La semplicità:
alla Madre Teresa stava tanto a cuore questa virtù. La insegnava, la raccomandava vivamente, ne dava l’esempio. Ci diceva:
a) “la caratteristica dell’Oblata è la semplicità per la sua vocazione specifica di anima riparatrice;
b) che Gesù non sopporta nelle sue Oblate le finzioni e i sotterfugi, tanto che fin dall’inizio della fondazione dell’Istituto, quando qualcuna aveva in sé l’inclinazione a questi difetti contrari alla semplicità e non lavorava seriamente su se stessa per combatterli, il Signore faceva sì che uscisse da se stessa dall’Istituto”.
L’esperienza, durante la mia vita religiosa, mi ha fatto constatare come risultavano vere le suddette parole della Madre Teresa a riguardo della semplicità.
Gli ultimi anni di sua vita la Madre è stata sempre a letto, seduta, con la schiena appoggiata a vari guanciali, l’uno sull’altro, e naturalmente la schiena si era curvata parecchio. Un giorno ella disse a Suor M. Celestina Rutigliano: «Appena sarò morta, toglietemi i guanciali, affinché il corpo si distenda».
Infatti, Suor M. Celestina si trovò a Grottaferrata il 3 aprile 1937 giorno in cui la Madre Teresa morì, ed ella ricordando le suddette parole della Madre, compì subito il pietoso compito che le era stato chiesto. In seguito raccontò che, appena tolse i guanciali alla Madre Teresa, si sentì uno scricchiolio di ossa e il suo corpo si distese immediatamente su quella povera piccola branda, che per circa sette anni aveva fatto le veci di altare, su cui si era consumata la vittima del Cuore trafitto di Gesù.
Ricordo la Madre Teresa:
a) Con affetto, perché Madre (Fondatrice) della nostra Congregazione Religiosa, che ha generato con tanta preghiera, penitenze e inauditi sacrifici.
b) Con riconoscenza, perché a lei Gesù ha svelato la Sua intima tristezza e ha fatto la richiesta di “consolare il Suo trafitto Cuore, offrendoGli riparazione e impetrazione per la santità dei Sacerdoti”.
c) Con ammirazione, perché è stata docile alla grazia, così Gesù ha potuto servirsi di lei come strumento per inviare un nuovo messaggio alla Chiesa.
d) Come modello da imitare, avendo ella trasmesso il suo carisma alla sua Famiglia Religiosa, così che altre anime possano continuare a soddisfare i desideri del Cuore trafitto di Gesù.
Roma, Casa Generalizia, 1979
Suor Maria Cesira Pirro Oblata del Sacro Cuore di Gesù
IL NOSTRO CARISMA DI OBLATE
Affinché una pianta cresca bene e produca frutti è necessario aver cura delle radici; rimuovere spesso il terreno, irrorale, mettere dei fertilizzanti, ecc. Solo così i suoi rami crescono bene, si fortificano, danno frutti buoni.
Potrei paragonare la nostra Congregazione Religiosa ad un piccolo albero, le cui radici affondano in una zona particolare della Chiesa. Un carisma importante, manifestato da Gesù alla nostra Madre Teresa Casini. Importante per due motivi:
1) Riguarda Gesù, il suo Cuore trafitto che chiede di essere consolato con amore riparatore affettivo ed effettivo.
2) Riguarda i suoi Sacerdoti, scelti come suoi collaboratori nel mistero della redenzione dell’umanità, per essere i canali attraverso i quali passa la grazia sacramentale alle anime per salvarle.
Purtroppo il progetto di amore di Gesù viene talvolta rovinato dai Sacerdoti che, con le loro infedeltà, feriscono il suo Cuore, lo trafiggono, vengono meno al loro compito di santificarsi in modo sovrabbondante e alla loro missione verso le anime.
L’Oblata ha il compito di comprendere questo carisma donato a lei da Gesù tramite la Madre Teresa. Se non è compreso, non è amato e in conseguenza non diventa cita della propria vita, lievito che fa fermentare la massa della propria esistenza quotidiana. Quindi: va dall’Oblata curato in se stessa, irrorato, fertilizzato, affinché le radici, che sono nel proprio cuore e nel proprio animo, forniscano continuamente la linfa necessaria per dare a Gesù ciò che richiede il “suo carisma” e il valido contributo affinché il carisma porti frutti buoni alla Chiesa, ai Sacerdoti, all’Istituto, alle anime del mondo , ovunque si trovino.
Il carisma dell’Oblata proviene direttamente da Gesù, dall’esigenza del Suo Amore non corrisposto, anzi, molte volte, offeso. Gesù si rende “mendicante” presso l’Oblata, chiede “amore che consola e ripara”. E’ un carisma contemplativo. Ma è anche un carisma attivo: abbraccia e si estende a tutti i Sacerdoti del mondo, quindi è universale.
La prima attività dell’Oblata è spirituale; nasce e scaturisce dalla “contemplazione del Cuore trafitto di Gesù”, dalla partecipazione all’amore di Gesù per i suoi Sacerdoti e per aiutare Gesù e i Sacerdoti a salvare le anime. Cristo salva le anime: il piccolo contributo dell’Oblata è una goccia nel mare immenso della Divina Misericordia, che Egli anela a riversarsi su tutti i Sacerdoti del mondo e sull’umanità.
Tutti i Sacerdoti sono: • Eletti fra il popolo di Dio; • Ministri di Cristo; Suoi collaboratori • Chiamati a dispensare alle anime i suoi doni Divini di grazia e di Amore; • Racchiudono in se stessi un grande tesoro in vasi di argilla; • Quindi : “soggetti alla fragilità umana”. Anche le Oblate racchiudono in se stesse: “ un grande tesoro (il carisma) in vasi di argilla”.
Perché Gesù ha affidato questo tesoro alla nostra Congregazione e a ciascuna Oblata? Perché si corrisponda al “Suo progetto di Amore” con umiltà e con fervore per aver scelte le Oblate ad essere sue collaboratrici in ciò che ha di più caro; tenendo presente che è Gesù che rende fecondo il loro lavoro intimo.
E’ lodevole l’interessamento della Chiesa di rifornire le energie spirituali allele anime consacrate a Dio con “la formazione permanente” in tutti i modi possibili, sia da parte dei propri Superiori circa il “carisma” che da Sacerdoti (ma qualificati, affinché contribuiscano davvero alla formazione permanente delle Oblate).
Il primo periodo della formazione: “Probandato, Noviziato, Juniorato” è insufficiente a formare l’Oblata per una spiritualità così grande e delicata. Tuttavia è un periodo importantissimo, da valorizzare in tutti i particolari, perché l’Oblata non è una “Religiosa qualsiasi” ma una religiosa che ha ricevuto la fiducia di Gesù nel confidarle le “Sue pene, il Suo Amore tante volte offeso o deluso, la domanda di donarGli conforto in riparazione”.
L’Oblata deve “immedesimarsi” di qualsiasi cosa che costituisce la formazione permanente, affinché ne tragga profitto. Tutto concorre al bene dell’Oblata che ama Cristo e allo scopo per cui Cristo l’ha chiamata nella vita di consacrazione a Lui, per Lui, per i Sacerdoti, per tutte le anime. Nulla deve essere sottovalutato per tanti motivi deleteri che possono sorgere nelle Comunità o nelle singole Oblate.
Gli esercizi di pietà prescritti dalle Costituzioni ed ogni cosa, contribuiscono alla formazione permanente: sono come l’olio che si rifonde nella lampada per tenerla sempre viva e ardente. La partecipazione quotidiana al Santo Sacrificio, la preghiera dell’Ufficio Divino, la meditazione quotidiana, la recita del santo Rosario; l’adorazione eucaristica quotidiana; la lettura spirituale; le “Piccole Norme” scaturite dal cuore della Madre Teresa, che era impregnato dall’amore di Cristo, per aiutare le sue Figlie nel cammino spirituale; la lettura spirituale durante la mensa (sia pure per pochi minuti) significa nutrire anche l’anima, non solo il corpo, e omettendola si metterebbe l’Oblata a livello degli animali che si nutrono per vivere, senza avere la coscienza del cibo che è dono di Dio.
Non continuo ad elencarle, ma si tenga conto di tutte le altre pratiche di pietà dovute dalle Oblate. Ognuna porta il suo contributo alla formazione permanente, come ogni cibo, differente l’uno dall’altro, dona beneficio e vitalità all’essere umano. Tutto è importante per la vitalità del carisma e deve essere considerato come un faro che illumina sempre, specie nelle ore delle tenebre. Iddio dona al creato una novità perenne: ogni giorno è differente dall’altro: per la temperatura; per il proiettarsi del sole; per il cielo sereno o nuvoloso; per la pioggia; per la neve; per le piante che crescono o avvizziscono; per i fiori nella loro stupenda varietà e brevità di vita; per il mare ora calmo e limpido ed ora tempestoso e talvolta crudele per ciò che rovina e travolge. Si potrebbe continuare un elenco interminabile analizzando la natura e tutto ciò che esiste nel creato. L’Oblata non è esente dalla novità quotidiana: fa parte del creato e in più ha un’anima a immagine e somiglianza di Dio; un’anima sensibile, suscettibile al bene e al male. La stupenda vocazione donata a lei da Dio, non elimina in lei la triste capacità di condiscendere al male, ai difetti naturali di carattere, alla tendenza a deludere le aspettative di Cristo. Ecco l’importanza della formazione permanente. La grazia di Dio agisce in lei perché Gesù l’ama con amore infinito per renderla idonea ai Suoi Divini desideri.
La Beata Teresa Casini
raccontata
da una sua grande figlia:
suor Maria Cesira Pirro
(episodi uditi raccontare dalle prime Suore)
"Se tu guardi le colpe,
Signore,
chi potrà resistere?"
Un sacerdote senza amore è un corpo senz'anima. Più di ogni altro, il sacerdote dev'essere in balia del mio Spirito, lasciarsi condurre e animare da lui.
Pensa ai sacerdoti caduti, molti dei quali hanno tante scuse: mancanza di formazione, mancanza di ascesi, mancanza di sostegno fraterno e paterno, cattivo uso delle loro possibilità, donde delusione, scoraggiamento, tentazioni e il resto... Non sono mai stati felici, e quante volte hanno provato la nostalgia del divino! Non credi che nel mio cuore io abbia più potenza nel perdonare di quanti non ne abbiano avuta loro nel peccare?
Accoglili fraternamente nel tuo pensiero e nella tua preghiera. È anche attraverso di essi, nei quali non tutto è cattivo, che io opero la redenzione del mondo. Vedi me in ciascuno di essi, talvolta piagati e sfigurati, ma adora in essi ciò che resta di me e farai rivivere la mia Risurrezione in tutti.
La Beata Teresa Casini
raccontata
da una sua grande figlia:
suor Maria Cesira Pirro
(episodi uditi raccontare dalle prime Suore)
La Madre Teresa vedeva che il suo fisico si rendeva sempre più sofferente, specie con l’artrosi deformante, e decise di trasferirsi nuovamente a Grottaferrata, in quella casa che le ricordava le primizie della fondazione dell’Istituto, le preghiere, i sacrifici, le sofferenze, pur di soddisfare i desideri del Cuore trafitto di Gesù.
Il 6 agosto 1930 partì, lasciando alle sue Figlie il ricordo dei vari posti dove le riuniva per le conferenze spirituali, per i colloqui privati nella cameretta squallida a pianterreno, o nel chioschetto in giardino, formato dai molti arbusti di glicine che col loro ricco fogliame lo rendevano fresco e riposante. Soprattutto il suo posto in Cappella, dove le Suore ricevevano sempre un tacito esempio di orazione attenta e devota.
A Grottaferrata ella si trovò di nuovo di fronte al bisogno assillante del suo animo di Fondatrice, di dover contribuire alla formazione delle Probande e Novizie allo spirito dell’Istituto. Le parve che il Signore volesse che ella trasferisse di nuovo il Noviziato da Roma a Grottaferrata, tanto più che i piccoli amici di Gesù erano aumentati e al Castelletto Medici e non c’era spazio più per il Noviziato. Ed eccola di nuovo a pregare per tal motivo, a consigliarsi ed infine ad inoltrare domande alle Autorità Ecclesiastiche di Frascati e di Roma. Poi il trasferimento del Noviziato da Roma a Grottaferrata.
I ricordi della permanenza a Roma della Madre Teresa non si affievolirono mai, nonostante il passare degli anni, e si tramandavano con tutti i particolari alle giovani Oblate che andavano a vivere al Castelletto.
Il 16 luglio 1960, dopo tante trattative e vicende con Propaganda Fide, consegnammo le chiavi del Castelletto a Mons. Antonio Mazza- Segretario della Pontificia Opera di Propaganda Fide – per il nostro trasloco alla nuova Casa Generalizia dell’Istituto, in Roma – Via del Casaletto, 56 (poi 128).
Tutte noi oblate provammo tanta gioia, ma anche tanto rimpianto:
1) Gioia: a) Di trasferirci definitivamente in una casa nostra, sufficiente di locali per le Suore, per i Piccoli Amici e per le educande chiamate familiarmente "Sorelline", con gli ambienti necessari alla vita, ariosi, igienici, circondati di molto spazio per far giocare i bambini. Durante la permanenza di molti anni al Castelletto, l’amore per Dio, l’accettazione serena della nostra povertà, la buona volontà e spirito di sacrificio delle Suore, avevano colmato tante carenze dei due edifici dell’antico Castelletto. Finalmente si realizzava una migliore sistemazione! b) Gioia: perché liberate dalle continue pressioni di Propaganda Fide che avendo comprato il Castelletto dagli “eredi Medici” ne voleva assolutamente la riconsegna da parte nostra per ampliare l’Opera del Collegio S. Pietro per il Clero Indigeno. La loro idea era ottima, ma noi Oblate dove dovevamo andare?
2) Rimpianto: per il Castelletto a cui tutte le Oblate ci sentivamo affezionate per il lungo periodo di permanenza là dell’Istituto: 14-8-1914/15-7-1960. Due date memorabili nella piccola storia del nostro Istituto!.... Quanti ricordi della venerata Madre Teresa e dell’Istituto si lasciavano là!... Si perdeva anche la visuale della cupola di S. Pietro, a noi tanto cara. Il Castelletto era come un balcone sul Vaticano e sulla zona circostante.
PREGHIERA
DEL SACERDOTE
A GESU'
Sta' con me, Signore,
e io inizierò a risplendere come tu risplendi,
a risplendere fino ad essere luce per gli altri.
La luce, o Gesù, verrà tutta da te:
nulla sarà merito mio.
Sarai tu a risplendere,
attraverso di me, sugli altri.
Fa’ che io ti lodi così
nel modo che tu più gradisci,
risplendendo sopra tutti coloro
che sono intorno a me.
Dà luce a loro e dà luce a me;
illumina loro insieme a me, attraverso di me.
Insegnami a diffondere la tua lode,
la tua verità, la tua volontà.
Fa’ che io ti annunci
non con le parole ma con l’esempio,
con quella forza attraente,
quella influenza solidale
che proviene da ciò che faccio,
con la mia visibile somiglianza ai tuoi santi,
e con la chiara pienezza dell’amore
che il mio cuore nutre per te.
Amen
Venerabile monsignor Fortunato Maria Farina, Vescovo di Troia e Foggia
( 10 agosto 1919-20 febbraio 1954)
Monsignor Farina viveva in Dio, perennemente e non soltanto nel tempo delle sue preghiere fervidi e prolungate, che tante volte gli occupavano anche le ore della notte.
Respirava Dio e traspirava Dio. Era in permanenza abitato da Dio.
Testimonianza di don Raffaele Castiello
LA DEVOZIONE DEL VENERDÌ
Il Venerdì è il giorno dedicato alla Passione e al Sacro Cuore di Gesù, per ringraziare il Signore dell’istituzione della Confessione e pregare per i peccatori, per i moribondi e per i nemici, in riparazione delle bestemmie e per la santità dei Sacerdoti che hanno il potere di amministrarci il perdono di Dio e il Suo Corpo e il Suo Sangue.
OFFERTA QUOTIDIANA DEL PREZIOSISSIMO SANGUE
Eterno Padre ti offro per le mani purissime di Maria Corredentrice il Sangue Preziosissimo di Gesù, sparso generosamente nella Passione e ogni giorno sugli altari; unisco le preghiere, le azioni, le sofferenze mie di questo giorno, secondo le divine intenzioni della Vittima Santa, in isconto dei miei peccati, per la conversione dei peccatori, per i bisogni della S. Chiesa. In particolare te l'offro per la santificazione dei Sacerdoti.
PREGHIERA AL PREZIOSISSIMO SANGUE
Signore Gesù Cristo, che ci hai redenti con il tuo Sangue prezioso, noi ti adoriamo! Prezzo infinito del riscatto dell'universo, mistico lavacro delle anime nostre, il tuo Sangue divino è il pegno della nostra salvezza presso il Padre misericordioso.
Sii sempre benedetto e ringraziato, Gesù, per il dono del tuo Sangue, che con Spirito di amore eterno hai offerto fino all'ultima stilla per farci partecipi della vita divina. Il Sangue, che hai versato per la nostra redenzione, ci purifichi dal peccato e ci salvi dalle insidie del maligno. Il Sangue della nuova ed eterna alleanza, nostra bevanda nel sacrificio eucaristico, ci unisca a Dio e tra di noi nell'amore, nella pace e nel rispetto di ogni persona, specialmente dei poveri.
O Sangue di vita, di unità e di pace, mistero d'amore e sorgente di grazia, inebria i nostri cuori del Santo Spirito. Signore Gesù vorremmo compensarti delle ingratitudini e degli oltraggi, che ricevi continuamente dai peccati delle tue creature. Accetta la nostra vita in unione con l'offerta del tuo Sangue, perché possiamo completare in noi ciò che manca alla tua passione per il bene della Chiesa e per la redenzione del mondo.
Signore Gesù Cristo, fa' che tutti i popoli e tutte le lingue ti possano benedire e ringraziare qui in terra e nella gloria dei cieli con il canto di lode: «Ci hai redenti, o Signore, con il tuo Sangue e hai fatto di noi un regno per il nostro Dio». Amen.
CONSACRAZIONE AL SACRO CUORE DI GESÙ
(di Santa Margherita Maria Alacoque)
Io (nome e cognome), dono e consacro al Cuore adorabile di nostro Signore Gesù Cristo la mia persona e la mia vita, le mie azioni, pene e sofferenze, per non voler più servirmi d'alcuna parte del mio essere, che per onorarlo, amarlo e glorificarlo. E' questa la mia volontà irrevocabile: essere tutto suo e fare ogni cosa per suo amore, rinunciando di cuore a tutto ciò che potrebbe dispiacergli.
Ti scelgo, o Sacro Cuore, come unico oggetto del mio amore, come custode della mia via, pegno della mia salvezza, rimedio della mia fragilità e incostanza, riparatore di tutte le colpe della mia vita e rifugio sicuro nell'ora della mia morte. Sii, o Cuore di bontà, la mia giustificazione presso Dio, tuo Padre, e allontana da me la sua giusta indignazione. O Cuore amoroso, pongo tutta la mia fiducia in te, perchè temo tutto dalla mia malizia e debolezza, ma spero tutto dalla tua bontà. Consuma, dunque, in me quanto può dispiacerti o resisterti; il tuo puro amore s'imprima profondamente nel mio cuore, in modo che non ti possa più scordare o essere da te separato.
Ti chiedo, per la tua bontà, che il mio nome sia scritto in te, poichè voglio concretizzare tutta la mia felicità e la mia gloria nel vivere e morire come tuo servo. Amen.
INVOCAZIONI AL SACRO CUORE
Amore del Cuore di Gesù, infiamma il mio cuore.
Carità del Cuore di Gesù, diffonditi nel mio cuore.
Forza del Cuore di Gesù, sostieni il mio cuore.
Misericordia del Cuore di Gesù, rendi dolce il mio cuore.
Pazienza del Cuore di Gesù, non ti stancare del mio cuore.
Regno del Cuore di Gesù, stabilisciti nel mio cuore.
Sapienza del Cuore di Gesù, ammaestra il mio cuore.
Giovedì:
giornata eucaristica
Davanti alla maestà e alla santità di Dio non siamo in ginocchio come schiavi. Siamo degli innamorati in compagnia dei serafini, abbagliati di fronte allo splendore di Dio che riempie della sua silenziosa Presenza il tempio del nostro cuore.
Robert cardinale Sarah
La Beata Teresa Casini
raccontata
da una sua grande figlia:
suor Maria Cesira Pirro
(episodi uditi raccontare dalle prime Suore)
La Madre Teresa si era stabilita a Roma, al Castelletto Medici, che aveva preso in affitto. In quel periodo avvenne un episodio non comune.
In Roma circolava una forma di epidemia di vaiolo.
Una mattina una Suora Assistente dei Piccoli Amici di Gesù si recò dalla Madre e le disse, con evidente preoccupazione, che non aveva fatto alzare i bambini di un dormitorio, perché avevano la febbre ed i loro volti erano cosparsi di macchie rosso-nerastro.
La Madre fece chiamare subito suo fratello Alessandro che era medico e in quel periodo si trovava a Roma. Costui nel guardare i bambini rimase sorpreso e preoccupato, dicendo: «E’ vaiolo, è una malattia grave e infettiva!».
Doveva inoltrare subito la “Denuncia” all’Ufficio di Igiene e Sanità, con conseguente chiusura del Collegio. La Madre gli rispose di soprassedere. Appena il fratello fu andato via, prese l’aspersorio con l’acqua benedetta, e, animata da viva fede nella potenza divina, asperse i letti con i bambini malati, esortandoli a dormire.
Alla Suora Assistente disse di chiudere la porta e le imposte delle finestre e di riaprirle solo dopo mezzogiorno par portare ad essi da mangiare. La Suora eseguì ogni cosa fedelmente e quale non fu la sua meraviglia riaprendo la porta a mezzogiorno, nel vedere i bambini vispi e allegri; sui loro volti erano scomparse completamente quelle macchie.
Fu chiamato subito il Dott. Alessandro, il quale con grande sorpresa constatò la completa guarigione dei bambini, dovuta senz’altro a un miracolo. Chiese cosa era accaduto, e la Suora narrò dell’aspersione fatta dalla Madre con l’acqua benedetta.
Il Dott. Alessandro soggiunse: «Sono cose che fa Teresa», volendo dire che la guarigione così improvvisa era da attribuire ad un miracolo ottenuto da Dio.
A Roma, al Castelletto Medici, la cucina era al pianterreno e si accedeva anche dal giardino, la cui porta era quasi sempre aperta per avere luce e aria. Si passava continuamente dinanzi per andare in portineria, al parlatorio, al Collegio, che era un edificio staccato da quello della Comunità.
Un giorno c’erano persone estranee in giardino, ed avevano con loro una bimbetta di pochi anni. Questa eludendo i parenti intenti a parlare con la Suora, entrò subito in cucina, proprio nel momento che le due Suore cuoche avevano scolato la pasta e deposto a terra il grande recipiente di acqua bollente.
La bambina si avvicinò al recipiente per guardare e nel voltarsi cadde seduta dentro l’acqua bollente, gridando disperatamente. Le Suore intente al loro lavoro presso il tavolo, non si erano accorte della presenza della bimba in cucina. Fu un attimo di spavento e di fiducia.
Una Suora tirò fuori dall’acqua la bimba che era talmente scottata da far rabbrividire. L’altra Suora corse all’attaccapanni nel corridoietto attiguo alla cucina, prese la sciarpa bianca di lana della Madre Teresa e con essa avvolse la bimba. che immediatamente si calmò e smise di gridare.
Era avvenuto un miracolo: alla bambina era scomparsa l’enorme scottatura che avrebbe potuto cagionarle la morte.
Le Suore della cucina alle quali era accaduto questo doloroso episodio, lo raccontavano a noi giovani del Noviziato. Esse e le Consorelle, ormai sapevano che se succedeva qualcosa di grave, potevano ricorrere a qualche indumento usato dalla Madre Teresa, con la fiducia di ottenere aiuto.
Frutta di stagione
Il Signore,
a seconda delle diverse stagioni della vita,
fa maturare i suoi doni per noi.
Nella mia campagna – mi informa Steno - coltivo un genere particolare di ciliegie: sono proprio speciali, maturano tutte nello spazio di dieci giorni. Vieni in quei giorni – mi invita - e ne potrai raccogliere quante te ne occorrono per te e per il tuo convento.
Ringrazio la sua sollecitudine e, andandomene, cerco di memorizzare la data…Non nascondo che mi piacciono le ciliegie in genere, ma in modo particolare quel tipo, quel sapore.
Mi immergo nei mie impegni, nella vita di casa…Trascorso un certo tempo, mi venne in mente Steno, la frutta di stagione. Avevo letteralmente dimenticato le date precise della maturazione. Vi andai ugualmente sperando di indovinare…Ma…
- Andrea, il momento di queste ciliegie particolari, come ti dicevo, è breve ed ormai è già passato. Sei venuto giorni fa, ma erano ancora acerbe; sei venuto oggi, ma sono già state raccolte e…mangiate dal mercato.
- Pazienza…tornerò alla prossima stagione, me lo segno per non dimenticarlo.
Grazie Steno. Ogni volta che mi scuoto, dopo aver perso l’occasione…ripenso all’espressione di Agostino che invita a prestare attenzione al momento in cui passa il Signore; come a dire: sappi che Lui, a seconda delle diverse stagioni della tua vita, fa maturare i suoi doni per te, proprio per quel momento che vivi, precisamente per quella tua necessità.
Meraviglia! La stagione è già qui…il Signore sta passando ora! Ecco il momento favorevole! Cogli l’attimo adesso.
Padre Andrea Paont O.C.D.
Mons. Gaetano Pollio
Arcivescovo di
Salerno-Campagna-Acerno
Nato a Meta di Sorrento il 30 dicembre 1911, fu ordinato sacerdote del Pontificio Istituto Missioni Estere il 22 settembre 1934. L’anno successivo venne inviato in missione a Kaifeng, città della provincia cinese dello Henan. Dopo il martirio del locale vescovo Tacconi, il giovane Pollio resse le sorti della Missione che si trovava nei territori occupati dai giapponesi durante la seconda guerra mondiale.
Il 12 dicembre 1946 fu nominato arcivescovo di Kaifeng, ricevendo l’ordinazione nel successivo 13 aprile 1947. Nel giugno 1948 la sua regione fu sconvolta dallo scontro tra nazionalisti e comunisti: questi ultimi, presa la città di Kaifeng, inizialmente lo forzarono a staccarsi dall’autorità della Chiesa cattolica per aderire alla Chiesa riformata, cioè al “Movimento della triplice indipendenza”. Monsignor Pollio però si oppose, perché questo Movimento negava alcuni dogmi della Chiesa, prevedeva la separazione dal Papa e strumentalizzava politicamente il Cattolicesimo. Nel Natale del 1950 ebbero inizio le persecuzioni contro i cattolici e nazionalisti, Il primo aprile 1951 il missionario del PIME venne arrestato e condotto in carcere con l’accusa di essere imperialista, invasore e nemico del popolo. Fu sottoposto ad un regime carcerario estremamente duro. Scriveva infatti che: «Fui addetto ai lavori più umili, più avvilenti e ripugnanti. Insieme con ex-generale dell’esercito nazionalista, con un professore d’università e con altri detenuti dovevo impastare lo sterco con la terra, riempirne dei cesti e caricarli sui carretti».
La sua detenzione durò sei mesi, durante i quali il missionario subì 32 processi penali. L’arcivescovo raccontava di come vennero mosse contro di lui accuse inventate e pronunciate da falsi testimoni per portarlo a confessare delitti che non aveva mai compiuto. Le colpe più gravi che gli vennero attribuite erano due: quella di avere istituito la “Legio Mariae” che, secondo i maoisti, sarebbe stata un’organizzazione sovversiva con lo scopo di abbattere il regime del popolo nell’interesse degli imperialisti; e quella di avere sospeso dai sacramenti gli aderenti alla chiesa nazionale. Scriveva così nel suo diario «Le torture dei comunisti cinesi sono terribili; le confessioni, con la morte che ne segue o con la condanna ai lavori forzati, sono l’unica via per mettere termine a una vita impossibile. I giudici stavano fiaccando il mio fisico».
Tuttavia la volontà e la fede di monsignor Pollio non vennero annientate e l’Arcivescovo riuscì a celebrare clandestinamente la Santa Messa per ben 52 volte. Nell’agosto del 1951 il regime, a causa della sua resistenza, decise di trasferirlo nel carcere del tribunale militare, dove le torture erano ancor più disumane e dove venivano rinchiusi i peggiori criminali.
La testimonianza di Monsignor Pollio si conclude con il racconto dell’umiliante giudizio popolare, a cui fu sottoposto insieme a due altri suoi compagni missionari e che avrà come esito il suo esilio da Kaifeng e dalla Cina nell’ottobre del 1951. «Davanti a quel furore popolare, nel sentire tante infami calunnie, e alla vista di quei pavidi cristiani, nel mio animo prevalse un sentimento: quello del perdono. Perdonali tutti».
Nell’ottobre del 1951 fece finalmente ritorno in Italia. Nonostante la sofferenza e le umiliazioni patite, monsignor Pollio concludeva così il suo diario: «Ora sono in patria» in Italia. «E, pur sentendomi circondato da affetto e stima, il mio cuore è rimasto laggiù; è rimasto a Kaifeng. È un cuore che piange sulle distruzioni, sulle chiese profanate, sulla sanguinosa bufera che ha travolto le nostre missioni mettendo a dura prova i cristiani. Un’unica speranza mi sostiene nell’esilio; riprendere il cammino, varcare di nuovo i mari, ritornare laggiù a Kaifeng per vivere il resto della vita fino all’ultimo respiro per la ricostruzione della missione, per l’espansione del regno di Gesù».
Dopo un periodo passato presso il PIME, l’8 settembre 1960 fu nominato Arcivescovo di Otranto. Il 5 febbraio 1969 fu nominato Arcivescovo di Salerno e amministratore perpetuo di Acerno. Fece il suo ingresso in diocesi il 13 aprile 1969. Il 4 agosto 1973 fu nominato anche Vescovo di Campagna.
Dal 9 novembre 1968 al 5 febbraio 1969 fu Amministratore apostolico della Diocesi di Ugento-Santa Maria di Leuca.
Colpito da una grave malattia, il 20 ottobre 1984 rassegnò le dimissioni da Arcivescovo di Salerno-Campagna-Acerno.
L’arcivescovo tornò di nuovo a Salerno, il 2 aprile 1990, per ricevere la cittadinanza onoraria, decisa all’unanimità dal Consiglio Comunale della Città.
Sarebbe tornato ancora in città, alla sua morte, e qui fu sepolto, nella Cattedrale . Morì il 13 marzo 1991.
La Beata Teresa Casini
raccontata
da una sua grande figlia:
suor Maria Cesira Pirro
(episodi uditi raccontare dalle prime Suore)
La Madre Teresa nutriva sempre tanta riconoscenza verso i benefattori dell’Istituto, viventi e defunti. Il suo animo era sensibile verso tutti, senza tener conto se da loro aveva ricevuto poco o molto. Tra questi Mons. Salvatore Frattocchi che aveva molta stima della Madre Teresa per la sua virtù e per lo scopo apostolico sacerdotale che ella nutriva in sé.
Il suo nome ci veniva segnalato dalla Madre come benefattore dell’Istituto. Infatti, quando fu terminata la costruzione della Chiesetta annessa alla casa, Mons. Fratocchi donò un Tabernacolo di valore, in marmo pregiato, con la porticina in finissimo mosaico a colori con simboli artistici, che tuttora dopo circa un secolo, è ancora bello che sembra nuovo. Molti altri doni Egli offrì alla Madre a Grottaferrata.
Anche il Cardinale Serafino Vannutelli – Vescovo della Diocesi Suburbicaria di Frascati da cui dipende Grottaferrata -, aveva grande stima della Madre Teresa e delle sue prime compagne, per la virtù che praticavano, specie l'assoluta povertà, tanto che soleva chiamare la nostra casa: “la piccola Betlemmme”.
La situazione penosa del disinteresse del P. Abate, Don Arsenio Pellegrini, verso la nostra Opera perdurava. Un giorno il P. Abate mandò un biglietto alla Madre, in cui diceva che non voleva più interessarsi dell’Opera, dato che era stato chiesto un Confessore straordinario, suggerito dal P. Gallois di Roma, che la Madre aveva conosciuto un giorno per essersi confessata da lui nella Chiesa dei Maristi. Ricevuto questo biglietto, la Madre che andava a Roma per accompagnare Suor M. Paola Tiberi la quale doveva curarsi gli occhi, andò pure a consigliarsi con il P. Gallois e con Mons. Fratocchi, come doveva regolarsi. Tanto l’uno che l’altro, indipendentemente, le consigliarono di non rispondere al P. Abate, ma di recarsi dal Vescovo della Diocesi, il Cardinale Satolli.
Il Card. Satolli era il successore del Card. Vannutelli. La Madre Teresa non era mai andata ad ossequiarlo perché il P. Abate non glielo permetteva. In seguito al consiglio ricevuto da queste persone di sua fiducia, la Madre Teresa andò dal Vescovo di Frascati, insieme a Sr M. Paola Tiberi. Fu ricevuta e ascoltata paternamente dal Vescovo. Quando la Madre finì di esporre la fondazione dell’Opera, la situazione incresciosa in cui si trovavano, il Cardinale Satolli domandò: «Che cosa intendete di fare adesso?». La Madre umilmente rispose: «Mettere l’Opera nelle mani dell’Eminenza Vostra». Il Cardinale aggiunse: «Mi avete levato un peso dal cuore».
In seguito a questo colloquio il Card. Satolli mandò Mons. Filippone di Frascati, che visitò la casa, fece l’ascolto delle Suore, da cui il Cardinale si rese conto della vita austera, povera e penitente in cui vivevano, dello spirito dell’Opera, e dell’autenticità della relazione fattagli dalla Madre. Il Card. Satolli prese a cuore l’Opera delle “Vittime” vedendo nella Madre Teresa una persona che dava affidamento, e cercò d aiutarle in ogni modo, anche con elargizioni spontanee di offerte, vedendole così povere.
Suor M. Paola Tiberi raccontava che la Madre Teresa, e lei che aveva l’ufficio di Economa, con tanta pena vedevano che di mese in mese il conto del pane aumentava sempre più. E’ vero che il fornaio Ricci- di Poggio Tulliano – era tanto buono da concedere tempo, avendo fiducia nel fatto che erano Suore, però il conto aveva raggiunto la somma di Lire 7.000 (settemila). Il fornaio giustamente chiese di rilasciargli almeno una cambiale, firmata dalla Madre Teresa e da lei che era l’Economa.
Lire 7.000, di quei tempi, erano una grande somma!.... Entrambe furono invase da angoscia non sapendo come regolarsi, e chiesero qualche giorno di tempo. Quante pene costa la fondazione di un Istituto! Ma il S. Cuore di Gesù voleva umiliare la Madre, farle sentire la povertà e farle sperimentare che l’Opera era Sua e non l’abbandonava. La Madre penso di rivolgersi al Cardinale Satolli per domandargli se poteva sottoscrivere la cambiale e andò da Lui insieme a Sr M. Paola Tiberi. Il Cardinale – essendo loro Vescovo – conoscendo la grande povertà delle Suore, e che si trattava dell’alimento necessario alla vita, volle pagare lui le 7.000 lire con sentimento di generosa carità.
Il Cardinale s’interessava paternamente dell’Opera nostra, e, dopo qualche tempo, in seguito alle relazione che la Madre gli faceva, le domandò se era propensa a cominciare qualche opera esterna. La Madre gli chiese un po’ di tempo per pensare a quale attività dedicarsi, e il Cardinale acconsentì. La Madre obbedì, vedendo nel Superiore la volontà di Dio. Cercava solo il modo di realizzare l’opera esterna senza detrimento delle prescrizioni di Regola, quale l’adorazione eucaristica di turno, l’ufficiatura, ecc… Dopo aver riflettuto comunicò al Cardinale che potevano insegnare il Catechismo ai bambini; fare la preparazione alle prime Comunioni; aprire un laboratorio per fanciulle; insegnare ad esse il canto sacro. Il Cardinale approvò.
Per quanto riguarda le fanciulle la Madre intendeva dare ad esse una buona formazione di vita cristiana, secondo i miraggi intimi dell’anima sua. Le Suore contemporanee raccontavano la premura della Madre per guidare e aiutare le fanciulle, e anche le Suore che da lei avevano ricevuto l’incarico diretto verso di esse. Successivamente, con l’approvazione del Cardinale, nel 1912, in seguito a richiesta di varie famiglie, la Madre aprì anche un educandato per fanciulle. La Madre Teresa s’impegnò per la loro istruzione, ma soprattutto per la loro formazione morale e religiosa. Instaurò un clima di famiglia, in cui le fanciulle si trovavano a loro agio.
Suor M. Chiarina Antonucci e sr M. Angelina De Santis che erano state educande, narravano che la Madre Teresa ci teneva che le educande andassero vestite bene, con divise ben fatte, di belle tinte e di bei modelli in uso; che avessero tenuto i capelli bene aggiustati e permetteva che avessero usato lo specchio. Ella diceva che, usando tutto questo con semplicità, non si sarebbero poi sbizzarrite nella frivola vanità femminile quando sarebbero diventate grandi.
Le Suore narravano che aveva un metodo pedagogico così valido, che quelle fanciulle si aprivano alla vita nella gioia e seguivano gl’insegnamenti con piacere e docilità. Infatti fecero una buona riuscita nello stato di vita a cui Iddio le chiamò. Rimasero affezionate alla Madre e all’Istituto e qualcuna si consacrò a Dio fra le Oblate.
La Madre Teresa in seguito aderì a varie richieste di apertura di Case per Asili Infantili e Laboratori per fanciulle, fra cui a Barrea (L’Aquila), a Nidastore di Acervia (Ancona). Sentiva la responsabilità del suo compito e perciò si recava personalmente nelle varie località per rendersi conto dell’ambiente e di tutto ciò che poteva essere inerente alla vita religiosa delle sue Figlie. Questa le stava tanto a cuore.
A Nidastore si trattenne circa due mesi, pur di avviare bene l’apostolato intrapreso. Non desta meraviglia che le suore Oblate erano dovunque stimate e amate per la loro abnegazione nell’apostolato che svolgevano, per le virtù che in esse si notavano. Tacitamente nelle fanciulle sorgeva il desiderio di imitarle, e in molte sorgeva la vocazione di consacrarsi anche loro a Dio. Infatti nel breve tempo trascorso a Nidastore, sorse la vocazione in Erminia Piermarioli; e in molte ragazze di Barrea e dei paesi vicini: Civitella Alfedena, Villetta, Pescasseroli, ecc….Tante altre divennero buone madri di famiglia.
Ancora oggi le persone conservano quel caro ricordo e lo dimostrano con rimpianto. Tutto questo avrebbe potuto soddisfare qualunque anima desiderosa di fare del bene nella Santa Chiesa, ma non la Madre Teresa la cui preghiera sfociava nel desiderio di avere più luce dal Signore. E la luce dello Spirito Divino illuminò pienamente il suo animo, facendole comprendere che la sua aspirazione – proveniente da Dio – di lavorare per le vocazione sacerdotali, poteva essere realizzata in modo più diretto con i bambini, educandoli e formandoli in Collegi adatti per loro.
Pregò, si consigliò con Sacerdoti saggi e prudenti, cominciò una piccola esperienza, con due bambini, poi con quattro, e quando si rese conto che poteva attuare la sua idea, ardita per quei tempi, accettò altri bambini e fondò il Collegio a Grottaferrata e a Roma al Castelletto Medici, Viale Aurelio, 2 (ora Viale delle Mura Aurelie, 2).
Senza esitazione chiuse l’educandato femminile che ivi stava a Roma, chiuse le Case di Asili e Laboratori che stavano altrove, per concentrare le Suore in questa sola Opera dei Collegi per maschietti. Avvalorata dall’esperienza, la Madre usò l’identico metodo pedagogico per i bambini, formandoli alle piccole virtù, alla sincerità, all’impegno nel loro dovere. Instaurò anche il clima di famiglia già collaudato con le fanciulle, e i bambini chiamavano le Suore “zie”, per cui si sentivano come in famiglia. Anzi le premure della Madre si moltiplicarono, nell’intento di preparare in essi un animo capace a ricevere il dono della vocazione sacerdotale, se il Signore li avesse scelti per Suoi Ministri.
Fu pertanto sua cura avviarli al servizio dell’Altare durante la S. Messa e la Benedizione Eucaristica, al canto liturgico, e in pari tempo a tenerli da vicino con i Sacerdoti. I bambini più grandicelli del Collegio del Castelletto in Roma, venivano accompagnati tutte le mattine alla Chiesa del Gesù per servire le SS. Messe, fino ad una certa ora perché poi dovevano andare a scuola. La domenica andavano anche alla Chiesa di Santa Maria in Cosmedin per lo stesso motivo e per il canto liturgico alla Messa del Capitolo. I sacerdoti di entrambe le Chiese erano soddisfatti.
Le Suore e le famiglie dei bambini vedevano i buoni frutti, e anche l’Autorità Ecclesiastica di Roma, dopo il primo periodo di diffidenza, si rese conto della validità della formazione che faceva impartire la Madre Teresa. Ricordo anch’io i nostri primi ex alunni diventati Seminaristi presso il Seminario Diocesano di Frascati, quando venivano a Grottaferrata a visitare la Madre Teresa. Erano ilari, sereni, spontanei, semplici, affettuosi, come se fossero venuti nella propria famiglia, e di loro i Superiori davano ottime informazioni. Erano: Cosimo Petino, Arturo Lovelli, Armando Trisinni, Fausto Marini, Battista Proia. Essi perseverarono e furono ordinati Sacerdoti. Il primo il 15 maggio 1938. Ma la Madre Teresa era già stata chiamata dal Signore alla vita eterna. Per suggerimento di D. Giuseppe Perrone, i bambini dei nostri Collegi furono chiamati: “Piccoli Amici di Gesù”.
Mettiamoci con il pensiero alla presenza del Cristo e contempliamolo poco a poco, colme di amore per la Sua santa umanità.
TeniamoGli compagnia. Parliamo con Lui. RaccomandiamoGli le nostre necessità.
Se siamo in pena, possiamo lamentarci con Lui. Al contrario, rallegriamoci se siamo nelle consolazioni.
E facciamo attenzione a non dimenticarLo quando va tutto bene.
Santa Teresa d'Avila
La Beata Teresa Casini
raccontata
da una sua grande figlia:
suor Maria Cesira Pirro
(episodi uditi raccontare dalle prime Suore)
Il tempo passava!...Altre giovani desiderose di consacrarsi a Dio venivano a rendere più numerosa la Comunità delle “Vittime del Cuore di Gesù” e pertanto la Madre Teresa vedendo la necessità di norme scritte, da far approvare dall’Autorità Ecclesiastica come espressione della volontà di Dio da osservare, dopo aver pregato ed essersi sottoposta a penitenze, cominciò a scrivere le “Regole” in base all’esperienza acquisita dalle "Sepolte Vive" e negli anni successivi.
Le prime Suore ci raccontavano che si vedeva chiaro il livore di Satana, perché, mentre la Madre scriveva, al posto dove lei stava cadeva dal solaio del calcinaccio sul quaderno, imbrattandolo e rendendo illeggibili le parole. (A quei tempi si scriveva con pennini intinti nell’inchiostro). In realtà la madre guardando il solaio, non vedeva lesioni di intonaco o screpolature, e con pazienza, intuendo il vero motivo, spostava il tavolino ad altro posto, nella stessa camera. Accadeva però lo stesso fenomeno, solo sul suo tavolino, fin quando la Madre smetteva e andava a pregare.
Finalmente poi, implorando con fervore Dio di far tacere Satana, le riuscì possibile la stesura delle prime “Regole”.
Le prime Suore raccontavano ancora quanto segue: La Madre Teresa molto spesso pregava in Coro con la fronte a terra, per unire la penitenza alla preghiera. Un giorno mentre era così immersa nell’adorazione, il demonio le afferrò i piedi e la trascinò con veemenza fino in fondo al Coro. La Madre capì che era il demonio e vinse la paura con la preghiera, e per quel giorno non si sentì più molestata.
A Grottaferrata, nella camera che era adibita a laboratorio delle Novizie, in angolo del solaio c’era una botola di legno, da cui con una scala pioli si andava in soffitta, che essendo di un’altezza normale e vi si poteva camminare comodamente. Suor M. Cristina Consoli, era la più giovane delle prime compagne della Madre Teresa, quando fu aperta ufficialmente la casa a Grottaferrata il 2 febbraio 1894; quando io entrai nell’Istituto aveva circa una cinquantina di anni. Ella raccontò a noi Novizie che la Madre andava lassù a flagellarsi, all’insaputa delle Suore; qualche volta, per capire cosa aveva sofferto Gesù sulla croce, si faceva legare da lei su di una grande croce che aveva formato alla meglio, e vi stava sospesa con grande sofferenza fin a quando non potendo più resistere le diceva di slegarla. Io una volta andai lassù in soffitta con Sr M. Cristina Consoli, ed ella mi fece vedere il posto che la Madre usava per le sue penitenze.
La MadreTeresa soffrì moltissimo quando il P. Abate la obbligò a rimandare in famiglia la sua prima compagna Angelina Mascherucci, perché affetta da malattia contagiosa. In questa circostanza egli consigliò con saggezza, perché in Grottaferrata, che era allora un piccolo paese, si spargeva già la notizia di una giovane malata di T.b.c. fra le prime compagne chiamate "Vittime del Cuore di Gesù", quindi alle giovani i genitori proibivano di recarsi dalla Madre Teresa.
La Madre obbedì, però rifulge la sua carità evangelica nel visitare l’inferma e prestarle amorosamente assistenza, nonostante la possibilità del contagio.
La Madre Teresa soffrì anche moltissimo per le malattie e le morti di alcune Suore molto giovani, sue prime compagne di fondazione dell’Istituto.
Infieriva a quei tempi la tubercolosi, specie nella forma polmonare, che mieteva vite umane, in modo particolare fra la gioventù. Fu definita “malattia sociale”. A nulla giovavano le cure che i medici escogitavano. Poi, col passare degli anni, questo male fu debellato con ritrovati efficaci della scienza medica.
Intanto, quelle nostre prime Consorelle con il loro soffrire e col sacrificio delle loro giovani esistenze, furono davvero “le prime pietre” che insieme alla Madre Teresa, costituirono una solida base al nascente Istituto denominato “Vittime del Cuore di Gesù”. Furono coerenti col loro nome, offrendosi “vittime per consolare Gesù e impetrare grazie per i Sacerdoti”.
Esse, guidate dalla Madre, avevano imparato a praticare la vera virtù, per cui la Madre e le Consorelle conservavano di loro un caro ricordo, e spesso la Madre le indicava come esempio da imitare. Delle prime quattro Suore, la Madre Teresa scrisse dei brevi cenni biografici, per ricordarle alle Oblate future: 1) Angelina Mascherucci. 2) Suor M. Caterina Canestri. 3) Sr M. Teresa Canestri. 4) Sr M. assunta Centioni. Poi la madre non ne scrisse più ma l’amore materno per quelle che avevano condiviso il suo ideale, non si spense nel suo cuore.
In quale vaso ti trovi?
La creatura ragionevole è come un liquido, che prende la forma del vaso nel quale si raccoglie.
Se si raccoglie in Dio, essa diventa come un riflesso della grandezza di Lui; se si abbandona a Dio, Egli la innalza e se ne serve, e la rende come specchio terso, nel quale si riflette la gloria divina e dal quale si irradia.
Se la creatura, che è libera, si raccoglie in sé stessa, cade nell'abisso irrequieto della sua nullità; diventa prima schiava della sua miseria, della sua carne, e poi si smarrisce in quel tenebroso vuoto che è la dannazione eterna.
Il segreto vero della grandezza di una creatura sta tutto nella santa umiltà che la annienta, la stacca da sé stessa e l'inabissa in Dio.
Don Dolindo Ruotolo
Per Crucem ad Lucem
Mentre si distrugge la dimora di questo esilio terreno, viene preparata un’abitazione eterna nel cielo.
Passa la figura di questo mondo e si evidenzia quella eterna. Il legno dissolvendosi in fuoco, dona fiamma e calore.
Perché Lui cresca, è necessario che io mi dissolva. Sulle ceneri dell’io nasce Dio; quando sarò annullato, allora sarò uomo, afferma sant'Ignazio di Antiochia. Gesù è nato e vissuto nella figura di uomo; si è dissolto per amarci e rilucere come risorto in me, in te.
Quando sarò innalzato da terra…quando sarò cacciato fuori da questo mondo, potrò attirare tutti a me. Lo spazio dell’io dissolto in amore, viene occupato da Dio.
La notte oscura è l’azione dello spirito che mette in dissolvenza, fino a farli scomparire, tutti gli appetiti umani; perché nell’anima rifulga la luce di Dio, la purifica dissolvendo l’opacità dell’io fino a trasformarlo in cristallo tersissimo da confondersi con la luce che lo investe e lo inabita.
L’uomo vecchio che si dissolve nella vita della Parola, sfolgora in Paolo come uomo nuovo: non sono più io che vivo, ma è Gesù che vive in me. Non è Paolo che fa o va o sta, ma è Gesù in lui. Nel torchio si dissolve l’uva per diventare vino nel calice.
Non potete servire a due padroni; o l’io o Dio.
Chi trasfigura te in un altro Gesù, è la dissolvenza che avviene mentre ami il prossimo: mentre ami l’altro, come reazione uguale e contraria, scompare l’opacità del tuo io.
Chi mi vuol seguire…rinneghi se stesso. Mentre rinneghi il tuo io, prendi il passo di Gesù. Chi si dissolve per amore del prossimo, questi mi ama.
Padre Andrea Panont O.C.D.
La Beata Teresa Casini
raccontata
da una sua grande figlia:
suor Maria Cesira Pirro
(episodi uditi raccontare dalle prime Suore)
Ci veniva raccontato che una volta il P. Abate cominciò a rimproverare fortemente la Madre, ed ella per umiltà si mise in ginocchio con la fronte a terra. Egli non controllò più se stesso, di carattere impetuoso com’era, e giunse perfino a schiacciarle la testa col piede, premendolo tanto forte, per cui il viso divenne molto livido. La Madre non reagì.
Allora la Madre si sentì costretta per molti giorni a non uscire di casa per non farsi vedere così dalla gente, privandosi anche di recarsi in Chiesa per la S. Messa e Comunione.
Il P. Abate, sin dagli inizi della vita spirituale della Madre Teresa, le faceva mettere sempre in iscritto tutto ciò che passava intimamente tra lei e Gesù, le manifestazioni del Cuore di Gesù, le sue richieste di conforto e riparazione, ecc… e si faceva consegnare questi scritti. Il P. Abate aveva riunito così un plico molto grande.
Intanto il P. Abate attraversò un periodo doloroso nella sua vita, anche proveniente dall’interno della sua stessa Comunità di Monaci Basiliani. Un giorno, in un momento di inquietudine, dinanzi ad alcuni Monaci Basiliani, strappò e bruciò quegli scritti della Madre Teresa, dicendo: «Sono tutte sciocchezze!»
Quei Monaci riferirono con rincrescimento alle nostre Suore quel gesto inconsulto del P. Abate, ed esse ne furono dispiacenti, perché per il nostro Istituto sarebbero stati quegli scritti una documentazione importante.
Il Signore, senz’altro, permise anche questo!....
Ma la santità della Madre Teresa e il suo operato, dimostrarono con evidenza che non erano sciocchezze le richieste di Gesù, piuttosto la volontà di Dio di far sorgere nella Chiesa, mediante la Madre, un nuovo genere di vocazione, con caratteristiche ben diverse da quelle allora esistenti.
Ci veniva anche raccontato che la Madre si rendeva conto che bisognava stendere delle norme per la loro vita religiosa, già iniziata da tempo. Sarebbero servite come “Regole” della nascente Congregazione. La sua esperienza fra le “Sepolte vive” glielo suggeriva.
Ne parlò al P. Abate il quale rispose che ci avrebbe pensato lui. Si alternavano i lunghi periodi di tempo che egli non andava dalle nostre prime Suore. Dopo ripetute umili istanze della Madre, un giorno egli andò, e riunita la piccola Comunità cominciò a leggere dei fogli scritti, dicendo che erano le “Regole” da osservare. Ma doveva completarle.
Dopo quella riunione, la Madre Teresa con molta umiltà gli fece notare che quelle Regole non erano adatte per un Istituto femminile, e inoltre, erano molto dure a praticare, pur essendo il loro tenore di vita molto rigoroso e austero.
Il P. Abate si offese, non considerò che essendo l’argomento delle Regole molto importante era necessario dialogare con semplicità, fece l’atto di strappare quei fogli, se ne andò e li riportò con sé. Né mai più volle sentir parlare di “Regole” e si allontanò sempre più dalla madre Teresa e dal nascente Istituto.
mese di suffragio
Novembre:
per tutti i defunti
Usare una comune Corona del Rosario
O Dio, vieni a salvarmi, Signore, vieni presto in mio aiuto. Gloria al Padre e al Figlio e allo Spirito Santo....
San Michele Arcangelo difendici nella lotta per essere salvati nell’estremo giudizio.
De profundis: Dal profondo a Te grido, o Signore; Signore, ascolta la mia voce. Siano i tuoi orecchi attenti alla voce della mia preghiera. Se consideri le colpe, Signore, Signore, chi potrà sussistere? Ma presso di te è il perdono: perciò avremo il tuo timore. Io spero nel Signore, l’anima mia spera nella tua parola. L’anima mia attende il Signore più che le sentinelle l’aurora. Israele attenda il Signore, perché presso il Signore è la misericordia e grande presso di lui la redenzione. Egli redimerà Israele da tutte le sue colpe.
L’Eterno riposo, dona loro, o Signore, e risplenda ad essi la luce perpetua. Riposino in pace. Amen.
Sui grani grossi si reciti: Nostra Signora del Sacro Cuore, prega per questa Anima Consacrata.
Sui grani piccoli: Eterno Padre, Vi offro il Sangue Preziosissimo di Gesù, per l’anima di quel sacerdote che nel Purgatorio maggiormente soffre ed è più abbandonata.
Alla fine della coroncina si pregano queste orazioni:
O Signore Gesù Cristo, Sacerdote Eterno, che nella Tua vita terrena con generosa sollecitudine hai soccorso ogni povero afflitto e abbandonato, Ti supplico di rivolgere il Tuo sguardo compassionevole verso l’anima del sacerdote che nel Purgatorio soffre più atrocemente ed è da tutti dimenticata ed abbandonata. Guarda come quest’Anima Santa tormentata dalla voracità delle fiamme e con voce straziante chiede pietà e soccorso.
O Cuore Misericordioso di Gesù, che nell’Orto degli Ulivi, nell’amara solitudine, in preda ai più crudeli tormenti spirituali e sanguinosi spasimi,pregasti: “Padre, se è possibile allontana da me questo calice! Tuttavia non sia fatta la mia, ma la tua volontà,”, per questa Tua rassegnazione e dolorosa passione ed agonia, Ti prego d’aver pietà dell’Anima Santa per cui Ti supplico e degnati di sollevare le sue sofferenze e consolarla nel suo abbandono come Ti ha consolato il Tuo Padre Celeste per mezzo del Suo Angelo.
Amen.
L’Eterno riposo
IL SACERDOTE E I SANTI
Riflessione di novembre 2021
Ogni anno la Chiesa celebra la festa di tutti i santi. Ma chi sono i santi? Una maestra di una scuola materna aveva portato la sua classe a visitare una chiesa sulle cui vetrate erano raffigurati diversi santi. Ritornati dalla visita, domandò ai bambini: “Sapete chi sono i santi?”. Un bambino, riferendosi alla luce che aveva visto filtrare attraverso le vetrate della chiesa, rispose: “Sì, sono quelli che fanno passare la luce!”.
Sì, i santi sono coloro che fanno passare la luce di Dio, per illuminare la terra…!.
«A volte si pensa che la santità sia una condizione di privilegio riservata a pochi eletti. In realtà, diventare santo è il compito di ogni cristiano, anzi, potremmo dire, di ogni uomo! Scrive l’Apostolo Paolo che Dio da sempre ci ha benedetti e ci ha scelti in Cristo “per essere santi e immacolati al suo cospetto nella carità” (Ef 1,3-4). Tutti gli esseri umani sono pertanto chiamati alla santità» (Benedetto XVI, Angelus del 1° novembre 2007).
Forse non tutti sappiamo che, al momento in cui riceviamo il Battesimo, diventiamo potenziali Santi; potenziali perché il Signore chiama ciascuno di noi alla santità, ma non tutti rispondiamo.
Nel corso dei secoli lo Spirito Santo ha suscitato una moltitudine di santi e sante, di ogni età e condizione sociale, di ogni lingua, popolo e cultura. Ognuno è diverso dall’altro, con la propria personalità e con il proprio carisma. Tutti però recano impresso il “sigillo” di Gesù (cf. Ap 7,3), cioè l’impronta del suo amore, testimoniato attraverso la Croce. Sono tutti nella gioia, in una festa senza fine ma, come Gesù, questo traguardo l’hanno conquistato passando attraverso la fatica e la prova (cf. Ap 7,14), affrontando ciascuno la propria parte di sacrificio per partecipare alla gloria della risurrezione.
Per quanto sia grande il numero dei Santi di cui la Chiesa celebra la festa nel corso dell'anno, è certo molto più grande il numero di quei Santi dei quali non si conoscono il nome, le virtù, i meriti. Santi tra i papi, i vescovi, i sacerdoti, tra i professionisti e gli operai, tra le donne di casa, tra i poveri, tra gli ammalati! Quanti servi fedeli di Dio nascosti nei deserti, nei monasteri, nell’oscurità di una vita umile e sconosciuta! Quante anime grandi pur tra le occupazioni più basse e più comuni! Santi che Dio ha pienamente ricompensato!
Ma ci sono anche i “santi della porta accanto”, santi che molto spesso abbiamo visto e che dovremmo imitare: tanti papà e mamme, tanti nonni e nonne che ci hanno insegnato la via della fede, prima ancora che con le parole, con la loro vita di sacrifici e la testimonianza di una fiducia sconfinata nella provvidenza di Dio. Ognuno di noi certamente conserva la grata memoria di qualcuno di essi, che ci ha fatto sentire la bontà e la vicinanza di Dio.
I santi, potremmo dire, sono come cartelli stradali illuminati, che indicano la via da seguire per raggiungere il cielo. Se ogni cristiano, per non smarrirsi lungo la strada, fa bene a tenere gli occhi puntati su di essi, a maggior ragione deve farlo il Sacerdote per diventare cartello illuminato e illuminante per il popolo di Dio a Lui affidato.
Preghiamo il Signore perché ci doni tanti Sacerdoti che ci precedano e ci accompagnino sul cammino della santità.
La Beata Teresa Casini
raccontata
da una sua grande figlia:
suor Maria Cesira Pirro
(episodi uditi raccontare dalle prime Suore)
Teresa vide che non poteva stare più in case prese in affitto, per diversi motivi. Pensò di procurare una casetta per loro in Grottaferrata. Col parere favorevole del P. Abate, a cui Teresa sottoponeva tutto, vendette un appartamento suo a Frascati, di eredità paterna e comprò un piccolo appezzamento di terreno dal Signor Nicola Santovetti, il quale le concesse agevolazioni per l’acquisto.
La Madre Suor M. Margherita Tanlongo, era nipote del Signor Nicola Santovetti, ed un giorno mi raccontò che lo zio avendo saputo lo scopo dell’acquisto, propose a Teresa di comprare una maggiore estensione di terreno, tanto più che essendo sito al centro di Grottaferrata, nel futuro non avrebbe più potuto averlo. Le avrebbe fatto le stesse agevolazioni. Teresa non accettò perché pensava che quella quantità chiesta era più che sufficiente per delle Suore povere; mai immaginando che nel futuro il Comune le avrebbe espropriato anche una striscia per fare la “Via Trieste” e che quell’area sarebbe stata insufficiente alle opere dell’Istituto.
Non mi soffermo a ciò che ho udito di tutte le difficoltà incontrate da Teresa per far costruire la casa, non solo per i mezzi economici, ma anche per le proteste dei muratori e modi di fare di Padre Abate che la sottoponeva a giornate faticose di questua in Roma, nonostante la sua malferma salute. Umiliazioni, stanchezza, incomprensioni, ecc…sostenute con pazienza, direi “eroica” pur di conseguire lo scopo di riunire un piccolo numero di anime che avessero pregato e offerto al Cuor di Gesù conforto e riparazione. Sono situazioni penose, dolorose, irte di difficoltà, che solo immaginandole in profondità, si può cogliere la portata della virtù praticata da Teresa. Può comprendere pienamente chi si è trovato in simili frangenti.
Gesù, a cui nulla sfugge, vedeva lo scopo genuino a cui mirava quell’esile creatura di Teresa, e talvolta diradava in modo insperato le nubi che si addensavano sull’orizzonte, per darle un po’ di conforto. Così avvenne quando Teresa si rivolse umilmente a Mons. Carlo Nocella (poi Cardinale) per chiedergli qualcosa di danaro in elemosina, date le continue e ripetute istanze dei muratori. Egli le donò una busta con £ 4.000 (quattromila) che a quei tempi era una somma considerevole, ed era proprio quanto occorreva per soddisfare le loro richieste per lavori eseguiti.
Ho sentito raccontare dalle prime Suore Oblate la somma riconoscenza della Madre Teresa verso il Signore per la costruzione della casa in Grottaferrata, che doveva costituire per lei e per le sue prime compagne un piccolo nido dove Gesù avrebbe potuto trovare conforto, consolazione e riparazione. Infatti, quando la Madre e alcune compagne si trasferirono nella nuova casa, iniziarono un tenore di vita molto austero: scarso riposo per l’adorazione notturna prolungata; discipline e penitenze; lavoro; cibo insufficiente a causa della loro povertà, e, talvolta, non avevano proprio nulla da mangiare. Il Signore veniva loro incontro con la carità altrui, pur tuttavia non potevano tirare avanti con tanta austerità. Si aggiunga che la Madre Teresa sin da principio non badava, nell’accettare le giovani, se avevano buona salute, purché vi era vera vocazione di amare Dio e santificarsi.
Per i suddetti motivi, il Signore provò duramente la Madre Teresa con le malattie delle prime giovani che si erano unite a lei, e la conseguente pena di non poterle aiutare come avrebbe voluto. Faceva tutto il possibile, tralasciando il cibo e le cure a se stessa, che pure era tanto delicata di salute. Si prodigava verso di loro aiutandole spiritualmente, e lo sentiva come missione da compiere, ma anche per supplire alla mancanza di aiuti spirituali da parte di Sacerdoti.
Le prime Suore narravano che mentre a principio della fondazione della piccola Comunità nella nuova casa, il Padre Abate Don Arsenio Pellegrini –Basiliano nella Badia Greca di Grottaferrata- si era molto prodigato, poi dopo poco tempo, si mostrò sempre meno disponibile verso di loro per l’assistenza spirituale, anche in caso di malattie gravi di alcune giovani.
Talvolta egli dava ordini anche strani ed esigeva l’obbedienza, nonostante la sofferenza che ne seguiva, per la Madre in modo particolare. Passavano lunghi periodi e non andava a confessarle, né permetteva che andassero altri Sacerdoti, né sosteneva la Madre nelle difficoltà dei primi anni di fondazione. Qualche volta in seguito a ripetute suppliche della Madre, dopo mesi che non si confessavano, mandava il Basiliano D. Teodoro Merluzzi o D. Salvatore Fratocchi (poi Vescovo di Orvieto).
La Madre Teresa soffriva per tutto questo, ma quello che le cagionava grandissima pena era il modo di comportarsi del P. Abate. Il Signore mise così a dura prova la sua virtù permettendo quella situazione penosa causata proprio dal P. Abate – suo direttore spirituale – che ella stimava come Sacerdote e sua guida.
Le prime Suore raccontavano che il P. Abate non voleva che la Madre Teresa si fosse rivolta all’Ordinario della Diocesi, perché dovevano dipendere solo da lui; e intanto egli le trascurava in tutti i modi. Mons. Nocella vedendo quella penosa situazione della Madre, che conosceva da molti anni, e della nascente Comunità, ed essendo loro benefattore fin dagli inizi, voleva rimediare in qualche modo: andava a visitarle ogni tanto e dava aiuto spirituale e finanziario.
Lo venne a sapere il P. Abate e proibì assolutamente alla Madre di ricevere Mons. Nocella, anzi di non fargli aprire la porta d’ingresso. La Madre si sentiva ancora legata dall’obbedienza verso il P. Abate , e pur con tanta pena nel cuore, obbedì…Ella stimava tanto Mons. Nocella per la sua bontà, e gli era riconoscente per la beneficenza che elargiva e per l’aiuto spirituale che dava. Sentiva, perciò, che non meritava simile offesa; ma il pensiero dell’obbedienza prevalse sulla ragione e sui sentimenti.
La prima volta che Mons. Nocella tornò, non fu aperta la porta. Bussò di nuovo, inutilmente…Chissà cosa pensò!... ingratitudine della Madre? Perché quello strano modo di agire?... dopo una vana attesa dietro quella porta, pur essendosi accorto che la Suora portinaia c’era dall’altra parte, andò via... e non tornò più… Mai Mons. Nocella avrà immaginato la pena della Madre Teresa per aver dovuto compiere quell’atto che non era scortesia, né ingratitudine, ma “obbedienza”. Un atto insolito alla sua gentile bontà e deferenza verso i Sacerdoti, tanto più verso un benefattore. E mai avrà pensato che era un ordine del P. Abate. Intanto alla Comunità venne a mancare quel generoso benefattore!
Una volta, ricordo che stando ai piedi del Sacramento e pensando come mai poteva essere che il Cuore di Gesù era così trafitto, Gesù mi disse: “Il Sacerdote è parte delle mie viscere, pupilla degli occhi miei, e il carattere sacerdotale è al disopra di ogni dignità. Io ho chiamate queste anime al mio servizio, dando loro una vocazione così sublime, le circondo di lumi e di grazie dello Spirito Santo e le ho messe in mezzo alla società affinché, trattando con ad essa, mi fossero come tanti canali in cui le anime passassero per venire a me, ma – aggiunse tutto mesto – non tutti corrispondono alla loro vocazione e con le loro ingratitudini ed infedeltà trafiggono il mio cuore, conficcandogli una spina”. Mi chiese di consolarlo e di riparare.
Dico la verità che io non potevo arrivare a persuadermi che il Cuore di Gesù si lamentava così e che la spina che mi mostrava nel suo cuore e che tanto lo trafiggeva, fosse causatagli dai suoi ministri. Io temevo tanto d’ingannarmi e quindi cercavo di essere più buona, affinché il Signore mi avesse aiutata a non cadere negli inganni, però il pensiero del Cuore di Gesù non mi lasciava un momento ed io volevo accontentare i desideri del Signore
La nostra preghiera è per i sacerdoti, tutti i sacerdoti:
1) quelli santi affinché crescano nella gioia di essere sacerdoti, siano sempre più fedeli alla loro alla chiamata e al loro ministero;
2) quelli che non comprendono la grandezza del sacerdozio e si perdono in mille cose vane;
3) quelli che, con il loro comportamento, feriscono il Cuore di Gesù e scandalizzano i fedeli;
4) quelli che hanno preso qualche sbandata ma cercano aiuto per ritornare sulla retta via;
5) quelli che hanno lasciato il ministero;
6) quelli malati o moribondi;
7) quelli che hanno lasciato questo mondo e attendono di cantare la gloria di Dio nella liturgia celeste.
O Gesù, Pontefice eterno, Tu che in uno slancio incomparabile d’amore per gli uomini tuoi fratelli, hai fatto sgorgare dal tuo Sacro Cuore il Sacerdozio cristiano, degnati di continuare a versare nei tuoi Sacerdoti le onde vivificanti dell’Amore Infinito.
Vivi in essi, trasformali in te, rendili per mezzo della tua grazia strumenti delle tue misericordie; opera in essi e per essi, e fa’ che, dopo essersi rivestiti di Te, per mezzo della fedele imitazione delle tue adorabili virtù, essi facciano in tuo nome e per la forza del tuo Spirito, le opere che hai compiuto Tu stesso per la salvezza del mondo.
O Divin Redentore delle anime, vedi quanto grande è la moltitudine di quelli che dormono ancora nelle tenebre dell’errore; conta il numero di quelle pecorelle infedeli che camminano sull’orlo del precipizio; considera la folla dei poveri, degli affamati, degli ignoranti e dei deboli che gemono nell’abbandono.
Ritorna a noi per mezzo dei tuoi Sacerdoti; vivi, o buon Gesù, in essi; opera per essi, e passa di nuovo in mezzo al mondo insegnando, perdonando, consolando, sacrificando, riannodando i sacri vincoli dell’amore fra il Cuore di Dio e il cuore dell’uomo.
Amen.
COMUNICAZIONE
INTERRUZIONE TEMPORANEA PER MALATTIA DELL'AMMINISTRATORE
Novena
in onore della beata
Madre Teresa Casini,
fondatrice dell'istituto
delle Suore Oblate
del Sacro Cuore di Gesù.
SECONDO GIORNO
In me cresceva il desiderio di Dio... Io amavo tanto Gesù e sentivo che Lui pure mi amava tanto!
Il mio cuore ogni giorno di più si sentiva preso da voi, o Gesù. Il mondo era tutto sparito in me, né alcun pensiero di esso tornava, l'anima mia si trovava finalmente nel suo centro.
Ai piedi di Gesù sentivo che l'anima mia si intratteneva con una gran fede a parlare con il Signore. Sentivo come una voce che mi penetrava ed io ascoltavo, rispondevo e risolvevo... Questa voce mi parlava sull'amore di Gesù.
L'anima mia si riposava nel Sacramento, e quello che maggiormente mi colpiva era l'amore di Gesù Cristo; questo occupava il mio pensiero, e sentivo che avrei fatto qualunque cosa per mostrare a Gesù il mio amore. Altre volte sentivo dentro il mio cuore che Iddio voleva tutta la mia volontà, e io risolvevo di nulla negare a Dio e ne facevo al mio Signore un dono totale.
Mio Dio, io sento che una sola espiazione di amore posso e devo offrirvi. Sì, il mio amore per voi non avrà più limiti e questo amore distruggerà la mia natura, mi esproprierà di tutto ciò che è in me. E questa espiazione guidata dall'amore, unita ai meriti di Gesù, voglio che ad ogni istante ascenda a voi. Datemi un cuore grande grande che sappia amarvi.
PREGHIAMO PER I SACERDOTI
Dio onnipotente ed eterno,
dal cui Spirito la Chiesa è vivificata e santificata,
ascolta benigno
la nostra preghiera per i sacerdoti,
affinché col dono della tua grazia,
ti possano servire fedelmente.
Concedi loro i doni di sapienza
necessari per il sacro ministero.
Consolali nelle fatiche e nelle prove
e rendili degni della tua misericordia.
Ti supplichiamo, o Padre,
concedi loro
la liberazione dalle tentazioni,
il perdono dei peccati
e la protezione dai nemici,
perché vivendo santamente,
offrano un sacrificio a Te gradito.
Te lo chiediamo per Gesù Cristo,
Sommo ed Eterno Sacerdote,
che con Te vive e regna
nei secoli dei secoli. Amen.
(Padre nostro, 10 ave Maria, gloria al Padre)
PRIMO GIORNO
Sin dall'infanzia mi sentivo invitata a pregare; con darmi a Dio l'impulso fu più vivo, e lo seguii. Mio Dio, fin dall'infanzia, mi avete circondata di amore... Questi tratti della vostra bontà mi arrivano al cuore, e solo un amore generoso e senza limiti può riparare l'ingratitudine verso un Dio così buono.
Cresciuta un poco e sapendo leggere seguivo la Messa con il libro, e nelle visite al Santissimo Sacramento, che facevo nella cappellina di casa nostra, rileggevo la messa e desideravo tanto di capirla. La domenica andavo a Messa con la mia famiglia e dal posto in cui io stavo vedevo il Sacramento. Non potevo fare a meno di volgermi verso l'altare, poiché io sentivo una viva voce che nell'intimo del mio animo mi spingeva a pregare e adorare Gesù Sacramentato, ma resistevo, perché pensavo che se mi davo a Dio, io non potevo più né divertirmi né fare i capricci. Sentivo la forza di quest'invito e non volevo dire di no al Signore, ma sentivo anche che seguire l'invito voleva dire qualcosa di più... pensavo cha darmi al Signore voleva dire lasciare tutto e non un poco.
La S. Messa era tutto per me, e cercavo sentirla bene, benché non la capissi. Il 7 maggio 1876 feci la mia prima Comunione, mi preparai con molta premura; desideravo il Signore nel mio cuore e quando lo ricevetti provai una consolazione inesplicabile... Che respiro profondo e di gran cuore mandai a Gesù quando stava per venire nel mio cuore! La pace da me gustata, la gioia e consolazione del mio cuore fu così grande che io non lo dimenticherò mai. Quando Gesù fu dentro il mio cuore mi donai tutta a Lui e in questa occasione mi consacrai per la vita religiosa: in quel momento amavo il Signore e lo pregai di manifestarmi la sua volontà.
Quando avevo la fortuna di ricevere Gesù stringevo nelle mie mani il volto, affinché Gesù non sortisse più da me, perché volevo che fosse restato nell'anima mia. Io provavo in quei momenti tanta consolazione e non avrei voluto più muovermi dalla Chiesa. La mia preghiera consisteva nel dire a Gesù che l'amavo tanto, che volevo sempre amarlo.
Ogni volta che andavo in Chiesa una forza misteriosa mi costringeva fermarmi davanti al Sacramento e fare una profonda genuflessione. Di più, messami al mio posto per ascoltare la Messa e pensare al Signore, io non ero più padrona di distrarmi di qua e di là; una forza interna mi costringeva a seguir la messa e a pensare al Signore.
PREGHIERA
O Dio, che nella contemplazione amorosa
del Cuore Trafitto del tuo Figlio,
hai donato alla beata Maria Teresa, vergine,
una profonda esperienza
del dolore salvifico del Redentore,
dona anche a noi, per sua intercessione,
di piacerti in ogni cosa,
per conseguire i beni dell'eterna salvezza.
Amen
(Padre nostro, 10 ave Maria, gloria al Padre)
La vita di Maria Teresa Casini è racchiusa fra due date circoscritte in un breve spazio geografico: Frascati-Grottaferrata, ed ha tuttavia il respiro dell'universalità caratteristica di Roma della quale i Castelli Romani rappresentano in certo modo la continuità. Le sue notizie biografiche sono piuttosto scarne, ma gli ideali spaziano su orizzonti di futuro. Ecco perché le pagine delle Autobiografie, nelle quali parla delle sue vicende, si rivelano semplici come tutte le cose grandi che non hanno bisogno delle parole per imporsi. Al di là delle notizie, si coglie infatti, oggi più attuale che mai, il suo carisma, la sua vocazione, che potremmo sintetizzare così: una vita tutta donata a Dio per i Sacerdoti. La grandezza di Madre Teresa Casini si rivela sempre meglio col distanziarsi degli anni e con la presa di coscienza sempre più lucida, di fronte alla società di oggi, di quei problemi che Lei ha vissuto con animo anticipatore.
La Madre Maria Teresa Casini nasce a Frascati il 27 ottobre 1864 da Melania Rayner e da Tommaso Casini. La sua è una famiglia benestante. Due giorni dopo viene battezzata nella Cattedrale: ad accompagnarla al sacro fonte suo padre vuole che ci siano i poveri, da lui invitati perché invochino benedizioni e grazie sulla primogenita. Vive in serenità gli anni della sua infanzia, circondata dall'affetto della mamma e del papà, che è il suo primo insostituibile educatore. In Teresa si rivela presto un amore profondo verso il Signore, così che, fin da piccola, risuona in lei, per una ricerca appassionata, l'interrogativo: « Chi è Dio? », e ad esso tenta di dare delle risposte. Il 19 gennaio 1874 suo padre ritorna « a casa »: alla Casa del Padre che è nei cieli. E lei avverte di essere rimasta: sola di fronte alla vita, perché le è venuto a mancare colui che, solo, sapeva parlare al suo cuore.
La mamma poco dopo si trasferisce con la famiglia a Grottaferrata, dove si sono stabiliti i nonni materni reduci definitivamente dalla Russia, e, forte della sua posizione sociale, dopo un breve periodo di lutto, si dà alla « vita di società », Teresa deve seguirla, ed incomincia così per lei uno stato di sofferenza e di lotta interiore che, ad intervalli di maggiore o minore intensità, dovrà durare per anni.
Intanto si reca a Roma, nell'ottobre del 1875, per continuare gli studi presso il Collegio di S. Rufina tenuto dalle Dame del S. Cuore, e nel breve periodo trascorso in esso scopre che il suo animo si appaga soltanto in Dio, e l'ideale della vita consacrata le si presenta con chiarezza.
Il 7 maggio 1876, gior¬no della sua prima comunione, nell'incontro con Gesù-Eucaristia, Teresa promette di essere di Dio, tutta e solo di Dio, per sempre.
Alla fine dell'anno scolastico deve tornare in famiglia per motivi di salute, e così si ritrova ancora in mezzo alla «società». Seguono anni duri, perché, se da una parte avverte il fascino di un certo stile di vita, dall'altra si sente oppressa da un senso incolmabile di vuoto, di noia, che non le dà tregua neppure di fronte all'amore umano: «Sentivo che il mio cuore per sua indole aveva bisogno di un amore forte, solido e più verace di quello di un ragazzo».
A diciotto anni le si delinea davanti un avvenire brillante: avvenente e ricca, è infatti corteggiata ed amata fra la nobiltà di una Roma che ha avvertito da poco il contraccolpo della fine del potere temporale. Ma Teresa capisce finalmente che non può più sottrarsi a Dio, né può risponderGli con mezze misure. Circostanze impreviste, nelle quali in famiglia si rischia un crollo finanziario, le fanno del resto toccare con mano la labilità delle cose terrene. Si arrende alla chiamata, e si consacra a Dio. Un «sì» per sempre. Sul suo cammino il Signore pone un Sacerdote che Le sarà di aiuto nella ricerca della Sua Volontà: Padre Arsenio Pellegrini, Abate del Monastero Greco di Grottaferrata, uomo di scienza e di fede. Col suo aiuto e in armonia con la sua tempra volitiva ed esuberante, la Beata intraprende una nuova fase della sua vita.
Non solo si distacca via via dalle abitudini legate alle sue precedenti esperienze (rinuncia ad un certo tipo di abbigliamento, al ballo, ai divertimenti dispendiosi...), ma incomincia a trascorrere lunghe ore in preghiera nella Badia. La solitudine che la circonda le fa scoprire con stupore doloroso che pochi pensano al Signore e che la freddezza e l'indifferenza dell'uomo sono la risposta all'Amore di Dio. Perciò, come il Salmista, sente ripercuotersi in se stessa il lamento: «Se mi avesse oltraggiato un amico, lo avrei sopportato. Ma Tu!...», lo stesso lamento che, a distanza di secoli, Margherita Maria Alacoque aveva sentito ripercuotersi nella sua vita: « Ecco quel Cuore che ha tanto amato gli uomini!... Ma quello che più mi dispiace è che mi trattano così cuori a me consacrati ». Così, gradualmente, avviene in lei la scoperta del mistero di dolore e di amore che si cela al di là del volto del Sacerdote.
Ed è un momento di incredulità e di angoscia, quello in cui scopre per la prima volta che il Sacerdote ha bisogno di es¬sere sostenuto con la preghiera e con una collaborazione umile e carica di fede; e che il Cuore di Cristo è ferito dalla non-santità del sacerdote.
A poco a poco si accorge che «il suo posto è accanto all'altare». E, benché si renda conto che non esiste una Congregazione Religiosa come lei vorrebbe, per obbedire a Padre Pellegrini entra in un Monastero di Clausura, e precisamente fra le Clarisse che allora risiedevano presso la Basilica di S. Pietro in Vincoli, a Roma. E l'anno 1885: un anno contrassegnato da un 'avvenimento intimo, tutto particolare, rappresentato dall'offerta di dodici vittime, scelte ira tutte le componenti del Popolo di Dio, che generosamente fanno a Dio il dono della propria vita per la santità dei Sacerdoti. Nel numero delle dodici creature generose, ed anzi promotrice dell'iniziativa, c'è la nostra Beata, che sta vivendo la sua esperienza di vita claustrale.
Dopo appena un anno, deve tuttavia ritornare in famiglia perché la sua salute non regge. Torna così a Grottaferrata (siamo nel 1886), con un sogno un po' incerto nell’anima: non pensa infatti alla fondazione di una Congregazione Religiosa, aspetta piuttosto che il Signore susciti un Sacerdote attraverso il quale possano concretizzarsi le richieste del buon Dio.
Nell'attesa, lei pensa soltanto di riunire, in un vincolo di fraternità e di preghiera, delle giovani nelle quali il Signore « possa deporre (sono sue parole) il Suo amore sofferente ». Invece, senza che nemmeno lei se ne renda conto, una nuova famiglia religiosa sta nascendo dal suo cuore.
Il Signore, infatti, le fa sentire una richiesta: « Dammi dei Sacerdoti Santi ». C'è, in questa domanda, la passione con cui Cristo, seduto presso il pozzo di Sicar, chiede un giorno alla Donna di Samaria: «Dammi da bere!».
Non le promette nulla, e lei non chiede nulla per sé. Ha impegnato la vita per Dio, e questo le basta. Non vedrà nemmeno i frutti della sua attesa...
Il 2 febbraio 1894 segna la data d'inizio della Congregazione delle Suore Oblate del S. Cuore di Gesù, che nasce nella clausura, nella povertà, in una totale mancanza di sostegni umani. Gli inizi sono duri, ma rispecchiano quella generosità di risposta con cui la Serva di Dio vuole pregare e fare dono di se stessa (e con lei, le prime «figlie»), per la santità dei Sacerdoti. Sono gli anni in cui, mentre il chicco affonda le sue radici nella zolla, la spiga della nuova famiglia religiosa comincia ad innalzarsi in una promessa di maturazione.
La fisionomia particolare della Congregazione si rivela in maniera chiara, quando il Cardinal Satolli, Ordinario Diocesa¬no, dice alla Serva di Dio che è giunto il momento di unire, alla preghiera, anche qualche forma di attività «esterna». Comincia, per lei, un itinerario appassionato di ricerca: preparare le giovani alla vita perché, divenute brave mamme, sappiano essere il cuore delle loro famiglie e le prime educatrici dei loro piccoli, dato che la famiglia è l'humus naturale in cui può fiorire una vocazione. Più tardi, verso gli anni venti, sorgono i «Collegi dei Piccoli Amici di Gesù». Sembrano qualcosa di rivoluzionario, e sono senz'altro una novità in assoluto: si affiancano ai Seminari per offrire vivai di vocazioni alla Chiesa. Non mancano, nei confronti di quest'idea coraggiosa, la diffidenza dei superficiali, ed anche le derisioni, l'ostilità, gli scherni, non esclusa l'incomprensione degli stessi amici. Ma lei non si lascia scoraggiare, e tutto progredisce fecondato anche dalle sue intime sofferenze. Intanto i Collegi si moltiplicano, in varie località dell'Italia Centro-Meridionale, mentre a Roma i Piccoli Amici di Gesù si affermano decisamente come promesse e speranze per la Chiesa Diocesana.
La Serva di Dio lascia questa terra il 3 aprile 1937, pro¬nunciando le parole: «Sono tanto tranquilla... sento Dio vicino a me». Un anno dopo il primo ex Piccolo Amico di Gesù viene ordinato sacerdote.
La Congregazione delle Suore Oblate del Sacro Cuore di Gesù, anche dopo la morte della Fondatrice, ha proseguito il suo Cammino nella fede e nella coerenza con gli ideali di fondazione, e il carisma continua a vivere arricchendosi via via di quelle connotazioni nuove che sono richieste dai segni dei tempi.
Pregare e operare per le vocazioni sacerdotali, traducendo questo impegno nelle forme di ministerialità che si rivelano più attuali.
Pensare, con quella capacità di discernimento che è dono dello Spirito, agli innumerevoli problemi esistenziali e pastorali che riguardano i Sacerdoti.
Farsi portatrici di una mentalità e di una sensibilità nuova nei loro confronti, ed essere presenti con la collaborazione e la condivisione di fatiche e di ideali. E questo, non solo in Italia, ma anche nell'America del Nord e del Sud, e su qualunque itinerario geografico il Signore chiama le Oblate verso nuovi orizzonti.
Così il carisma di Madre Teresa Casini si realizza nel tempo con quella novità che nasce dallo Spirito; e si fa richiamo a sostegno dei Sacerdoti, perché siano santi, e perché, in un fiorire di vocazioni, esprimano il volto sempre giovane della Chiesa.