momento della Comunione, ma permane. In altre parole, non è fatta solo per essere “mangiata”, ma anche per essere adorata. Papa Benedetto XVI sottolinea proprio questo aspetto quando dichiara che “ricevere l’Eucaristia significa porsi in atteggiamento di adorazione verso colui che riceviamo”. Effettivamente, l’Eucaristia non è semplicemente l’anticipazione gioiosa del banchetto celeste che avverrà alla parusia, ma è pure il Sacrificio del Calvario e suo memoriale. Non è solo una festa per la nostra fame ma anche per i nostri occhi, poiché fissiamo stupiti l’autodonazione di amore per la nostra salvezza.
Ma Lutero non la vede così. Per lui, non esiste alcun legame ontologico tra quanto avvenne sul Calvario e quanto avviene sull’altare, per questo la teologia luterana non dà adeguato valore all’aspetto sacrificale della Santa Messa. Pone soprattutto l’accento sull’aspetto conviviale della Cena. Al contrario, per la teologia cattolica, ogni volta che si celebra l’Eucaristia, si rinnova il sacrificio di Cristo sul Calvario, così come ha dichiarato papa Pio XII: “L’augusto sacrificio dell’altare non è una pura e semplice commemorazione della passione e morte di Gesù Cristo, ma è un vero e proprio sacrificio, nel quale, immolandosi incruentemente, il Sommo Sacerdote fa ciò che fece una volta sulla croce offrendo al Padre tutto se stesso, vittima graditissima”.
Nell’Eucaristia, il nostro sguardo si eleva con profonda fede, umile venerazione e adorazione dinanzi all’augusta persona di Gesù sulla croce. Infatti, il vangelo di san Giovanni presenta la crocifissione quale compimento della profezia di Zaccaria: “guarderanno a colui che hanno trafitto”. E’ il sacrificio verso il quale guardò e sperimentò la fede il centurione, quando riconobbe in Gesù il Salvatore: “davvero quest’uomo era Figlio di Dio!”.
L’Eucaristia, con la forza di quanto ripresenta – la più radicale e potente espressione dell’amore di Dio nell’autoofferta di Gesù, il Figlio di Dio – esige da noi che rivolgiamo il nostro sguardo su di Lui e che proclamiamo la nostra fede in Lui. Questa è la base della fede di Sant’Agostino che con grande chiarezza annuncia che peccheremmo se, prima di riceverlo, non lo adorassimo.
Questo mirabile sacrificio di Cristo, il suo autospezzarsi per divenire nostro cibo divino, deve essere guardato con grande stupore e profonda fede. Infatti Gesù predisse che, al momento della sua morte salvifica, dovevamo guardare verso di Lui per riconoscere la Sua divinità – “quando avrete innalzato il Figlio dell’Uomo, allora saprete che Io Sono” (Mc.15,39). E’ guardando al sacrificio di Cristo che viene confermata la fede e si è salvati.
Ad ogni Eucaristia in cui l’unico sacrificio di Cristo sul Calvario è ripresentato, nasce la fede e lo adoriamo come Figlio di Dio. E’ un pregustare la nostra salvezza – un pregustare il paradiso. Per questo, un’Eucaristia senza sguardo adorante su Cristo, sarebbe più povera. Diversamente, se i nostri cuori non si innalzano allo stupore della salvezza sulla croce, l’Eucaristia stessa si ridurrebbe a una formalità in più, a uno schiamazzo rumoroso, a una vuota esperienza senza fede e senza gusto. La tendenza, pertanto, a rendere la Messa più moderna e colorita è, come minimo, di cattivo gusto. Se quando lo riceviamo, non lo adoriamo, non sapremmo nemmeno chi è Colui che viene a farci Suoi. Sarebbe un modo di ricevere l’Eucaristia senza senso.
Proprio questo il papa Benedetto XVI sottolinea quando dice “soltanto nell’adorazione può maturare un’accoglienza profonda e vera”. In questo senso, assicurare una celebrazione devota e contemplata dell’Eucaristia non sarebbe più una questione di scelta, ma di necessità.
Forse è arrivato il tempo di pensare di inquadrare bene che cosa significhi “partecipazione attiva”. Papa Benedetto XVI ha infatti dedicato un capitolo intero su questo tema nella Sacramentum Caritatis. Dichiara il Papa: “conviene mettere in chiaro che con tale parola “partecipazione”, non si intende fare riferimento ad una semplice attività esterna durante la celebrazione. In realtà, l’attiva partecipazione auspicata dal Concilio deve essere compresa in termini più sostanziali, a partire da una più grande consapevolezza del mistero che viene celebrato e del suo rapporto con l’esistenza quotidiana”. Questa è adorazione, e considerando in tal modo tutti questi elementi, possiamo affermare che l’Eucaristia non è soltanto per mangiare ma anche per adorare.
La sacralità dell’Eucaristia.
Card. A.M. Ranjith
(3°)
Zwingli preferì interpretare la consacrazione nel senso di transignificazione: non “questo è il mio corpo”, ma “questo è come il mio corpo”. Egli contesta che non può essere “è il mio corpo”, poiché se così fosse, noi mangeremmo letteralmente la carne e il Signore sarebbe lacerato dai nostri denti. E dato che ciò non avviene, la transustanziazione non può essere vera”. Per questo il Concilio di Trento decretò che “se qualcuno negherà che nel santissimo sacramento dell’Eucaristia è contenuto veramente, realmente, sostanzialmente il corpo e il sangue di nostro Signore Gesù Cristo, con l’anima e la divinità, e quindi il Cristo tutto intero, ma dirà che esso vi è solo come in un simbolo o una figura, o solo con la sua potenza: sia anatema”.
La Chiesa pertanto ha fermamente conservato la verità che il pane e il vino consacrati, sono nella loro sostanza, veramente e integralmente il corpo e il sangue di Cristo. Un dogma che è stato continuamente riaffermato dai Concili che seguirono e dai supremi Pontefici. Come papa Pio XII, il quale dichiarò che “per mezzo della transustanziazione del pane in corpo e del vino in sangue di Cristo, come si ha realmente presente il Suo corpo, così si ha il Suo sangue”. Lo stesso è stato ribadito da papa Paolo VI, da papa Giovanni Paolo II e da papa Benedetto XVI.
Papa Paolo VI, da parte sua, era seriamente preoccupato riguardo a una certa tendenza nella Chiesa, successiva al Concilio Vaticano II, di attenuazione di fede sulla sostanza dell’Eucaristia, in particolare sulla transustanziazione e sulla presenza permanente. Egli dichiarò: “ben sappiamo che… ci sono alcuni che circa le Messe private, il dogma della transustanziazione e il culto eucaristico, divulgano certe opinioni che turbano l’animo dei fedeli ingerendovi non poca confusione..”. E continua il papa: “non possiamo approvare le opinioni che essi esprimono e sentiamo il dovere di avvisarvi del grave pericolo di quelle opinioni per la retta fede”.
Il papa, durante la cui vita si svolse la maggior parte del Concilio Vaticano II, affermava: “la costante istruzione impartita dalla Chiesa ai catecumeni, il senso del popolo cristiano, la dottrina definita dal Concilio di Trento e le stesse parole con cui Cristo istituì la SS.ma Eucaristia ci obbligano a professare che ‘l’Eucaristia è la carne del nostro Salvatore Gesù Cristo, che ha patito per i nostri peccati e che il Padre per sua benignità ha risuscitato’ (S. Ignazio di Antiochia, Epistola ai smirnesi 7,1; PG 5,714). Alle parole del martire sant’Ignazio, Ci piace aggiungere le parole di Teodoro di Mopsuestia, in questa materia testimone attendibile della fede della Chiesa: ‘Il Signore, egli scrive, non disse: questo è il simbolo del mio corpo e questo è il simbolo del mio sangue, ma: questo è il mio corpo e il mio sangue, insegnandoci a non considerare la natura della cosa presentata, ma a credere che essa con l’azione di grazia si è tramutata in carne e sangue’”.
In effetti, l’intera enciclica di Paolo V ((Mysterium fidei) è una solida difesa della retta fede della Chiesa sulla SS.ma Eucaristia. Inoltre, nella solenne professione di fede del 30 giugno 1968, egli affermò che “ogni spiegazione teologica che tenti di penetrare in qualche modo questo mistero, per essere in accordo con la fede cattolica, deve mantenere fermo che nella realtà obiettiva, indipendentemente dal nostro spirito, il pane e il vino han cessato di esistere dopo la consacrazione, sicché da quel momento sono il Corpo e il Sangue adorabili del Signore Gesù ad essere realmente dinanzi a noi sotto le specie sacramentali del pane e del vino”. Di conseguenza, il Papa sollecita i vescovi “affinché questa fede… rigettando nettamente ogni opinione erronea e perniciosa, voi custodiate pura e integra nel popolo” e “promoviate il culto eucaristico, a cui devono convergere finalmente tutte le altre forme di pietà”. Risulta chiaro dunque che le obiezioni all’adorazione eucaristica basate su una contestazione o una falsa interpretazione della fede e dottrina ecclesiali, sono disapprovate e fermamente respinte.
Venerdì:
giorno della Passione
Morte di Gesù
e
La sacralità dell’Eucaristia.
Card. A.M. Ranjith
(2°)
Le forme più antiche di obiezione all’adorazione eucaristica, sorsero nel contesto di una affermazione della non presenza fisica e reale del Cristo nelle specie consacrate del pane e del vino.
Fu Berengario (999 –1088), l’arcidiacono di Angers in Francia, che sorprendentemente sosteneva questa posizione all’inizio del Medio Evo che, ipso facto, avrebbe reso superflua l’adorazione eucaristica. Ma fu papa Gregorio VII, il capo della Chiesa allora regnante, che ordinò a Berengario di firmare una ritrattazione a motivo della fede costante della Chiesa, un documento che divenne il primo pronunciamento definitivo sulla fede eucaristica della Chiesa. Dichiarava: “Credo con il cuore e professo apertamente che il pane e il vino offerti sull’altare, mediante la preghiera e le parole del Redentore, sono cambiati sostanzialmente nella vera e propria vivificante carne e sangue di Gesù Cristo, nostro Signore, e che dopo la consacrazione, sono il vero corpo di Cristo nato dalla Vergine e appeso alla croce in immolazione per la salvezza del mondo, così come il sangue di Cristo uscito dal Suo fianco, non solo come segno e in ragione della potenza del sacramento, ma nella verità e realtà della loro sostanza e in ciò che è proprio alla loro natura”.
Oltre a tale convinzione di fede, la Chiesa diede impulso a una intensificazione del culto eucaristico sotto forma di processioni eucaristiche, atti di adorazione, visite a Cristo nella pisside, ecc. Queste tradizioni iniziate allora sono diventate espressioni di fede eucaristica. In seguito, presero corpo altre iniziative, quale l’istituzione della solennità del Corpus Domini da parte di papa Urbano IV.
I miracoli eucaristici contribuirono alla crescita di tale fervore e rafforzò la fede della Chiesa sulle specie consacrate del pane e del vino, che sono realmente e integralmente il corpo e il sangue di Cristo, fede creduta fermamente dagli apostoli e sempre professata come dottrina fondamentale della Chiesa.
In effetti, è quanto il Signore stesso aveva affermato e voluto per la Sua Chiesa. “Questo è il mio corpo, questo è il mio sangue” (cfr. Lc 22,19- 20) e “fate questo in memoria di me” (Lc 22,19), furono le parole determinanti del Signore che anche san Paolo riprende quando presenta l’Eucaristia (1 Cor 4, 23-27).
La fede eucaristica della Chiesa fu definitivamente definita e affermata dal Concilio di Trento, sullo sfondo della rivoluzione luterana. Esso affermava che “nel divino sacramento della santa Eucaristia, dopo la consacrazione del pane e del vino, il nostro Signore Gesù Cristo, vero Dio e vero uomo, è contenuto veramente, realmente e sostanzialmente sotto l’apparenza di quelle cose sensibili” e ancora “poiché il Cristo, nostro Redentore, ha detto che ciò che offriva sotto la specie del pane era veramente il suo corpo, nella Chiesa di Dio vi fu sempre la convinzione, e questo santo Concilio lo dichiara ora di nuovo, che con la consacrazione del pane e del vino si opera la conversione di tutta la sostanza del pane nella sostanza del corpo del Cristo, nostro Signore, e di tutta la sostanza del vino nella sostanza del Suo sangue. Questa conversione quindi, in modo conveniente e appropriato è chiamata dalla santa Chiesa cattolica transustanziazione” (c. 722). Inoltre, confutò l’errore propagato soprattutto dalla riforma protestante, secondo cui la transustanziazione fosse impossibile.
La sacralità dell’Eucaristia.
Card. A.M. Ranjith
(1°)
“Quando siamo davanti al SS. Mo Sacramento, invece di guardarci attorno, chiudiamo gli occhi e la bocca; apriamo il cuore; il nostro buon Dio aprirà il suo; noi andremo a Lui. Egli verrà a noi, l’uno chiede, l’altro riceve; sarà come un respiro che passa dall’uno all’altro”, queste erano le parole con le quali il curato d’Ars,San Giovanni Maria Vianney, cercava di spiegare l’adorazione.
1. Adorazione è stare dinanzi a Dio onnipotente in un atteggiamento di silenzio, potente espressione di fede: “Parla, Signore, perché il tuo servo ti ascolta” (1 Sam.3,10).
E’ davvero inspiegabile in termini umani. Papa Benedetto XVI ha spiegato il significato di adorazione come una proskynesis, “il gesto della sottomissione, il riconoscimento di Dio come nostra vera misura, la cui norma accettiamo di seguire”, e come ad – oratio “contatto bocca a bocca, bacio, abbraccio e quindi in fondo amore” (Omelia del 21 agosto 2005 a Marienfeld, Colonia).
E’ tale processo di presenza davanti a Dio che ci trasforma. San Paolo, parlando di coloro che si volgono verso il Signore come fece Mosè, dichiara: “Quando ci volgeremo verso il Signore, il velo sarà tolto… e noi tutti, a viso scoperto, riflettendo come in uno specchio la gloria del Signore, veniamo trasformati in quella medesima immagine, di gloria in gloria” (2 Cor.3,16.18).
E’ interessante notare che il verbo usato qui è lo stesso usato per spiegare la trasfigurazione di Cristo sul monte Tabor (metemorfothè). La presenza dell’adorante dinanzi a Dio lo trasforma. Ciò è mirabilmente espresso in quelle parole del libro dell’Esodo: “quando Mosè scese dal monte Sinai con le due tavole della Testimonianza nelle mani, non sapeva che la pelle del suo viso era diventata raggiante, poiché aveva conversato con Yahweh. Ma Aronne e tutti gli israeliti, vedendo che la pelle del suo viso era raggiante, ebbero timore di avvicinarsi a lui” (Es. 34,29-30). E’ come quando qualcuno si mette a fissare intensamente un tramonto; dopo un po’ di tempo, anche il suo volto assume un colorito dorato.
Il vescovo Fulton J. Sheen nota, nello spiegare tale esperienza, che quando guardiamo all’Eucaristia in un atteggiamento di adorazione, di profonda riverenza e amore “accade qualcosa in noi di molto simile a quanto accadde ai discepoli di Emmaus. Il pomeriggio della domenica di Pasqua, quando il Signore si fece loro incontro, domandò perché fossero così tristi. Trascorse alcune ore alla Sua presenza e ascoltando di nuovo il segreto della spiritualità – “il Figlio dell’Uomo deve soffrire per entrare nella Sua gloria” – finito il tempo di stare con Lui, i loro cuori ardevano” L’adorazione eucaristica è quindi un incontro profondamente personale e, in qualche misura, comunitario con il Signore.
L’azione curatrice
dell’Adorazione Eucaristica.
Se molte persone di questi tempi hanno abbandonato la fede e non vanno più in Chiesa è anche perché manca la corretta comunicazione tra i sacerdoti ed i suoi fedeli. Di questo è sicuro anche padre Ghislain Roy sacerdote canadese che opera in Quebec nella comunità di Jean Marie Vianney, attivo movimento carismatico che opera in molti paesi del mondo, soprattutto in sud America.
Il sacerdote ha spiegato in un intervista rilasciata nel 2014 che la Chiesa ha anche una funzione consolatoria e che dovrebbe ispirare speranza nei fedeli. Affinché questa speranza non sembri vana, però, di tanto in tanto è bene ricordare ai fedeli che l’Adorazione Eucaristica porta tutti quei benefici che loro vanno a cercare oggi in altre culture o attività come il reiki ed il new age. Secondo lui, quindi, senza informazione e testimonianze è normale che le persone in cerca di aiuto si affidino alla soluzione più semplice e a portata di mano.
Parlando del lavoro svolto in comunità, padre Roy spiega: “Nella parrocchia dove mi trovo, a Bauceville in Canada, c’è una cappella per l’adorazione eucaristica perpetua, con più di duecento persone che si danno il turno giorno e notte, tutte le settimane. Sono loro che testimoniano liberazioni, guarigioni, soluzione di problemi fra le coppie, guarigioni dei cuori, di giovani che vivevano grandi difficoltà. Qualcuno è stato liberato da pensieri di suicidio”.
Quanto raccontato dal sacerdote riguarda i benefici mentali, ed un riequilibrio dell’interiorità, ma secondo lui con la fede e la preghiera non c’è limite a quello che l’Adorazione Eucaristica può donare ai fedeli tanto che, aggiunge padre Roy: “Una signora con un tumore è venuta a chiedermi un consiglio e io le ho risposto: “Vada di fronte a Gesù nel Santissimo Sacramento per essere guarita”. Se noi non proponiamo questo, la gente cercherà la propria guarigione nel New Age, nel reiki, nello yoga … quando la Chiesa ha tutto ciò di cui hanno bisogno. Siamo noi che lo dobbiamo proporre e che dobbiamo convertirci in adoratori. Se non sono uno che fa adorazione, sarà molto difficile parlare di tutto ciò e convincere gli altri”.
è che mi trattano così
"Ciò che mi addolora di più
cuori a me consacrati".
Quanto vorrei che sacerdoti e religiosi non cercassero al di fuori di me il segreto dell'unica, vera, profonda fecondità!
In me dimora la potenza. Inseritevi in me e vi farò partecipare a questa potenza. Con poche parole, proietterete luce. Con pochi gesti, aprirete le strade alla mia grazia. Con pochi sacrifici, sarete il sale che risana il mondo. Con poche preghiere, sarete il lievito che fa fermentare la pasta umana.
Il mondo passa e non si preoccupa di ascoltarmi; ecco il perché di tante vite titubanti e sciupate. Ma la cosa più dolorosa per il mio cuore e la più nefasta per il mio Regno è che le stesse persone consacrate, per mancanza di fede, per mancanza di amore non hanno l'orecchio attento verso di me. La mia voce si perde nel deserto. Così, quante vite sacerdotali e religiose rimangono improduttive!
SACERDOTI SANTI?
TANTI!
DON ANTONIO SPALATRO
Don Antonio Spalatro nacque a Vieste il 2 febbraio del 1926, festa della Presentazione di Gesù al Tempio, data che sempre considerò come un segno e un grande dono. Infatti, manifestò sin da bambino chiari segni di propensione alla preghiera e ad una profonda vita interiore, segni che troveranno il loro coronamento nell’amicizia con don Salvatore Latorre, anch’egli morto povero di anni ma ricco di santità, il quale aprirà il cuore del giovane A. alla generosità, facendogli intravedere la possibilità di una donazione totale al Signore nel servizio dei fratelli.
Decise così di entrare in seminario non ancora dodicenne, nel 1937, dopo aver frequentato a Vieste le scuole elementari. Il trapianto nel Seminario Arcivescovile di Manfredonia, da qualche anno riaperto dall’Arcivescovo Cesarano, non fu indolore per il piccolo Antonio che sentiva fortemente l’amarezza del distacco dal paese, dai suoi affetti più cari, dall’atmosfera gioiosa delle sue amicizie. Lo sosteneva però la forza dell’ideale di essere tutto di Dio e tutto degli uomini nel sacerdozio.
Il 21 novembre dello stesso anno, anch’esso festa liturgica della Presentazione al Tempio, ma questa volta di Maria, ricevette l’abito talare che porterà sempre con grande rispetto e venerazione. Le ristrettezze e privazioni tipiche della vita del tempo come le angosce e le paure di un giovane consapevole di essere incamminato in qualcosa di molto più grande di lui andavano influendo negativamente sul suo fisico già gracile, ma nello stesso tempo lo rafforzavano nella vocazione.
L’inizio del corso teologico coincise anche con la fine della seconda guerra mondiale e per don Antonio si rivelò il momento più intenso della sua ascesi. Così scriveva nel suo diario spirituale in quegli anni: “Oggi il popolo vuole che il prete sia difatti alter Christus. Vuole il prete santo e niente più. E lo segue quando veramente è santo. Ma l’essenziale è questo oggi per il prete: rassomigliare in tutto a Cristo …”.
Forte di questi propositi, proseguì il cammino degli studi e venne ordinato Suddiacono l’1 agosto 1948 e Diacono il 18 febbbraio 1949. Finalmente, venne ordinato Sacerdote il 15 agosto 1949 nella Cattedrale di Vieste da S. Ecc. Mons. Andrea Cesarano.
Proprio pochi giorni prima dell’ordinazione annotava nel diario: “Sarà un’ ispirazione? Sarà un invito del Signore? Da qualche giorno sento di dover chiedere nella Prima Messa, come grazia che Gesù concede necessariamente al suo nuovo sacerdote, quella di dover soffrire, soffrire molto per poter convertire le anime. Ma non so, a volte mi manca la forza di chiederla questa grazia. Soffrire! Soffrire molto! L’umanità ha paura … sì, confesso di aver paura. Ma … debbo chiederla questa grazia”.
Ebbene, la sofferenza prima morale e poi fisica sarà d’ora in poi la fedele compagna della sua vita. Per un anno e mezzo non riceverà dal Vescovo nessun incarico specifico, ma saranno la sua grande disponibilità e il suo eccezionale dinamismo interiore ad occuparlo in esperienze tra i giovani di Azione Cattolica, in varie predicazioni e qualche provvisoria esperienza pastorale. Furono questi i momenti più difficili della sua vita. Conoscerà, infatti, la povertà, l’abbandono, lo scoraggiamento, sempre però portando tutte queste esperienze nella meditazione e facendone una costante preghiera; leggiamo sempre dal diario: “Nisi granum frumentis, cadens in terra … Ecco: il grano di frumento marcito … Gesù, insegnami a marcire …”.
Il 26 novembre 1950 anche per lui si aprì la porta sulla vigna del Signore nella forma di una parrocchia nascente che si profilò sin da subito come un campo ricco di lavoro: la parrocchia del SS. Sacramento, per la quale formulò il suo desiderio: “Vorrei diventare un piccolo Curato d’Ars in miniatura”.
Pur nel ritmo frenetico delle attività, non abbandonò l’impegno ascetico: aveva fretta di costruire e di completare non solo la parrocchia ma anche il suo edificio spirituale. Il suo corpo gemeva sotto il peso della fatica e della responsabilità, ma lo spirito fremeva sempre di una vitalità traboccante che si esprimeva continuamente in opere, in ascesi e nobili conquiste.
La lotta per tenere l’equilibrio tra azione e vita interiore caratterizzò gli anni del suo lavoro parrocchiale che non tardò a dare i suoi frutti. La parrocchia diventò così un centro di formazione e di vita di fede per tutti: bambini, giovani, adulti, famiglie, poveri.
Mentre il successo arrideva alle sue iniziative pastorali, il Signore gli riservava una dolorosa spina nel suo corpo che, mentre lo purificava, fecondasse le sue opere: già negli ultimi mesi del 1953, i sintomi di un male inesorabile cominciarono a tormentare il suo fisico provato e fiaccato dall’intenso lavoro.
Il 22 maggio 1954, festa di S. Rita, fu costretto a lasciare la parrocchia e la famiglia per essere ricoverato. Poco più di tre mesi di duro Calvario e di tremende sofferenze furono sufficienti perché il suo corpo, consunto dal male, fosse vinto. Il 13 agosto rientrò definitivamente e senza speranza a Vieste dove morì venerdì 27 agosto. Aveva 28 anni.
Il cammino verso il riconoscimento della santità è iniziato il 5 gennaio 2005, quando Mons. D’Ambrosio ha deciso d’iniziare il processo diocesano sulla santità della sua vita sacerdotale e la pratica eroica delle virtù evangeliche e il Consiglio presbiterale diocesano, dietro espressa richiesta della parrocchia del SS. Sacramento, dove don Antonio esercitò il suo ministero, si è costituito attore della causa.
Autore: Emanuele Borserini
"AMATE I VOSTRI NEMICI"
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «A voi che ascoltate, io dico: Amate i vostri nemici, fate del bene a coloro che vi odiano, benedite coloro che vi maledicono, pregate per coloro che vi maltrattano. A chi ti percuote sulla guancia, porgi anche l’altra; a chi ti leva il mantello, non rifiutare la tunica. Dá a chiunque ti chiede; e a chi prende del tuo, non richiederlo. Ciò che volete gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo a loro». (Lc 6, 26-31)
Papa Wojtyla nell’Angelus dalla corsia d’ospedale annuncia «Prego per il fratello che mi ha ferito, al quale ho sinceramente perdonato».
«Ho parlato con lui come si parla con un fratello, al quale ho perdonato e che gode della mia fiducia. Quello che ci siamo detti è un segreto tra me e lui».... «è stato destino. E’ stato destino che sopravvivesse. Io sono molto contento che non è morto. Il Papa è diventato come un fratello per me. Quando è morto ho provato il dolore della perdita di un fratello o del mio migliore amico».
Per la tua dolorosissima passione,
tieni lontano il maligno
o Gesù,
dai tuoi Sacerdoti.
«Cristo vi ha amato e ha dato se stesso per voi, offrendosi a Dio in sacrificio di soave odore» (Ef 5,2)
I - O Gesù, che nell'eccesso del tuo amore e per vincere la durezza dei nostri cuori doni tante grazie a chi medita e propaga la devozione della tua Santissima Passione del Getsemani, Ti prego di inviare alla tua Chiesa numerosi e santi Sacerdoti che amino contemplare la tua amarissima agonia nell'Orto degli Ulivi e che, unendosi spiritualmente alla tua sofferenza, insegnino ai fedeli a fare altrettanto, perché possano disporre il loro cuore e la loro anima a vivere sempre uniti a Te durante la vita e nell'ora della morte arrivare a possederti nel tuo Regno beato.
- Gloria al Padre...
II - O Gesù benedetto che sopportasti in quella notte il peso di tutte le nostre colpe e che per esse pagasti in pienezza il debito verso la divina Giustizia, perdona di cuore a quei Sacerdoti che, proprio come fecero gli Apostoli quella sera, ti hanno abbandonato per amore di una donna, del denaro, della carriera o di altri idoli vani, o peggio ti sono vicini con il corpo ma la loro anima è sonnolenta e lontana da te. Dona a loro e a noi il grandissimo dono di una perfetta contrizione delle nostre innumerevoli colpe che Ti fecero sudare sangue.
- Gloria al Padre...
III - O Gesù Salvatore, per la tua fortissima lotta nel Getsemani nel bere il calice delle nostre iniquità, donaci Sacerdoti che siano prima di tutto e soprattutto uomini di preghiera e dona loro la grazia di riportare completa vittoria su tutte le tentazioni cui possono andare incontro nel loro ministero, specialmente su quella cui vanno maggiormente soggetti.
- Gloria al Padre...
IV - O Gesù Redentore, per il sudore di sangue e le lacrime che versasti, per le angosce mortali che provasti nella più agghiacciante solitudine, che mai uomo potrà concepire, e per la preghiera ardentissima ed umanissima al Padre che sgorgò dal tuo Cuore dolcissimo nella notte in cui si perpetrava il tradimento più amaro, fa’ che quando verrai come Giudice, i Sacerdoti, tuoi fedeli ministri, siano trovati vigilanti e oranti così da poter sentire le tue dolci parole: «Vieni, servo buono e fedele, entra nella gioia del tuo Signore». -
Padre nostro, Ave, Gloria
Preghiamo:
Santissima Trinità, Padre, Figlio e Spirito Santo, fa che i tuoi Sacerdoti diffondano nel mondo la conoscenza e l'amore per la Passione di Gesù agonizzante nel Getsemani, in modo che l'umanità intera, mirando il mistero della Croce, possa essere guarita dalle sue ferite mortali, e pregando con fiducia Maria Santissima Addolorata, possa ritrovare la strada di ritorno al Padre e così venire a glorificarti eternamente in Cielo. Amen.
CONSOLARE IL CUORE DI GESù
IL MIO ASSILLO ERA ED E':
Carissime Figlie,
prima di andarmene al mio Dio, sento il dovere di domandarvi perdono di tutti i cattivi esempi che vi ho dato col mio carattere vivo e troppo franco, e quindi della causa che sono stata dei vostri disgusti, abbattimenti e mancanze di spirito.
Vi domando anche perdono del cattivo esempio che vi ho dato con la trasgressione della regolare osservanza specie il silenzio, gli atti comuni. Perdonatemi, Figlie, e pregate molto per l'anima mia, essendo molto, ma molto colpevole avanti a Dio stante le grazie che Egli mi ha fatto, benché non le meritavo, e a cui io disgraziatamente non ho corrisposto, anzi ne ho abusato.
Ora, Figlie, sono per l'ultima volta a farvi le mie raccomandazioni, volendo così compiere il mio ufficio sino alla fine, sotto gli occhi del mio Dio e del mio tutto.
1) Ciascuna cerchi di crescere sempre meglio nell'obbedienza, nell'umiltà e nella semplicità, e queste virtù, che per una Oblata sono fondamentali, le custodiranno e accresceranno in loro quanto più pregheranno. Oh! sì, figlie, pregate, pregate con semplicità, ma pregate, e la vostra preghiera non sia mai interrotta, ossia le vostre azioni ed opere, fatele con tenere il vostro spirito alla presenza di Dio, pensando che agite sotto lo sguardo divino, e questo vi aiuterà a farle bene e a poterle presentare al vostro Dio quali opere soddisfattorie. Oh! la preghiera per una oblata è tutto; pregate, figlie, nelle consolazioni, pregate nelle tentazioni, pregate nelle aridità, pregate nel trambusto delle vostre passioni, infine pregate sempre, pregate con amore filiale, pregate con fede, pregate con familiarità, pregate come sa pregare una figlia il suo caro padre, come un'anima sa pregare il suo caro Dio, il suo tutto.
2) Abbiate un grande desiderio di purificare il vostro spirito di tutto ciò che non è Dio; nulla deve essere in voi che non sia di Dio e per Iddio, e quindi generosamente tagliate senza ripensarci ogni cosa che non è Dio, e se occorre, troncate tutto di un colpo, senza preoccuparvi degli altri: Iddio solo deve essere nel cuore vostro. Vorrei farvi capire e sapermi meglio spiegare quanto è necessario per una Oblata la purifica del suo cuore. Vi dirò che solo per questo mezzo si può essere vera Oblata, accetta alla giustizia divina, solo per questa purifica si può offrire a Dio un sacrificio di espiazione, ed infine per questa purifica si arriva a vivere in Dio, unita nel più intimo con Dio. Oh! quanto è grande quest’unione, che l'anima prova con Dio a misura che il suo cuore si purifica! Questa unione riveste l'anima di Dio in un modo così sensibile che, solo provandolo, si può capire; questa unione tiene l'anima talmente stretta al suo Dio, che in tutto vede Iddio e Dio solo solo è nel fine del suo operare, parlare. Oh! dolce cosa è vivere unita a Dio, le stesse tenebre sono luce per l'anima che è unita a Dio. Questa intima unione io desidero in voi ed allora l'obbedienza, l'umiltà, la semplicità, l'osservanza della regola e tutte le altre virtù ed opere di religione vi saranno care, perché esse vi portano a Dio, vi parlano di Dio, come a Dio vi porteranno i fiori, le piante, il firmamento, il creato tutto. E le creature, figlie mie, amatele e amatele in Dio, ma non vi ci attaccate; persuadetevi, figlie, che le creature non possono, da loro stesse, avere meriti, e solo è Iddio che muove il loro cuore, inclina i loro sentimenti verso di noi: perciò non vi fermate ad esse, ma levatevi a Dio, ed il vostro cuore, i vostri affetti siano solo per Iddio.
3) Torno a raccomandarvi lo spirito dell'Opera; amate questo spirito, perché è il Cuore di Gesù trafitto che nel suo dolore lo ha chiesto. Egli vi ha chiamate a sé, vi ha dato una grande vocazione: ebbene corrispondete, le vostre opere, la vostra vita, tutto sia improntato di questo spirito, sia rivestito di esso, sia tutto tutto uniforme ai desideri del Sacro Cuore di Gesù. Amate la vostra vocazione!
4) Ed in ultimo vi raccomando il S. Cuore di Gesù; consolate questo Cuore trafitto, questo Cuore abbandonato; consolatelo ed amatelo, offritegli il cuor vostro come luogo di suo rifugio negli abbandoni e nei dolori, offritegli il vostro amore come refrigerio al suo amore contradetto, sconosciuto e non corrisposto.
5) Fatevi sante, ma di quella santità che nulla ha di apparenza ed è nota solo a Dio, di quella santità che nel sacrificio, nell'osservanza, nell’esercizio delle più sode virtù e nel puro amore di Dio, si fonda, cresce e si perfeziona.
6) Pregate sempre per me, ma in special modo vi raccomando i sacerdoti, per la santificazione dei quali dovete immolarvi. Vi benedico per l'ultima volta.
7) Nella debolezza in cui sono ho dimenticato raccomandarvi la carità scambievole. Le giovani rispettino e compatiscano le più anziane, le più anziane amino, compatiscano le giovani e scambievolmente si sopportino: ricordatevi che tutti siamo difettosi. Vi esorto poi ad osservare ed amare il silenzio ricordatevi che tutte le vostre mancanze sono provenute dalle mancanze di silenzio, e quando l'avete osservato l'animo vostro stava più tranquillo e più raccolto. Abbiate questa misura: Ogni giorno in modo tutto particolare esaminatevi sul silenzio, e quando vedete che spesso cadete è un segno che l'anima vostra si dissipa, e rimediate subito, perché il silenzio mantiene il raccoglimento e quando questo non vi è si cade in una infinità di difetti.
LA MADRE
GESÙ NELL'EUCARISTIA
SI DA’ A NOI VIVO E VERO
COME PARTE
DEL SUO CORPO MISTICO.
Come il cuore manda il sangue a tutti gli organi, e ne attiva le funzioni, così Egli nell'Eucarestia è il Cuore del suo corpo mistico, e fa circolare il Suo Sangue in ogni Suo membro. Noi non siamo più individui isolati, ciascuno per suo conto, nel suo interesse personale; siamo - invece - parte di un disegno che risponde al suo amore per il Padre, alla manifestazione della sua gloria.
Egli quindi ci comunica la sua vita, per renderci in Lui parte attiva di questo disegno, per manifestare in tutta la Chiesa la Gloria di Dio. Ogni fedele è nutrito da Lui, proporzionatamente a questo disegno, ed è assorbito dalla sua vita. Ora, il sangue umano non nutre ugualmente tutte le membra del corpo, ma nutre il cervello, perché pensi, ossia sia l'organo materiale del pensiero, nutre i capelli perché vegetino, i muscoli perché si muovano, ecc. Noi non ci accorgiamo neppure di questa circolazione; eppure essa è il segreto della nostra vita.
Nella stessa maniera la vita eucaristica si diffonde e rende alcune anime contemplative, altre attive, altre vittime; altre tipo e figura di una misericordia speciale di Dio. Ognuna risponde ad un fine speciale del suo amore ed è assorbita da Lui. Oh, se noi penetrassimo nella vita del suo Cuore, se la sentissimo, rimarremmo bruciati!
DON DOLINDO RUOTOLO
Fortunato Maria Farina
Monsignor
(oggi Venerabile)
per la santità dei Sacerdoti.
vittima d'amore
Fortunato Maria Farina nacque l'8 marzo 1881 a Baronissi, in provincia di Salerno, da Francesco ed Enrichetta Amato.
La sua era una famiglia agiata appartenente alla borghesia salernitana già dalla fine del XVIII secolo e proprietaria di numerosi terreni nella piana di Eboli.
Il nonno Mattia era stato deputato dal 1865 al 1876 anno in cui fu nominato senatore.
In famiglia ebbe un’ educazione schiettamente cristiana sotto la guida amorosa della sua santa mamma. Insieme al fratello Mattia, entrò nel 1888, nel collegio "Pontano" alla Conocchia di Napoli tenuto dai gesuiti, dove frequentò gli studi classici ginnasiali e liceali. L'influenza di questo ambiente sulle sue scelte future fu fondamentale. Dopo gli studi liceali, frequentò attivamente il circolo universitario fondato dal barone Luigi De Mattheis, vicepresidente dell'Opera dei congressi e successivamente primo presidente della FUCI (Federazione universitaria cattolica italiana). Nel 1897 cominciò a delinearsi la sua vocazione al sacerdozio. Due avvenimenti lo persuasero che quella del sacerdozio era la strada da seguire: il XV° congresso cattolico di Milano, del settembre 1897, ed un successivo pellegrinaggio a Lourdes. Sotto l'influsso del congresso milanese fondò nel 1899, insieme con il fratello, un circolo cattolico a Baronissi ("S. Rocco"), al quale affiancò una Cassa operaia per venire incontro ai bisogni materiali delle popolazioni rurali di quel contado.
Avrebbe voluto farsi gesuita, ma la salute cagionevole non glielo permise. Il 15 agosto 1898, all’età di diciassette anni vestì l’abito talare nella Chiesa parrocchiale di Baronissi ai piedi della Madonna, dalla quale- diceva –era stato abbracciato e liberato dal baratro in cui sarebbe potuto finire. Fu chierico esterno del seminario di Napoli sotto la direzione di un abile sacerdote, mons. Gioacchino Brandi, il quale seppe inculcargli un amore ardente per Gesù Eucaristia, una tenera devozione per la Vergine Maria e una grande stima per il sacerdozio.
Fu ordinato prete il 18 settembre 1904. In quel giorno scrisse nel suo diario: «V’amo, v’amo assai, o mio amato Signore, e d’ora in poi non avrà altra brama questo mio povero cuore se non d’amarvi e di fare quanto è in suo potere affinché siate amato da tutti…io mi offro a voi vittima volontaria per la santificazione del clero, per la salvezza delle anime; vittima senza riserva e senza restrizione di sorta; immolatemi e sacrificatemi come meglio vi aggrada, come a voi meglio piace. le vittime devono essere pure, è vero, io sono invece un immondo e miserabile peccatore. Supplisca la vostra misericordia infinita a tutto quello che manca in me. V’amo assai, o per lo meno, vorrei sapervi amare assai, o mio dolce Signore Gesù, e vorrei saper condurre a voi anime senza numero! Mia carissima e santa Madre Maria, voi lo sapete, a voi devo, dopo Dio, se invece di ardere nell’inferno mi trovo ora sacerdote; a voi subito dopo la mia ordinazione ho affidato la mia vita sacerdotale, siatemi adunque sempre madre, come tale mi foste sempre per il passato, a voi interamente mi affido: non mi abbandonate, copritemi sempre con il vostro manto, fatemi santo».
Dopo l’ordinazione il suo ministero si svolse principalmente fra Napoli, dove frequentava la facoltà di lettere, e Salerno. Qui nel 1906, costituì il circolo diocesano dell'Unione apostolica del clero, un’istituzione già fiorente in numerose diocesi del Centronord e che tanto bene ha fatto alla Chiesa ma quasi sconosciuta nel Mezzogiorno. Nel 1909 fondò il Circolo giovanile cattolico salernitano. Dimorava abitualmente a Napoli ma il sabato e la domenica si recava sempre a Salerno dove guidava le attività spirituali e culturali del circolo. Con il volto sempre ilare e dolce avvicinava i giovani e cercava di guadagnarne il cuore. Al suo fianco i giovani crescevano con il sorriso sul viso e con la pace nel cuore. Da questo Circolo Giovanile Cattolico Salernitano, nel cui seno fioriva la Congregazione mariana, e guidato con successo per dieci anni dal suo fondatore sono usciti dieci sacerdoti dal 1909 al 1919.
Intanto l'arcivescovo di Salerno, il benedettino Carlo Gregorio Maria Grasso, apprezzandone le doti di uomo e di sacerdote, lo nominò ben presto direttore spirituale del seminario diocesano. Don Fortunato non era nuovo a tale tipo di incarico perché, al momento della nomina, guidava già come direttore spirituale i seminaristi benedettini di Cava dei Tirreni. Nonostante questi impegni, non smise di occuparsi del circolo giovanile di Salerno, dal quale si dovette però distaccare dopo la nomina a Vescovo. Ma dove trovava la forza per svolgere tutte queste attività? Dalle lunghe ore sia diurne che notturne passate in preghiera davanti a Gesù Sacramentato. Sì, perché don Fortunato era prima di tutto e soprattutto un uomo di preghiera. Le sue intuizioni e le sue iniziative le presentava il Signore e poi le metteva con fiducia nelle mani di Maria, che sapeva essere mani buonissime, perché mani di una mamma. Lì tornava spesso durante il giorno per brevi visite momentanee, per aprire o rileggere certe lettere che gli recavano angustie e preoccupazioni, lì andava a maturare i suoi piani di apostolato o a ponderare gli atti del suo governo. Quanti hanno avuto la fortuna di conoscerlo più da vicino si sono formati la convinzione profonda che in lui ci fosse una pietà sacerdotale straordinaria e una vita interiore fuori del comune, anzi che “una Presenza misteriosa operava in lui e per mezzo di lui”.
Nonostante le sue ripetute rinunzie, il 21 giugno 1919, all’età di 38 anni, fu eletto Vescovo di Troia e il 10 agosto successivo venne consacrato a Roma dal cardinale De Lai nella chiesa di S. Carlo ai Catinari. Fece il suo ingresso a Troia il 30 novembre del 1919. La cittadina pugliese lo accolse con grande gioia. Il neo Vescovo, ricco dell'esperienza di Salerno nel campo giovanile, si diede subito a riorganizzare le fila dell'Azione cattolica, che da qualche anno aveva perso alquanto la propria identità.
Dal 24 luglio al 1° agosto 1920, organizzò a Troia la settimana religioso-sociale dei giovani cattolici di Capitanata e fondò successivamente il circolo giovanile "S. Anastasio". Ebbe, inoltre, molta cura dei suoi sacerdoti e in modo particolare dei seminaristi. Ristrutturò e dotò di rendite più sicure il seminario diocesano di Troia che al suo arrivo aveva trovato in condizioni pietose.
Il 18 dicembre 1924 venne destinato alla diocesi di Foggia, ma non lasciò quella di Troia: la S. Sede aveva infatti deciso di unire in una sola persona le due diocesi senza intaccare la loro reciproca autonomia.
Quanto questa nomina fosse stata gradita ai foggiani lo si può dedurre da quanto scrisse il procuratore generale del re a Foggia il 5 dicembre 1925 al ministero di Grazia e Giustizia: « La scelta dell'autorità ecclesiastica non poteva cadere su persona più degna e la sua nomina è stata appresa con viva simpatia dalla parte migliore di questa cittadinanza, che molto si ripromette dal nuovo presule. Ma accanto al plauso incondizionato di Foggia festante, permane irriducibile il dissenso della diocesi di Troia, di cui le vibrate note delle autorità locali, mi danno ancora una volta conferma". Il giovane Vescovo era stato infatti accusato dal Comune di Troia di aver voluto e appoggiato quella decisione che preludeva certamente ad un prossimo inglobamento della loro diocesi in quella di Foggia. L’assenso dell’autorità civile agli atti della Santa Sede, necessario in quegli anni e poi abolito con il Concordato del 1929, tardò a venire e solo il 22.3.1926 Sua Eccellenza, mons. Fortunato Maria Farina, poté fare il suo ingresso nel capoluogo dauno.
Appena entrato ufficialmente a Foggia, come primo atto dovette affrontare il restauro della Cattedrale, colpita rovinosamente da un fulmine. Quest’opera non solo rese la Cattedrale più bella e più ricca di prima ma diede vita al grande risveglio religioso che Mons. Farina seppe suscitare con la sua attività pastorale.
Anche qui, come a Troia per prima cosa diede nuovo impulso all’Azione cattolica. Organizzò il Congresso Francescano nella ricorrenza del 7° centenario della morte di S. Francesco, e, nel 1931, il secondo centenario dell’apparizione della Madonna dei Sette Veli, fu celebrato con grande solennità.
Negli anni trenta promosse e animò col suo zelo e con la collaborazione del suo segretario D. Michele Scotto l’istituzione di due Opere, quella di “S. Pietro Canisio”, finalizzata alla preservazione della Fede cattolica minacciata dalla propaganda protestante, e quella di “S. Francesco Regis”, intesa a promuovere tante coppie, sposate solo civilmente, alla celebrazione del Sacramento del Matrimonio. In quello stesso anno richiamò a Foggia le Monache Redentoriste, volendo ridare vita all’antica comunità religiosa di Sr. Maria Celeste Crostarosa, anche se non poté vedere realizzato il monastero.
Fu sua grande preoccupazione assicurare l’assistenza religiosa alle zone nuove di Foggia e così fece realizzare la grande Opera S. Michele; restituì ai Frati Minori la Chiesa di Gesù e Maria; affidò ai Padri Cappuccini la chiesa di S. Anna, eretta a Parrocchia. Riedificò su Viale XXIV Maggio l’antica chiesa di S. Maria della Croce, demolita per far sorgere il Palazzo degli Uffici Statali e la elevò a Parrocchia, per assicurare il servizio religioso al quartiere della Stazione.
Affidò il Santuario dell’Incoronata ai Padri di Don Orione con l’impegno di assicurare anche il servizio religioso al vicino Centro Agricolo; a Segezia eresse la chiesa dedicata alla Madonna di Fatima e a S. Marco in Lamis, le Parrocchie di S. Maria delle Grazie, dell’Addolorata, di S. Giuseppe e a Borgo Celano quella della Madonna di Lourdes.
Nel suo lungo ministero pastorale mostrò particolare cura per il Seminario (quello di Troia, dove venivano formati insieme i seminaristi delle due Diocesi), avendo tanta sensibilità per i seminaristi, che spesso aiutava anche economicamente, persuaso che l’occupazione più santa, più doverosa e più gradita a Dio è appunto l’opera delle vocazioni al Sacerdozio. Numerosi furono i giovani, che attirati dal suo esempio, divennero sacerdoti durante il suo lungo episcopato. Nel 1937, per munificenza della N.D. Adele Anglisani, fu realizzato il “Piccolo Seminario”, che Mons. Farina affidò alle Suore Oblate del S. Cuore di Gesù, perché educassero e custodissero con amore i bambini nei quali il Signore poteva aver deposto il seme della vocazione al Sacerdozio.
Durante il suo ministero pastorale, curò anche la realizzazione di opere sociali, come la “Fondazione M. Grazia Barone” e l’Ospedale Psichiatrico “Casa della Divina provvidenza” in Foggia, e l’Opera Pia “Gravina” a S. Marco in Lamis.
Durante la guerra fece tutto quello che era in suo potere per aiutare la popolazione. Nel periodo post-bellico, organizzò attività assistenziali per i foggiani sinistrati a causa dei bombardamenti e si interessò alla ricostruzione della Città.
Una realizzazione importante nel suo lungo episcopato fu l'istituzione, negli anni Trenta, di un'opera per la santificazione del clero: la Santa Milizia. Per quest’opera oltre che dalla sua alta stima per il Sacerdozio e dal suo amore sincero per i suoi sacerdoti, che ci teneva ad incontrare sempre personalmente e a cui offriva continuamente stimoli per verificarsi sulle loro condizioni spirituali, trasse ispirazione dallo spirito che animava la Madre Teresa Casini (oggi Beata), la quale aveva dato vita all’Istituto delle suore Oblate del Sacro cuore di Gesù, il cui carisma era ed è la preghiera e la riparazione per la santità dei Sacerdoti. Alle figlie di madre Casini infatti affidò la gestione della casa “Santa Milizia” a Troia e la casa del clero di Foggia e per molti anni ci fu una fruttuosa collaborazione tra i sacerdoti che vi abitavano o che capitavano lì spesso e le suore.
Importante fu anche l'istituzione di un seminario comboniano a Troia, inaugurato ufficialmente il 30 maggio 1933, ma operante già dal 1927.
Di questo grande Pastore possiamo ammirare la realizzazione di tante opere, ma l’opera veramente grande della sua vita fu la sua costante aspirazione alla santità. Nel suo diario alla data del 29 luglio 1919 leggiamo: «Non posso presumere di farmi santo operando cose grandi e straordinarie, ma con la costante fedeltà nelle piccole cose, compiendo con la maggior perfezione il mio dovere di momento in momento: la caratteristica della mia perfezione sarà la fedeltà nelle piccole cose».
La sua offerta come “ vittima volontaria per la santificazione del clero, per la salvezza delle anime, vittima senza riserva e senza restrizione di sorta” fatta nel giorno della sua ordinazione sacerdotale si compiva così giorno per giorno nel compimento del suo dovere di pastore innamorato che “respirava Dio e traspirava Dio”, ma ebbe il suo culmine negli ultimi anni della sua vita, che furono contrassegnati da grandi sofferenze, provocate dalla sua salute fisica, ma anche da alcune critiche e contrasti da parte di qualche sacerdote. Nel suo diario, tra i propositi scritti durante gli Esercizi spirituali, fatti a Roma dal 19 al 28 agosto 1948, si legge: «Fa’ il bene e non curarti se proprio per questo si dice male di te: torna a fare il bene e benedici coloro che ti calunniano. Ma non aspettare che essi si ricredano o ritirino i loro oltraggi. “Patire e morire”. E’ la nostra ricompensa. La prova della maldicenza è una specie di battesimo del fuoco per il cristiano: non si è certi di essere veramente tali senza averla subita. Fare il bene e lasciare che ci si insulti è atteggiamento veramente regale».
La sera del 20 febbraio 1954, a 73 anni di età, 50 di sacerdozio e 34 di episcopato serenamente si addormentò nel Signore.
Le sue spoglie mortali riposano nella Cattedrale di Foggia sotto lo sguardo materno della Madonna dei sette Veli.
La sua memoria è in benedizione.
Da poco tempo è stato dichiarato "Venerabile".
Si attende soltanto un miracolo operato da Dio per la sua intercessione perché venga dichiarato "Beato".
«Il Sacerdote è una meraviglia, è un’opera d’arte divina, che riproduce Gesù Cristo nella povera creatura umana a cui partecipa la sua potenza, la sua grandezza e lo splendore della sua gloria. È un’immagine viva di Gesù celata e nascosta in una povera spoglia umana, è Gesù stesso anzi, che si riflette in modo indelebile ed attivo nell’anima e nel cuore sacerdotale, per mezzo del carattere sacro ricevuto nell’Ordinazione»
Don Dolindo Ruotolo
SACERDOTI SANTI?
TANTI!
15 FEBBRAIO
SAN CLAUDIO DE LA COLOMBIERE
APOSTOLO
DEL SACRO CUORE DI GESU'
E’ un uomo di cuore, dotato di una sensibilità delicata e di un gusto profondo dell’amicizia. Sente una profonda inclinazione verso il calore della famiglia e “un’avversione orribile” per la vita religiosa. E sceglie quest’ultima, non sappiamo bene perché.
Claudio, terzo figlio di un notaio, ha una posizione economicamente solida e un avvenire sicuro. Brillante negli studi, entra a 17 anni nel Noviziato di Avignone della Compagnia di Gesù, dove termina il corso di Filosofia e poi, per cinque anni, è professore. A 25 anni lo mandano a Parigi, per studiare teologia nel celebre collegio di Clermont.
All’impegno nello studio i superiori gli aggiungono l’incarico di precettore dei figli di Colbert, ministro delle finanze del re di Francia, e questo è un chiaro riconoscimento delle sue doti di prudenza, finezza e del profondo gusto dell’amicizia che lo contraddistingue.
Sacerdote a 28 anni, gli affidano a Lione l’incarico di professore e predicatore, che esercita per cinque anni. A sorpresa, nel 1675, Padre Claudio viene destinato come Superiore della comunità dei Gesuiti di Paray-le-Monyal, decisamente sproporzionata, per dimensioni, importanza e dislocazione geografica, alla fama che si è venuta acquistando ed alle doti che tutti gli riconoscono. E se non c’è una spiegazione “logica” a questa improvvisa e inadeguata nomina, non c’è che da rallegrarsi, con il senno del poi, con i suoi superiori per quello che egli da quel momento diventerà.
A Paray-le-Monyal una suora, che per ceto sociale e cultura è inferiore a tutte le altre consorelle, sta mettendo a subbuglio il monastero delle suore Visitandine in cui vive, con le sue stranezze e le sue visioni. E mentre sacerdoti prudenti e illuminati giudicano opera diabolica i suoi doni mistici, lei continua a sentirsi portatrice di un messaggio affidatole da Gesù stesso, che le chiede di diffondere nel mondo la devozione al Suo Cuore.
In mezzo alle incomprensioni che sta sopportando soprattutto da parte del clero, Gesù promette a Suor Margherita Maria Alacoque (che la Chiesa proclamerà poi santa) di mandarle “un suo servo fedele e perfetto amico”, che l’avrebbe sostenuta e incoraggiata.
Suor Margherita Maria, durante la prima predica di Padre Claudio nella chiesa del monastero, sente che è sicuramente lui il sacerdote promessole da Gesù. Ed infatti, nei pochi mesi di permanenza, Padre Claudio diventa il primo apostolo della devozione al Sacro Cuore, accettando con docilità ed entusiasmo il ruolo che il Cielo gli ha assegnato.
Un anno dopo è mandato a Londra, come predicatore della duchessa di York, e l’ambiente protestante che lo circonda rende estremamente amaro il suo soggiorno inglese. Addirittura lo arrestano, con l’accusa calunniosa di “complotto papista”, e dopo tre settimane di carcere, viene espulso dall’Inghilterra. L’amarezza del carcere, insieme ai maltrattamenti subiti, incidono sulla sua salute, già provata da gravi disturbi polmonari.
Dopo un periodo trascorso a Lione, i superiori, confidando nel clima migliore, lo fanno tornare a Paray-le-Monial, dove muore il 15 febbraio 1682 ad appena 41 anni. Nel 1994 Papa Giovanni Paolo II° proclama santo il Padre Claudio La Colombière, “maestro di illuminata spiritualità”, che Dio stesso aveva scelto per far conoscere “le imperscrutabili ricchezze” del Cuore di Cristo.
Autore: Gianpiero Pettiti
Io prego
per i Sacerdoti
perché...
Prego per i Sacerdoti: perché siano testimoni gioiosi della loro vocazione, perché altri giovani siano incoraggiati a rispondere di sì a Gesù che li chiama, perché siano fedeli ogni giorno alla loro chiamata, perché aiutino le famiglie a camminare nell’amore e nella fedeltà, perché siano santi, e se essi sono santi anche noi possiamo essere migliori e autentici testimoni.
Preghiamo tutti per i sacerdoti e ringraziamo del dono prezioso che sono per tutti noi perché ci fanno toccare Gesù, anzi sono Gesù in mezzo a noi.
Luisamaria
LA SPIRITUALITÀ
DELLA BEATA MADRE
MARIA TERESA CASINI
La spiritualità della Madre Teresa Casini si pone nel solco di quel « rilancio » della santità del Clero - specialmente diocesano - che ha segnato profondamente il cammino della Chiesa tra i due Concili Vaticani.
Due nomi di donna spiccano in questo movimento: Margherita Luisa Claret de la Touche e la « nostra » Teresa Casini.
L'accostamento non è casuale. Queste due donne non si conobbero in vita, ma il loro pensiero e l'opera loro sono così complementari da rivelarsi spontaneamente come due aspetti di una identica vocazione.
La madre de la Touche ebbe il compito di svelare ai Sacerdoti il fondamento più profondo della loro chiamata alla santità, che è l'Amore infinito ad essi donato dal Cuore di Gesù. La Madre Casini ebbe quello di svelare il mistero dell'infinita angoscia di quel Cuore di fronte al peccato e alla mediocrità del Sacerdote. La spiritualità della Madre Casini è tutta dominata dall'idea di questa divina angoscia. Ecco come esorta le sue figlie: « Sia sempre vivo nell'Oblata il pensiero ed il desiderio di consolare il trafitto Cuore di Gesù... l'amore e il dolore hanno spinto Gesù a far sentire la sua- voce nel fondo del nostro cuore, e questo amore e questo dolore gli fanno desiderare e volere la santità dei suoi cari Sacerdoti, e vuole che l'Oblata si sacrifichi, preghi, supplichi, si affatichi e lavori per la santificazione di questi suoi cari... Egli ama queste anime d'immenso amore, il suo Cuore... cerca chi preghi, soffra e ripari per Loro... ».
La Madre Casini concepì la sua vocazione di Oblata nel senso estremo della parola. Si può essere offerti in una varietà di grado che vanno dal generico senso di fedeltà al fatto fondamentale dello stato di grazia, fino all'impegno di mantenersi totalmente e sempre a disposizione della divina giustizia per cooperare al compimento della divina misericordia. Quest'ultima è l'oblazione vittimale, quella che Gesù Cristo scelse per se stesso.
Ma una tale Oblazione, presa sul serio, non è un atto, è uno stato. Non si esaurisce in una formula, non si consuma in un mo¬mento di eroismo, non si realizza una volta per tutte. E uno stato che impegna per la vita e si realizza ogni momento con quel perenne ricominciare che è proprio di ogni avanzata ascensionale.
La Casini descrisse la via faticosa ed esaltante di questa sua salita al Monte Calvario, non tanto nelle forme consuete del diario spirituale o comunque del resoconto delle proprie esperienze interiori, quanto nella forma oggettiva e pratica dell'itinerario da lei tracciato per quelle anime che Iddio chiamò a seguirla per l'ardua via del suo stesso cammino.
Questo itinerario consta di due tappe. La prima va dalla vocazione allo stato vittimale alla preparazione della vittima all'offerta. La seconda va dall'offerta alla consumazione.
* * *
L'accostamento fra l'Ostia dell'Altare e la piccola Ostia del convento ritorna spesso sulla penna della Madre Casini. Ma non è un semplice espediente didattico: è uno dei cardini della sua spiritualità. Se una vittima è davvero vittima, essa sa e vuole vivere in continuo atto di sacrificio e d'immolazione, ma — soggiunge la Madre con una certa punta di diffidenza ben comprensibile in chi ebbe tanta pratica di anime e di vicende — «non sacrificio semplicemente ideale, bensì effettivamente pratico. Bisogna che l'Oblata sappia comprendere e sappia soffrire la sofferenza del Cristo nella piena e assoluta volontà di piacere a Dio in tutte le azioni della giornata, nella perfetta osservanza della regola e specialmente nel pronto e intero abbandono in Dio ed a tutte le sue disposizioni, il che forma la base della sua donazione al Signore ».
La Madre Teresa ha scoperto il tesoro delle «virtù eucaristiche » di Gesù, nelle quali trova il divino modello di quelle che devono essere le virtù sacrificali di una vera Oblata. Scrive: « La vita che Gesù Mena nel Sacramento del Suo amore, e che l'Oblata deve imitare e far propria, è questa: Vita di sacrificio generoso senza limiti... Vita di preghiera incessante... Vita di obbedienza... Vita di povertà... ».
Siamo nel cuore della spiritualità della Madre Casini.
* * *
La Quale concepì la riparazione come una forma di quell'amore traboccante che Gesù nutre per í Suoi Sacerdoti e attraverso loro per le anime. Ella si considera sempre intimamente partecipe di questo amore, e una tale partecipazione nel cuore di una donna non può assumere che quella oblativa della maternità.
L'attività da Lei proposta alle sue figlie non si dovrà giustapporre, tuttavia, all'oblazione riparatrice — che resta l'essenza della loro vocazione — ma sarà essa stessa occasione e sostanza del perenne sacrificio dell'Oblata.
Non dunque oblazione e attività, ma solo oblazione, sostanziata nell'interiore offerta della propria vita di ogni istante, impegnata nell'osservanza della Regola e nell'attività di servizio al Sacerdozio. Servizio spirituale, innanzitutto: le Oblate per vocazione loro speciale debbono pregare molto per i Sacerdoti onde ottenere da Dio la fedeltà alla grazia e alla santità tutta propria dello stato sacerdotale. Non però servizio spirituale soltanto. E qui entrano in gioco le « Opere della Madre Casini ».
L'Istituto, pur essendo nato con una fisionomia ben caratterizzata, non aveva precisato quali fossero le « opere » cui doveva attendere. Dopo alcuni esperimenti, vennero i «Piccoli Amici di Gesù». Era l'opera ufficiale. Ma parallelamente ad essa, un'altra si andava svolgendo senza programmi definiti e senza strutture conclamate. La grande carità della Madre Teresa verso i Sacerdoti le aveva fatto intuire che una delle cause della decadenza dello spirito sacerdotale è talvolta da ricercarsi nello stato di isolamento e finanche di abbandono in cui essi, « i grandi dimenticati », sono costretti a vivere. Cominciò allora « a fare timidamente le prime prove; preparava per loro la mensa nell'Istituto stesso: scegliendo quanto di meglio poteva avere...; ogni giorno mandava le Suore a portare il vitto già preparato con le sue stesse mani ad alcuni Sacerdoti infermi, aiutava i più bisognosi con elemosine che spesso rappresentavano tutto quel poco che essa possedeva: ed avrebbe fatto di più, ma... bisognava aspettare l'ora di Dio ».
Note biografiche, queste: spunti per la storia dell'Istituto: ma quanto mai interessanti sotto il profilo della spiritualità che rivelano! Non interamente contemplativa: non propriamente attiva. Dunque, diciamola « oblativa », e avremo detto tutto.
Spiritualità austera, senza dubbio: robusta, ma proprio per questo, spiritualità soffusa di serenità e di pace, di sorridente e distesa letizia, perché « ubi amatur, non laboratur ».
+ MARIO DE SANTIS
11 FEBBRAIO,
FESTA DELLA MADONNA
DI LOURDES
E
GIORNATA DELL'AMMALATO
O Maria, tu sei la Madre di ogni persona malata e le sei vicina con tenerezza materna.
In questo giorno particolare ti affidiamo tutti gli ammalati: quelli che accettano serenamente la malattia e ne fanno un'offerta per la salvezza dei fratelli; quelli che non hanno chi si prenda cura di loro; quelli che non hanno la possibilità di curarsi perché sono poveri; quelli che si disperano e bestemmiano; quelli che si chiudono in se stessi e rifiutano ogni conforto; quelli che pensano di sottoporsi all'eutanasia perché sono molto stanchi di soffrire o non apprezzano il valore della vita.
Ti raccomandiamo in modo particolare i Sacerdoti: quelli malati nel corpo e quelli malati nello spirito.
"Mostrati Madre per tutti, offri la nostra preghiera, Cristo l'accolga benigno, Lui che si è fatto tuo Figlio". Amen
Grotta di Massabielle Sabato, 14 agosto 2004
Carissimi Fratelli e Sorelle!
1. Inginocchiandomi qui, presso la grotta di Massabielle, sento con emozione di aver raggiunto la meta del mio pellegrinaggio. Questa grotta, dove apparve Maria, è il cuore di Lourdes. Fa pensare alla caverna del monte Oreb, dove Elia incontrò il Signore, che gli parlò nel “mormorio di un vento leggero” (1 Re 19,12). Qui la Vergine invitò Bernadette a recitare il Rosario, sgranando Lei stessa la corona. Questa grotta è diventata così la cattedra di una singolare scuola di preghiera, in cui Maria insegna a tutti a contemplare con ardente amore il volto di Cristo. Per questo Lourdes è il luogo dove i credenti di Francia, e di tante altre nazioni dell’Europa e del mondo, in ginocchio, pregano.
2. Pellegrini a Lourdes, vogliamo anche noi questa sera ripercorrere pregando, insieme con la Madre, i “misteri” nei quali Gesù si manifesta “come luce del mondo”. Ricordiamo la sua promessa: “Chi segue me non camminerà nelle tenebre, ma avrà la luce della vita” (Gv 8,12). Vogliamo imparare dall'umile serva del Signore la disponibilità docile all'ascolto e l'impegno generoso nell’accogliere l'insegnamento di Cristo nella nostra vita. In particolare, meditando sulla partecipazione della Madre del Signore alla missione redentrice del Figlio, vi invito a pregare per le vocazioni al sacerdozio ed alla verginità per il Regno di Dio, affinché quanti sono chiamati sappiano rispondere con disponibilità e perseveranza.
3. Rivolti a Maria Santissima, con Bernadette diciamo: “Ma bonne Mère, ayez pitié de moi; je me donne tout entière à vous afin que vous me donniez à votre cher Fils que je veux aimer de tout mon coeur. Ma bonne Mère, donnez-moi un coeur tout brûlant pour Jésus”.
PREGHIERA A CONCLUSIONE DEL ROSARIO
Ave Maria, Donna povera ed umile, benedetta dall'Altissimo! Vergine della speranza, profezia dei tempi nuovi, noi ci associamo al tuo cantico di lode per celebrare le misericordie del Signore, per annunciare la venuta del Regno e la piena liberazione dell’uomo.
Ave Maria, umile serva del Signore, gloriosa Madre di Cristo! Vergine fedele, dimora santa del Verbo, insegnaci a perseverare nell'ascolto della Parola, ad essere docili alla voce dello Spirito, attenti ai suoi appelli nell'intimità della coscienza e alle sue manifestazioni negli avvenimenti della storia.
Ave Maria, Donna del dolore, Madre dei viventi! Vergine sposa presso la Croce, Eva novella, sii nostra guida sulle strade del mondo, insegnaci a vivere e a diffondere l'amore di Cristo, a sostare con Te presso le innumerevoli croci sulle quali tuo Figlio è ancora crocifisso.
Ave Maria, Donna della fede, prima dei discepoli! Vergine Madre della Chiesa, aiutaci a rendere sempre ragione della speranza che è in noi, confidando nella bontà dell'uomo e nell'amore del Padre. Insegnaci a costruire il mondo dal di dentro: nella profondità del silenzio e dell'orazione, nella gioia dell'amore fraterno, nella fecondità insostituibile della Croce.
Santa Maria, Madre dei credenti, Nostra Signora di Lourdes, prega per noi. Amen.
PER LA SANTIFICAZIONE
ORA DI ADORAZIONE
DEI SACERDOTI
"Mio Dio, credo, adoro, spero e Ti amo. Domando perdono, per quelli che non credono, non adorano, non sperano e non Ti amano." "Santissima Trinità, Padre, Figlio e Spirito Santo: ti adoro profondamente e ti offro il preziosissimo Corpo, Sangue, Anima e Divinità di Gesù Cristo, presente in tutti i tabernacoli del mondo, in riparazione degli oltraggi, sacrilegi e indifferenze con cui Egli è offeso. E per meriti infiniti del suo Sacratissimo Cuore e per l’intercessione del Cuore Immacolato di Maria ti domando la conversione di tutti peccatori e in particolare dei tuoi Sacerdoti. (L'Angelo della pace ai tre bambini di Fatima, nel 1917)
Dal Vangelo secondo Giovanni
"Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga; perché tutto quello che chiederete al Padre nel mio nome, ve lo conceda. Questo vi comando: che vi amiate gli uni gli altri". (Gv 15, 16-17)
Dall’autobiografia della Beata Madre Teresa Casini scritta per ordine del Rev. P. Gallois
“Il Sacerdote è parte delle mie viscere, pupilla dei miei occhi; il carattere sacerdotale è al di sopra di qualunque dignità. Io ho chiamato queste anime al mio servizio, dando loro una vocazione sublime, le ho circondate di lumi e grazie dello Spirito Santo e le ho messe in mezzo alla società, affinché, trattando continuamente con essa, mi fossero come tanti canali in cui le anime passassero per venire al mio Cuore. Ma - aggiunse con espressione di dolore - non tutte corrispondono alla loro vocazione e con le loro infedeltà e ingratitudini trafiggono il mio cuore, conficcando una spina in esso”. Mi chiese poi di riparare e di consolarlo nel suo dolore.
CORONCINA DI ADORAZIONE E RIPARAZIONE
1. Ti adoro profondamente, o mio Gesù, Ti riconosco per vero Dio e vero Uomo, e con questo atto di adorazione intendo supplire alla freddezza di tanti sacerdoti che dedicando poco o nessun tempo alla preghiera e non conoscendo la dolcezza del Tuo immenso amore per loro, vivono come se tu non ci fossi e con la loro indifferenza trafiggono il Tuo Cuore che li ama infinitamente. Ti offro in riparazione il sudore di sangue del Getsemani quando ti sentisti abbandonato dai tuoi apostoli.
Santo, Santo, Santo, il Signore Dio dell’universo. I cieli e la terra sono pieni della Tua gloria. Osanna nell’alto dei cieli. Benedetto Colui che viene nel nome del Signore. Osanna nell’alto dei cieli.
Sia lodato e ringraziato ogni momento il Santissimo e Divinissimo Sacramento (10 volte)
2. Ti adoro profondamente, o mio Gesù, vero pane di vita eterna, e con questa adorazione intendo compensare le tante ferite inferte al tuo Cuore ogni giorno, per la profanazione dei sacramenti da parte di quei sacerdoti che li celebrano indegnamente e Ti offro in riparazione i tanti dolori da Te sofferti durante la flagellazione.
Santo, Santo, Santo, il Signore Dio dell’universo. I cieli e la terra sono pieni della Tua gloria. Osanna nell’alto dei cieli. Benedetto Colui che viene nel nome del Signore. Osanna nell’alto dei cieli.
Sia lodato e ringraziato ogni momento il Santissimo e Divinissimo Sacramento (10 volte)
3. Ti adoro profondamente, o mio Gesù, Ti riconosco per vero Dio e vero Uomo, e con questo atto di adorazione intendo supplire ai sacrilegi commessi da quei sacerdoti, che celebrano il Santo Sacrificio della Croce e dell’altare in stato di peccato mortale e offendono così infinitamente il Tuo adorabile Cuore. Ti offro in riparazione gli oltraggi e gli schiaffi ricevuti durante la Tua coronazione di spine.
Santo, Santo, Santo, il Signore Dio dell’universo. I cieli e la terra sono pieni della Tua gloria. Osanna nell’alto dei cieli. Benedetto Colui che viene nel nome del Signore. Osanna nell’alto dei cieli.
Sia lodato e ringraziato ogni momento il Santissimo e Divinissimo Sacramento (10 volte)
4. Ti adoro profondamente, o mio Gesù, pane vivo disceso dal cielo, e con questo atto di adorazione intendo supplire all’imperdonabile comportamento di quei sacerdoti che, dimentichi della sublime vocazione a cui sono stati chiamati, vivono per la carriera e per il denaro. Ti offro in riparazione di tanta ingratitudine il Sangue Preziosissimo che versasti sulla Croce per la loro e la nostra salvezza.
Santo, Santo, Santo, il Signore Dio dell’universo. I cieli e la terra sonno pieni della Tua gloria. Osanna nell’alto dei cieli. Benedetto Colui che viene nel nome del Signore. Osanna nell’alto dei cieli.
Sia lodato e ringraziato ogni momento il Santissimo e Divinissimo Sacramento (10 volte)
5. Ti adoro profondamente, o mio Gesù, pane vivo disceso dal cielo, e con questo atto di adorazione intendo supplire ai tanti sacrilegi commessi dai tuoi fedeli, che partecipano alla santa Messa e ricevono la Santissima Eucaristia senza sapere quello che fanno, a causa della mancanza di istruzione da parte di quei sacerdoti che occupano il proprio tempo in attività che non riguardano la loro missione. Ti offro, in riparazione di tante offese, il colpo di lancia che trafisse il Tuo Cuore facendone uscire sangue ed acqua.
Santo, Santo, Santo, il Signore Dio dell’universo. I cieli e la terra sonno pieni della Tua gloria. Osanna nell’alto dei cieli. Benedetto Colui che viene nel nome del Signore. Osanna nell’alto dei cieli.
Sia lodato e ringraziato ogni momento il Santissimo e Divinissimo Sacramento (10 volte)
PREGHIAMO
Dio, santificatore e custode della tua Chiesa, suscita in essa con il tuo Spirito idonei e fedeli dispensatori dei santi misteri, perché attraverso il loro ministero e il loro esempio, il popolo cristiano sia guidato con la tua protezione sulla via della salvezza. Per Cristo nostro Signore. Amen.