autobiografia di MADRE TERESA
scritta dietro richiesta
di don Giuseppe Perrone,
suo direttore spirituale
(trascritta secondo l'originale, senza correzioni di forma)
ATTESTATO DI DON GIUSEPPE PERRONE (1)
Attesto che la presente relazione della propria vita fu scritta dalla M.M.a Teresa Casini f.m. e indirizzata a me in qualità di suo direttore, unicamente per atto di obbedienza ed in tutta semplicità, senza mai fare alcun "ritorno su se stessa" nè mai chiedermi le mie impressioni o il mio parere su quanto mi scriveva.
Attesto altresì che tutto quanto trovasi contrassegnato in matita nel manoscritto ed anche qualche cancellatura, fu fatto esclusivamente da me e per mio uso.
Castellaneta, 25 febbraio 1952
Sac. Giuseppe M. Perrone
1) Don Giuseppe Perrone nasce a Castellaneta il 12 marzo 1880 da Domenico Perrone e Serafina Lupis. Fu ordinato sacerdote il 25 luglio 1903. Dal 1921 al 1937 assunse la Direzione Spirituale di Madre Teresa Casini. Nel 1938 fu nominato Rettore del Seminario Vescovile, dicastero che terrà sino alla morte, avvenuta il 15 maggio 1952.
SECONDA AUTOBIOGRAFIA
della Beata Madre MARIA TERESA CASINI
scritta per ordine del Rev. P. Perrone
Roma, 1 febbraio 1921
Viva il Cuore trafitto di Gesù, e a sua maggior gloria.
Tommaso Casini di Frascati e Melania Rayner di Lilla furono i miei genitori. Io nacqui il 27 ottobre dell’anno 1864 alle ore 5 ant. Mio padre mi fece battezzare il 29 ottobre alle 5 pom. e mi pose i nomi di Teresa, Maria, Ludgarda.
Essendo la primogenita dei cinque figli che ebbero, tutte le cure si rivolsero sopra di me, sia perché sempre gracile e debole, come anche perché io sola rimasi in casa; la mia sorella Adele nata due anni dopo di me la nonna Rayner la volle con sé e gli altri due maschi morirono piccoli ed il fratello Alessandro nacque nove anni dopo di me.
Mio padre molto buono e timorato di Dio prese egli stesso la mia educazione morale, quindi spesso mi parlava del Signore, del suo amore, mi conduceva con sé alla Confraternita della Madonna Addolorata, mi faceva fare dei piccoli sacrifici e fioretti e per imprimere nel mio animo il timore dell’offesa di Dio, mi conduceva nella nostra calcara, ove nella caldaia cuocevano le pietre per la calce, e da un’altezza mi faceva vedere gli operai che con uncini gettavano nella fornace le fascine per alimentare sempre il fuoco; l’ora tarda della sera faceva sì che il fuoco, riflettendo sopra gli operai che da quell’altezza sembravano deformi, neri e rossastri, mi impressionava ed allora papà mi parlava del peccato e dell’inferno e la mia piccola mente restava impressionata. Mio padre era molto buono e dolce con me, ma non permetteva che trascurassi i miei doveri verso Iddio, specie le preghiere del mattino e della sera, Rosario ecc. infine tutto ciò che riguardano i Comandamenti della Chiesa e di ogni buon cristiano e sopra questo punto era irremovibile e se dopo l’avvertimento non cambiavo allora con bontà ma con fermezza mi puniva.
Questi sentimenti ed altri che papà con l’aiuto di Dio imprimeva nel mio piccolo cuore mi penetravano sì fattamente che spesso, verso la sera, lasciavo i miei, ove stavano riuniti, e mi nascondevo nella sala da ricevere e lì all’oscuro e distesa sopra il divano cominciavo a pensare a Dio e alla sua eternità, pensavo a modo di bambina e non riuscendo a comprendere, allora mi figuravo che Iddio era come un campo grande grande, esteso tanto da non vederne mai né il principio, né il fine; mi figuravo altre volte una ruota che stava sempre in movimento girando sopra se stessa senza poter vedere un punto di principio o di fine, ma questi ed altri paragoni che immaginavo non mi appagavano perché non mi sembravano adeguati al gran pensiero che avevo di Dio e dell’eternità. Spesso pensavo anche alla morte e a questo pensiero sentivo nascere in me un sentimento di pena e di stizza e domandavo a me stessa, perché farmi nascere per morire?, pensavo anche a Dio e al dovere di servirlo, all’inferno, e conchiudevo sempre con restare persuasa che era ben duro andare all’inferno e mai, mai amare Iddio! Questi e simili pensieri occupavano la mia piccola mente, e molte volte facevo dei castelli in aria sul mio avvenire e per lo più finivo per essere Suora; intanto passava il tempo e mia madre mi faceva ricercare e vedendomi preoccupata, né immaginando quali erano le mie preoccupazioni, mi sgridava dicendomi che volevo fare la santa, e simili cose: e così passai i miei primi anni.
Mio padre sempre premuroso e vigilante per il mio bene, ogni sabato mi faceva portare nelle braccia di una delle nostre domestiche, e con lui si andava alla porta di casa ove erano adunati i poveri e dandomi il sacchetto mi faceva distribuire il denaro in elemosina, e da questo il mio animo si formò alla compassione per i poveri, compassione che mi è rimasta sempre viva nell’anima unita al distacco dal danaro. Cercava mio padre rendere sensibile il mio cuore e quindi vigilare attentamente sopra di me. Spesso accadeva che i nostri operai mi portavano dei passerotti, mio padre lasciava per breve tempo mi trastullassi, indi mi parlava al cuore, m’inteneriva ed allora io spontaneamente donavo la libertà a quelle bestioline. Credo di dire queste cose per dimostrare come il Signore si serviva del mio buon padre, per formare il mio cuore. Eppure, mio Dio, come sono stata ingrata verso di voi e come vi ho offeso! Mio Dio, perdonatemi! dimenticate il mio passato, sì mio Dio dimenticatelo.
Di tanto in tanto andavo a fare una visitina a Gesù Sacrnto, nell’oratorio pubblico che in famiglia avevamo e dove si conservava il SS.mo Sacramento (questo oratorio era dello zio); alle volte mi trattenevo breve tempo, altre volte prolungavo la visita, stavo sola nel coretto, cosa facessi in quel tempo non lo ricordo, rammento solo che guardavo il ciborio (2) con desiderio, esso mi produceva un certo senso d’amore e rispetto. Nel tempo della S. Messa, benché piccola, ricordo che amavo starmene in silenzio e guardavo l’altare, e quando mi scansavano e mi obbligavano a sedermi, io non volevo, ma non potevo in chiesa fare capricci, quindi obbedivo sospirando e anche piangendo finché pian piano mi rimettevo al primiero posto. Cresciuta un poco e sapendo leggere seguivo la Messa con il libro, e nelle visite rileggevo la Messa, desideravo tanto di capirla, ma questi miei desideri non li palesavo a nessuno perché non mi piaceva che gli altri sapessero i miei pensieri e desideri, questo però non proveniva da modestia, ma bensì da orgoglio perché non volevo mostrare di aver bisogno di spiegazioni e quindi il sottomettermi poi mi sarebbe stato ben duro, cosa che ho anche presentemente, benché per un principio mi vinco.
Nei giuochi che insieme alle mie cugine superiori di me di qualche anno, innocentemente facevamo, mi mostravo condiscendente purché le parti principali fossero date a me; io non volevo obbedire, sottomettermi, e quindi facevo per lo più parte di capo di casa, di signora che osserva, giudica e dirige, in questo mi sentivo viva e non cedevo in ciò che mi sembrava giusto. Io non ricordo di aver iniziato giuochi perché mi stancavano, sia per la mia debolezza fisica, come anche perché mi sembrava sciocchezza fare cose che non erano vere e quindi presto lasciavo, amavo più di leggere, ed il mio libro preferito era il catechismo e la storia sacra che tanto mi commoveva. Nel catechismo mi impressionavano le prime domande: “Chi ci ha creato?”, “Iddio”, ed io pensavo a Dio e avrei fatta chissà che per intendere Iddio e pensavo, pensavo, mi stancavo e non concludevo niente. L’altra domanda: “Perché ci ha creato?”. “Per conoscerlo, amarlo, ecc...”; e qui mi fermavo a pensare come dovevo amare Iddio ecc. ma i miei pensieri erano sempre da bambina, da questi pensieri ricavavo sempre la conclusione che dovevo amare Iddio e lasciare tutto, essere povera ecc. La storia sacra mi commovevano i capitoli della creazione, del peccato, del sacrificio di Abramo e quest’ultimo insieme a quello di Giuseppe ebreo venduto dai fratelli mi penetrava sino a farmi piangere dirottamente.
Le mie cugine mi hanno più volte detto che spesso nei giuochi restavo appartata e pensierosa, domandata rispondevo “Quando sarò grande farò un monastero e sarò monaca”: e vedendo che queste ridevano, allora dicevo animata e con l’impeto del mio carattere: “Non ci credete? Lo vedrete!”. Questo però io non lo ricordo perché ero molto piccola, e quindi non posso attestare che è vero. Ricordo anche di avere avuto una grande devozione alla Madonna, il mese di maggio era per me un gran mese, facevo tanti fioretti, ma non tutti li notavo, sempre per la ragione che non volevo farli sapere. Ogni volta che per la strada mi incontravo con qualche immagine di Maria la salutavo con queste parole: “Vi saluto Maria, salutatemi Gesù da parte mia”, saluto che ancora uso. Queste e altre pratiche facevo ed ho sempre fatto in onore della mia buona Madre Maria. Anche il tempo delle feste natalizie non dimenticavo di fare i fioretti e portavo a Gesù Bambino i dolci migliori privandomene con piacere.
Intanto venne il tempo di confessarmi. Credo che fu nei sei anni e mezzo o al più sette. Mi pare che compresi l’atto, ma confesso che la confessione per me fu ed è stata sempre e tutt’ora lo è una grande umiliazione al mio orgoglio, a tutto mi assoggetterei piuttosto che confessarmi, ma di questo ne parlerò più avanti. Compresi dico l’importanza di questo sacramento e quindi mi preparai accuratamente e da sola. Stando nella sacrestia dell’oratorio e trovandomi sola mi posi a mirare il Crocifisso che grande e piagato pendeva da una parte. io sentivo pena, dolore, amore e cominciai a piangere pregando Gesù a perdonarmi ecc. Questa impressione non si è mai più cancellata dalla mia mente. Oh mio Dio! Quanto mi avete amato! Quante grazie avete versato sin dai primi anni sopra l’anima mia! Voi mio Dio ben sapevate che vi avrei offeso con il peccato, eppure la vostra mano sempre sopra di me ha versato le sue grazie e misericordie, mio Dio, come riparerò? Come contraccambierò l’amore che avete sempre avuto a questa povera anima? Ma torniamo al racconto. Quella sera non potetti confessarmi perché la mia zia si era trattenuta tanto tempo in confessionale e quindi si era fatto tardi, allora tornai nella sala da ricevere, nel vedermi tutti si accorsero che avevo pianto, e come al solito non volendo far sapere quello che passava in me, risposi alla domanda che mi rivolsero che mi doleva la gola: non era bugia perché in quel momento veramente la sentivo inasprita.
Dopo la prima confessione fui mandata a scuola dalle Figlie del Sacro Cuore di Gesù, ma ben poco la frequentavo causa lo stato mio di salute. Spesso stavo in letto con bronchite e forti raffreddori, quindi era più il tempo che stavo in casa di quello che frequentavo la scuola, però quel poco di tempo che andavo feci progresso ed appresi presto a leggere, scrivere, conti ecc. Lo studio mi attirava, e non vi fu né vi è stato mai bisogno di eccitarmi a studiare.
Come già ho detto mio padre era molto buono, ma di una bontà retta, quindi Egli stesso conduceva mia madre e me al Duomo per assistere alla Messa cantata, ed alla predica se Quaresima, o altre circostanze. La mattina alle otto mi conduceva con lui nella Cappella dell’Addolorata (che era della nostra famiglia e stava nel Duomo) e confratelli della congregazione si recitava l’Ufficio o si ascoltava la Messa; per me questa era una grande consolazione e quindi stavo quieta e raccolta vicino a mio padre, cosa di preciso pensassi non so né ricordo, so però che mi restava un’impressione molto buona e che di tanto in tanto ripensavo durante il giorno alla consolazione provata. Naturalmente la domenica veniente ero sempre pronta ad andare con papà.
Dopo questo Ufficio e la S.ta Messa alle 10 tornavamo al Duomo per la Messa grande. Il posto da noi occupato era a un lato del pulpito ove si poteva ben vedere ed udire il predicatore ed anche vedere le cerimonie della Messa cantata, il Vescovo ecc. Tutto questo però poco occupava la mia curiosità, io non trovavo riposo se non quando mi mettevo in modo che senza voltare le spalle al predicatore, ed alla Messa, avessi potuto fermare i miei sguardi sul Ciborio, ed allora mi sentivo come una voce che mi invitava all’orazione, a pensare al Signore, a darmi a Lui; questo mi accadeva e sentivo nel più profondo del cuore, ed allora io combattevo, sentivo la forza dell’invito e non volevo dire di no al Signore, ma io sentivo anche che seguire l’invito voleva dire qualche cosa di più, specie intendevo per l’orazione che nel mio piccolo mi sembrava intendere di dedicarmi interamente a questo, e non avendo io cognizione di orazione mentale neppure alla lontana, ritenevo dunque che dovevo dedicarmi alla preghiera vocale, questo mi pareva impossibile per me, e pensavo anche che darmi al Signore voleva dire lasciare tutto e non un poco, ed allora sentivo che non ce l’avrei fatta a fare questa risoluzione, d’altronde dire di no non volevo ed allora prendevo la via di mezzo e con semplicità dicevo: “Signore, fatemi godere la mia gioventù, in vecchiaia pregherò e prenderò il Rosario”, queste o simili erano le risposte che davo al Signore.
Io ben ricordo che se da una parte mi sentivo combattuta, dall’altra però mi sentivo attratta al Sacramento e non mi sarei mai distaccata. Quante volte ho pensato che se avevo un confessore che avesse pensato a farmi amare il Signore e farmi la meditazione forse tanti peccati non li avrei commessi! E da ciò che è accaduto a me, comprendo sempre più che anche le fanciulle hanno bisogno di chi le guidi. In questo tempo io stavo negli 8 anni. Queste voci di invito che internamente sentivo, non erano passeggere di tanto in tanto, ma frequenti e specie nella chiesa avanti a Gesù Sacrnto o nel tempo della S. Messa, né erano sempre le stesse parole, perché alle volte sentivo di dover amare tanto Iddio, alle volte di tutto lasciare, far penitenza, ritirarmi sola sola ecc. Tutto questo che passava dentro di me, io non lo dicevo a nessuno, tenevo tutto chiuso dentro di me. Esternamente ero sempre la stessa, inclinata all’ira, subito mi accendevo, ma presto finiva e allora il pentimento subentrava e nel mio cuore rimaneva una pena grande e profonda, ripensavo a Dio, al Crocifisso e allora restavo come annientata.
Alla vanità mi sembra di non esserci andata dietro, veramente non ho mai avuto inclinazione spiegata a questo e quando si doveva dalle sarte provarmi gli abiti non vedevo il momento di liberarmi di quella noia, né mi occupavo se l’abito mi stava bene o no indosso, e questo è stato sempre anche da grande quando mia madre mi portava nei club ecc. Questo in me era né virtù, non la conoscevo, né distacco; questo proveniva dal pensiero che spesso mi veniva alla mente, cioè che tutto erano sciocchezze e mi sembrava che io non ero nata per queste cose. Questo mio modo di fare riguardo alla vanità mi era causa di forte sgridata dalla mia mamma, che desiderava in me più compitezza e premura nel vestirmi e adornarmi.
Ma da questo difetto non ho potuto mai liberarmi.
Oltre all’ira il mio carattere era reciso e, detta una cosa, non amavo ripetere. Mi rammento che nel farmi un vestitino nuovo, io come al solito non me ne occupai né della forma, colore ecc., solo dissi che desideravo una tasca, perché non amavo portare in mano il fazzoletto. Terminato l’abito mi lasciai vestire compitamente, indi andata alla camera di lavoro di mia madre, presi da un cestino le forbici e tagliai l’abito in modo da renderlo inservibile. Venuta mia madre tutta abbigliata e pronta a sortire mi trovò con l’abito così rovinato; mi dette 2 schiaffi e mi domandò perché avevo ciò fatto, risposi semplicemente: “Non vi è la tasca”. Mi fu fatto indossare un altro abito per uscire.
Tale era il mio carattere. Amiche non ne avevo, né io sentivo il bisogno, in famiglia ero amata, privilegiata e questo mi bastava, quindi la mia infanzia l’ho passata felicemente e innocentemente perché per quanto penso i peccati non li feci per malizia perché non la sentivo, e ricordo che nel Sabato Santo per quanto la gola mi tentasse io non toccavo cibo di latticinio o di grasso né dolci perché pensavo che la Chiesa ordinava lo stretto magro e non volevo offendere Iddio, questo pensiero dell’offesa di Dio prevaleva in me in quell’età.
Mio padre morì il 19 gennaio 1874. Egli predisse il giorno della sua morte, morì da santo come era vissuto. Io allora avevo nove anni e mesi.
Rammento tutto il mio grande dolore, capii bene che con papà avevo perduto tutto e quindi ero inconsolabile sapendo che Egli solo sapeva condurmi per la retta via.
Mio Dio, ecco la mia infanzia passata, quante grazie! Quanto amore? Oh se le avessi apprezzate forse in oggi non avrei dovuto rimproverarmi i miei peccati, le mie infedeltà! Mio Dio, il vostro amore per l’anima mia è incomprensibile, quando mio Dio cesserò di offendervi? Quando mio Dio, dimentica di tutto, amerò Voi solo? Quando?
Dopo la morte di mio padre nella mia vita avvenne un grande cambiamento, e di questo l’anima mia ne soffrì.
Mia madre educata e compita con molta ricercatezza in tutto, gli mancava però il più necessario, cioè la pietà. Rimasta libera di se stessa a 28 anni, passato il tempo del lutto stretto, con la venuta dalla Russia di suo fratello e mio zio Arturo tutto fu cambiato radicalmente.
Mio zio pensò di portarci a Grottaferrata nella casa di nonno Rayner e così ci allontanò definitivamente dai parenti di papà. Dico definitivamente perché appena avvenne la morte di papà fu chiusa e murata la comunicazione fra la nostra casa e quella dello zio, e quindi per me cessarono le visitine a Gesù Sacrnto che tanto mi piacevano, la confessione, Messa ecc.
Mia madre con lo zio cominciarono a frequentare il mondo e tutta la sua vanità e piaceri. Naturalmente io, come primogenita, seguivo sempre mia madre e lo zio.
In questa nuova vita non mi ci trovavo, e trovarmi dalla vita passata con mio padre e l’essere ora sbalzata nel mondo, mi arrecò uno stato di sofferenze interne e quindi cominciarono i miei combattimenti, i pericoli, i miei pianti segreti che purtroppo proseguirono per anni.
In Grottaferrata, quando mia madre mi lasciava, frequentavo le Suore della Divina Provvidenza e con esse andavo al passeggio e poi in Parrocchia (non avendo esse il Sacramento in casa) a fare la visita a Gesù Sacrnto.
Ai piedi del Signore io stavo tranquilla e il tempo mi sembrava troppo corto.
Queste Suore mi portavano anche a confessare, ma al confessore non dicevo niente della pena che provavo nella vita che mammà mi faceva fare, come pure tacevo le consolazioni che provavo ai piedi di Gesù. Tenevo tutto chiuso nel mio cuore.
Oh mio Dio, quanto siete stato buono con l’anima mia, e quante grazie in quel tempo mi facevate, io sentirò tanto di amarvi! Ah! mio Dio, come poi vi sono stata ingrata, fino ad offendervi?
Come altrove ho detto, io amavo molto lo studio e la mamma, sia per contentarmi, come anche per provvedere alla mia salute, che con una vita come in casa si faceva, andavo sempre più deperendo, pensò di mettermi in Collegio in Roma dalle Dame del Sacro Cuore. Io fui ben contenta, speravo di ritrovarmi ad una vita più conforme alla mia inclinazione e quindi la prima cosa che feci, appena una di quelle buone Madri mi condusse in Chiesa a dire un’Ave alla Madonna, di eleggere la Vergine SS.ma per mia Madre e pormi sotto la sua protezione. Quel momento è rimasto sempre vivo nel mio cuore. In Collegio i miei giorni li trascorsi tranquilli e ritrovandomi in una vita calma e regolata lo spirito mio si trovò sollevato da quella interna pena che stando in casa sentivo, e quindi la mia condotta, l’applicazione agli studi era soddisfacente e sin dal primo mese fui decorata “capo di camerata” e rimasi a questo ufficio finché restai in Collegio.
Nella nostra camerata vi erano solo le bambine dagli otto ai 14 anni, e perciò era nominata la camerata delle piccole. Considerate come tali non era a noi permesso di frequentare la Cappella che la sola Domenica per la Messa e qualche rara volta nella settimana. Questo per me fu il più grande sacrificio che in Collegio ebbi ad incontrare. Rammento che la S. Messa era tutto per me, e cercavo sentirla bene, benché non la capissi. Cercavo mettermi in un posto ove potevo vedere bene il Sacramento ed il Sacerdote e non essere tormentata dalle compagne, alle cui chiacchiere non prendevo parte.
La confessione l’avevamo ogni due mesi ed io rammento che mettevo a tortura il mio cuore per conoscere e ricordare i miei peccati, e spesso mi stranivo con le compagne che venivano a parlarmi. Riguardo alle confessioni le ho fatte sempre bene e mi sembra che ciò facevo più per il pensiero di Dio che per il castigo. Quante volte ora penso che se avessi avuto un confessore che mi avesse aiutato, non avrei poi, fatta grande, tanto offeso Iddio, perché mi sarei trovata istradata nell’amore di Dio e sin da quell’età l’avrei amato tanto!
Venne il tempo della Prima Comunione ed io fui ammessa. Come altrove ho detto amavo il catechismo perché mi scendevano al cuore quelle verità. Nella nostra camerata questo ci veniva spiegato da una religiosa anziana, ma essendo molto anziana spessissimo non veniva a spiegarlo o se pure veniva non lo faceva, quindi io intesi tutto il bisogno di far bene gli esercizi sia per ascoltare le prediche e specialmente le spiegazioni, come per prepararmi a ricevere Gesù nel mio cuore: mi ricordo che cercavo ogni volta di mettermi in un angolo oscuro per vedere con comodo il Sacerdote e anche per restarmene tranquilla e non essere veduta dalle altre, perché il mio cuore facilmente si commoveva.
Mi preparai per la confessione, non ricordo se fu generale, ricordo però che provai, tanta pena di avere offeso Iddio con i miei peccati che piansi di tutto cuore.
Andai a ricevere il Signore con un gran desiderio, prendendo alla lettera le parole del predicatore, prima di ricevere Gesù feci un sospiro così profondo per farlo venire dai calcagni come egli diceva. Quando Gesù fu dentro al cuore mi donai tutta a lui ed in questa occasione mi consacrai a lui per la vita religiosa: in quel momento amavo il Signore e lo pregai di manifestarmi la sua volontà. In quella mattina non mi occupai dei miei parenti, il mio pensiero era solo del mio divin Redentore; ricordo queste cose come se fosse oggi.
Mio Dio, unico mio tutto, io allora vi amavo con tutto il mio cuore, nella sua semplicità e quello che vi promettevo lo dicevo con verità, ma mio Dio come poi ho disdetto ogni cosa! Nel Collegio non ebbi amiche particolari, giocavo con tutte, e volevo bene a tutte, né mai permisi che mi abbracciassero o mi facessero confidenza.
La maestra generale della nostra camerata spesso mi chiamava a sé, mi parlava della vita religiosa, io l’ascoltavo con piacere. Più volte mi condusse al probandato e mi lasciava anche lavorare con queste, io non contraddicevo né dicevo i miei pensieri, ma intanto osservavo e riflettevo, poi dicevo a me stessa che quell’Istituto non era per me, esso non corrispondeva all’ispirazione del mio cuore, io volevo dare a Dio tutto o niente e quell’Istituto era troppo ricco.
Trascorsi 8 mesi così alternati tra malattie, cure e studio. Mia madre interpellò il dottore, il quale gli rispose: “Signora mia, è meglio un somaro vivente che un dottore morto” e tanto bastò che la mamma mi tolse subito dal Collegio. Tornata a Grottaferrata, frequentai di nuovo le Suore della Divina Provvidenza e volendo mia madre andare in Russia per passare la stagione estiva coi suoi genitori, pensò affidarci per quel tempo a queste Suore. Nei mesi che restai con esse l’anima mia si rianimò. Mi fu concessa la Comunione ogni otto giorni ed ogni sera facevamo la visita al SS.mo Sacrnto. Rammento che quando avevo la fortuna di ricevere Gesù (e mi sembra ancora di vedermi) stringevo nelle mie mani il volto, affinché Gesù non sortisse più da me perché volevo che fosse restato nell’anima mia. Io provavo in quei momenti tanta consolazione e non avrei voluto più muovermi dalla chiesa.
Cominciai da me senza dire niente a nessuno, neppure al confessore col quale non mi aprivo affatto, a fare delle piccole mortificazioni esterne, p. es. intorcinavo alle mie braccia, gambe, vita delle corde in modo da sentirne dolore, onde offrire e soffrire qualche cosa per Gesù.
La mia confidente era la Madonna, in tutte le più piccole cose anche materiali ricorrevo ad essa. Noto un semplice fatto.
Stavo facendo un cuscino da sola per il ritorno di mia madre dalla Russia, mi mancò la lana ed io con la più grande fiducia andai a metterne un campione nelle mani di una statua della Madonna pregandola di pensarci a farmela avere. Una delle Suore se ne avvide e scherzò sopra questo mio atto, ed io, sempre superba, mi vergognai e ripresi il campione. Questa cosa però non mi tolse la fiducia verso la Madonna.
La visita che la sera si faceva in Parrocchia, al SS.mo Sacrnto per me era sempre corta. Io non sapevo pregare perché nessuno si occupava di questo (non sapendo ciò che passava in me) quindi la mia preghiera consisteva nel dire a Gesù che l’amavo tanto, che volevo sempre amarlo ecc. e quando poi mi sembrava di non essere capace di dire altre cose allora dicevo: “Gesù mio, io intendo dirvi tutto quello che adesso vi dice la Superiora”.
Come ho già detto tutto passava nel segreto del mio cuore. Questo però era superbia perché non volevo che alcuno sapesse niente di me. Apporto un esempio.
Una volta non seppi risolvere un compito di matematica, la maestra mi sgridò e mi impose di pranzare sopra un tavolo in cucina e senza tovaglia. Apparentemente presi bene la penitenza, nel mio interno la mia superbia ed orgoglio si rintese, andai buona a prendere la sedia, ma quando fui sicura che nessuno mi vedesse, temendo di fare la cattiva, mi posi in ginocchio e pregai la Madonna, indi andai in cucina, le lacrime mi stringevano la gola, ma dissi a me stessa: “È una viltà il piangere e poi perché mostrare esternamente di avere intesa la penitenza?”. Non piansi, mangiai tutto come se nulla sentissi, benché dal mio volto si vedeva la violenza che mi facevo, non sapendo mostrare ciò che non sentivo. Questi sentimenti di superbia erano frequenti in me, e l’obbedire, il sottomettermi mi era ben duro, ma pure lo facevo.
Questo tempo, o meglio dire questi anni per me passarono senza offendere gravemente e maliziosamente il Signore. Per altro non era virtù in me, perché nei pericoli non stavo, compagne non ne avevo, libri cattivi non leggevo, e questi anni li passai solo fra il male e lo studio, quando potevo. Mio Dio e Signor mio, veramente allora vi amavo. Oh, fossi allora morta anziché offendervi come poi ho fatto! Quanto rimpiango quegli anni in cui pensavo con semplicità a Voi!
Tornata mia madre dalla Russia ci riprese subito in casa e pensò di prendere come istitutrice una signorina di età, alla quale ci affidò per gli studi. Questa viveva sempre con noi. Mia madre pensava che studiando in casa ed avendomi tutti i riguardi possibili avrei potuto appagare il desiderio che avevo di studiare, ma non fu possibile e dopo un anno convenne licenziare l’Istitutrice, che del resto fu un bene non avendo questa punto di religione.
Mia madre volle ancora tentare un’altra prova e fu di prendere un maestro che ci dava quattro volte la settimana la lezione, tre per lo studio, una per il piano, ma questa prova anche fallì, ed allora fu mia sorella, che godeva buona salute, messa in Collegio in Frascati dalle Figlie del Sacro Cuore, e decise di tenermi in Roma durante l’inverno. Io allora entravo nei 15 anni.
Vedendo la mammà che non amavo le vanità, né ambivo gingilli in oro ecc. come tante altre giovanette della mia età, entrò in sospetto che pensassi di rendermi religiosa, e quindi per distogliermi da questo, pensò di farmi conoscere meglio il mondo.
Ed ecco che l’anima mia fino allora mantenutasi buona comincia a sdrucciolare.
Mio Dio, cosa è il cuore umano!... Cominciò quindi mia madre a farmi gustare tutti i possibili piaceri, divertimenti, vanità che umanamente parlando alla mia condizione si poteva.
Fra le altre cose fece conoscenza di una famiglia e per conseguenza io cominciai a trattare con le figlie della mia età, ma debbo riconoscere che in questo caso la Madonna mi sorvegliava con amore, perché mi accompagnai bensì con queste, ma amicizia e confidenza vera non la volli mai.
Dovendo una volta mammà assentarsi da Roma, mi lasciò da questa famiglia per un 15 o 20 giorni, non ricordo bene.
L’apparenza mostrava una famiglia distinta e per bene né nulla faceva sospettare quella che in realtà era.
Una sera fecero ricevimenti, ciò non mi fece impressione essendo abituata, ma allorché vidi che all’ora stabilita entravano dei signori il cui aspetto non mi piaceva, domandai il perché le signore e signorine tardavano; mi fu risposto che quella serata era sola per signori.
Riunitisi che furono in un discreto numero fui invitata a prendere parte ad un giuoco, dicevano, e mi fecero stendere le mani sopra un tavolo. La Signora di casa cominciò degli scongiuri, io allora cominciai a pregare la Madonna nel segreto del mio cuore. Intanto tutti si agitavano perché lo spirito non rispondeva; allora uno di quei signori, e credo il capo, guardandomi fissamente disse: “Lo spirito non viene perché vi è una che mette ostacolo”. Io a queste parole ebbi tanta paura che mi scostai dal tavolo e andai a sedermi in una poltrona, incominciai il Rosario alla Madonna e piangendo dicevo a mio padre morto: “Papà mio, se voi non eravate morto io non mi trovavo qui né questo mi accadeva: aiutatemi”. Passò un buon quarto e lo spirito non rispondeva, tutti si agitavano perché volevano quella sera avere un responso. Io intanto pregavo sempre più la Madonna, quei signori si insospettirono, m’imposero di cessare di pregare; non detti loro ascolto. Allora cominciarono nuovi scongiuri con parole più forti ed allora al terzo scongiuro nella camera vicina si intese come se schiantassero tutti i mobili, quei signori ad una voce dissero: “Eccolo, eccolo” e replicarono gli scongiuri.
Non so descrivere il mio stato; e nel mentre raddoppiavo le preghiere alla Madonna, nella poltrona ove stavo seduta si ripeté lo schianto del legname in modo così forte che io fuggii spaventata nel mentre che la stessa cosa accadde nel tavolo di quei signori, i quali alzarono un grido di gioia. Ebbi una grande paura, piangevo, pregavo e chiamavo papà in aiuto. Né questo fu il solo caso e per brevità tralascio; solo dico che in quella casa, di apparenza distinta, passai tanti pericoli di questo genere che solo la Madonna mi ha difeso.
In questo periodo di anni nessuno mi conduceva in Chiesa né per ricevere i Sacramenti, né per la Messa, e la domenica erano inquietudini perché io volevo sentir Messa e nessuno mi ascoltava. Il mio cuore non era ancora guasto e quindi non potendo andare in Chiesa mi sfogavo a salutare il Signore a guardare con desiderio la porta della Chiesa, quando sortendo m’incontravo a vederla. Intanto mia madre pensava a divagarmi sempre più e quindi con la famiglia di un colonnello russo ed altri signori si passavano le serate e anche le nottate intere nei balli, teatri, società, ecc., e così la mattina si passava a dormire, il dopopranzo in gite, cavalcate ecc. e la notte come di sopra ho detto. Sul principio io mi trovavo come un pesce fuor d’acqua, poi cominciai a gustare il mondo, ma il Signore mi mise nel cuore un vuoto tale ed una amarezza inesprimibile in tutti i piaceri, feste, ecc. che cominciai a soffrire internamente pene che non si possono spiegare.
Passava il tempo ed io sentivo sempre più il vuoto del cuore, tutto mi annoiava ed ogni sera, adornata da me o da altri per andare alla festa, io mi chiudevo in camera e vestita com’ero, mi gettavo in ginocchio e piangendo caldamente pregavo il Signore che almeno mi avesse fatto divertire, che avesse in qualche modo riempito il vuoto del mio cuore; di dissipare quell’amarezza. Pregavo la Madonna, mi raccomandavo a papà, promettevo doni, preghiere, ma tutto inutile e durante i divertimenti il mio cuore nuotava nella sofferenza, la più straziante, mentre nell’esterno il sorriso era sulle mie labbra, ma sul mio volto si vedeva la mestizia ed il riso forzato, e tutti si interessavano di me attribuendolo allo stato di mia salute.
Quanto ho sofferto in quegli anni! E dire che non mi aprivo con nessuno?
Tornata in casa a ora tarda, mi chiudevo di nuovo in camera e senza spogliarmi tornavo a mettermi in ginocchio, sfogavo la mia pena col pianto e fra le lagrime domandavo a Dio perché non mi lasciava gustare tanti divertimenti, e senza aspettare la risposta della mia coscienza che reclamava Iddio, mi abbandonavo al pianto, finché stanca e sfinita mi addormentavo, l’indomani le stesse pene, gli stessi pianti e la mia salute intanto deperiva giorno per giorno.
Mia madre, a mia insaputa mi fidanzò con un ufficiale. Quando lo seppi non dissi nulla, lasciai correre, ma dentro di me dissi: “Io non mi assoggetterò mai ad un uomo”. Il mio orgoglio si opponeva, di più sentivo che il mio cuore per sua indole aveva bisogno di un amore forte, solido e più verace di quello di un uomo. Con questo pensiero e convinzione ridevo sulla pretensione di questo ufficiale, sopra di me; finalmente capì e mi lasciò libera.
Ebbi simpatia per un giovane ma questo sentimento lo tenni in me e quando una morte immatura lo colpi, fui contenta di essermi liberata di quel sentimento che poteva legare il mio cuore ed io non volevo.
Oltre a quel vuoto che nel mio cuore sentivo, disopra accennato, io subivo un altro genere di martirio. Ogni volta che andavo in Chiesa una forza misteriosa mi costringeva fermarmi davanti al Sacrnto e fare un profonda genuflessione. Io non so spiegare il contrasto che sentivo per parte della mia superbia.
Le nostre conoscenti mi burlavano, mi criticavano poi, ed io, benché la mia superbia si commovesse tutta, non potevo però non secondare quell’impulso e col ginocchio sino a terra salutavo il Signore. Di più, messa al mio posto per ascoltare la Messa, io non ero più padrona di distrarmi di qua e di là; una forza interna mi costringeva a seguir la Messa e pensare al Signore, e ricordo che un’alzata di occhi per curiosità o per compiacere gli altri, specie la gioventù maschile che si metteva di fronte a noi, mi costava infiniti rimorsi e pene interne.
In questo tempo non lasciai mai il Rosario e le tre Ave alla Madonna come anche nell’incontrare nelle strade l’immagine di Maria interrompevo il discorso e la salutavo nel segreto del mio cuore. Ah, mio Dio, voi venivate dietro al mio cuore, ed il cuor mio, pur volendo essere tutto vostro perché sentivo bene che voi solo potevate riempire il vuoto del mio cuore, e appagare la sua aspirazione di un amore che non avesse avuto fine, pure vi fuggivo, e anziché gettarmi nel vostro seno, seguivo i piaceri del mondo. Quando penso a questi tratti di amore di Dio verso l’anima mia, mi sento una pena tanto grande, che quasi direi sorpassa il dolore dei miei peccati, perché questi sono il frutto della mia malizia, quello l’infinito amore di un Dio verso una sua miserabile creatura.
La Madonna anche in quest’anno mi difese in vari pericoli, che certo senza il suo aiuto non so come sarei finita.
A 18 anni, quando Iddio stava preparando il colpo che doveva costringermi a farla finita col mondo, cominciai a temere di avere la vocazione.
Io spesso pregavo Iddio che mi avesse dato la vocazione, io temevo di averla e in me succedeva un contrasto; ero stanca del mondo, eppure temevo di darmi a Dio: forse il mio cuore cominciava attaccarsi al mondo? Oppure comprendevo che se dovevo darmi a Dio dovevo farlo davvero? Qui non so che dire, so solo che apparentemente fuggivo da tutto ciò che potesse ricordarmi la vocazione religiosa, ma pregavo anche il Signore di allontanarmela, ma poi rifuggivo di rientrare in me. In questo periodo ultimo della mia vita mondana amiche non ne avevo, avevo delle compagne ma da queste non ammettevo discorsi disonesti o che mi avessero fatto conoscere i misteri della vita; mi pareva che era un avvilirmi troppo e ne sentivo ripugnanza.
Il carattere che in questo tempo si manifestò in me fu autorevole e reciso, nel medesimo tempo ero compassionevole verso i poveri e specie per la servitù.
Nelle mie lotte interne, la mia soddisfazione era di soccorrere i poveri e davo loro cibo, abiti, biancheria, infine tutto ciò che mi veniva per le mani; detti coperte da letto, fodere di materassi, davo tutto senza curarmi se era servibile o se era cosa che a me piaceva. Dei danari che mia madre lasciava a mia disposizione per me non tenevo nulla, ma li donavo tutti ai poveri, specie ad uno che stava sulla porta della Chiesa di S. Andrea delle Fratte qui in Roma, né contavo ciò che davo, ero contenta, felice quando, riempita la mia mano di spiccioli, li versavo nel cappello del povero e godevo nel sentire le benedizioni che mi mandava e mi raccomandavo alle loro orazioni sapendo bene il bisogno che ne avevo. Queste elemosine le facevo in modo che nessuno si accorgesse e quando per la strada davo il danaro procuravo con qualche scusa restare addietro gli altri. Come si è visto, mia madre spendeva più del dovere e quando i nonni e lo zio Rayner tornarono dalla Russia (causa la guerra) i nostri beni paterni erano rovinati, ed infatti non avendo pagato le tasse da qualche anno, fu tutto messo in vendita. Lo zio Arturo rimediò ma poté fare ben poco. In questa catastrofe riconobbi la mano di Dio e risolsi subito di darmi interamente a Dio, darmi senza riserva, cosa che feci subito.
M’imposi di digiunare ogni sabato in onore della Madonna, le feci dono di un unico gingillo d’oro, che consisteva in un fermaglio in forma di chiave, metà oro e metà cesellato in argento e promisi di ascoltare ogni giorno la S. Messa.
Infatti cominciai subito; la Madonna fece accomodare quel poco di beni rimastoci, ed io troncai tutto col mondo.
Datami a Dio e ritornata la calma nel mio animo fu tutt’uno.
Una lunga malattia preparò il mio animo per la mia conversione definitiva.
Allora ero entrata nei 18 anni.
Ecco brevemente la mia vita mondana, vita di lotta con la grazia che infine ha trionfato. Redentore mio divino, Voi a Voi mi avete attirato con le funi del vostro amore, ed io anziché apprezzare questo amore l’ho disprezzato.
Quanto ciò mi confonde, mi annienta! Ecco di che sono capace.
Durante la mia malattia i monaci basiliani elessero il nuovo abate nella persona di D. Arsenio Pellegrini. Ristabilita che fui, ma tuttora convalescente, ottenni dalla nonna il permesso di andare in Chiesa e feci chiamare il P. Abate per confessarmi.
Mia intenzione era di affidarmi alla sua direzione, però questa prima volta non gli palesai la mia intenzione, e quindi semplicemente mi confessai. Egli, consapevole della vita mondana da me fatta, e forse credendo che ancora la facevo, mi fece una buona e forte sgridata per vario tempo, trattandomi in un modo tanto brusco e con le parole così grosse che alla mia superbia non piacevano punto, e credo che se non ero più che decisa e se la Madonna non mi aiutava, non sarei più tornata dal p. Abate. Comunque sia, presi in bene la lavata di capo, e quando col medesimo tono brusco mi disse conchiudendo “Avete capito? Voi dovete farvi santa”, io risposi risoluta e recisa: “Lo so e mi ci farò”. Ed egli allora bruscamente replicò: “Sì, vi ci farete con questa vita che fate!”. Io per tutta risposta dissi: “Lo vedrà” e andai senz’altro via dal confessionale. Dopo 8 giorni tornai a confessarmi ed il p. Abate fu questa volta molto buono con me, come del resto per l’anima mia, lo è stato sempre. Tornata dal p. Abate, io speravo che mi desse subito la Comunione giornaliera, ma prudentemente pensò di attendere. Certo che di me non si poteva fidare. La privazione della Comunione l’intesi più che la sgridata che mi fece la volta avanti.
Passato circa un mese e dietro le mie replicate istanze mi concesse la Com. ogni giorno. Non so esprimere la mia gioia, basta dire che non mi rivolsi più dal p. Ab., mi sembrava superfluo andarmi a confessarmi, avevo ogni giorno il Signore, questo mi bastava, era tutto per me, e quindi passai del tempo senza confessarmi. p. Ab. notava che la Comunione la facevo, vedeva che da altri non andavo in confessionale, volle venire al chiaro della cosa, ed interpellatami una volta in proposito, gli risposi: “Cosa vengo a fare a confessarmi? Ora fo la Com. ogni giorno, peccati non li commetto”: questa o simile fu la mia risposta, ma Egli mi ordinò di andare ogni 8 giorni a prendere l’assoluzione. Quando mi detti al Signore il primo impulso che dette al mio cuore fu l’obbedienza. Io intesi potentemente il bisogno di obbedire e di mettere l’anima mia in mano al Ministro di Dio, e quindi la seconda volta che mi confessai, affidai l’anima al p. Ab. e gli promisi di obbedirgli sempre (fu semplice promessa).
Io amavo obbedire, ma non volevo che mi dessero le ragioni degli ordini perché pensavo (come penso anche adesso) che a me stava a obbedire, al p. Ab. a riflettere.
Mi proposi anche di obbedire in tutto alla nonna, e gli obbedivo puntualmente sottomettendo il mio giudizio e nulla facevo senza sentire il parere della nonna. Questa era una donna pia, di retto criterio e giudizio. Sentivo nel mio cuore che il Signore voleva da me questa obbedienza, ed io seguivo semplicemente questo impulso.
Sin dalla mia infanzia, come ho scritto, mi sentivo invitata a pregare; con darmi a Dio l’impulso fu più vivo, ed io lo seguii.
Cominciai a udire ogni mattina la S. Messa, ma essendo di rito greco poco la capivo. Non lasciavo mai la visita al SS.mo Sacrnto. Il p. Ab. m’insegnò a fare la meditazione e a quest’effetto mi donò un libro col titolo: La scuola di Gesù appassionato di un P. Passionista; mi donò anche un libretto per fare l’Ora Santa e m’indicò il modo di farla. Per la meditazione seguii il modo insegnatomi. Sul principio mi ci trovai bene e passavo delle ore a meditare un solo punto della Passione di Gesù, il mio cuore s’inteneriva e cominciai a sentire desiderio di fare qualche penitenza per unirmi alla passione di Gesù C. Io allora non conoscevo alcun istrumento di penitenza quindi ne formai uno da me. Presi della latta e la tagliai in finissime strisce, indi avvolsi queste a delle corde già preparate, per mettere alla vita e alle braccia. Mi rammentai dell’obbedienza promessa al p. Ab. e allora, fatto un involto con lettera di accompagno, lo mandai al p. Ab.
La lettera a un dipresso era così concepita: “Quando una giovane di questo mondo sposa, se vede che lo sposo soffre e se essa lo ama davvero prende parte delle sue sofferenze. Io so che Gesù ha sofferto tanto per me, voglio fare qualche cosa anch’io per lui come lo facevano i santi”, quindi lo pregavo di osservare ciò che gli mandavo e nel medesimo tempo lo pregavo di darmi il permesso di adoperarle, poi aggiunsi che nelle ore pom. sarei andata in Sacrestia per prendere la risposta. Questa fu la prima lettera che scrissi al p. Ab.
Nelle ore pom. egli venne, ma invece di quelle corde mi portò una catenella ed una disciplina di corda, permettendomi di portare la prima per mezz’ora e adoperare la seconda per un Pater. Mi servii anche del libretto per l’Ora santa, ma i pensieri che mi venivano non li sviluppavo tutti, perché temevo che poi non ne avrei avuti più, perciò ne lasciavo sempre qualcuno addietro per un’altra volta.
Mio Dio, quanta pazienza avete avuto con me! Quanto mi avete amato! E ripensando al mio passato sento nel mio cuore un bisogno di amarvi tanto da farvi dimenticare la mia ingratitudine, le mie offese, i miei peccati!
Poco tempo durai a pregare in questo modo, perché presto mi trovai a non trovarmi più con quel metodo, la mia mente si stancava, e spesso scordavo il punto che mi ero prefissa di meditare; l’anima mia si riposava meglio nel Sacrnto, e quello che maggiormente mi colpiva era l’amore di G.C., questo occupava il mio pensiero, e sentivo che avrei fatto qualunque cosa per mostrare a Gesù il mio amore. Il mio animo nuotava in continue consolazioni e non trovavo miglior modo di corrispondere che con mortificare la mia carne, quindi chiesi di fare 100 genuflessioni in onore di Gesù Sacrnto (queste genuflessioni poi sono arrivate fino a 1.000 e qualche volta di più, dividendole in tre volte durante il giorno) poi chiesi di digiunare il che mi fu concesso, ma non sempre, portavo la cat. tutta la mattinata e facevo la discipl. 3 volte la settimana.
In me cresceva il desiderio di Dio e approfittando della condiscendenza della nonna passavo il dopopranzo in Chiesa, mi mettevo vicino ad una colonna, e lì mezzo all’oscuro e nascosta, stavo ore e ore in ginocchio avanti al Sacramento. Oh! lo amavo tanto Gesù e sentivo che lui pure mi amava tanto!
Mio Dio, ricordo quei tempi e ricordo che il mio cuore ogni giorno più si sentiva preso di voi, ricordo gli slanci amorosi che a voi facevo. Mio Dio, che rimproveri sono per l’anima mia questi ricordi! Sì, mio divin Redentore, finché vivrò vi voglio amare tanto da espiare con l’amore la mia ingratitudine. Il mondo era del tutto sparito in me, né alcun pensiero di esso tornava, l’anima mia si trovava finalmente nel suo centro, io non cercavo altro. Mia madre non si dava pace, essa non vedeva di buon occhio la mia risoluzione e quindi fortemente mi sgridava perché io non mi adornavo, perché andavo in Chiesa ecc. Ed un giorno giunse a maledirmi, cosa che io intesi fortemente. Mia sorella anche mi perseguitava, abituata a stare sempre insieme nei passeggi, divertimenti ecc. ora non voleva accomodarsi alla mia determinazione e quindi mi nascondeva gli abiti e cappelli e faceva altre cose, che anche la nonna si disgustava con essa.