patrona d'Italia,

Santa Caterina da Siena:

e dottore

compatrona d'Europa

della Chiesa universale!

Papa Benedetto XVI ce la presenta in maniera magistrale

Cari fratelli e sorelle,

quest’oggi vorrei parlarvi di una donna che ha avuto un ruolo eminente nella storia della Chiesa. Si tratta di santa Caterina da Siena. Il secolo in cui visse – il quattordicesimo – fu un’epoca travagliata per la vita della Chiesa e dell’intero tessuto sociale in Italia e in Europa. Tuttavia, anche nei momenti di maggiore difficoltà, il Signore non cessa di benedire il suo Popolo, suscitando Santi e Sante che scuotano le menti e i cuori provocando conversione e rinnovamento. Caterina è una di queste e ancor oggi ella ci parla e ci sospinge a camminare con coraggio verso la santità per essere in modo sempre più pieno discepoli del Signore.

Nata a Siena, nel 1347, in una famiglia molto numerosa, morì a Roma, nel 1380. All’età di 16 anni, spinta da una visione di san Domenico, entrò nel Terz’Ordine Domenicano, nel ramo femminile detto delle Mantellate. Rimanendo in famiglia, confermò il voto di verginità fatto privatamente quando era ancora un’adolescente, si dedicò alla preghiera, alla penitenza, alle opere di carità, soprattutto a beneficio degli ammalati.

Quando la fama della sua santità si diffuse, fu protagonista di un’intensa attività di consiglio spirituale nei confronti di ogni categoria di persone: nobili e uomini politici, artisti e gente del popolo, persone consacrate, ecclesiastici, compreso il Papa Gregorio XI che in quel periodo risiedeva ad Avignone e che Caterina esortò energicamente ed efficacemente a fare ritorno a Roma. Viaggiò molto per sollecitare la riforma interiore della Chiesa e per favorire la pace tra gli Stati: anche per questo motivo il Venerabile Giovanni Paolo II la volle dichiarare Compatrona d’Europa: il Vecchio Continente non dimentichi mai le radici cristiane che sono alla base del suo cammino e continui ad attingere dal Vangelo i valori fondamentali che assicurano la giustizia e la concordia.

Caterina soffrì tanto, come molti Santi. Qualcuno pensò addirittura che si dovesse diffidare di lei al punto che, nel 1374, sei anni prima della morte, il capitolo generale dei Domenicani la convocò a Firenze per interrogarla. Le misero accanto un frate dotto ed umile, Raimondo da Capua, futuro Maestro Generale dell’Ordine. Divenuto suo confessore e anche suo “figlio spirituale”, scrisse una prima biografia completa della Santa. Fu canonizzata nel 1461.

La dottrina di Caterina, che apprese a leggere con fatica e imparò a scrivere quando era già adulta, è contenuta ne Il Dialogo della Divina Provvidenza ovvero Libro della Divina Dottrina, un capolavoro della letteratura spirituale, nel suo Epistolario e nella raccolta delle Preghiere. Il suo insegnamento è dotato di una ricchezza tale che il Servo di Dio Paolo VI, nel 1970, la dichiarò Dottore della Chiesa, titolo che si aggiungeva a quello di Compatrona della città di Roma, per volere del Beato Pio IX, e di Patrona d’Italia, secondo la decisione del Venerabile Pio XII.

In una visione che mai più si cancellò dal cuore e dalla mente di Caterina, la Madonna la presentò a Gesù che le donò uno splendido anello, dicendole: “Io, tuo Creatore e Salvatore, ti sposo nella fede, che conserverai sempre pura fino a quando celebrerai con me in cielo le tue nozze eterne” (Raimondo da Capua, S. Caterina da Siena, Legenda maior, n. 115, Siena 1998). Quell’anello rimase visibile solo a lei. In questo episodio straordinario cogliamo il centro vitale della religiosità di Caterina e di ogni autentica spiritualità: il cristocentrismo. Cristo è per lei come lo sposo, con cui vi è un rapporto di intimità, di comunione e di fedeltà; è il bene amato sopra ogni altro bene.

Questa unione profonda con il Signore è illustrata da un altro episodio della vita di questa insigne mistica: lo scambio del cuore. Secondo Raimondo da Capua, che trasmette le confidenze ricevute da Caterina, il Signore Gesù le apparve con in mano un cuore umano rosso splendente, le aprì il petto, ve lo introdusse e disse: “Carissima figliola, come l’altro giorno presi il tuo cuore che tu mi offrivi, ecco che ora ti do il mio, e d’ora innanzi starà al posto che occupava il tuo” (ibid.). Caterina ha vissuto veramente le parole di san Paolo, “… non vivo io, ma Cristo vive in me” (Gal 2,20).

Come la santa senese, ogni credente sente il bisogno di uniformarsi ai sentimenti del Cuore di Cristo per amare Dio e il prossimo come Cristo stesso ama. E noi tutti possiamo lasciarci trasformare il cuore ed imparare ad amare come Cristo, in una familiarità con Lui nutrita dalla preghiera, dalla meditazione sulla Parola di Dio e dai Sacramenti, soprattutto ricevendo frequentemente e con devozione la santa Comunione. Anche Caterina appartiene a quella schiera di santi eucaristici con cui ho voluto concludere la mia Esortazione apostolica Sacramentum Caritatis (cfr n. 94). Cari fratelli e sorelle, l’Eucaristia è uno straordinario dono di amore che Dio ci rinnova continuamente per nutrire il nostro cammino di fede, rinvigorire la nostra speranza, infiammare la nostra carità, per renderci sempre più simili a Lui.

Attorno ad una personalità così forte e autentica si andò costituendo una vera e propria famiglia spirituale. Si trattava di persone affascinate dall’autorevolezza morale di questa giovane donna di elevatissimo livello di vita, e talvolta impressionate anche dai fenomeni mistici cui assistevano, come le frequenti estasi. Molti si misero al suo servizio e soprattutto considerarono un privilegio essere guidati spiritualmente da Caterina. La chiamavano “mamma”, poiché come figli spirituali da lei attingevano il nutrimento dello spirito.

Anche oggi la Chiesa riceve un grande beneficio dall’esercizio della maternità spirituale di tante donne, consacrate e laiche, che alimentano nelle anime il pensiero per Dio, rafforzano la fede della gente e orientano la vita cristiana verso vette sempre più elevate. “Figlio vi dico e vi chiamo – scrive Caterina rivolgendosi ad uno dei suoi figli spirituali, il certosino Giovanni Sabatini -, in quanto io vi partorisco per continue orazioni e desiderio nel cospetto di Dio, così come una madre partorisce il figlio” (Epistolario, Lettera n. 141: A don Giovanni de’ Sabbatini). Al frate domenicano Bartolomeo de Dominici era solita indirizzarsi con queste parole: “Dilettissimo e carissimo fratello e figliolo in Cristo dolce Gesù”.

Un altro tratto della spiritualità di Caterina è legato al dono delle lacrime. Esse esprimono una sensibilità squisita e profonda, capacità di commozione e di tenerezza. Non pochi Santi hanno avuto il dono delle lacrime, rinnovando l’emozione di Gesù stesso, che non ha trattenuto e nascosto il suo pianto dinanzi al sepolcro dell’amico Lazzaro e al dolore di Maria e di Marta, e alla vista di Gerusalemme, nei suoi ultimi giorni terreni. Secondo Caterina, le lacrime dei Santi si mescolano al Sangue di Cristo, di cui ella ha parlato con toni vibranti e con immagini simboliche molto efficaci: “Abbiate memoria di Cristo crocifisso, Dio e uomo (…). Ponetevi per obietto Cristo crocifisso, nascondetevi nelle piaghe di Cristo crocifisso, annegatevi nel sangue di Cristo crocifisso” (Epistolario, Lettera n. 21: Ad uno il cui nome si tace).

Qui possiamo comprendere perché Caterina, pur consapevole delle manchevolezze umane dei sacerdoti, abbia sempre avuto una grandissima riverenza per essi: essi dispensano, attraverso i Sacramenti e la Parola, la forza salvifica del Sangue di Cristo. La Santa senese ha invitato sempre i sacri ministri, anche il Papa, che chiamava “dolce Cristo in terra”, ad essere fedeli alle loro responsabilità, mossa sempre e solo dal suo amore profondo e costante per la Chiesa. Prima di morire disse: “Partendomi dal corpo io, in verità, ho consumato e dato la vita nella Chiesa e per la Chiesa Santa, la quale cosa mi è singolarissima grazia” (Raimondo da Capua, S. Caterina da Siena, Legenda maior, n. 363).

Da santa Caterina, dunque, noi apprendiamo la scienza più sublime: conoscere ed amare Gesù Cristo e la sua Chiesa. Nel Dialogo della Divina Provvidenza, ella, con un’immagine singolare, descrive Cristo come un ponte lanciato tra il cielo e la terra. Esso è formato da tre scaloni costituiti dai piedi, dal costato e dalla bocca di Gesù. Elevandosi attraverso questi scaloni, l’anima passa attraverso le tre tappe di ogni via di santificazione: il distacco dal peccato, la pratica della virtù e dell’amore, l’unione dolce e affettuosa con Dio.

Cari fratelli e sorelle, impariamo da santa Caterina ad amare con coraggio, in modo intenso e sincero, Cristo e la Chiesa. Facciamo nostre perciò le parole di santa Caterina che leggiamo nel Dialogo della Divina Provvidenza, a conclusione del capitolo che parla di Cristo-ponte: “Per misericordia ci hai lavati nel Sangue, per misericordia volesti conversare con le creature. O Pazzo d’amore! Non ti bastò incarnarti, ma volesti anche morire! (…) O misericordia! Il cuore mi si affoga nel pensare a te: ché dovunque io mi volga a pensare, non trovo che misericordia” (cap. 30, pp. 79-80). Grazie.

Acqua alla radice

Nel parco d'una rinomata località alpina era stata allestita un'esposizione di medicinali di recente scoperta, capaci - come recitava il depliant della mostra - di aggredire e sgominare in pochi giorni tutte le malattie delle piante di ogni genere, specie e tipo, di cui la montagna offriva un ricco campionario.

I villeggianti, incuriositi, accorsero in gran numero, molti portando piante stente e malaticce, speranzosi di assistere, entro i termini previsti dalla cura, ai decantati, mirabolanti risultati.

Erano giunti dalla Russia, dall'Australia, dal Giappone, dagli Stati Uniti, dal Brasile, dal Sudan, dal Marocco, da ogni parte del mondo, perfino dall'Italia, esperti internazionali di botanica: specialisti per le cure delle diverse malattie sulle diverse piante, nei diversi climi; tutto doveva svolgersi sotto il più severo e oculato controllo. Ma fu un fiasco totale: la gente se ne tornava a casa delusa, riportandosi le proprie piante non solo ancora malate, ma addirittura in peggiori condizioni dopo i discutibili trattamenti medicamentosi.

Quand'ecco si presentò, snobbato all'inizio per le sue umili condizioni e perché sprovvisto di diplomi riconosciuti, un contadino che, senza tante parole, senza tante promesse, si mise all'opera: applicando via via alle piante che gli venivano presentate la sua cura semplicissima, riuscì a guarirle tutte, fra la meraviglia e lo sbalordimento dei presenti.

La voce si sparse e la fama del guaritore prodigio s’ingigantì al punto che egli fu soprannominato “il taumaturgo”. Venne organizzata una conferenza stampa per dare al contadino la più ampia possibilità di rispondere alle tantissime domande e rivelare nei minimi dettagli nomi e caratteristiche specifiche delle medicine da lui impiegate.

La conferenza durò pochi minuti: “Tutte le piante, ammalate di qualunque malattia, sotto qualsiasi clima - egli disse - io le guarisco nel modo più semplice e comune: butto acqua alla radice”.

Questo contadino poco creduto e poco apprezzato è Gesù: Lui è l'acqua viva che risana alla radice tutte le malattie del cuore dell'uomo.

Ricorriamo a Lui nel sacramento della confessione, perché attraverso il ministero del sacerdote, risani alla radice tutte le nostre malattie e chiediamogli sacerdoti santi che sappiano compatire le infermità dei fratelli e applicare loro le cure necessarie.

Domenica della

Divina Misericordia

Il Santo Padre Giovanni Paolo II volle che questa domenica fosse celebrata come la Festa della Divina Misericordia: nella parola "misericordia", egli trovava riassunto e nuovamente interpretato per il nostro tempo l’intero mistero della Redenzione.

Egli visse sotto due regimi dittatoriali e, nel contatto con povertà, necessità e violenza, sperimentò profondamente la potenza delle tenebre, da cui è insidiato il mondo anche in questo nostro tempo. Ma sperimentò pure, e non meno fortemente, la presenza di Dio che si oppone a tutte queste forze con il suo potere totalmente diverso e divino: con il potere della misericordia.

È la misericordia che pone un limite al male. In essa si esprime la natura tutta peculiare di Dio – la sua santità, il potere della verità e dell’amore.

Due anni orsono, dopo i primi Vespri di questa Festività, Giovanni Paolo II terminava la sua esistenza terrena. Morendo egli è entrato nella luce della Divina Misericordia di cui, al di là della morte e a partire da Dio, ora ci parla in modo nuovo.

Abbiate fiducia – egli ci dice – nella Divina Misericordia! Diventate giorno per giorno uomini e donne della misericordia di Dio! La misericordia è la veste di luce che il Signore ci ha donato nel Battesimo. Non dobbiamo lasciare che questa luce si spenga; al contrario essa deve crescere in noi ogni giorno e così portare al mondo il lieto annuncio di Dio.

Benedetto XVI (domenica in albis 2007)

Il mare nella goccia

Il mare nella goccia!

Assurdo! Meravigliosa realtà!

Gesù, uomo Dio, è entrato in te.

Si è fatto te.

Talmente ti ama

che si è fatto pane e vino

per entrare in te;

per farsi più intimo a te di te stesso

e trasformare la tua goccia nel suo mare,

tanto che i confini della goccia

sono quelli del mare.

E ‟ presente nelle gocce del tuo quotidiano.

L'amore entra in te col pane che mangi,

con l'acqua che bevi, con l'ossigeno che respiri;

è sensibile nelle gioie e nei dolori,

nelle più svariate circostanze.

Padre - prega Gesù - io in loro e tu in me,

perché in noi siano una cosa sola.

Puoi esclamare con S.Paolo:

Non son più io che vivo; è Gesù che vive in me.

Meraviglia! Esulta!

Puoi stupirti di essere lo stupore di Dio.

Dio per rivelarsi ha bisogno della tua goccia

come la parola del silenzio,

come l'immagine dello sfondo,

come il tutto del nulla, come Dio di Maria.

Padre Andrea Panont (O.C.D)

Il discepolo che Gesù amava

disse: "E' il Signore!"

«E' il Signore!». Simon Pietro appena udì che era il Signore, si cinse ai fianchi il camiciotto, poiché era spogliato, e si gettò in mare. Potessimo essere presi anche noi dallo stesso entusiasmo di Pietro...

"Ecco, io sono con voi tutti i giorni

fino alla fine del mondo"

Nel Tabernacolo, Gesù' come fuoco, avvolge delle sue fiamme l'anima che a Lui si avvicina, la purifica delle scorie del peccato, la rinnova con la grazia dello Spirito Santo, la trasforma in Lui, Eucaristia vivente.

Abbiamo così un'anima nuova, Tabernacolo vivente di Gesù, un'anima eucaristica, impastata di Eucaristia, immersa nell'Eucaristia, bruciante nel e col fuoco dell'Eucaristia che grida in silenziosa adorazione: "Non sono più io che vivo ma Cristo vive in me!".

E qui avvengono i grandi miracoli dell'Eucaristia: piccole ed umili creature, povere ed insignificanti, umanamente inadatte e incapaci, diventano gli strumenti privilegiati della Misericordia di Dio attraverso le quali offre agli uomini il suo perdono, riallaccia la sua alleanza, fa pervenire i suoi messaggi, realizza i suoi disegni di salvezza, prolunga l'atto solenne ed unico della sofferenza redentrice di Cristo Gesù.

Anima Eucaristica! Che meraviglioso programma di vita! Anima Eucaristica! Che sublime ideale di vita!

Solo un'anima eucaristica è un'autentica e verace madre e sorella dei Sacerdoti, figlia del Cuore Sacerdotale di Ges! Il momento in cui un'anima comincia a vivere di Gesù Eucaristia e non lascia passare un giorno senza la Messa, senza la Comunione, senza l'adorazione, comincia ad esprimere se stessa, il suo carisma si effonde come un fiume di amore e di vita su tutti i Sacerdoti e noi vedremo "cieli nuovi e terra nuova".

( Padre Pietro Santoro).

«Guardate le mie mani

e i miei piedi...

Toccatemi»

Egli ha sofferto la sua passione per noi, perché fossimo salvi; ed ha sofferto realmente, come realmente ha risuscitato se stesso. Io so e credo fermamente che anche dopo la risurrezione egli è nella sua carne. E quando si mostrò a Pietro e ai suoi compagni, disse loro: Toccatemi, palpatemi e vedete che non sono uno spirito senza corpo.

E subito lo toccarono e credettero alla realtà della sua carne e del suo spirito. Per questo disprezzarono la morte e trionfarono di essa. Dopo la sua risurrezione, poi, Cristo mangiò e bevve con loro proprio come un uomo in carne ed ossa, sebbene spiritualmente fosse unito al Padre. Vi ricordo queste cose, o carissimi, quantunque sappia bene che voi vi gloriate della stessa fede mia.

Sant'Ignazio d'Antiochia

Gesù in persona

si avvicinò

e camminava con loro

Uno di quei discepoli, fuggiaschi verso Emmaus, quello di cui non si dice il nome, sono io, sei tu… siamo noi e molto spesso lo sono i Sacerdoti che vivono più a contatto con il Mistero. Siamo tutti noi, quasi compiacenti della croce, sempre a lamentarci. Sentiamo una certa affinità con la croce: ci è più connaturale il pianto, la lamentazione, lo sconforto, l’autocommiserazione. Incapaci di reagire come i due discepoli, scappiamo da Gerusalemme, luogo di comunione, luogo di fatica, luogo di relazioni anche se complicate o pericolose, luogo di resurrezione… ma anche di morte.

E in questo cammino anche noi esclamiamo un po’ amareggiati “Noi speravamo che egli fosse colui che avrebbe liberato Israele”.

Ma Egli ancora una volta ci affianca e cammina con noi, non per correggere il nostro passo o dettarne il ritmo, ma semplicemente per ascoltare ciò che ci impedisce di essere felici, di essere sereni, di accettarci e di accettare il nostro compagno di cammino… di accettare l’altro con i suoi limiti, le sue fragilità, le sue debolezze che non sono diverse dalle mie o dalle tue. Di accettare anche i doni dell’altro, apprezzarli, gioire per il bene e la ricchezza che l’altro è.

Ci affianca per farci uscire dall’isolamento, dalle nostre chiusure, dal nostro mondo, dalla nostra Emmaus che è quel villaggio dove ci rifugiamo: i social, il lavoro… tutto ciò che ci fa sentire al sicuro e non esposti più di tanto, dove stiamo bene con il nostro egoismo, le nostre paure, la sete di potere, l’arrivismo… tutto ciò che ci impedisce di riconoscere Cristo nel fratello. Ma lungo la strada la sua parola calda e suadente ci scalda il cuore, ci scuote, ci sveglia, ci accompagna fuori dal sepolcro. Ci indica il modo di rotolare i macigni che non fanno entrare la luce per dirci “Io lo so cosa significa soffrire, ma questa tua sofferenza ti deve far crescere, ti deve convertire; tu ti devi alzare, devi risorgere. Io il sepolcro l’ho abbandonato, e tu?”

GESU' APPARE

A MARIA MADDALENA

Gesù le disse: "Maria!" Essa allora, voltatasi verso di lui, gli disse in ebraico: «Rabbunì!», che significa: Maestro!

Non smettere, anima mia, di cercare il Maestro; ma come un'anima che una buona volta si è data alla morte, non cercare la comodità, non inseguire la gloria, né il godimento del corpo, né l'affetto dei tuoi parenti, non guardare a destra, non guardare a sinistra, ma, come hai cominciato, e anche di più, corri, affrettati senza tregua per raggiungere, ed arrivare al Maestro!

Anche se scompare diecimila volte e diecimila volte riappare, e così l'inafferrabile diverrebbe afferrabile per te, diecimila volte, o piuttosto finché tu respiri, raddoppia i tuoi sforzi per inseguirlo e corri verso di lui!

Perché non ti abbandonerà, non ti dimenticherà, al contrario, a poco a poco, si mostrerà sempre meglio, più la presenza del Maestro sarà frequente per te, anima mia e, dopo averti perfettamente purificata con lo splendore della sua luce egli stesso verrà in te, abiterà in te, lui stesso sarà con te, l'autore del mondo, e possiederai la vera ricchezza che il mondo non possiede, che solo il cielo e coloro che sono scritti nel cielo possiedono. (...)

Colui che ha fatto il cielo, il padrone della terra e di tutto ciò che è in cielo e di tutto ciò che è nel mondo, il Creatore, l'unico Giudice, l'unico Re, è lui che abita in te, è lui che si mostra in te, che ti illumina con la sua luce e ti fa vedere la bellezza del suo volto, che ti permette di vederlo di persona più distintamente, dandoti una parte della sua gloria.

Dimmi, cosa c'è di più grande di questo?

Simeone il Nuovo Teologo, monaco greco 

di aprile 2022

Riflessione

IL SACERDOTE COME GESÙ RISORTO

“Ecco in quello stesso giorno due di loro erano in cammino per un villaggio distante circa sette miglia da Gerusalemme, di nome Emmaus, e conversavano di tutto quello che era accaduto. Mentre discorrevano e discutevano insieme, Gesù in persona si accostò e camminava con loro. Ma i loro occhi erano incapaci di riconoscerlo. Ed egli disse loro: «Che sono questi discorsi che state facendo fra voi durante il cammino?». Si fermarono, col volto triste; uno di loro, di nome Clèopa, gli disse: «Tu solo sei così forestiero in Gerusalemme da non sapere ciò che vi è accaduto in questi giorni?». Domandò: «Che cosa?». Gli risposero: «Tutto ciò che riguarda Gesù Nazareno, che fu profeta potente in opere e in parole, davanti a Dio e a tutto il popolo; come i sommi sacerdoti e i nostri capi lo hanno consegnato per farlo condannare a morte e poi l'hanno crocifisso. Noi speravamo che fosse lui a liberare Israele; con tutto ciò son passati tre giorni da quando queste cose sono accadute. Ma alcune donne, delle nostre, ci hanno sconvolti; recatesi al mattino al sepolcro e non avendo trovato il suo corpo, son venute a dirci di aver avuto anche una visione di angeli, i quali affermano che egli è vivo. Alcuni dei nostri sono andati al sepolcro e hanno trovato come avevano detto le donne, ma lui non l'hanno visto». Ed egli disse loro: «Sciocchi e tardi di cuore nel credere alla parola dei profeti! Non bisognava che il Cristo sopportasse queste sofferenze per entrare nella sua gloria?». E cominciando da Mosè e da tutti i profeti spiegò loro in tutte le Scritture ciò che si riferiva a lui. Quando furono vicini al villaggio dove erano diretti, egli fece come se dovesse andare più lontano. Ma essi insistettero: «Resta con noi perché si fa sera e il giorno già volge al declino». Egli entrò per rimanere con loro. Quando fu a tavola con loro, prese il pane, disse la benedizione, lo spezzò e lo diede loro. Allora si aprirono loro gli occhi e lo riconobbero. Ma lui sparì dalla loro vista. Ed essi si dissero l'un l'altro: «Non ci ardeva forse il cuore nel petto mentre conversava con noi lungo il cammino, quando ci spiegava le Scritture?». E partirono senz'indugio e fecero ritorno a Gerusalemme, dove trovarono riuniti gli Undici e gli altri che erano con loro, i quali dicevano: «Davvero il Signore è risorto ed è apparso a Simone».

Essi poi riferirono ciò che era accaduto lungo la via e come l'avevano riconosciuto nello spezzare il pane” (Luca 24,13-53)

Le donne avevano comunicato la propria esperienza, annunciando ai due discepoli, che ora si dirigono a Emmaus, che Gesù «è vivo». Tutto inutile. Essi continuano il loro cammino immersi nella tristezza e nello scoraggiamento. Tutte le speranze riposte in lui sono svanite con il fallimento della croce. Nonostante tutto, però, quei discepoli continuano a pensare a Gesù, parlando di lui, interrogandosi su di lui. Non possono dimenticarlo. Ed è proprio allora che il Risorto si fa presente sul loro cammino, li segue senza farsi notare, li raggiunge e cammina con loro ma “i loro occhi erano incapaci di riconoscerlo”. È lui che prende l’iniziativa e si mette al loro fianco, si fa compagno di quella strada carica di perplessità e incertezze, li affianca in quella fase difficile del loro cammino non per semplice compagnia, per vuota solidarietà, per assecondare affettivamente delusioni o incomprensioni ma per far loro comprendere le Scritture.

Mentre i discepoli parlano, Gesù li ascolta e li fa parlare. Essi allora lasciano che quello Sconosciuto spieghi loro quanto è accaduto. I loro occhi non si aprono subito, ma il loro cuore comincia ad ardere. Anche se non sanno ancora chi sia quell’uomo, i due viandanti sentono che la sua compagnia fa loro bene. Non vogliono che li lasci: “Resta con noi”. Luca lo sottolinea con gioia: “Gesù entrò per rimanere con loro”. Durante la cena i loro occhi si aprono ma lo Sconosciuto scompare dalla loro vista.

Non deve forse il Sacerdote, proprio come Gesù, essere là dove uomini e donne si ricordano del Maestro e si interrogano sul significato del suo messaggio e della sua persona, anche se sono incapaci di riconoscerne la presenza? Non deve farsi compagno di viaggio di tutti coloro che non sanno nemmeno di essere accompagnati dal Risorto? Non deve egli essere messaggero della sua risurrezione, della sua vittoria sul male e sulla morte, portatore del suo amore divino? Certo; ma egli rimane per natura uomo limitato e debole ed è per questo che ha bisogno della nostra preghiera e della nostra amicizia sincera. Non facciamogli mancare il nostro sostegno ed egli saprà farci scoprire la presenza del Signore Risorto nella nostra vita e accompagnarci incontro a Lui.

E' RISORTO!!!

La risurrezione di Gesù è un’eruzione di luce. La morte è superata, il sepolcro spalancato. Il Risorto stesso è Luce, la Luce del mondo. Con la risurrezione il giorno di Dio entra nelle notti della storia. A partire dalla risurrezione, la luce di Dio si diffonde nel mondo e nella storia. Si fa giorno. Solo questa Luce – Gesù Cristo – è la luce vera, più del fenomeno fisico di luce. Egli è la Luce pura: Dio stesso, che fa nascere una nuova creazione in mezzo a quella antica, trasforma il caos in cosmo.

BENEDETTO XVI (VEGLIA PASQUALE NELLA NOTTE SANTA DI PASQUA, 11.04.2009)

IL MISTERO

DEL SABATO SANTO

Il Sabato Santo è la “terra di nessuno” tra la morte e la risurrezione, ma in questa “terra di nessuno” è entrato Uno, l’Unico, che l’ha attraversata con i segni della sua Passione per l’uomo.

Vuole dire che Dio, fattosi uomo, è arrivato fino al punto di entrare nella solitudine estrema e assoluta dell’uomo, dove non arriva alcun raggio d’amore, dove regna l’abbandono totale senza alcuna parola di conforto: “gli inferi”. Gesù Cristo, rimanendo nella morte, ha oltrepassato la porta di questa solitudine ultima per guidare anche noi ad oltrepassarla con Lui. Tutti abbiamo sentito qualche volta una sensazione spaventosa di abbandono, e ciò che della morte ci fa più paura è proprio questo, come da bambini abbiamo paura di stare da soli nel buio e solo la presenza di una persona che ci ama ci può rassicurare.

Ecco, proprio questo è accaduto nel Sabato Santo: nel regno della morte è risuonata la voce di Dio. E’ successo l’impensabile: che cioè l’Amore è penetrato “negli inferi”: anche nel buio estremo della solitudine umana più assoluta noi possiamo ascoltare una voce che ci chiama e trovare una mano che ci prende e ci conduce fuori. Questo è il mistero del Sabato Santo! Proprio di là, dal buio della morte del Figlio di Dio, è spuntata la luce di una speranza nuova: la luce della Risurrezione.

BENEDETTO XVI

La discesa agli inferi

del Signore

Da un’antica «Omelia sul Sabato santo»

Che cosa è avvenuto? Oggi sulla terra c’è grande silenzio, grande silenzio e solitudine. Grande silenzio perché il Re dorme: la terra è rimasta sbigottita e tace perché il Dio fatto carne si è addormentato e ha svegliato coloro che da secoli dormivano. Dio è morto nella carne ed è sceso a scuotere il regno degli inferi.

​Certo egli va a cercare il primo padre, come la pecorella smarrita. Egli vuole scendere a visitare quelli che siedono nelle tenebre e nell’ombra di morte. Dio e il Figlio suo vanno a liberare dalle sofferenze Adamo ed Eva che si trovano in prigione.

​Il Signore entrò da loro portando le armi vittoriose della croce. Appena Adamo, il progenitore, lo vide, percuotendosi il petto per la meraviglia, gridò a tutti e disse: «Sia con tutti il mio Signore». E Cristo rispondendo disse ad Adamo: «E con il tuo spirito». E, presolo per mano, lo scosse, dicendo: «Svegliati, tu che dormi, e risorgi dai morti, e Cristo ti illuminerà.

​Io sono il tuo Dio, che per te sono diventato tuo figlio; che per te e per questi, che da te hanno avuto origine, ora parlo e nella mia potenza ordino a coloro che erano in carcere: Uscite! A coloro che erano nelle tenebre: Siate illuminati! A coloro che erano morti: Risorgete! A te comando: Svegliati, tu che dormi! Infatti non ti ho creato perché rimanessi prigioniero nell’inferno. Risorgi dai morti. Io sono la vita dei morti. Risorgi, opera delle mie mani! Risorgi, mia effige, fatta a mia immagine! Risorgi, usciamo di qui! Tu in me e io in te siamo infatti un’unica e indivisa natura.

Per te io, tuo Dio, mi sono fatto tuo figlio. Per te io, il Signore, ho rivestito la tua natura di servo. Per te, io che sto al di sopra dei cieli, sono venuto sulla terra e al di sotto della terra. Per te uomo ho condiviso la debolezza umana, ma poi son diventato libero tra i morti. Per te, che sei uscito dal giardino del paradiso terrestre, sono stato tradito in un giardino e dato in mano ai Giudei, e in un giardino sono stato messo in croce. Guarda sulla mia faccia gli sputi che io ricevetti per te, per poterti restituire a quel primo soffio vitale. Guarda sulle mie guance gli schiaffi, sopportati per rifare a mia immagine la tua bellezza perduta.

Guarda sul mio dorso la flagellazione subita per liberare le tue spalle dal peso dei tuoi peccati. Guarda le mie mani inchiodate al legno per te, che un tempo avevi malamente allungato la tua mano all’albero. Morii sulla croce e la lancia penetrò nel mio costato, per te che ti addormentasti nel paradiso e facesti uscire Eva dal tuo fianco. Il mio costato sanò il dolore del tuo fianco. Il mio sonno ti libererà dal sonno dell’inferno. La mia lancia trattenne la lancia che si era rivolta contro di te.

Sorgi, allontaniamoci di qui. Il nemico ti fece uscire dalla terra del paradiso. Io invece non ti rimetto più in quel giardino, ma ti colloco sul trono celeste. Ti fu proibito di toccare la pianta simbolica della vita, ma io, che sono la vita, ti comunico quello che sono. Ho posto dei cherubini che come servi ti custodissero. Ora faccio sì che i cherubini ti adorino quasi come Dio, anche se non sei Dio.

Il trono celeste è pronto, pronti e agli ordini sono i portatori, la sala è allestita, la mensa apparecchiata, l’eterna dimora è addobbata, i forzieri aperti. In altre parole, è preparato per te dai secoli eterni il regno dei cieli».

giorno dell'Amore

Venerdì Santo:

fino alla fine

La croce, ponte sull’abisso della morte

Il nostro Signore fu schiacciato dalla morte, ma a sua volta egli la calpestò come una strada battuta. Si sottomise spontaneamente alla morte, accettò volontariamente la morte per distruggere quella morte che non voleva morire.

Nostro Signore infatti uscì reggendo la croce perché così volle la morte. Ma sulla croce col suo grido trasse i morti fuori dagli inferi, nonostante che la morte cercasse di opporsi…

Fu ben potente il figlio del falegname, che portò la sua croce sopra gli inferi che ingoiavano tutto e trasferì il genere umano nella casa della vita.

Come poi a causa del legno il genere umano era sprofondato in quei luoghi sottorranei, sopra un legno Cristo entrò nell’abitazione della vita. Perciò in quel legno in cui era stato innestato il ramoscello amaro, venne innestato un ramoscello dolce, perché riconosciamo colui al quale nessuna creatura è in grado di resistere.

Gloria a te che che della tua croce hai fatto un ponte sulla morte. Attraverso questo ponte le anime si possono trasferire dalla regione della morte a quella della vita.

Gloria a te che ti sei rivestito del corpo dell’uomo mortale e lo hai trasformato in sorgente di vita per tutti i mortali. Tu ora certo vivi. Coloro che ti hanno ucciso hanno agito verso la tua vita come gli agricoltori: la seminarono come frumento nel solco profondo. Ma di là rifiorì e fece risorgere con sé tutti (Gv 12,24).

Venite, offriamo il nostro amore come sacrificio grande e universale, eleviamo cantici solenni e rivolgiamo preghiere a colui che offrì la sua croce in sacrificio a Dio, per rendere ricchi tutti noi del suo inestimabile tesoro. 

Sant’Efrem Siro (circa 306-373), diacono in Siria, dottore della Chiesa

 COMUNICAZIONE: l'amministratore ha contratto il covid e per qualche giorno non ci saranno argomenti nuovi.

Carla Ronci

(11 aprile 1936 - 2 aprile 1970)

VITTIMA D'AMORE

PER LA SANTITA' SACERDOTALE

Carla Ronci è nata a Torre Pedrera, nei pressi di Rimini, l’11 aprile 1936. Sprizza allegria e vitalità la bambina romagnola, che non fa arrabbiare i genitori, è diligente a scuola, ma è vivace e birichina come tutte le altre.

Cresce sprintosa e gioiosa, in una famiglia che vive di pesca e di piccolo commercio, acquistando con il vero e proprio sudore della fronte una certa agiatezza, cui contribuisce anche lei, Carla, che dopo la quinta elementare impara a far la sarta, alleva una capretta, fa la baby-sitter e aiuta nel negozietto di famiglia. Cresce a pane, polka e “Grand Hotel”, il famoso rotocalco degli anni Cinquanta, tra una passioncella e una cotta, un giro di ballo e qualche scampagnata, pulita dentro e bellissima fuori, anche o proprio per questo corteggiata ed ammirata.

Nel 1950, ed ha soltanto 14 anni, comincia a farsi domande serie sul senso della vita, osservando le suore Orsoline che gestiscono l’asilo di Torre Pedrera, dov’è nata e dove vive: da ragazza intelligente non può fare a meno di chiedersi cosa spinge quelle giovani donne a donare le loro forze migliori per i figli degli altri e senza un tornaconto personale. La domanda diventa particolarmente inquietante una sera, mentre è appoggiata al davanzale di casa ad osservare la frenesia con cui la gente si muove per strada, e improvvisamente le appare inutile e vuota la vita che ha vissuto fino ad allora.

Il mattino dopo è in chiesa a cercar risposte, scoprendo di aver resistito fino a quel momento alla grazia di Dio e di essersi stordita con il ballo ed il divertimento per colmare il vuoto che si sente dentro. Non è, come potrebbe sembrare, l’euforia e l’entusiasmo di un’adolescente precoce e sensibile, piuttosto l’inizio di un cammino di totale adesione a Gesù, che comincia a ricevere sempre più spesso e che diventa davvero il centro della sua giornata. Trova nel suo parroco una guida spirituale forte ed illuminata e, forse, proprio grazie a lui i propositi di quei giorni non si riducono ad un fuoco di paglia: dà un taglio netto al ritmo di vita precedente e ai divertimenti anche innocenti, trova nell’Azione Cattolica il primo pilastro della sua formazione e si vede affidare un gruppetto di dieci “Beniamine”, che rapidamente crescono in numero e qualità perché credono ciecamente in lei.

Entra in familiarità con le suore Orsoline e si lascia accompagnare spiritualmente anche da loro, che insieme al parroco diventano il punto di riferimento della sua vita. Nel 1956 emette il voto privato di castità, che trasfigura ed accende, anziché mortificare, la sua femminilità: veste alla moda, va tutte le settimane dal parrucchiere, usa un leggero profumo, con lo scopo di “far capire, con la mia vita, che il cristianesimo non è croce ma gioia”.

L’anno successivo emette il voto di povertà, distaccandosi progressivamente dal considerarsi proprietaria, ma semplice amministratrice di qualsiasi cosa. E perché la sua povertà non diventi risparmio ma autentica carità, dona a poveri e bisognosi tutto quanto guadagna con i lavori di cucito svolti di sera, dopo aver lavorato tutto il giorno nel negozio di famiglia.

Lentamente matura in lei la vocazione religiosa, che le sembra naturale poter realizzare tra le Orsoline che sono all’origine della sua “conversione”, ma trova l’opposizione dei genitori, delle amiche e perfino del parroco. È soprattutto papà, sanguigno romagnolo dall’integerrima fede comunista, a non condividere affatto l’idea di avere una figlia suora. Nel febbraio 1958 Carla pianifica così, con la parziale complicità della mamma, un’autentica fuga in macchina verso il noviziato delle Orsoline in provincia di Bergamo.

Le minatorie lettere di papà e le sue frequenti visite durante le quali vorrebbe con la forza riportarsela a casa, convincono la superiora, dopo appena quattro mesi, a concludere che la vocazione di Carla non rientri nella volontà di Dio. Ritornata in famiglia, per niente frustrata dall’esperienza vissuta, riprende il suo posto in parrocchia, affinando ulteriormente la sua collaborazione con il parroco: nell’animazione della liturgia, nella cura della chiesa, nella gestione finanziaria della parrocchia, nel funzionamento della biblioteca parrocchiale e addirittura di una piccola sala cinematografica per i bambini. Soprattutto, poi, nell’Azione Cattolica, diventando anche delegata delle “Aspiranti”.

“Voglio fiorire dove Dio mi ha seminata”, ed in queste sue parole non c’è nulla di rassegnato o di consolatorio, piuttosto la gioiosa ricerca di una vocazione “nel mondo”. Che trova la sua realizzazione nel 1961, quando entra nella famiglia spirituale delle Ancelle Mater Misericordiae di Macerata: ha scoperto in loro un apostolato di presenza e testimonianza nel mondo, che è precisamente quanto ha cercato di fare fino ad allora.

Stupita e riconoscente per come il Signore l’abbia accompagnata per mano fino a questa completa realizzazione, continua ad essere lievito nella piccola comunità parrocchiale di Torre Pedrera, nel negozio, in seno all’Azione Cattolica. “La vita è bella ma se ami è meravigliosa”, dice a parole e soprattutto con la vita, nello sforzo continuo di testimoniare gioiosamente il vangelo.

Da quando Gesù ha fatto irruzione nella sua vita, il chiodo fisso di Carla sono i sacerdoti: per loro offre la sua vita con un sentimento di lungimirante maternità spirituale, per “quello che fanno e non dovrebbero fare, per quello che non fanno e dovrebbero fare”. Il 6 gennaio 1963, nel fare la sua Professione, Carla si offre a Dio per la santità dei sacerdoti, e il Signore sembra accettare la sua offerta. Ad agosto 1969 una colica di fegato annuncia l’inizio della fine. Il 21 gennaio 1970 viene ricoverata all’ospedale Sant’Orsola di Bologna, le diagnosticano un cancro che si estende ai polmoni e contro il quale la medicina è impotente anche ad alleviarle il dolore. 

Con “il cuore a brandelli e con il sorriso sulle labbra” affronta l’ultimo tratto del suo calvario. Scrive nel suo diario: “Sono contenta di lottare, soffrire, vivere. Quando il soffrire diventa gioia non si può chiedere di più. Per questo e per tanti altri doni rendiamo grazie al Signore”. A Rimini, nella casa di salute “Villa Maria”, a soli trentaquattro anni di età, spira dolcemente il 2 aprile 1970. Da allora la “ragazza della vespa”, anche senza il suo inseparabile mezzo a due ruote con il quale scorazzava da una casa all’altra del suo paese, ha fatto parecchia strada. È stata proclamata Venerabile da Giovanni Paolo II nel 1997.

Dicono le sue compagne di allora che, Carla Ronci “sapeva conversare con Dio e con il prossimo contemporaneamente, e avvicinandola si sentiva in lei la presenza e il profumo di Cristo.

Autore: Gianpiero Pettiti

"Gli corse incontro

e lo baciò"

Quando era ancora lontano, suo padre lo vide, ebbe compassione, gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò.

Dio non può non cercarci, non può non fare festa quando ci ritrova, “è più forte di lui”. Se Dio non può non cercarci, nessuno è privo di speranza, nessuno è irrecuperabile.

Dove il mondo dice “perduto”, Dio dice “ritrovato”; dove il mondo dice “finito”, Dio dice “rinato”. E non ci sono rimproveri, rimorsi, rimpianti.

Fariseo o pubblicano?

Oggi Gesù ci racconta la parabola del fariseo e del pubblicano che vanno al tempio a pregare.

Il Fariseo, ritto in piedi, prega ma come rivolto a se stesso: «O Dio, ti ringrazio perché non sono come gli altri uomini, rapaci, ingiusti, impuri...».

Inizia con le parole giuste, pare che si rivolga a Dio ringraziandolo e lodandolo ma in realtà è centrato su se stesso, stregato da una parola di due sole lettere, che non si stanca di ripetere, io: io ringrazio, io non sono, io digiuno, io pago.

Il pubblicano, un pover’uomo curvo in fondo al tempio fermatosi a distanza, si batte il petto dicendo: «O Dio, abbi pietà di me peccatore». C'è una piccola parola che cambia tutto nella preghiera del pubblicano e la fa vera: «tu». «Signore, tu abbi pietà».

E mentre il fariseo costruisce la sua religione attorno a quello che egli fa per Dio (io prego, pago, digiuno...), il pubblicano la costruisce attorno a quello che Dio fa per lui (tu hai pietà di me peccatore) e si crea il contatto: l’io dell’uomo e il Tu di Dio entrano in relazione, qualcosa va e viene tra il fondo del cuore e il fondo del cielo. Come un gemito che dice: «Sono un ladro, è vero, ma così non sto bene, così non sono contento. Vorrei tanto essere diverso, non ce la faccio, ma tu perdona e aiuta».

E Dio, che è pietà e misericordia gli perdona, gli condona il debito.

Qual è il nostro atteggiamento nei confronti del Signore?

Egli si definisce: Via, Verità e Vita e ci assicura che “solo la Verità ci rende liberi”.

Preghiamo il Signore perché i Sacerdoti siano uomini di verità e conducano i fedeli all'incontro con la Verità. 

si è fatto carne"

".....e il Verbo

Dalle «Lettere» di san Leone Magno, papa

Il mistero della nostra riconciliazione

Dalla Maestà divina fu assunta l’umiltà della nostra natura, dalla forza la debolezza, da colui che è eterno, la nostra mortalità; e per pagare il debito che gravava sulla nostra condizione, la natura impassibile fu unita alla nostra natura passibile. Tutto questo avvenne perché, come era conveniente per la nostra salvezza, il solo e unico mediatore tra Dio e gli uomini, l’uomo Cristo Gesù, immune dalla morte per un verso, fosse, per l’altro, ad essa soggetto.

Vera, integra e perfetta fu la natura nella quale è nato Dio, ma nel medesimo tempo vera e perfetta la natura divina nella quale rimane immutabilmente. In lui c’è tutto della sua divinità e tutto della nostra umanità.

Per nostra natura intendiamo quella creata da Dio al principio e assunta, per essere redenta, dal Verbo. Nessuna traccia invece vi fu nel Salvatore di quelle malvagità che il seduttore portò nel mondo e che furono accolte dall’uomo sedotto. Volle addossarsi certo la nostra debolezza, ma non essere partecipe delle nostre colpe.

Assunse la condizione di schiavo, ma senza la contaminazione del peccato. Sublimò l’umanità, ma non sminuì la divinità. Il suo annientamento rese visibile l’invisibile e mortale il creatore e il signore di tutte le cose. Ma il suo fu piuttosto un abbassarsi misericordioso verso la nostra miseria, che una perdita della sua potestà e del suo dominio. Fu creatore dell’uomo nella condizione divina e uomo nella condizione di schiavo. Questo fu l’unico e medesimo Salvatore.

Il Figlio di Dio fa dunque il suo ingresso in mezzo alle miserie di questo mondo, scendendo dal suo trono celeste, senza lasciare la gloria del Padre. Entra in una condizione nuova, nasce in un modo nuovo. Entra in una condizione nuova: infatti invisibile in se stesso si rende visibile nella nostra natura; infinito, si lascia circoscrivere; esistente prima di tutti i tempi, comincia a vivere nel tempo; padrone e signore dell’universo, nasconde la sua infinita maestà, prende la forma di servo; impassibile e immortale, in quanto Dio, non sdegna di farsi uomo passibile e soggetto alle leggi della morte.

Colui infatti che è vero Dio, è anche vero uomo. Non vi è nulla di fittizio in questa unità, perché sussistono e l’umiltà della natura umana, e la sublimità della natura divina. Dio non subisce mutazione per la sua misericordia, così l’uomo non viene alterato per la dignità ricevuta. Ognuna delle nature opera in comunione con l’altra tutto ciò che le è proprio. Il Verbo opera ciò che spetta al Verbo, e l’umanità esegue ciò che è proprio dell’umanità. La prima di queste nature risplende per i miracoli che compie, l’altra soggiace agli oltraggi che subisce.

E come il Verbo non rinunzia a quella gloria che possiede in tutto uguale al Padre, così l’umanità non abbandona la natura propria della specie. Non ci stancheremo di ripeterlo: L’unico e il medesimo è veramente Figlio di Dio e veramente figlio dell’uomo. È Dio, perché «in principio era il Verbo e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio» (Gv 1, 1). È uomo, perché «il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi» (Gv 1, 14).

ORA DI ADORAZIONE

PER L'AUMENTO

E

LA SANTIFICAZIONE

DEI SACERDOTI 

O Gesù, genuflessi alla Tua divina presenza, Ti adoriamo profondamente.

Pieni di dolore per le molte colpe commesse, ma anche pieni di desiderio di ripararle con amore ardente, noi, povere creature, Ti preghiamo per coloro che Tu, o Gesù, ami con divina particolare tenerezza: per i sacerdoti, che sono la parte più eletta del Tuo gregge.

Per loro Ti offriamo quest'ora di adorazione, affinché tutti siano santi e il loro ministero sia veramente efficace.

Tu, o Gesù, hai voluto legare la perennità della Santissima Eucarestia alla perennità del Tuo Sacerdozio negli Apostoli e nei loro successori.

L'Eucarestia e l'Ordine sacro sono due Sacramenti, per i quali Tu, o Gesù, perpetui la Tua presenza nella Chiesa. Nell'Eucarestia Tu sei sempre con noi nella realtà, invisibile ma vivente, della Tua Persona per essere Pane di vita.

Per il Sacerdozio, Tu sei sempre con noi nell'esercizio visibile dei Tuoi divini poteri, per essere luce di verità. L'Eucarestia non può essere senza il sacerdote, e il sacerdote non può essere senza l'Eucarestia. I due Sacramenti sgorgarono insieme dal Tuo Cuore, nell'ora del Tuo supremo amore.

Spezzando e distribuendo ai Tuoi Apostoli il pane da Te consacrato, dicesti: «Prendete e mangiate, questo è il mio Corpo»: ecco l'Eucarestia! Ma subito soggiungesti: «Fate que sto in memoria di me»: ecco il Sacerdozio!

Quale profondo mistero, o Gesù, il Sacerdozio cattolico! Come splende, alla luce del Tabernacolo, questo gran dono di Dio!

O Gesù, fa’ che i sacerdoti non cadano mai da tanta altezza! Siano per la Tua grazia degni in tutto del loro ministero. Sebbene uomini, siano angeli nella vita, santi nell'anima, immacolati nei cuori, puri nelle opere, come è santo, immacolato e puro il Sacrificio che essi immolano.

Meditazioni sul sacerdozio

di autori vari

Gesù al Sacerdote

Approfitta del tempo che ti lascio su questa terra, il periodo della tua esistenza in cui puoi meritare, per chiedermi intensamente che si moltiplichino le anime contemplative, le anime mistiche. Sono esse che salvano il mondo e ottengono alla Chiesa il rinnovamento spirituale di cui ha bisogno.

In questo momento certi pseudo-teologi lanciando ai quattro venti le loro elucubrazioni intellettuali, credono di purificare la fede, mentre non fanno altro che turbarla.

Soltanto coloro che mi hanno incontrato nella preghiera silenziosa, nella lettura umile della Sacra Scrittura, nell'unione profonda con me, possono parlare di me con competenza, poiché io stesso ispiro i loro pensieri e parlo attraverso le loro labbra.

BEATA

ALESSANDRINA DA COSTA

(1904-1955):

VITTIMA D'AMORE

PER LA SANTITA' SACERDOTALE

La vita di Alessandrina da Costa, beatificata il 25 aprile 2004, dimostra in maniera impressionante la forza trasformatrice e gli effetti visibili del sacrificio di una ragazza malata e abbandonata.

Nel 1941 Alessandrina scrisse al suo padre spirituale, P. Mariano Pinho, che Gesù l’aveva pregata dicendo: “Figlia mia, a Lisbona vive un sacerdote che rischia di condannarsi per l’eternità; lui mi offende in maniera grave. Chiama il tuo padre spirituale e chiedigli il permesso perché io ti faccia soffrire durante la passione in modo particolare per quell’anima”.

Ricevuto il permesso, Alessandrina soffrì moltissimo. Sentiva la pesantezza dei peccati di quel sacerdote che non voleva sapere più nulla di Dio e stava per dannarsi. La poveretta viveva nel suo corpo lo stato infernale in cui si trovava il sacerdote e supplicava: “Non all’inferno, no! Mi offro in olocausto per lui fin quando Tu vuoi”.

Ella sentì addirittura il nome e il cognome del sacerdote. P. Pinho volle allora indagare presso il cardinale di Lisbona se in quel momento esistesse un sacerdote che gli era causa di dispiaceri. Il cardinale gli confermò con sincerità che in effetti c’era un sacerdote che gli dava molte preoccupazioni; quando gli fece il nome, era proprio lo stesso che Gesù aveva nominato ad Alessandrina.

Alcuni mesi dopo fu riferito a P. Pinho da un suo amico-sacerdote, don Davide Novais, un avvenimento particolare. Don Davide aveva appena tenuto un corso di esercizi spirituali a Fatima, ai quali aveva partecipato anche un signore riservato che era stato notato da tutti per il suo comportamento esemplare. Quell’uomo, l’ultima sera degli esercizi, aveva avuto un attacco di cuore; chiamato un sacerdote, aveva potuto confessarsi e ricevere la S. Comunione. Poco dopo era morto, riconciliato con Dio.

Si scoprì che quel signore, vestito da laico, era un sacerdote ed era proprio colui per il quale Alessandrina aveva tanto lottato.

La porta spalancata

La chiave per il Paradiso è quell'Amore che sempre ricevo dall'alto e subito dono al fratello

In una struttura ospedaliera che non conoscevo, mi sono inoltrato un po’ troppo fiducioso e sbadato. Volevo visitare un amico bisognoso di totale riabilitazione motoria.

L’ho cercato attraversando porte, corridoi. Ma invano. Cercando l’uscita, mi sono imbattuto in una terribile sorpresa: tutte le porte che nell’entrare ho trovato automaticamente apribili, si erano irreparabilmente chiuse alle spalle.

Così ingabbiato in un vicolo cieco, ho passato una buona mezz’ora ad ogni piano, a forzare ripetutamente maniglie, a picchiare insistentemente ad ogni porta.

Per fugare il panico, ho esercitato l’autocontrollo. Attraverso qualche spioncino vedevo ammalati in carrozzella, infermieri frettolosi a servirli. Ogni mio richiamo, più o meno sonoro, risultava vano, inascoltato.

Ultima speranza, la telefonata all’amico che sapevo munito di cellulare. Ma come risposta: “Non posso farci niente, sono immobile e di qui non passa nessuno”. E’ perfino caduta la linea telefonica che mi ha lasciato ad implorare… nessuno.

In quella mezz’ora di angosciosa speranza di libertà, prima che arrivasse un salvatore, mi si affacciava il paragone dell’inferno, dove, alla porta d’entrata, Dante vi vede scritto: “Lasciate ogni speranza o voi che entrate”. L’inferno è rottura di ogni rapporto.

Sarò maledetto all’inferno se con le mie mani chiudo la porta del Paradiso. La terrò invece spalancata se uso la chiave di quell’Amore che sempre dall’alto ricevo e subito dono al fratello. 

Padre Andrea Panont O.C.D.

IL ROSARIO

PER LE VOCAZIONI

( Katia Di Meglio)

O Dio vieni a salvarmi,….

Gloria - Credo - Atto di dolore -  Invocazione allo Spirito Santo ( canto o sequenza )

Giaculatorie da ripetere ad ogni mistero:

• Oh Gesù mio, perdona le nostre colpe, preservaci dal fuoco dell’inferno, porta in cielo tutte le anime, specialmente le più bisognose della Tua Misericordia. •

Gesù Maria Vi amo, salvate le anime, santificate i sacerdoti, otteneteci numerose e sante vocazioni. •

Oh Signore manda santi sacerdoti e ferventi religiosi alla Tua Chiesa. •

Vieni Spirito Santo, vieni per mezzo della potente intercessione del Cuore immacolato di Maria, Tua Sposa amatissima.

Invocazione alla Vergine Maria

Vergine Maria, Madre della Chiesa e delle Vocazioni, Guarda quanto è grande la messe! Intercedi presso il Padre perché infonda fame di santità in tutto il popolo di Dio e conceda abbondanti vocazioni al sacerdozio e alla vita religiosa. Vergine Maria, Madre dell’Eterno Sacerdote, intercedi presso tuo Figlio Gesù perché susciti in molti giovani il desiderio di farsi sacerdoti per il bene delle anime. Infondi in tutti coloro che chiami a questo Ministero un desiderio ardente di santità e di apostolato. Che i tuoi sacerdoti, o Maria, siano angeli di purezza, caritatevoli nelle opere, efficaci nella parola e amanti della povertà. Vergine Maria, Madre dei consacrati, come nel Cenacolo per gli Apostoli, ottieni per l’ordine sacerdotale una rinnovata Pentecoste, che accenda di fede, santità e fervore i tuoi Ministri, ne moltiplichi il numero e renda fruttuosa la loro missione. Affidiamo a Te, Madre nostra premurosa, queste umili preghiere, perché presentandole al Padre Celeste, attraverso tuo Figlio Gesù, possano essere ascoltate ed esaudite.

Misteri Gaudiosi

I – L’annunciazione dell’angelo a Maria

Dal vangelo secondo Luca Allora Maria disse all’angelo: “Eccomi, sono la serva del Signore, avvenga di me quello che hai detto”.

Preghiamo per tutti i giovani della nostra diocesi che avvertono la chiamata di consacrarsi a Dio nella vita sacerdotale, perché siano generosi e solleciti come Maria nel dire il loro sì al Signore.

Padre nostro, Ave Maria (10 volte) Gloria

II – La visita di Maria alla cugina Elisabetta

Dal vangelo secondo Luca Elisabetta fu piena di Spirito santo ed esclamò a gran voce: “benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo!...”. Allora Maria disse: “L’anima mia magnifica il Signore e il mio spirito esulta in Dio, mio Salvatore”.

Preghiamo Maria per tutti i missionari affinché la loro testimonianza di vita e di parola susciti non solo conversioni ma anche vocazioni di speciale consacrazione a Dio per continuare l’annuncio del Vangelo nel mondo. Preghiamo inoltre affinché Maria infonda anche in noi e nei nostri giovani il suo stesso desiderio di portare Gesù a tutti e tutti a Gesù.

Padre nostro, Ave Maria (10 volte) Gloria

III – La nascita di Gesù a Betlemme

Dal vangelo secondo Luca

L’angelo disse ai pastori: “non temete, ecco vi annunzio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo: oggi vi è nato nella città di Davide un salvatore, che è cristo Signore. Questo per voi il segno: troverete un bambino avvolto in fasce, che giace in una mangiatoia”.

Preghiamo per le famiglie della nostra diocesi, perché accolgano il dono della vita e aiutino i figli a riconoscere, accogliere e seguire Gesù che è via, verità e vita.

Padre nostro, Ave Maria (10 volte) Gloria

IV – La presentazione di Gesù al Tempio

Dal vangelo secondo Luca Quando venne il tempo della purificazione secondo la legge di Mosè, portarono il bambino a Gerusalemme per offrirlo al Signore.

Preghiamo per tutti i sacerdoti della nostra diocesi, perché la loro vita interamente offerta a Dio e al prossimo sia, per le comunità loro affidate, testimonianza autentica di amore, gioia e segno di speranza.

Padre nostro, Ave Maria (10 volte) Gloria

V – Il ritrovamento di Gesù nel Tempio Dal vangelo secondo Luca Dopo tre giorni lo trovarono nel tempio, seduto in mezzo ai dottori, mentre li ascoltava e li interrogava. Al vederlo restarono stupiti e Sua madre Gli disse: “Figlio, perché hai fatto così? Ecco Tuo padre e io, angosciati, Ti cercavamo”. Ed Egli rispose: “perché Mi cercava-¬‐ te? Non sapevate che Io devo occuparmi delle cose del Padre Mio?”.

Preghiamo Maria perché i genitori e gli educatori aiutino i nostri giovani a rispondere in pienezza alla loro vocazione senza ostacolare le loro scelte insegnando loro che solo nel compiere la volontà del Padre potranno essere pienamente felici.

Padre nostro, Ave Maria (10 volte) Gloria

Salve Regina...

Litanie

"Santa Maria prega per noi

"Santa Madre di Dio ...

“ Santa Vergine delle Vergini ...

“ Madre di Cristo ...

“ Madre del Creatore ...

“ Madre del Salvatore... 

“ Madre della speranza ...

“ Madre di Misericordia ...

“ Madre della Grazia divina... 

“ Madre della Chiesa per noi ...

“ Madre di tutti gli uomini ...

  “ Madre dei Battezzati ...

“ Madre dei giovani ...

“ Tempio dello Spirito Santo ...

“ Dimora tutta consacrata a Dio ...

“ Aiuto dei cristiani ...

“ Rifugio dei peccatori ...

“ Vergine fedele ...

“ Argilla che si lascia modellare dallo Spirito ...

“ Modello di donazione a Dio ...

“ Ideale di santità ...

“ Donna sempre attenta alla voce dello Spirito ...

“ Donna del sì pronto e generoso ...

“ Modello di ascolto della voce del Signore ...

“ Donna del dono senza riserve ...

“ Modello a chi è in ricerca della sua vocazione ...

“ Guida a chiunque sceglie la via del Vangelo ...

“ Aiuto a chi non trova il coraggio di decidere...

“ Madre di tutti sacerdoti e sostegno del loro ministero ...

“ Madre di tutti i consacrati a Dio e sostegno della loro fedeltà...

“ Madre di tutti i missionari e sostegno del loro annuncio ...

“ Madre di chi segue Dio nel Matrimonio e sostegno della sua fedeltà ...

“ Madre di tutti i diaconi e sostegno del loro quotidiano servizio ...

“ Madre di chi abbraccia la vita contemplativa e sostegno della sua preghiera ...

“ Madre di chi si impegna nel volontariato e sostegno della sua carità ...

“ Madre di tutte le vocazioni ...

“ Agnello di Dio che togli i peccati del mondo, perdonaci o Signore

Agnello di Dio che togli i peccati del mondo, ascoltaci o Signore

Agnello di Dio che togli i peccati del mondo, abbi pietà di noi

Prega per noi Santa Madre di Dio affinchè siamo fatti degni delle promesse di Cristo.

Preghiamo

O Dio che hai scelto Maria per diventare la Madre del Tuo Figlio Gesù e, in Lei, ci hai fatto comprendere la grandezza del Tuo amore per noi, fa che impariamo da Lei a fidarci di Te sia nei giorni bui che in quelli luminosi della nostra vita. Riempi con il Tuo Spirito tutti i giovani, perché possano riconoscere la Tua voce fra mille voci nel mondo e dispongano il loro cuore ad accogliere ed attuare il disegno d’amore che hai su ciascuno di loro. Rendili coraggiosi nelle scelte della vita e capaci di camminare nella gioia del servizio verso di Te e i fratelli. Te lo chiediamo per Cristo nostro Signore. Amen

Preghiera secondo le intenzioni del Papa (Pater,Ave,Gloria)

( Autrice: Katia di Meglio)

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