ROSARIO EUCARISTICO PER LA SANTIFICAZIONE DI TUTTI I SACERDOTI
(Si recita con la classica corona del Rosario)
+ Nel Nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo.
Amen.
Gloria al Padre
Credo
PRIMO MISTERO EUCARISTICO
Si contempla come Gesù Cristo abbia istituito il Santissimo Sacramento per ricordarci la sua passione e morte. Preghiamo per tutti i sacerdoti che, con la celebrazione della santa Messa, ci permettono di comunicare alla passione e alla morte del Signore.
Sui grani grandi: Padre nostro
Sui grani piccoli dell'ave Maria si recita per 10 volte:
Sia lodato e ringraziato ogni momento, Gesù nel Santissimo Sacramento.
Gloria al Padre
SECONDO MISTERO EUCARISTICO
Si contempla come Gesù Cristo abbia istituito il Santissimo Sacramento per rimanere con noi tutto il tempo della nostra vita. Preghiamo per tutti i Sacerdoti che adorano con devozione il Santissimo Sacramento e promuovono l’adorazione perpetua nelle loro parrocchie.
Sui grani grandi: Padre nostro
Sui grani piccoli dell'ave Maria si recita per 10 volte:
Sia lodato e ringraziato ogni momento, Gesù nel Santissimo Sacramento.
Gloria al Padre
TERZO MISTERO EUCARISTICO
Si contempla come Gesù Cristo abbia istituito il Santissimo Sacramento per perpetuare il suo Sacrificio sugli altari per noi, sino alla fine del mondo. Preghiamo per tutti i Sacerdoti perché la loro vita sia un sacrificio vivente, santo e gradito a Dio per la salvezza dei fratelli.
Sui grani grandi: Padre nostro
Sui grani piccoli dell'ave Maria si recita per 10 volte:
Sia lodato e ringraziato ogni momento, Gesù nel Santissimo Sacramento.
Gloria al Padre
QUARTO MISTERO EUCARISTICO
Si contempla come Gesù Cristo abbia istituito il Santissimo Sacramento per farsi cibo e bevanda dell’anima nostra. Preghiamo per tutti i Sacerdoti perché non abbiano mai a mangiare indegnamente il Corpo del Signore e insegnino ai fedeli a ricevere l’Eucaristia soltanto se sono in grazia di Dio.
Sui grani grandi: Padre nostro
Sui grani piccoli dell'ave Maria si recita per 10 volte:
Sia lodato e ringraziato ogni momento, Gesù nel Santissimo Sacramento.
Gloria al Padre
QUINTO MISTERO EUCARISTICO
Si contempla come Gesù Cristo abbia istituito il Santissimo Sacramento per visitarci nel momento della nostra morte e per portarci in Paradiso. Preghiamo per tutti i Sacerdoti che assistono i moribondi e li accompagnano incontro al Signore.
Sui grani grandi: Padre nostro
Sui grani piccoli dell'ave Maria si recita per 10 volte:
Sia lodato e ringraziato ogni momento, Gesù nel Santissimo Sacramento.
Gloria al Padre
Salve Regina
Signore, pietà
Signore, pietà.
Cristo, pietà
Cristo pietà.
Signore, pietà
Signore, pietà.
Cristo, ascoltaci
Cristo, ascoltaci.
Cristo, esaudiscici
Cristo, esaudiscici.
Padre del cielo, che sei Dio
abbi pietà di noi.
Figlio, Redentore del mondo, che sei Dio
abbi pietà di noi.
Spirito Santo, che sei Dio
abbi pietà di noi.
Santa Trinità, unico Dio
abbi pietà di noi.
Santissima Eucaristia
noi ti adoriamo.
Dono ineffabile del Padre
noi ti adoriamo.
Segno dell'amore supremo del Figlio
noi ti adoriamo.
Prodigio di carità dello Spirito Santo
noi ti adoriamo.
Frutto benedetto della Vergine
noi ti adoriamo.
Sacramento del Corpo e del Sangue di Gesù
noi ti adoriamo.
Sacramento che perpetua il sacrificio della croce
noi ti adoriamo.
Sacramento della nuova ed eterna Alleanza
noi ti adoriamo.
Memoriale della morte e risurrezione del Signore
noi ti adoriamo.
Memoriale della nostra salvezza
noi ti adoriamo.
Sacrificio di lode e di ringraziamento
noi ti adoriamo.
Sacrificio d'espiazione e di conciliazione
noi ti adoriamo.
Dimora di Dio con gli uomini
noi ti adoriamo.
Banchetto di nozze dell'Agnello
noi ti adoriamo.
Pane vivo disceso dal cielo
noi ti adoriamo.
Manna piena di dolcezza
noi ti adoriamo.
Vero Agnello pasquale
noi ti adoriamo.
Viatico della Chiesa pellegrina nel mondo
noi ti adoriamo.
Rimedio della nostra quotidiana fatica
noi ti adoriamo.
Farmaco di immortalità
noi ti adoriamo.
Mistero della fede
noi ti adoriamo.
Sostegno della speranza
noi ti adoriamo.
Vincolo della carità Segno di unità e di pace
noi ti adoriamo.
Sorgente di gioia purissima
noi ti adoriamo.
Sacramento che germina i vergini
noi ti adoriamo.
Sacramento che dà forza e vigore
noi ti adoriamo.
Pregustazione del banchetto celeste
noi ti adoriamo.
Pegno della nostra risurrezione
noi ti adoriamo.
Pegno della gloria futura
noi ti adoriamo.
Agnello di Dio, che togli i peccati del mondo
perdonaci Signore.
Agnello di Dio, che togli i peccati del mondo
ascoltaci Signore.
Agnello di Dio, che togli i peccati del mondo
abbi pietà di noi.
Hai dato loro il pane disceso dal cielo.
Che porta in sé ogni dolcezza.
PREGHIAMO
Signore Gesù Cristo, che nel mirabile Sacramento dell'Eucaristia ci hai lasciato il memoriale della Tua Pasqua, fa' che adoriamo con viva fede il santo mistero del tuo Corpo e del tuo Sangue, per sentire sempre in noi i benefici della Redenzione, Tu che vivi e regni nei secoli dei secoli.
Amen.
1 Pater, 1 Ave e 1 Gloria per il Papa
Tra i grandi convertiti al cristianesimo, spiegò che fede e ragione sono «le due forze che ci portano a conoscere» e sintetizzò il suo pensiero in due celebri formule: «Credi per comprendere» (Crede ut intelligas); «comprendi per credere» (Intellige ut credas)
Uno dei più grandi geni nella storia del pensiero, lo scrittore ecclesiastico più citato nel Catechismo, l’uomo di fede capace di attrarre a Cristo una quantità innumerevole di persone, tra i primi quattro dottori della Chiesa, sarebbe stato come un mucchio di talenti gettati al vento se non avesse accettato di accogliere la Grazia di Dio. Questa si manifestò attraverso un concorso di santi, a partire dalla madre, santa Monica (331-387), che offrì continue preghiere per la conversione del figlio, i cui semi erano stati da lei piantati con l’educazione. Scriverà sant’Agostino (354-430) nelle Confessioni: «Fin dalla mia più tenera infanzia, io avevo succhiato col latte di mia madre il nome del mio Salvatore, Tuo Figlio; lo conservai nei recessi del mio cuore; e tutti coloro che si sono presentati a me senza quel Nome Divino, sebbene potesse essere elegante, ben scritto, e anche pieno di verità, non mi portarono via».
Agostino passò la sua giovinezza spostandosi più volte, per studio e lavoro, tra la nativa Tagaste (in Algeria) e Cartagine (in Tunisia). Fu proprio durante gli studi di retorica a Cartagine che conobbe la donna dalla quale gli nacque, quando era appena un diciottenne, il figlio Adeodato e che fu sua concubina per circa 15 anni. In quel periodo le passioni della carne, l’ebbrezza per il successo letterario, la voglia di primeggiare ebbero il sopravvento. La sua inquieta ricerca della verità lo fece inizialmente approdare al manicheismo, una religione dualista che vedeva erroneamente pure nel Male - e non solo nel Bene - un principio divino originario: arrivava perciò a negare la libertà dell’uomo; e i suoi seguaci, che si vantavano di perfezione in pubblico, finivano per abbandonarsi a ogni genere di peccato.
Fu a lungo uno dei maggiori esponenti manichei, pur senza mai ricevere l’iniziazione. Allo stesso tempo veniva attraversato da pensieri quasi opposti sulle Sacre Scritture: da un lato trovava assurdi alcuni passaggi e definiva la fede della madre «una superstizione puerile», dall’altro riteneva debolissime le argomentazioni dei manichei contro la Chiesa. Proprio lui, in seguito, riassumerà la verità della Bibbia con nove parole latine: Novum in Vetere latet et in Novo Vetus patet («Il Nuovo Testamento è nascosto nell’Antico, mentre l’Antico è svelato nel Nuovo»). Il suo disincanto verso il manicheismo raggiunse il culmine nel 383 quando ne poté incontrare il leader, che alle sue domande profonde rispondeva con vuota retorica. Non si staccò però subito da loro e nello stesso anno si recò a Roma per insegnare. Ebbe poi una cattedra a Milano grazie al favore di Quinto Aurelio Simmaco, un pagano che confidava nell’arte oratoria di Agostino per contrastare la fama del vescovo Ambrogio (340-397). Ottenne l’effetto contrario. La sapienza biblica di Ambrogio e la sua affabile umiltà fecero via via allontanare Agostino dall’errore.
Iniziò gradualmente a capire che la verità da lui tanto cercata non era un oggetto da dominare ma una Persona divina da accettare, che si era incarnata tra gli uomini nella pienezza dei tempi e di Sé aveva detto: «Io sono la Via, la Verità, la Vita». Gesù Cristo. Passò ancora tre anni altalenanti, per l’incapacità di liberarsi dalle passioni, ma la sua ricerca continuò a essere sostenuta dall’arrivo a Milano della madre (385) e dal vecchio saggio san Simpliciano. Nel 386, all’apice del suo combattimento spirituale, sentì infine canterellare, dalla voce di un bambino o una bambina, un ritornello inaudito: «Prendi, leggi» (Confessioni VIII, 12). Capì che era un richiamo divino. Aprì a caso un libro con le lettere di san Paolo e i suoi occhi caddero su un brano (Rm 13, 13-14) che esorta a non seguire i desideri della carne e a rivestirsi invece di Gesù Cristo. Fu la scintilla definitiva per la conversione, cui seguì il ritiro, spiritualmente ricchissimo, a Cassiciaco.
Il 25 aprile 387, durante la Veglia pasquale, Agostino ricevette il Battesimo dalle mani di Ambrogio. Quattro mesi più tardi arrivò la morte terrena a Ostia di santa Monica, cioè di colei «che mi ha partorito nel suo corpo alla luce temporale e nel suo cuore alla luce eterna». Seguì il ritorno in Africa, la vita comune con amici dediti alla preghiera e alla penitenza, l’ordinazione sacerdotale a furor di popolo, la fondazione di un monastero che divenne una fucina di vocazioni per la Chiesa africana, l’affiancamento all’anziano Valerio e poi la sua successione a vescovo di Ippona (395-430). Confutò mirabilmente le eresie del donatismo, del pelagianesimo e dell’arianesimo, oltre al manicheismo. Affrontò il rapporto tra libertà e Grazia e trattò la questione del male, che non è un principio originario bensì «assenza», privazione del Sommo Bene (Dio), dovuta alla ribellione di Satana e poi alla disobbedienza dell’uomo.
Spiegò che fede e ragione sono «le due forze che ci portano a conoscere» e sintetizzò il suo pensiero in due celebri formule: «Credi per comprendere» (Crede ut intelligas), perché l’atto di fede illumina la strada dell’uomo alla ricerca della verità; e insieme «comprendi per credere» (Intellige ut credas), poiché la retta ragione aiuta a scorgere il principio e raggiungere il fine ultimo, coincidenti in Dio. Mentre i Vandali iniziavano l’assedio di Ippona, Agostino entrava nel regno di Colui che aveva descritto così: «Tardi ti ho amato, bellezza tanto antica e tanto nuova, tardi ti ho amato! Tu eri dentro di me e io stavo fuori, e lì ti cercavo gettandomi, deforme, sulle belle forme delle creature fatte da Te. Tu eri con me, ma io non ero con Te; mi tenevano lontano le creature che, se non esistessero in Te, non avrebbero esistenza. Tu mi hai chiamato, hai gridato, hai vinto la mia sordità. Tu hai balenato, hai sfolgorato, hai dissipato la mia cecità. Hai diffuso il tuo profumo, io l’ho respirato e ora ho fame e sete di Te».
ERMES DOVICO
(si recita su una normale corona del rosario)
PREGHIERA INIZIALE
Gesù, dona alla Tua Chiesa tanti sacerdoti Santi; te li chiedo per le tue sacratissime piaghe e per le fiamme di infinito amore che racchiude il Tuo cuore adorabile. Usa misericordia a tutti quei sacerdoti che, con i loro peccati o con la loro indifferenza nei tuoi riguardi, lo hanno ferito o continuano a ferirlo. Richiamali tutti a Te che per essi hai versato il Tuo sangue fino all’ultima goccia. E infine ti chiedo di rendere sempre più santi tutti i Sacerdoti che vivono per Te e che sono luce per i loro fratelli. Amen.
Sui grani grandi si dice: “Cuore di Gesù, attira a te il cuore di tutti i sacerdoti, perché siano santi e santificatori.”
Sui grani piccoli si ripete per dieci volte: “Gesù, Sacerdote e Vittima, custodisci nel Tuo cuore tutti i tuoi eletti”.
Tra una decina e l’altra si recita il gloria al Padre.
Alla fine si recita la Salve Regina......
PREGHIERA FINALE
Eterno Padre io ti offro Gesù Sacerdote, Vittima adorabile, riparatrice e propiziatrice, perché Tu degni di uno sguardo di misericordia tutti coloro che sono stati chiamati o che saranno chiamati a vivere soltanto per la Tua gloria e per il bene dei fratelli. Maria, mamma del Sommo Sacerdote, Gesù, li custodisca sotto il Suo manto. Amen
Guarda la stella, invoca Maria!
Tu che nell’instabilità continua della vita presente
t’accorgi di essere sballottato tra le tempeste
senza punto sicuro dove appoggiarti,
tieni ben fisso lo sguardo al fulgore di questa stella
se non vuoi essere travolto dalla bufera.
Se insorgono i venti delle tentazioni
e se vai a sbattere contro gli scogli delle tribolazioni,
guarda la stella, invoca Maria!
Se i flutti dell’orgoglio, dell’ambizione,
della calunnia e dell’invidia
ti spingono di qua e di là, guarda la stella, invoca Maria!
Se l’ira, l’avarizia, l’edonismo
squassano la navicella della tua anima,
volgi il pensiero a Maria!
Se turbato per l’enormità dei tuoi peccati,
confuso per le brutture della tua coscienza,
spaventato al terribile pensiero del giudizio,
stai per precipitare nel baratro della tristezza,
e nell’abisso della disperazione, pensa a Maria!
Nei pericoli, nelle angustie, nelle perplessità,
pensa a Maria, invoca Maria!
Maria sia sempre sulla tua bocca e nel tuo cuore.
E per ottenere la sua intercessione, segui i suoi esempi.
Se la segui non ti smarrirai,
se la preghi non perderai la speranza,
se pensi a lei non sbaglierai.
Sostenuto da lei non cadrai,
difeso da lei non temerai,
con la sua guida non ti stancherai,
con la sua benevolenza giungerai a destinazione.
( San Bernardo)
Il Cardinale Ersilio Tonini, Arcivescovo emerito di Ravenna-Cervia (Italia), è nato il 20 luglio 1914 a Centovera di Sangiorgio Piacentino, terzo di cinque figli di Cesare e Celestina Guarnieri, umili salariati agricoli. A undici anni è entrato nel Seminario di Piacenza, dove ha completato gli studi superiori; è stato ordinato sacerdote il 18 aprile 1937 dal Vescovo Ersilio Menzani. Fino al 1939 è stato vice-rettore del Seminario piacentino, poi si è trasferito a Roma per studiare Diritto Civile e Canonico alla Università Lateranense. Rientrato nel 1943 a Piacenza, ha iniziato a insegnare Italiano, Latino e Greco, venendo contemporaneamente nominato Assistente spirituale dei gruppi Fuci e dei Laureati cattolici. Risale al 1947 il suo primo incontro con il mondo della comunicazione sociale, quando ha assunto la Direzione del settimanale diocesano "Il nuovo giornale", in un momento segnato da forti contrasti sociali e dalla lotta di classe.
Il 14 maggio 1953 viene nominato Parroco a Salsomaggiore, dove fa costruire il grande "Oratorio Don Bosco", e contemporaneamente assiste spiritualmente le universitarie del Collegio di Castelnuovo Fogliano dell'Università Cattolica.
È di nuovo a Piacenza nel settembre 1968 per la nomina a Rettore del Seminario, ma vi resta per un breve periodo, perché Paolo VI, il 28 aprile 1969, decide di elevarlo alla dignità episcopale. Viene ordinato Vescovo da Mons. Umberto Marchiodi - conconsacranti sono il futuro Cardinale Agostino Casaroli e il Vescovo Ausiliare di Milano Carlo Colombo - il 2 giugno 1969: ventisei giorni dopo prende possesso delle Diocesi di Macerata e Tolentino, nonché delle Amministrazioni Apostoliche di Treja, di Cingoli e di Recanati (solo successivamente unite), dove si impegna a tradurre lo spirito del Concilio Vaticano II nella concretezza della vita diocesana. Vi resta fino alla fine del 1975, quando, il 22 novembre, viene chiamato a reggere l'antica Archidiocesi di Ravenna e la diocesi di Cervia (poi unite il 30 settembre 1986), succedendo a Mons. Salvatore Baldassarri. È il 17 dicembre 1975 quando l'Arcivescovo Tonini sale sulla Cattedra di Sant'Apollinare per dare inizio, su esplicita indicazione di Paolo VI, all'opera di riunificazione della Chiesa Ravennate, resa necessaria dai forti contrasti seguiti all'annuncio delle novità conciliari, per ridare fiducia e per incitare tutti a guardare sempre avanti, per riuscire ad accogliere preparati i grandi mutamenti in atto nella società. Con un gesto che colpì profondamente i suoi nuovi concittadini, lasciò il suo appartamento nello splendido Palazzo arcivescovile a un nucleo di tossicodipendenti in cerca di salvezza. Si ritirò nell'Istituto Santa Teresa, vero cuore della Romagna, fondato da Don Angelo Lolli, dove da allora vive a fianco dei malati più gravi che la Provvidenza ha affidato alla carità dei romagnoli.
Conoscendo bene la sua mentalità aperta di autentico giornalista sempre pronto a cogliere le novità del proprio tempo, Paolo VI lo ha voluto nel 1978 Presidente del Consiglio di Amministrazione della NEI, la società editrice di "Avvenire". Ancora pochi giorni prima della sua morte, Papa Montini gli ha affidato anche i mezzi materiali necessari per rivitalizzare il quotidiano cattolico.
Si deve ancora a Mons. Tonini se il 28 settembre 1978 può riaprire le sue porte il Seminario Ravennate, chiuso nel periodo più buio della contestazione del ruolo stesso del sacerdote nella Chiesa. La riapertura del Seminario è stata in cima ai pensieri dell'Arcivescovo fin dal momento in cui Paolo VI gli comunicò la decisione di affidargli la Chiesa di Ravenna. Poco tempo dopo l'ingresso in diocesi, Mons. Tonini era stato raggiunto da tre sacerdoti gesuiti: "Ci manda il Santo Padre per aiutarla a riaprire il Seminario". Nel corso del suo Episcopato, ripartendo dal deserto, ha avuto la gioia di conferire l'ordinazione a undici preti.
Nel 1984 s'inaugura il Centro Ravennate di Solidarietà, luogo di accoglienza per tossicodipendenti, che fa parte della Federazione delle Comunità Terapeutiche del Ce.I.S. di don Picchi. Nel 1985, Mons. Tonini rivitalizza e sviluppa il settimanale diocesano "Risveglio 2000", affidato a una cooperativa di laici, e "Ravegnana Radio".
Nel maggio 1986 si svolge in Romagna la visita pastorale di Giovanni Paolo II che, guidato dal Metropolita Tonini e accompagnato dal caldissimo affetto dei romagnoli, percorre le diocesi di una terra considerata fino ad allora la patria dell'anticlericalismo italiano. Fu, in realtà, un momento di eccezionale grazia. Come lo stesso Giovanni Paolo II ha più volte confidato a Mons. Tonini. Quella visita ha in effetti segnato il crollo degli ultimi storici steccati tra laici e cattolici in Romagna.
Nel 1987, interviene sulla questione della "domenica festiva" abolita da un contratto di lavoro nel settore tessile, ricordando che simili iniziative distruggono la dignità stessa del lavoro. Solo pochi giorni prima, a marzo, l'Italia intera si era commossa e indignata per la tragedia della "Elisabetta Montanari", la nave incendiatasi nel porto di Ravenna con il suo prezioso carico di tredici vite umane, ed aveva compreso fino in fondo le parole dell'Arcivescovo che condannava la regola del profitto senza limiti nell'economia, causa vera della strage. In quello stesso anno, Mons. Tonini ha fondato a Cervia-Milano Marittima il Centro di accoglienza alla Vita; nel 1988, ha animato la campagna nazionale per la raccolta di fondi per l'acquisto di mucche per gli indios Yanomani della diocesi brasiliana di Roraima. L'iniziativa - "Uma vaca para o Indio" - aveva lo scopo di impedire l'esproprio delle terre degli indigeni. La legge brasiliana prevede infatti che non possano essere tolte agli indios le terre dove pascolano le mandrie. Giovanni Paolo II, informato da Mons. Tonini stesso durante il Sinodo dell'autunno 1987, fu il primo a contribuire generosamente all'iniziativa.
Negli anni del suo episcopato, Mons. Tonini ha dato un forte impulso alla Caritas diocesana invitandola a seguire maggiormente i bisogni emergenti nel territorio ravennate e portando alla creazione dell'AVULSS per il servizio di volontariato alle fasce più emarginate - anziani, handicappati, carcerati -, la Mensa della Fratellanza, il Tribunale dei diritti del Malato, il Gruppo Alcolisti Anonimi, il primo nucleo degli obiettori di coscienza. Tra l'ottobre 1988 e il giugno 1989 regge, come Amministratore Apostolico, la sede di Rimini. Nell'87, per scelta di Giovanni Paolo II, partecipa al Sinodo dei Vescovi sui Laici. Nel settembre '90 ha ancora la gioia di accogliere il Santo Padre nell'Archidiocesi di Ravenna, per la visita nel Duomo di San Nicolò di Argenta alla tomba di D. Giovanni Minzoni.
Pochi giorni dopo, il 27 ottobre, il Papa accoglie la rinuncia di Mons. Tonini al governo della Chiesa di S. Apollinare. Il 15 dicembre, in Cattedrale, dopo aver affidato il Pastorale al successore, Mons. Amaducci, Mons. Tonini pronuncia parole che rimangono nel cuore dei ravennati: "Permettetemi di continuare ad amarvi". Da allora, "come il più ubbidiente e riverente dei preti diocesani", prosegue nell'instancabile attività di sempre, insegnando filosofia e teologia alle religiose e ai giovani, predicando gli esercizi spirituali, scrivendo articoli su "Avvenire" e su altri giornali, portando la testimonianza della sua esperienza sacerdotale e della sua saggezza pastorale in tante trasmissioni televisive, per le quali è diventato una delle figure più conosciute e popolari della Chiesa in Italia.
Nel febbraio '91 viene chiamato dal Santo Padre a predicare gli Esercizi Spirituali per la Curia Romana, sul tema: "La Chiesa della speranza per questo nostro tempo". Nel 1994, ancora una volta Giovanni Paolo II lo ha chiamato a partecipare all'Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi.
Muore a Ravenna, 28 luglio 2013 a 99 anni compiuti
Da: Santi e beati
Nacque a Viña del Mar, Cile, il 22 gennaio 1901 e rimase orfano di padre all’età di 4 anni. La madre fu costretta a vendere, a condizioni sfavorevoli, la loro modesta proprietà per pagare i debiti della famiglia. Di conseguenza, Alberto e suo fratello dovettero andare a vivere presso dei parenti e, spesso, trasferirsi dall’uno all’altro di essi: fin da piccolo egli sperimentò dunque la condizione di chi è povero, senza casa e alla mercé degli altri. Una borsa di studio gli diede modo di frequentare il Collegio dei Gesuiti a Santiago. Qui divenne membro della Congregazione Mariana e, come tale, prese un vivo interesse per i poveri, recandosi presso di loro nei quartieri più miseri ogni domenica pomeriggio.
Finiti gli studi secondari nel 1917, avrebbe voluto farsi gesuita; ma gli fu consigliato di rimandare l’attuazione di tale progetto al fine di occuparsi della madre e del fratello più giovane. Lavorando al pomeriggio e alla sera, riuscì a sostenere i suoi e al tempo stesso a frequentare la facoltà di legge dell’Università Cattolica. Anche in tale periodo le sue premure erano rivolte ai poveri che continuava a visitare ogni domenica. L’obbligo del servizio militare gli fece interrompere gli studi, ma una volta congedato, riuscì a laurearsi all’inizio dell’agosto 1923.
Il 14 di quello stesso mese entrò nel Noviziato della Compagnia di Gesù a Chillán. Nel 1925 si trasferì a Córdoba, in Argentina ove compì gli studi umanistici.
Nel 1927 fu inviato in Spagna per gli studi di filosofia e teologia, senonché, a motivo della soppressione dei Gesuiti, avvenuta in quel Paese nel 1931, dovette partire per il Belgio e continuare la teologia a Lovanio. Ivi fu ordinato sacerdote il 24 agosto 1933 e conseguì poi nel 1935 il dottorato in Pedagogia e Psicologia. Dopo aver compiuto il Terzo Anno di Probazione a Drongen, sempre in Belgio, fece ritorno in Cile nel gennaio 1936.
Rientrato nella sua patria, il suo zelo andò gradualmente estendendosi a tutti i campi: iniziò a svolgere la sua attività come professore di religione al Collegio Sant’Ignazio, di pedagogia all’Università Cattolica di Santiago e nel Seminario Pontificio. Scrisse vari saggi sull’educazione come pure sull’ordine sociale cristiano; costruì una casa di Esercizi spirituali in un villaggio che oggi porta il suo nome; fu Direttore della Congregazione Mariana degli studenti, coinvolgendo questi nella catechesi ai poveri; animò innumerevoli corsi di Esercizi spirituali ed offrì la direzione spirituale a molti giovani, accompagnandone parecchi nella loro risposta alla vocazione sacerdotale e contribuendo in modo notevole alla formazione di molti laici cristiani.
Nel 1941 il Padre Hurtado pubblicò il suo libro più famoso: «¿Es Chile un país católico? ». Nello stesso anno gli venne affidato l’incarico di Assistente della sezione giovanile dell’Azione Cattolica per l’Arcidiocesi di Santiago, poi, l’anno seguente, per tutta la nazione: impegno da lui svolto con notevole spirito d’iniziativa, dedizione e sacrificio.
Nell’ottobre dell’anno 1944, mentre dava un corso di Esercizi, sentì impellente il bisogno di fare appello agli uditori sollecitandoli a pensare ai molti poveri della città e in specie agli innumerevoli bambini che vagabondavano per le strade di Santiago. Questo suscitò una pronta risposta di generosità e costituì l’avvio di quella iniziativa che ha reso specialmente noto il Padre Hurtado: si tratta di quella forma di attività caritativa che provvede alla gente senza tetto non solo un luogo in cui vivere, ma un vero focolare domestico: «El Hogar de Cristo ».
Per mezzo dei contributi di benefattori e con l’attiva collaborazione di laici impegnati, il Padre Hurtado aprì una prima casa di accoglienza per i fanciulli poi una per le donne, poi un’altra ancora per gli uomini: i poveri iniziarono così finalmente ad avere nel «Hogar de Cristo » un ambiente di famiglia in cui vivere. Queste case andarono sempre più moltiplicandosi, prendendo anche nuove forme e caratteristiche: in alcuni casi divennero centri di riabilitazione, in altri di educazione artigianale e così via. Il tutto sempre ispirato ai valori cristiani e permeato da essi.
Nel 1945, il Padre Hurtado visitò gli Stati Uniti per studiare il movimento «Boys Town» e come adattarlo al suo paese. Gli ultimi sei anni della sua vita furono dedicati allo sviluppo delle varie forme in cui « El Hogar de Cristo » era venuto gradualmente ad esistere ed operare.
Nel 1947 il Padre Hurtado fondò lÂ’Associazione Sindacale Cilena (ASICH), indirizzata a promuovere un sindacalismo ispirato alla Dottrina Sociale della Chiesa.
Fra il 1947 ed il 1950 scrisse tre importanti libri: sui Sindacati, sull’umanesimo sociale e sull’ordine sociale cristiano. Nel 1951 diede avvio alla rivista «Mensaje », la ben nota rivista dei gesuiti cileni dedicata a far conoscere ed a spiegare la dottrina della Chiesa.
Un cancro al pancreas lo portò in pochi mesi alla fine della vita: in mezzo agli atroci dolori fu spesso udito ripetere: « Contento, Signore, contento».
Dopo aver speso l’esistenza manifestando lÂ’amore di Cristo ai poveri, fu da lui chiamato a sé il 18 agosto 1952.
Dal ritorno in Cile alla sua morte il Padre Hurtado visse soli quindici anni: furono anni di intenso apostolato, espressione di profondo amore personale per Cristo e, proprio per questo, caratterizzato da una grande dedizione ai bambini poveri ed abbandonati, da uno zelo ardente per la formazione dei laici, e da un vivo senso di giustizia sociale cristiana.
Il Padre Hurtado è stato beatificato da Giovanni Paolo II il 16 ottobre 1994 e canonizzato da Benedetto XVI il 23 ottobre 2005.
San Massimiliano Maria Kolbe
Secondo di cinque figli, era nato in Polonia da due ferventi cattolici, che lo battezzarono il giorno stesso della nascita con il nome di Raimondo. Già da bambino ebbe una visione della Vergine che gli porgeva due corone di fiori, una di gigli, simbolo della verginità, l’altra di rose rosse, simbolo del martirio. Le accettò entrambe. A 16 anni vestì l’abito dei francescani conventuali assumendo il nome di fra Massimiliano; e quattro anni dopo, all’atto della professione perpetua, vi aggiunse quello di Maria.
Era arrivato intanto a Roma, dove si laureò in filosofia e teologia. Il Rosario e l’adorazione eucaristica animavano ogni sua giornata. Già negli anni in collegio alcuni compagni si erano accorti di avere un santo tra loro, come testimonierà padre Giuseppe Pietro Pal: «L’amore fraterno di Massimiliano era davvero come quello del Vangelo. Quando nelle nostre conversazioni parlavamo di quanto poco venissero osservate le regole nel nostro collegio, mi diceva di pregare per i peccatori. Non l’ho mai sentito parlare male di qualcuno. Soffriva nel vedere gli altri trasgredire le regole». Consapevole della piaga del modernismo e dell’odio contro la Chiesa diffuso dalla Massoneria, il 16 ottobre 1917 fondò insieme ad altri sei compagni la Milizia dell’Immacolata. L’idea era di consacrare a Dio, attraverso Maria, quante più anime possibili, aiutandole a guadagnare la salvezza eterna. «Chi ha Maria per madre, ha Cristo per fratello», insegnava.
Il santo sapeva infatti bene che la fede genuina s’incarna nella Chiesa militante, chiamata a combattere il Maligno e far conoscere e amare Dio, lavorando all’instaurazione del Suo Regno con l’aiuto di Maria. A questo fine, già ammalato di tubercolosi, diede inizio a una rivista, Il cavaliere dell’Immacolata. Era convinto della necessità di un apostolato attraverso i mezzi di informazione, per trasmettere la bellezza delle verità di fede e di morale, già all’epoca attaccate da «propagatori senza numero». Diceva: «Un missionario della penna […] forma l’opinione pubblica, attenua l’avversione nei confronti del cattolicesimo, chiarisce e lentamente rimuove dalle menti prevenzioni e obiezioni inveterate, predispone a una graduale lealtà nei confronti della Chiesa e col tempo […] alla fiducia, infine al desiderio di conoscere più a fondo la religione».
Le sue idee e la sua carità accesero di entusiasmo una moltitudine di giovani. La sua rivista giunse a una tiratura di milioni di copie. Nel 1927 fondò in patria un convento chiamato Niepokalanów («Città dell’Immacolata»), che si dotò di una tipografia e di un seminario vocato alla missione: in dieci anni si era formata attorno una cittadella e ospitava oltre 700 frati. Esportò lo stesso modello a Nagasaki, dove il Mugenzai no Sono («Giardino dell’Immacolata») accoglierà gli orfani di guerra. Fondò una stazione radio, la SP3RN (Stazione polacca 3 Radio Niepokalanów), e per questo motivo è patrono dei radioamatori. Dopo l’invasione della Polonia i nazisti lo imprigionarono per quasi tre mesi insieme ad altri 37 confratelli. Una volta rimesso in libertà, il francescano tornò alla «Città dell’Immacolata» trasformandola in un ospedale e rifugio per migliaia di ebrei e feriti.
Fu definitivamente arrestato dalla Gestapo il 17 febbraio 1941 e a maggio venne trasferito ad Auschwitz. La fuga di un prigioniero fece scattare la dura ‘legge’ nazista: dieci prigionieri vennero condannati a morire di fame nel Blocco 13. Tra questi vi era un padre di famiglia, Franciszek Gajowniczek (il 10 ottobre 1982 assisterà alla canonizzazione di padre Kolbe), che parlava disperatamente della moglie e dei figli. Il santo si offrì di prendere il suo posto. «Chi sei tu?», gli chiesero i nazisti. «Un prete cattolico», rispose lui, che per due volte aveva già celebrato segretamente nel lager la Santa Messa, distribuendo il Corpo di Cristo a una trentina di detenuti. I nazisti, sorprendentemente, accettarono lo scambio. La calma del sacerdote polacco li impressionò e, come dirà un testimone, il capo del bunker lo considerava «un eroe addirittura sovrumano».
Nelle due settimane di isolamento senza cibo padre Kolbe non si lamentò mai, confortò gli altri prigionieri, parlò loro del sacrificio e amore di Gesù, li fece pregare ed elevare inni sacri. Il 14 agosto, vigilia dell’Assunta, sopravvivevano ancora lui e altri tre uomini. Le SS decisero di farla finita con un’iniezione di fenolo. Fu allora che al capoblocco dell’infermeria disse: «Lei non ha capito nulla della vita, l’odio non serve a niente… solo l’amore crea!». Porse il braccio al carnefice pronunciando le sue ultime parole terrene: «Ave Maria». Testimonierà il carceriere: «Quando riaprii la porta di ferro, già non viveva più; ma mi si presentava come se fosse vivo. Ancora appoggiato al muro. La faccia era raggiante in modo insolito. Gli occhi largamente aperti e concentrati in un punto. Tutta la figura come in estasi. Non lo dimenticherò mai».
CONSACRAZIONE a MARIA IMMACOLATA
composta da M. Maria Kolbe
O Immacolata,
Regina del cielo e della terra,
Rifugio dei peccatori
e Madre nostra amorosissima,
cui Dio volle affidare
l’intera economia della misericordia,
io, indegno peccatore, mi prostro ai tuoi piedi,
supplicandoTi umilmente
di volermi accettare tutto e completamente
come cosa e proprietà Tua,
e di fare ciò che Ti piace di me
e di tutte le facoltà della mia anima
e del mio corpo,
di tutta la mia vita, morte ed eternità.
Disponi pure, se vuoi, di tutto me stesso,
senza alcuna riserva, per compiere
ciò che è stato detto di Te:
“Ella ti schiaccerà il capo” (Gn 3,15),
come pure: “Tu sola hai distrutto
tutte le eresie sul mondo intero” (Lit.),
affinché nelle Tue mani immacolate
e misericordiosissime
io divenga uno strumento utile
per innestare e incrementare
il più fortemente possibile la Tua gloria
in tante anime smarrite e indifferenti
e per estendere in tal modo,
quanto più è possibile,
il benedetto regno del SS. Cuore di Gesù.
Dove Tu entri, infatti, ottieni la grazia
della conversione e santificazione,
poichè ogni grazia scorre, attraverso le Tue mani,
dal Cuore dolcissimo di Gesù fino a noi.
La devozione a Maria
Concludo con un riferimento doveroso e tanto necessario per essere fedele all’insegnamento di sant’Alfonso.
Tutti sappiamo che questo santo “si distinse mirabilmente nella devozione verso Maria e la Madonna esaltò in modo singolare la missione di lui e concorse al felice compimento delle sue opere”.
Perciò egli scrive: “Senza la devozione verso Maria è moralmente impossibile che un sacerdote sia un buon Sacerdote. I sacerdoti hanno la morale necessità dell’intercessione di Maria. Se tutti debbono essere devoti della Madre di Dio, per questa morale necessità che tutti hanno dell’intercessione di Maria, molto più debbono essere devoti i Sacerdoti, che hanno maggiori obblighi, hanno bisogno di grazie maggiori per salvarsi. Noi sacerdoti dovremmo stare sempre ai piedi di Maria e pregarla che ci soccorra”.
Ai sacerdoti chiedeva insistentemente di predicare le lodi di Maria e la confidenza nella sua intercessione. Per essi soprattutto scrisse Le Glorie di Maria.
Sulle orme di S. Alfonso di Antonio Napoletano
Il sacerdote è ministro dell’Eucaristia
Tra gli amori che hanno pazzescamente appassionato sant’Alfonso occupa un posto privilegiato l’Eucaristia. L’attrattiva verso Gesù Sacramentato era così forte da poter indurre la convinzione che Gesù parlava a sant’Alfonso impegnandolo in appuntamenti assidui e giornalieri.
Un sondaggio sulle chiese ed oratori visitati dal Santo e sul tempo dedicato all’adorazione personale del SS. Sacramento offrirebbero risultati sorprendenti e, direi, favolosi. Non è un azzardo affermare che tutto il magistero spirituale alfonsiano trova nella preghiera eucaristica la sua fonte più ricca ed originale.
“Io vi credo presente nel Sacramento dell’altare”.
È l’espressione chiave di tutto ciò che sant’Alfonso ha scritto e detto dell’Eucaristia e del sacerdozio. Egli dice: “Che importa che non possiamo noi arrivare a comprendere come ciò avvenga?… Ciò noi dobbiamo crederlo perché Dio è onnipotente”. Egli è convinto che il coinvolgimento reale al mistero eucaristico avviene nella fede e nella preghiera.
La vicinanza più percepita da sant’Alfonso è quella di Gesù Sacramentato: Gesù è il prossimo più immediato, che egli ama considerare il suo vicino di stanza, il suo coinquilino, il suo dirimpettaio, uno che doveva essere al centro della sua vita e delle sue decisioni: “Quale gaudio dovremmo noi uomini sentire, quali speranze e quali affetti sapendo che in mezzo alle nostre patrie, nelle nostre Chiese, vicino alle nostre case abita e vive nel SS. Sacramento dell’altare il Santo dei santi, il vero Dio, quello che con la sua presenza fa beati i Santi del Paradiso!”. La speciale confidenza verso Gesù Eucaristia fu il massimo frutto di un corso di Esercizi spirituali del 23.3.1722: “Giornalmente si diede a visitarlo esposto alla venerazione delle Quarantore in qualunque Chiesa vicina o lontana”.
Un’altra affermazione forte di sant’Alfonso è: “Non c’è dubbio che la santa Eucaristia è istituita per tutti i fedeli, ma essa è un dono fatto specialmente ai sacerdoti“. Infatti, egli dice, la potestà sul corpo reale di Gesù Cristo che resta tutto a disposizione del sacerdote è l’effetto primario della S. Ordinazione. Ed aggiunge: “Tutta la Chiesa senza i sacerdoti non può dare a Dio tanto onore quanto un sacerdote che celebra la Messa… Con la S. Messa si onora Dio quanto merita di essere onorato; poiché gli si rinnova lo stesso infinito onore che gli diede Gesù Cristo sacrificandogli se medesimo sulla croce. Una sola Messa dà più onore a Dio, che non gli hanno dato, e non gli daranno tutte le orazioni e penitenze dei santi, tutte le fatiche degli apostoli, e tutti gli ardori dei serafini e della divina Madre”.
La professata identità eucaristica del sacerdozio spinge sant’Alfonso a chiedere ai sacerdoti la conversione del cuore ed un impegno continuo. Nel Regolamento di vita di un Sacerdote secolare ardì scrivere: “Bisogna dire che troppa mala fortuna incontra Gesù Cristo coi Sacerdoti. Tutto nasce dal poco amore. È una compassione veder lo strapazzo che fanno di Gesù Cristo molti preti e religiosi… Come dicono taluni la Messa? come stesse per cadere la Chiesa e non ci fosse tempo per fuggire”.
La celebrazione della Messa costituisce l’azione per eccellenza per sant’Alfonso ove ogni servizio ecclesiale riceve la sua propria efficacia. Egli ne ricorda la priorità assoluta su ogni altra opera profana e sacra: “Dio stesso non può fare che vi sia nel mondo un’azione più grande, che del celebrarsi una messa. La Messa è l’opera in cui consiste tutta la salute del mondo… è il compendio di tutto l’amore divino… Per la S. Messa viene conservata la terra. La Messa è il grazie di tutte le cose e di tutti gli uomini”.
Al Santo non costa molto ricordare ai sacerdoti: la santità della vita ed altre disposizioni necessarie: “Bisogna che tutte le azioni e le parole del sacerdote che vuol dire la Messa, siano così sante che possano essere disposizioni per ben celebrare”; l’apparecchio prossimo e remoto: “La vita del sacerdote non dovrebbe essere altro che Apparecchio e Ringraziamento alla messa… L’apparecchio alla Messa remoto è la vita pura e virtuosa… Per l’Apparecchio prossimo è necessario primariamente l’orazione mentale. Che Messa devota vuol dire quel sacerdote che celebra senza aver fatta la meditazione?”; la riverenza: “il poco conto che fanno i sacerdoti della riverenza dovuta alla messa è la causa che si vedono tanti sacerdoti e tanto pochi sacerdoti santi… dov’è il frutto di tante celebrazioni e di tante comunioni?”.
L’ardente zelo pastorale spinge sant’Alfonso a stigmatizzare la fretta, lo strapazzo delle cerimonie, le parole mutilate, le genuflessioni a mezz’aria, l’ignoranza delle rubriche, che insieme a tanti altri gesti ed omissioni rendono “la Messa non altro, dal principio sino alla fine, che un affastellamento di disordini e d’irriverenze”. Egli non ha paura di affermare: “offenderebbe Dio quel sacerdote che non credesse al sacramento dell’Eucaristia; ma più l’offende chi lo crede, e non gli usa il dovuto rispetto e nello stesso tempo fa che glielo perdano anche gli altri. I secolari, vedendo trattarsi la Messa dai sacerdoti con tanto strapazzo e negligenze ne perdono quasi il concetto e la venerazione e anche… la fede”.
Proseguendo il discorso in positivo sant’Alfonso afferma: “al fine di ricavare profitto dalla Messa son necessarie due cose: desiderio d’avanzarsi nel divino amore e distacco dagli affetti terreni… Ogni sacerdote non dovrebbe partirsi dall’altare se non infiammato di nuovo fervore”… Il Ringraziamento perciò è necessario e non deve terminare che colla giornata.
Egli ricorda inoltre che “Per mezzo della santa Messa viene santificato in modo speciale il sacerdote”. Perciò fraternamente ma con forza esorta: ‘Tratteniamoci con Gesù Cristo… Gesù Cristo è tutto de’ sacerdoti; ma quanti sacerdoti poi sono tutti di Gesù Cristo?”. E ad ogni sacerdote ricorda: “quante scelte ha dovuto fare Dio per farvi sacerdote!”.
Sulle orme di S. Alfonso di Antonio Napoletano
Il sacerdote è ministro della riconciliazione
Per S. Alfonso il sacramento della riconciliazione è la celebrazione della Redenzione di Gesù, opera essenzialmente d'amore. Il confessore deve educare all'amore il penitente.
Nella sua giovane età sant’Alfonso fece a Dio sacrificio della sua famiglia, della sua professione forense e della sua città per consacrarsi a Gesù Redentore ed annunciare un messaggio di liberazione.
Per il Santo la Redenzione è soprattutto un’opera d’amore che libera la persona da ogni schiavitù.
Tutto è ispirato a questa convinzione di fondo.
Nella "Pratica del confessore" egli scrive che il confessore deve essere: “ricco di carità, mansueto e dolce, fortemente prudente”. Tra i compiti del confessore pone in primo luogo quello di padre, poi quello di medico e dottore ed in fine quello di giudice. E scrive: “Per adempiere la parte di buon padre il confessore deve essere pieno di carità nell’accogliere il penitente, nell’ascoltarlo, nel fargli prendere coscienza della gravità del peccato; come medico il confessore deve preoccuparsi di guarire, come dottore deve rendersi conto ed illuminare; come giudice deve porsi in sintonia con la coscienza del penitente ed aiutarlo nella confessione dei suoi peccati per ottenere il perdono”.
È chiaro che il confessore per essere servo e non padrone del perdono deve essere riconciliato con Gesù Redentore. Nella sua Teologia morale sant’Alfonso sintetizza l’opera essenziale del confessore nell’impegno di carità. Egli per primo non è stato un funzionario al servizio delle leggi ma un pescatore di uomini: ha parlato ai credenti toccando l’intimo della coscienza cercando di condurli a Cristo e non a una legge.
Per lui la legge globale è quella dell’amore. Come la predicazione anche la riconciliazione nasce dall’amore e deve produrre amore.
Prima di sant’Alfonso si diceva che il laico poteva contentarsi e limitarsi alla sola osservanza dei comandamenti, quanto bastava per non andare all’inferno, e salvarsi l’anima. Sant’Alfonso combatte la mediocrità assunta come progetto di vita: non c’è pace nell’animo umano se manca la decisione per la santità. Egli mostra molta comprensione verso la debolezza umana, ma non scende a patti con la persona oziosa e tiepida. Nei suoi scritti non accentua ciò che è proibito ma ciò che fa progredire e crescere. Si spiega così l’insistenza sulla pratica di amare Gesù Cristo, la preghiera e la perseveranza.
Nel libro dell’"Apparecchio alla morte" il Santo affronta il tema della conversione e della decisione personale. Egli è convinto che la conversione è un’opera difficile ma che rende prezioso il tempo e felice la vita. La conversione è la via alla santità. Essa c’impegna ad “abbandonare ogni resistenza”, a “spendere tutto il tempo per servire ed amare Dio”, a “consumarsi per Gesù Cristo”, a “ritornare umilmente a Dio per obbedirgli fino alla morte”. Prima di tutto però il Santo chiede di convertirsi a Dio per amore perché “chi si converte per via d’amore di Gesù Cristo Crocifisso, la conversione è più forte e durevole…”: chi evita il peccato solamente per paura dell’inferno non è buon cristiano e non sarà mai santo.
Per convertirsi è necessario decidersi. E la decisione è opera del cuore, apre il cuore al fervore, spinge l’anima alla speranza e alla fiducia, richiede umiltà e sprona ad essere generosi.
Ai confessori chiede perciò un maggiore coinvolgimento nell’opera della Redenzione e la preghiera, perché “chi non è persona di preghiera non potrà avere quella bontà non ordinaria per ben esercitare quest’ufficio formidabile”.
Sulle orme di S. Alfonso di Antonio Napoletano
Il sacerdote è ministro della Parola
Sant’Alfonso credeva fermamente alla necessità primaria della predicazione: “Se tutti i predicatori e confessori facessero il loro ufficio come si deve, tutto il mondo sarebbe santo”. Per lui non c’è vita cristiana, santità, degna celebrazione dei sacramenti se prima non c’è evangelizzazione. Ai suoi missionari diceva: “L’amore di Gesù Cristo ci mette con le spalle al muro per amarlo e farlo amare dagli altri”. Egli propone un’evangelizzazione con amore per produrre amore nel popolo cristiano. Perciò affermava: “Dobbiamo predicare Gesù Cristo e non noi stessi… Il predicatore bisogna che predichi più colle ginocchia che con le parole, che sia amante dell’orazione da cui prenda i sentimenti che poi deve comunicare agli altri”.
Il santo missionario era convinto che la fede si è propagata per mezzo della predicazione e che per mezzo di essa il Signore vuole che si conservi. Le sue riflessioni più insistenti riguardano il modo di annunciare la Parola di Dio: “Per salvare le anime non basta predicare, bisogna predicare come si deve. Le sole parole parlano all’orecchie e non entrano nel cuore; solamente chi parla al cuore, cioè chi sente e pratica quel che dice questi parlerà al cuore degli altri e li muoverà ad amare Dio”.
Queste espressioni aiutano a comprendere lo stile del più celebre missionario napoletano, inclinato più a conversare e convincere che a terrorizzare. I suggerimenti per una buona predicazione non mancano: “In primo luogo è necessaria la dottrina e lo studio. In secondo luogo è necessaria la buona vita. Sono disprezzate le prediche di quel predicatore del quale è disprezzata la vita. Per terzo è necessario predicare non per interesse ma per la gloria di Dio”.
Particolare attenzione sant’Alfonso dedica ai destinatari della sua predicazione. Egli fece una scelta fondamentale per i più abbandonati che scorse prima nelle zone più povere della nostra città e poi nelle campagne del regno di Napoli. Ad essi adattò la vita, la cultura, la sua fede ed il suo sacerdozio. Nella sua operetta Selva di materie predicabili ed istruttive, scritta nel 1760 scrive: “Bisogna predicare secondo le capacità della gente che ascolta” ed insiste di parlare “alla semplice e popolare e non solo nelle Missioni e negli Esercizi Spirituali ma in tutte le prediche che si fanno al popolo”.
Nelle opere di sant’Alfonso e in tutta la predicazione c’è un ritorno continuo al tema dell’amore. Tutta la vita cristiana è tutta fondata sull’amore e non sulla paura: “Dio ci ama e ci ama assai. L’amare Gesù Cristo è l’opera più grande che possiamo fare in questa terra”. Il Santo non esita a dire che “le conversioni fatte per il solo timore dei castighi sono di poca durata”.
Ai confessori ricordava che “se il peccatore non si vede amato non si risolve a lasciare il peccato”.
Sulle orme di S. Alfonso di Antonio Napoletano
S. Alfonso è stato sempre attento "ai segni dei tempi" che per lui si concretizzavano negli abbandonati: i lazzari delle vie di Napoli, i poveri delle montagne di Scala, i "senza speranza" della società del settecento che venivano emarginati per la loro condizione di ignoranza e di povertà.
Il sacerdote è l’uomo attento ai segni dei tempi
Sant’Alfonso non ebbe vita breve. Né il lavoro né la malattia gli tolsero subito la vita o lo posero in pensione anzitempo. Egli è uno di quegli uomini saggi che nella sua prolungata esperienza pastorale si è fortemente impegnato a conservare e trasmettere autentica e operosa la fede che professa. La sua opera teologica ascetica e morale è attenta alla problematica del suo tempo. Restano ancora valide le scelte pastorali essenziali e la chiara conoscenza delle idee propagate dal materialismo ateo, deismo, illuminismo, giansenismo, regalismo, nel ‘700 italiano ed europeo da lui indagate con estrema vigilanza.
Un brano dell’operetta "Verità della fede" ci fa comprendere come il suo scrivere era fortemente stimolato: “per tanto in questi ultimi tempi è uscita fuori una moltitudine di libri pestiferi ripieni di empietà; ma l’uno è difforme dall’altro”. Degli autori egli scrive: “Eglino si han preso la libertà di pensare; e da questa son passati alla libertà di dubitare delle verità della fede che loro sembrano non conformi alla ragione”.
Sant’Alfonso non usa l’espressione “attento ai segni dei tempi” ma parla dello “zelo del sacerdote” e scrive: “È pieno il Mondo di Sacerdoti, ma pochi sono quelli che attendono ad essere Sacerdoti”. Riferendosi ad una affermazione di San Giovanni Crisostomo scrive: “Ogni Sacerdote è come fosse il padre di tutto il mondo, e perciò deve avere cura di tutte le anime, che può aiutare a salvarsi colle sue fatiche”.
Lo zelo, o con termini attuali la carità pastorale, ci spinge ad essere vigilanti ed educatori della fede del popolo cristiano. Sant’Alfonso coinvolge tutti nel servizio pastorale e scrive: “Né serve dire: lo son semplice sacerdote, non ho cura d’anime; basta che attenda solo a me stesso. No, ogni sacerdote è tenuto ad attendere nel modo che può alla salute delle anime, secondo la loro necessità. No, che non bastano i Vescovi, e i Parroci al bisogno spirituale dei popoli. Se Dio non avesse deputati anche altri Sacerdoti ad aiutare le anime, non avrebbe provveduto abbastanza alla sua Chiesa”.
Non manca poi l’appello alla responsabilità: “Io non so come possa esser scusato da colpa un Sacerdote, che vedendo il grave bisogno delle anime del suo paese, e potendole aiutare con insegnar loro le verità della fede, o col predicare la divina parola, ed anche col sentire le loro confessioni, per sua pigrizia trascura di farlo”.
Quando sant’Alfonso parla del “fine del sacerdote” scrive: “Quali sono questi fini per cui fu costituito il sacerdozio? Solamente forse per dire la messa, e l’Ufficio, e poi vivere secondo la vita dei secolari? No, il fine di Dio è stato di stabilire sulla terra persone pubbliche, che trattino le cose di onore di sua divina maestà, e procurino la salute delle anime… Gesù Cristo ha formato i sacerdoti, come suoi cooperatori a procurare l’onore dell’eterno suo Padre e la salute delle anime… Sicché i sacerdoti sono posti al mondo a far conoscere Dio, e le sue perfezioni, la sua giustizia, la sua misericordia, i suoi precetti; ed a procurargli il rispetto, l’ubbidienza, l’amore dovuto: sono fatti a cercar le pecorelle perdute, e dar la vita per esse, quando bisogna”.
E conclude: “Il sacerdote dunque non è posto per attendere alle cose del mondo, ma solamente agli affari di Dio”.
I raduni di piazza, e poi le Cappelle serotine sono la testimonianza più concreta dell’attenzione di sant’Alfonso alle condizioni sub‑umane e subcristiane della gente più vile e d’infimo mestiere dei quartieri di Napoli che il Tannoia connota come “la feccia del popolo”.
Sant’Alfonso riuscì a trasformare i lazzaroni in cristiani convinti e santi.
Sulle orme di S. Alfonso di Antonio Napoletano
Il sacerdote è l’uomo della preghiera
Sant’Alfonso è il Dottore della preghiera. Egli in una delle sue espressioni lapidarie scrive: “Non saprà mai vivere bene chi non saprà ben pregare ”.
Egli scorge un grande legame tra la preghiera e la santità: Chi più s’avanza nell’orazione, più si avanza nella perfezione… Chi lascia l’orazione lascerà di amare Gesù Cristo”.
Per sant’Alfonso nella preghiera Dio stesso è il maestro della santità: “Nelle missioni o negli esercizi spirituali chi predica e parla non è altro che un uomo… Nell’orazione mentale quegli che parla all’anima è Dio medesimo” .
Il Santo considera la preghiera come un “parlare a tu per tu con Dio, trattare d’amicizia con Dio”. Egli scrive: “il Paradiso di Dio è il cuore dell’uomo… Non lasciate di ritirarvi spesso nella cella del vostro cuore ad unirvi con Dio… Non vi scordare della sua dolce presenza… parlategli quanto più spesso potete. Se l’amate, non vi mancherà che dirgli… Fate al mattino un patto con il Signore”.
Quando parla della preghiera sant’Alfonso intende prioritariamente la meditazione: “Chi non fa orazione mentale… poco conoscerà la stessa necessità della preghiera”, e prosegue: “Non basta pregare con la sola voce, ma bisogna pregare con lo spirito… Alcuni fanno molte orazioni vocali, ma queste, da chi non fa orazione mentale difficilmente si fanno con attenzione”.
Sant’Alfonso poi era persuaso che “un sacerdote senz’orazione è difficile che si salvi, impossibile che giunga alla perfezione, perché, tolta l’orazione, s’abbrevia la messa, si precipita l’ufficio, si predica d’altra maniera”.
Il Santo ricorda che l’orazione mentale non è un esercizio riservato ai Solitari ma anche agli Operai e scrive: “1 Santi Apostoli sono stati certamente i maggiori operai del mondo, ma vedendosi impediti a fare l’orazione costituirono i Diaconi per dedicarsi alla preghiera e al ministero della parola: prima la preghiera e poi la predicazione santa, perché senza l’orazione non riesce niente”.
Ai sacerdoti ordinava di dedicare molto tempo all’orazione: “Se vogliamo farci santi e santi operai è necessario che attendiamo all’orazione ma assai, non un quarto d’ora, né mezz’ora, assai, assai…”. Difficilmente assentiva alle scuse ed amava ripetere il detto di Seneca: “abbiamo poco tempo perché molto ne perdiamo”.
Tra lo studio e l’orazione egli sceglie la scienza dei santi: “Tanti studi… tante erudizioni, tante lingue, tante scienze diverse, sono buone sissignore, chi lo nega, possono servire, ma meglio ‑sarebbe prima lo studio della S. Scrittura, dei canoni, della dogmatica per trovarsi pronto… ma soprattutto ci è necessaria la bella scienza de’ Santi, la scienza di amare Dio, che non si studia sui libri no, si studia avanti al Crocifisso, avanti al SS. Sacramento”.
Tutti conosciamo la sua affermazione: “Io per questa divozione di visitare il sacramento, benché praticata da me con tanta freddezza ed imperfezione, mi trovo fuori del mondo”.
Tra l’azione e la preghiera sant’Alfonso preferisce una operosità infiammata da santa carità: ‘L’orazione infiamma i cuori dei santi operai. Chi più ama Dio più lo conosce… Non si nega essere utile anzi necessario lo studio ai sacerdoti; ma il più necessario è lo studio del Crocifisso… Farà più profitto una parola d’un operaio infiammato di santa carità che cento prediche fabbricate da un Teologo che poco ama Dio. Senza l’orazione poco servono le prediche. Se non siamo santi, come possiamo far santi gli altri? S’inganna chi pretende senza l’aiuto dell’orazione di ben condurre a fine il negozio della salute delle Anime: negozio quanto eccellente, altrettanto pericoloso”.
Sulle orme di S. Alfonso di Antonio Napoletano
IL SACERDOTE SECONDO
SANT'ALFONSO MARIA DE' LIGUORI (2°)
Alla domanda: Cosa deve fare il sacerdote per essere tutto di Dio? Sant’Alfonso dà quattro risposte:
‑ deve avere un grande desiderio della santità;
‑ deve fare tutto solo per dar gusto a Dio;
‑ deve essere pronto a soffrire con pace tutto per Dio;
‑ deve volere ciò che vuole Dio.
Un grande desiderio della santità
“Per farsi santo, Egli scrive, non basta un semplice desiderio, ma vi bisogna un desiderio grande, una certa fame della santità. Chi ha questa beata fame, non cammina, ma corre per la via della virtù…
Chi dunque si farà santo? Chi vuol farsi santo! A chi poco ama la santità, la via è stretta e perciò molto fatica nel camminare per quella; ma chi molto ama la santità, la via è larga e vi cammina senza fatica. La larghezza dunque della via non sta nella via, ma nel cuore, cioè nella volontà di dar gusto a Dio.
Il farsi santo non è difficile a chi lo vuole”.
Confidenzialmente suggerisce ad ogni sacerdote: “Chi non ha questo desiderio di farsi santo, almeno lo domandi a Dio e Dio glielo darà”.
Dar gusto a Dio
“Tutte le sue parole, i suoi pensieri, i desideri e tutte le azioni (del sacerdote) devono essere un esercizio d’amore verso Dio…
La Sposa dei Cantici or si faceva cacciatrice, or guerriera, or vignaiuola, ed ortolana; ma sotto questi diversi esercizi sempre faceva la stessa figura d’amante perché tutto faceva per amor del suo Sposo.
Così anche il sacerdote quanto dice, quanto pensa, quanto soffre e quanto fa: o celebra, o confessa, o predica, o fa orazione, o assiste a’ moribondi, o si mortifica, o fa altra azione, tutto deve essere uno stesso amore, perché tutto deve farlo per piacere a Dio”.
Commentando Mt 7,22 scrive: “quanti sacerdoti nel giorno del giudizio diranno a Gesù Cristo: Signore, noi abbiamo fatte prediche, celebrate messe, intese confessioni, convertite anime, assistito a’ moribondi. E il Signore risponderà: andate via, io non vi ho mai conosciuto per miei ministri, perché non avete faticato per me, ma per la vostra gloria o interesse ”.
Deve soffrire con pace
“Gesù Cristo vuole essere da noi portato con pace e allegrezza: chi lo porta con tedio o con lamenti, non lo porta ma lo trascina per forza.
Nella pazienza dobbiamo farci conoscere per veri ministri di Gesù Cristo.
Molti dotti sanno molte cose, ma poi non sanno sopportare niente per Dio e quel che è peggio non sanno neppure conoscere il gran difetto della loro impazienza. A che serve la scienza a chi non ha la carità?”.
Deve volere ciò che vuole Dio
Tutto il nostro bene sta nell’unirci alla volontà di Dio. Sant’Alfonso preferisce il termine “uniformità” e ne dà la ragione: “procuriamo non solo di conformarci alla sua divina volontà, ma uniformarci a quanto Dio dispone. La conformità importa che noi congiungiamola nostra volontà alla volontà di Dio; ma l’uniformità importa di più che noi della volontà divina e della nostra ne facciamo una sola sì che non vogliamo altro se non quello che vuole Dio, e la sola volontà di Dio sia la nostra.
Sulle orme di S. Alfonso di Antonio Napoletano
IL SACERDOTE SECONDO
SANT'ALFONSO MARIA DE' LIGUORI (1°)
Il sacerdote è l’uomo tutto di Dio
È convinzione di sant’Alfonso che Dio non poteva fare il sacerdote più grande nel mondo di quel che l’ha fatto. Perciò il sacerdote dal giorno che è stato ordinato non è più suo ma di Dio.
A livello di scelta personale il Santo propone che Dio debba essere sempre il Signore del cuore e l’unica ricchezza del sacerdote. Più concretamente scrive: “il sacerdote non è posto per attendere alle cose del mondo ma solamente alle cose di Dio”.
L’indicazione fondamentale che sant’Alfonso offre al sacerdote per essere tutto di Dio è l`amore”.
“Per essere tutti di Dio, bisogna che diamo a Dio l’amore nostro intero, non diviso. Non può essere tutto di Dio, chi ama qualche cosa che non è Dio o non l’ama per Dio.”
Un sacerdote senza amore si può chiamare sacerdote ma non esserlo. Il motivo di questo amore è posto nel fatto che “per fare un sacerdote, è stata necessaria la morte di Gesù Cristo. Gesù è morto per fare un Sacerdote”.
Sulle orme di S. Alfonso di Antonio Napoletano